deposito telematico querela

Quando si ha deposito telematico della querela La Cassazione chiarisce che la presentazione con modalità telematica della querela è esclusivamente riferita alle ipotesi in cui essa debba essere presentata dalla Procura della Repubblica

Inosservanza della norma processuale

Nel caso che ci occupa, il ricorrente ha presentato ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione rilevando che la querela nei suoi confronti non era stata presentata dalla parte personalmente, bensì dal difensore.

Rispetto a tale circostanza, il ricorrente ha rilevato che, nel caso di specie, la querela non era stata presentata tramite il Portale del Processo, ma mediante formato cartaceo presso la questura, mentre, l’unica modalità consentita per il deposito della querela, qualora a tale incombenza non provveda la parte personalmente, ma il suo difensore, è tramite il suddetto portale.

Deposito telematico della querela

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 20754-2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In particolare, la Corte, dopo aver esposto i fatti di causa ed il quadro normativo di riferimento, ha affermato che l’art 87, comma 6-bis del d.lgs n. 150/2022 è chiaro nel prevedere che “la presentazione con modalità telematica della querela è esplicitamente ed esclusivamente riferita alle ipotesi in cui essa debba essere presentata nella Procura della repubblica (quando non presentata direttamente dal querelante personalmente, ma dal suo difensore), così che non vi è alcun appiglio normativo utile a supportare l’assunto difensivo secondo il quale il deposito attraverso il processo portale telematico abbia una portata generalizzata e debba avvenire anche quando la querela sia depositata presso uffici diversi dalla Procura della Repubblica”.

Portale processo telematico

Invero, ha proseguito la Corte a sostegno delle proprie argomentazioni, il portale del processo penale telematico rappresenta uno strumento posto a sussidio della ricezione degli atti processuali presso gli uffici giudiziari “mentre non è adibito per la ricezione degli atti da parte delle Forze dell’Ordine, così con la contraria interpretazione proposta dalla difesa si mostra incoerente con i fini per cui esso è stato espressamente istituito”.

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danni terrazzo livello spese

Danni al terrazzo condominiale: ripartizione ex art. 1126 c.c. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere precisa che i danni e le manutenzioni al terrazzo a livello di condominio si ripartiscono con l'art. 1126 c.c.

Danni al terrazzo condominiale

La terrazza a livello è paragonabile da un punto di vista giuridico, ad un lastrico solare, ed è quindi soggetta, in tema di ripartizione delle spese per la sua manutenzione, alle disposizioni di cui all’art. 1126 c.c. E’ quanto ha precisato il tribunale di Santa Maria Capua Vetere con la sentenza n. 1400-2024.

La vicenda

La vicenda ha per protagonista un condomino, proprietario di locali commerciali siti al pianterreno, che trascinava in giudizio i proprietari del terrazzo a livello sovrastante per sentirli condannare al suo rifacimento e al risarcimento dei danni arrecati ai locali di sua proprietà a causa delle infiltrazioni provenienti proprio dal terrazzo.

I convenuti si costituivano, eccependo l’improcedibilità della domanda per difetto di mediazione e contestandone la fondatezza nel merito. Inoltre, chiedevano di essere autorizzati a chiamare in garanzia la società assicurativa con cui avevano stipulato apposita polizza, ed agivano con domanda riconvenzionale per l’accertamento del debito maturato dall’attore nei loro confronti, per non aver mai contribuito alle spese di manutenzione della terrazza.

La causa, istruita attraverso l’espletamento di Ctu, celebrata in modalità cartolare, veniva trattenuta in decisione.

Mediazione non obbligatoria

In via preliminare, il tribunale disattende l’eccezione all’improcedibilità sollevata da parte convenuta e dalla terza chiamata, per mancato esperimento della mediazione, ossia perché la causa verte in materia accertativa e risarcitoria e dunque la mediazione non è obbligatoria “quando la domanda, come nel caso in esame, è riconducibile al risarcimento da fatto illecito ai sensi dell’art. 2051 c.c.”.

Ripartizione spese terrazza a livello

Nel merito, il giudice premette innanzitutto che la fattispecie in esame rientra nel c.d. condominio minimo. Per cui, “in riferimento alla qualifica della terrazza di proprietà esclusiva dei convenuti, va osservato che la stessa è paragonabile, da un punto di vista giuridico, ad un lastrico solare, trattandosi di una terrazza a livello e quindi soggetta, in tema di ripartizione delle spese per la sua manutenzione, a quanto disposto dall’art. 1126 c.c.”.

Per definizione, prosegue il giudicante, “la terrazza a livello è quella parte dell’edificio di cui gode esclusivamente un condomino, in quanto la struttura è accessibile solo dalla sua unità immobiliare, e che contemporaneamente funge anche da copertura a una o più unità immobiliari. Di norma, la terrazza si presenta come un ripiano scoperto, costruito per lo più a copertura dell’edificio stesso e recintato da un parapetto, così da consentire l’affaccio”, La terrazza a livello, “quindi, ha una doppia anima: da un lato, rappresenta un’estensione della singola proprietà privata e, dall’altro, funge da copertura per i piani sottostanti dell’edificio. Per queste sue caratteristiche, la terrazza a livello non deve necessariamente trovarsi sulla sommità dell’intero edificio, potendo sovrastare anche solo una parte del fabbricato. Poiché la terrazza a livello, anche quando è di proprietà esclusiva, conserva un’essenziale funzione di copertura dell’edificio, la manutenzione della stessa, in tema di ripartizione delle spese, è soggetta alla disciplina di cui all’art. 1126 c.c.: tanto nel caso di manutenzione e conservazione che in quello di risarcimento dei danni da infiltrazioni, le spese della terrazza a livello (o lastrico solare) che è causa del danno andranno così divise: 1/3 il proprietario o usuario esclusivo; 2/3 i restanti condòmini, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno”. Ciò in conformità anche a quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità richiamata dallo stesso giudicante (cfr. Cass. n. 35316/2021; n. 20287/2017).

La decisione

Nel caso di specie, la consulenza in atti, ha confermato sia l’esistenza dei danni lamentati dall’attore alle unità immobiliari di sua proprietà sia la loro riconducibilità alla terrazza de qua. Inoltre, ha confermato che i vizi denunciati dal ricorrente risultavano definitivamente accertati e provocati, tra l’altro, dalla “scarsa e/o non adeguata manutenzione del lastrico solare”, da “errori costruttivi” mentre “non sono imputabili ad un cattivo utilizzo” da parte dei convenuti, ovvero che “le infiltrazioni non sono attribuibili ad interventi specifici realizzati dai proprietari che avrebbero potuto recare danno all’integrità della struttura”, il che esclude, a dire del giudice, “la possibilità di applicare la deroga al principio di ripartizione delle spese ex art. 1126 c.c.”. Per cui, afferma il tribunale, “pur ritenendo provati i danni lamentati dall’attore e la loro riconducibilità alla terrazza, tuttavia non potrà riconoscersi la responsabilità esclusiva dei proprietari della stessa, dovendo applicarsi il criterio di riparto ex art. 1126 c.c. delle spese relative ai lavori da eseguirsi all’interno dei locali”, solo 1/3 potrà addebitarsi ai convenuti, così come per i lavori da eseguire sul terrazzo.

Da qui l’accoglimento parziale della domanda e la compensazione delle spese di lite.

pensioni estero attestazioni vita

Pensioni estero: entro il 18 luglio le attestazioni Si chiude il 18 luglio la prima fase della verifica dell'esistenza in vita dei pensionati che riscuotono all'estero avviata dall'INPS

Verifica esistenza in vita

Sta per chiudersi la prima fase della verifica dell’esistenza in vita dei pensionati che riscuotono all’estero, effettuata da Citibank N.A., quale fornitore del servizio di pagamento delle pensioni INPS al di fuori del territorio nazionale. La campagna di verifica è stata avviata dall’istituto e comunicata con messaggio n. 4071/2023.

Le due fasi

Il processo è articolato in due fasi cronologicamente distinte: la prima riferita al 2024, da marzo a luglio, riguarda i pensionati residenti in America, Asia, Estremo Oriente, Paesi scandinavi, Stati dell’Est Europa e Paesi limitrofi. E sono proprio loro a dover far pervenire le attestazioni dell’esistenza in vita entro il 18 luglio 2024.

La seconda fase della verifica, che si svolgerà da settembre 2024 a gennaio 2025, riguarderà i pensionati residenti in Europa, Africa e Oceania. Le comunicazioni saranno inviate ai pensionati a partire dal 20 settembre 2024 e i pensionati dovranno far pervenire le attestazioni di esistenza in vita entro il 18 gennaio 2025.

Cosa succede se non si produce l’attestazione

Nel caso in cui l’attestazione non sia prodotta, per i pensionati della “prima fase”, il pagamento della rata di agosto 2024, laddove possibile, avverrà in contanti presso le Agenzie Western Union del Paese di residenza. In caso di mancata riscossione personale o produzione dell’attestazione di esistenza in vita entro il 19 agosto 2024, il pagamento delle pensioni sarà sospeso a partire dalla rata di settembre 2024.

Per i pensionati della “seconda fase” che non producono l’attestazione valgono le medesime conseguenze ma con scadenze posticipate: rata di febbraio 2025 in contanti ove possibile, oppure, in caso di mancata riscossione o produzione dell’attestazione di esistenza in vita entro il 19 febbraio 2025, sospensione del pagamento della pensione a partire dalla rata di marzo 2025.

Modalità di produzione della prova dell’esistenza in vita

Conformemente alle verifiche generalizzate condotte negli scorsi anni, i pensionati hanno diverse modalità per fornire la prova dell’esistenza in vita:

  • Modalità cartacea (facendo pervenire il modulo di attestazione correttamente compilato e firmato alla casella postale PO Box 4873, Worthing BN99 3BG, United Kingdom, entro il termine indicato nella lettera esplicativa);
  • Attestazione dell’esistenza in vita dei pensionati tramite il portale web di Citibank;
  • Riscossione personale presso gli sportelli Western Union

Ad ogni modo, è attivo il servizio della banca a supporto dei pensionati, operatori di Consolato, delegati e procuratori che necessitino di assistenza riguardo alla procedura di attestazione dell’esistenza in vita. Il serivzio può essere contattato sia via web (alla pagina www.inps.citi.com), sia inviando un messaggio di posta elettronica all’indirizzo inps.pensionati@citi.com; sia telefonando a uno dei numeri telefonici indicati nella lettera esplicativa.

Per i Patronati e per le Strutture territoriali INPS restano confermati i consueti canali di comunicazione.

Il servizio è attivo dal lunedì al venerdì, dalle ore 8:00 alle ore 20:00 (ora italiana), in lingua italiana, inglese, spagnola, francese, tedesca e portoghese.

incidente animale selvatico prova

Incidente con animale selvatico e onere della prova La Cassazione fa chiarezza sull'onere della prova nel caso di incidente stradale causato da fauna selvatica

Incidente stradale causato da fauna selvatica

La responsabilità dell’ente pubblico per il danno causato dalla fauna selvatica discende dall’omessa custodia dell’animale (ex art. 2052 c.c.) e non già dalla violazione del precetto del cd. “neminem laedere” espresso dall’articolo 2043 c.c. Per cui spetta al danneggiato la prova del nesso di causa mentre incombe sul danneggiante l’eventuale prova liberatoria.

Lo ha chiarito la terza sezione civile della Cassazione, con l’ordinanza n. 12714-2024 accogliendo il ricorso di un’automobilista che aveva subito un danno alla propria vettura a causa dell’investimento di un capriolo che aveva improvvisamente attraversato la strada. La donna citava in giudizio la regione chiedendo il risarcimento del danno subito, ma l’amministrazione eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva in favore della provincia. Il giudice di pace dava ragione alla donna ma, in appello, il tribunale riformava la decisione rigettando la domanda della danneggiata. Così la vicenda approdava in Cassazione. Innanzi al Palazzaccio la donna prospetta una violazione dell’art. 2052 c.c.

Art. 2052 c.c.

La ricorrente osserva, infatti, come, a partire dalla pronuncia numero 7969 del 2020, la giurisprudenza sul danno causato dalla fauna selvatica è cambiata, nel senso che si è passati dalla qualificazione di tale danno in termini di un illecito ex art. 2043 c.c. alla qualificazione invece della fattispecie in termini di danno da custodia di animali, ex art. 2052 c.c. con conseguente diversità dell’onere della prova.

Pur avendo preso atto di questo mutamento di giurisprudenza, osserva ancora la ricorrente, il tribunale “ha tuttavia ritenuto che le parti stesse avevano invece prospettato una responsabilità ex art. 2042 c.c., ossia avevano qualificato la fattispecie concreta in quei termini, e che dunque bisognava attenersi alla prospettazione fatta dalle parti con conseguente onere della prova gravante per intero sul danneggiato”.

La decisione della Cassazione

Per la S.C. la donna ha ragione. “Secondo il giudice di merito, sia nella prospettazione dell’attore che in quella del convenuto, il fatto è qualificato come un caso di responsabilità extracontrattuale dell’ente e che, di conseguenza, a qualificarlo come responsabilità del custode, si andrebbe incontro al vizio di ultra petizione. Questa tesi ovviamente è infondata – affermano i giudici di piazza Cavour – è infatti principio di diritto che quando una parte agisce prospettando una determinata fattispecie di responsabilità il giudice non è vincolato alla qualificazione giuridica dei fatti proposta dalla parte ma ha il potere di decidere una qualificazione diversa, sempre che i fatti non siano a loro volta diversi (cfr. Cass. 13757/ 2018; Cass. 11805/ 2016)”.

Responsabilità art. 2052 e art. 2043 c.c.

Ciò posto, proseguono, “la responsabilità dell’ente pubblico per il danno causato dalla fauna selvatica è una responsabilità che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, discende dalla omessa custodia dell’animale e non già dalla violazione del generico precetto di non ledere espresso dall’art. 2043 c.c., e dunque è una responsabilità che va sotto la fattispecie dell’art. 2052 c.c.”.

Con la conseguenza che “la distribuzione dell’onere della prova è del tutto diversa da come è stata valutata dal giudice di merito, nel senso che spetta al danneggiato la prova del nesso di causa” mentre “l’imprevedibilità del fatto e dunque, nella circostanza, l’imprevedibilità dell’attraversamento da parte dell’animale, quale caso fortuito che esclude la responsabilità, deve essere allegato e dimostrato dal danneggiante; allo stesso modo, la prova che il danno si è verificato per una condotta colpevole del danneggiato, ossia la guida imprudente, che è nient’altro che la prova anche essa del caso fortuito, è una prova che grava sul danneggiante”.

Da qui l’accoglimento del ricorso e la cassazione con rinvio della decisione impugnata.

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lavoro donne vittime violenza

Donne vittime di violenza: al via lo sgravio contributivo L'INPS fornisce le istruzioni necessarie per presentare la domanda di sgravio contributivo per le donne vittime di violenza

Esonero contributivo assunzioni donne vittima di violenza

La legge di bilancio 2024 ha previsto in favore delle donne disoccupate vittime di violenza la possibilità di reinserirsi nel mercato del lavoro, grazie a un’agevolazione concessa ai datori di lavoro. Chi assume donne vittime di violenza è infatti esonerato nella misura del 100% dal versamento dei contributi previdenziali fino al limite massimo di 8.000 euro, fatta eccezione per i premi e i contributi INAIL.

Durata dell’esonero variabile in base al contratto di lavoro

Qualora il contratto d lavoro venga stipulato fin dall’inizio a tempo indeterminato l’esonero dal versamento dei contributi ha una durata di 24 mesi dall’assunzione.

Se invece il contratto di lavoro è stipulato a tempo determinato, anche nella forma della somministrazione, l’esonero spetta per 12 mesi dall’assunzione.  Se poi il contratto a tempo determinato viene trasformato a tempo indeterminato l’esonero è prorogato fino al 18º mese, decorrente dalla data del contratto

Come fare domanda: le istruzioni INPS

Sull’esonero contributivo l’INPS ha già emanato la circolare n. 41 del 5 marzo 2024. Con il messaggio n. 2239 del 14 giugno 2024 l’istituto fornisce tutte le indicazioni necessarie per la presentazione della domanda da parte del datore di lavoro per poter beneficiare dell’agevolazione contributiva.

Per fare domanda occorre andare sul sito dell’INPS e seguire il seguente percorso:

  • entrare nell’applicazione “Portale delle agevolazioni”;
  • cliccare sulla voce “Imprese e liberi professionisti”;
  • quindi sulla voce “Esplora imprese libere professionisti
  • in seguito sezione ”Strumenti”
  • infine “Vedi tutti”: al cui interno è disponibile il modulo per presentare l’istanza online ERLI.

La domanda deve contenere le seguenti informazioni:

  • dati anagrafici della lavoratrice assunta;
  • codice della comunicazione obbligatoria del rapporto di lavoro nuovo o trasformato;
  • importo della retribuzione lorda mensile comprese 13ª e 14ª;
  • indicazione della percentuale eventuale di lavoro part-time;
  • misura dell’aliquota contributiva oggetto dello sgravio.

Controlli INPS

Una volta che il datore ha presentato la domanda per l’esonero contributivo l’INPS effettua tutta una serie di controlli:

  • verifica l’esistenza del rapporto di lavoro;
  • calcola l’incentivo spettante al datore;
  • controlla la disponibilità finanziaria per la copertura dell’esonero contributivo (se le risorse sono sufficienti per tutto il periodo l’istituto informa il datore e indica l’importo massimo dell’agevolazione).

In caso di variazione in aumento della percentuale oraria di lavoro relativa al contratto part-time il beneficio non potrà comunque superare l’importo già autorizzato. In caso invece di variazione in diminuzione della percentuale dell’orario di lavoro, spetta al datore ricalcolare l’incentivo spettante.

Dopo l’accantonamento definitivo delle risorse il datore può beneficiare dell’importo in quote mensili a decorrere dal mese in cui è venuta l’assunzione per il periodo spettante.

L’INPS procede a ulteriori controlli anche dopo aver autorizzato e riconosciuto l’agevolazione.

Esposizione dati e istruzioni contabili

Il messaggio INPS nei paragrafi  2, 3 e 4 fornisce le informazioni di dettaglio sulle:

  • modalità di esposizione dei dati relativi alla fruizione dell’esonero contributivo nella sezione “POSContributiva” del flusso UNIEmens;
  • modalità di esposizione dei dati relativi all’esonero nella sezione “POSAgri” per i datori di lavoro agricoli autorizzati a fruirne dell’esonero;
  • modalità di esposizione dei dati relativi all’esonero nella sezione “Lista PosPA” per i datori con lavoratrici iscritte alla “gestione pubblica”.

Per quanto riguarda le istruzioni contabili, considerato che per quanto riguarda la rilevazione contabile dell’esonero l’onere è a carico dello Stato, viene istituito nella “Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno” il conto GAW37255 per l’esonero totale dal versamento dei contributi previdenziali per le assunzioni di donne vittime di violenza che beneficiano del “Reddito di Libertà”.

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superbonus maxitassa vendita immobile

Superbonus: ecco la maxitassa Cos'è la nuova imposta sulle plusvalenze generate dalla vendita di immobili ristrutturati con il Superbonus

Tassazione vendite immobili ristrutturati con il Superbonus

La nuova misura contenuta nella Legge di Bilancio 2024 e dettagliata nella circolare 13/E/2024 dell’Agenzia delle Entrate che va a tassare le plusvalenze generata dalla vendita di immobili ristrutturati con il Superbonus mira a contrastare le operazioni speculative legate all’utilizzo di questa agevolazione fiscale.  L’obiettivo del governo è infatti quello di contrastare la speculazione immobiliare e recuperare una parte delle risorse erogate con il Superbonus. La nuova disciplina fiscale mira a scoraggiare la compravendita di immobili ristrutturati con il solo scopo di trarre profitto immediato dalla cessione del credito o dallo sconto in fattura.

Che cosa cambia?

La previsione legislativa interviene sugli articoli 67 e 68 del Testo Unico delle Imposte sui redditi prevedendo tutta una serie di novità:

  • plusvalenza tassata al 26%: per chi vende un immobile ristrutturato con il Superbonus entro i dieci anni dai lavori, la plusvalenza derivante dalla vendita sarà tassata al 26%, anziché alle aliquote ordinarie IRPEF;
  • esclusione per abitazione principale: l’imposta non si applica se l’immobile è stato adibito ad abitazione principale per la maggior parte del tempo intercorso tra l’acquisto e la vendita;
  • indeducibilità dei costi: per i primi cinque anni dalla data di fine lavori, i costi sostenuti per il Superbonus non sono deducibili ai fini IRPEF se è stata scelta l’opzione per lo sconto in fattura o la cessione del credito. Dopo i primi cinque anni, il 50% dei costi diventa deducibile.
  • variazioni catastali: l’Agenzia delle Entrate verificherà la presentazione della Dichiarazione di Variazione Catastale per monitorare le variazioni dello stato dei beni immobili.
  • tassazione per parti comuni: la nuova imposta si applica anche agli immobili oggetto di interventi di ristrutturazione sulle parti comuni condominiali, anche se i lavori non riguardano i singoli appartamenti.

Come funziona la nuova tassazione

La plusvalenza imponibile viene calcolata come differenza tra il prezzo di vendita e il costo di acquisto o costruzione dell’immobile, comprensivi di tutte le spese correlate.

Per determinare correttamente la plusvalenza, è fondamentale conservare tutta la documentazione relativa ai costi sostenuti per l’acquisto, la costruzione e gli interventi di ristrutturazione.

Cosa fare se si vuole vendere un immobile ristrutturato con il Superbonus

Conservare tutta la documentazione relativa ai costi sostenuti per l’acquisto, la costruzione e gli interventi di ristrutturazione.

Verificare se l’immobile è stato adibito ad abitazione principale per la maggior parte del tempo intercorso tra l’acquisto e la vendita.

Calcolare la plusvalenza imponibile e l’imposta

In caso di dubbi, è consigliabile consultare un professionista per ricevere assistenza fiscale specifica. Le novità introdotte dalla circolare n. 13/E/2024 dell’Agenzia delle Entrate rappresentano un cambiamento significativo per la tassazione delle plusvalenze derivanti dalla vendita di immobili ristrutturati con il Superbonus. I proprietari di tali immobili sono quindi tenuti a informarsi sulle nuove regole e ad adempiere correttamente agli obblighi fiscali.

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Responsabilità avvocato: vale la regola del più probabile che non In tema di responsabilità dell’avvocato, la regola probatoria del “più probabile che non”, si applica non solo al nesso causale tra la condotta e l’evento, ma anche al nesso tra quest’ultimo e i danni prodotti

Risarcimento danni per negligente adempimento avvocato

Nel caso di specie, il cliente aveva adito il Giudice di merito per ottenere il risarcimento dei danni dallo stesso lamentati in conseguenza del negligente adempimento da parte dell’avvocato delle obbligazioni professionali dallo stesso assunte e derivanti da un incarico di patrocinio nell’ambito di una causa penale.

Il Giudizio di merito si era concluso con la decisione della Corte d’appello di Brescia che, confermando gli esiti cui era giunto il giudice di primo grado, aveva rigettato la richiesta risarcitoria formulata dal cliente.

Avvero tale decisione il cliente aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di cassazione, contestando, in particolare e per quanto qui rileva, che nel corso del giudizio di merito, nonostante fosse stata raggiunta la prova circa la negligenza professionale del proprio difensore, tale condotta non era stata ritenuta dal Giudice di secondo grado idonea a dimostrare il nesso causale tra quest’ultima ed il danno subito dal cliente.

Responsabilità avvocato: regola del più probabile che non

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 15719-2024, ha rigettato il ricorso proposto dal cliente ed ha condannato quest’ultimo al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Per quanto in particolare attiene al motivo d’impugnazione sopra indicato, la Corte ha ripercorso la giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, secondo cui “in tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo (…) e le conseguenze dannose risarcibili”, attraverso un giudizio di tipo prognostico, ovvero valutando quale sarebbe potuto essere l’esito dell’attività professionale se questa non fosse stata (colposamente) omessa.

Negligenza professionale e danno al cliente

Ciò posto, il Giudice di legittimità, riferendo quanto accertato dalla Corte d’appello, ha precisato che, nel caso di specie, non fosse possibile ritenere che la negligenza professionale dell’avvocato abbia prodotto il danno dedotto dal cliente, poiché sarebbe mancata la prova “che, se anche la prestazione professionale (…) fosse stata regolarmente adempiuta dal convenuto, l’esito finale del relativo processo sarebbe stato più favorevole” al cliente in base ad una valutazione prognostica basata sul criterio del “più probabile che non”, confermando di conseguenza gli esiti processuali raggiunti al termine del giudizio di merito.

 

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clausola visto e piaciuto compravendita

Clausola visto e piaciuto Qual è l’efficacia della clausola visto e piaciuto nei contratti di compravendita? L’acquirente perde il diritto alla garanzia per i vizi del bene?

Clausola visto e piaciuto: cos’è e come funziona

Nelle compravendite di immobili e di veicoli usati come autovetture o motociclette, viene spesso inserita in contratto la clausola visto e piaciuto: di cosa si tratta? E quali sono gli effetti derivanti dalla sua sottoscrizione?

La clausola visto e piaciuto intende riferirsi, in sostanza, al fatto che l’acquirente, dopo avere esaminato il bene (“visto”), lo accetta così com’è (“piaciuto”): è, con tutta evidenza, una previsione contrattuale a tutela della posizione del venditore, che con tale disposizione intende evitare successive contestazioni da parte dell’acquirente e sottrarsi alla garanzia di cui all’art. 1490 c.c., primo comma.

Ma funziona davvero così? L’inserimento della formula vista e piaciuta vale effettivamente a privare l’acquirente della possibilità di lamentele circa le condizioni del veicolo, o dell’immobile, successive all’acquisto?

L’efficacia della clausola visto e piaciuto

In realtà, il valore della clausola visto e piaciuto e di altre simili – come, ad esempio, la clausola come visto e piaciuto nello stato in cui si trova – è piuttosto limitato e non protegge più di tanto il venditore dal rischio di subire contestazioni post-vendita.

Infatti, per essere realmente efficace in tal senso, la clausola dovrebbe accompagnarsi ad una più esplicita previsione contrattuale che prevedesse la rinuncia espressa dell’acquirente alle azioni conseguenti alla scoperta di un difetto del bene successiva all’acquisto.

In mancanza, il rischio è quello che un giudice – cui l’acquirente dovesse rivolgersi – possa considerare la disposizione contrattuale in questione come una mera clausola di stile, priva di qualsiasi potere cogente per le parti e pertanto inidonea a privare l’acquirente del diritto di agire per contestare i vizi del bene.

Come funziona la formula vista e piaciuta?

Ma v’è di più. Anche a voler considerare la clausola come vincolante – e non mancano, in giurisprudenza, giudici che l’abbiano ritenuta tale – la sua portata è comunque limitata.

Per comprendere, infatti, come funziona la formula vista e piaciuta bisogna pensare a cosa avviene al momento della vendita e della sottoscrizione del contratto: l’acquirente compie un esame visivo, necessariamente superficiale e limitato, del bene e si dichiara soddisfatto.

Difetti non notati durante le trattative

È ovvio, però, che, se durante l’utilizzo continuato del bene successivo all’acquisto, emergono dei difetti che era impossibile notare in sede di trattativa, la posizione dell’acquirente debba essere tutelata, anche quando abbia sottoscritto la clausola visto e piaciuto.

Si pensi al malfunzionamento di un veicolo che si manifesti solo dopo qualche giorno di utilizzo, o ad una traccia di umidità che affiori sulla parete dell’immobile appena acquistato. Se tali difetti sono conseguenti ad un vizio preesistente alla sottoscrizione del contratto (un difetto meccanico dell’auto, una tubatura difettosa dell’impianto idrico dell’appartamento), impossibile da rilevare ad un primo sguardo, allora sfuggono completamente all’operatività della formula di vendita vista e piaciuta.

Vizi occulti

Si tratta, infatti, dei c.d. vizi occulti, cioè di quei difetti che si possono rilevare solo con un utilizzo continuato del bene e che non erano riconoscibili dal normale esame del bene, per quanto diligente, in sede di compravendita.

Vendita visto e piaciuto: vizi occulti e art. 1490 c.c.

Le cose cambiano ulteriormente quando il vizio del bene fosse conosciuto dal venditore e da questi dolosamente taciuto: è evidente che, anche in tal caso e a maggior ragione, è impossibile riconoscere alcuna operatività alla clausola visto e piaciuto.

L’intera materia sopra descritta è ben riassunta dalle disposizioni dell’art. 1490 c.c., il quale, da una parte, al primo comma, prevede la responsabilità del venditore per i vizi della cosa che siano tali da renderla inidonea all’uso o che ne diminuiscano il valore. Dall’altra, al secondo comma, permette la possibilità di inserire clausole che escludano la garanzia di cui sopra, ma ne esclude l’efficacia in caso di mala fede del venditore che abbia taciuto l’esistenza del vizio.

giurista risponde

Contratto preliminare di compravendita e regolarità urbanistica In caso di mancanza della regolarità urbanistica dell’appartamento oggetto del preliminare, il contratto è risolto per inadempimento?

Quesito con risposta a cura di Manuel Mazzamurro e Incoronata Monopoli

 

In tema di contratto preliminare di compravendita immobiliare, ove sia stata proposta una domanda di risoluzione dello stesso per inadempimento del promittente alienante all’obbligo di sanare l’abuso correlato alla variazione della destinazione d’uso del bene, è necessario verificare, in base alle circostanze concrete desumibili dal compendio probatorio, che le difformità riscontrate non siano in alcun modo sanabili. – Cass., sez. II, ord. 3 aprile 2024, n. 8749.

Nel caso di specie, la Suprema Corte è chiamata a valutare la validità della stipula di un contratto preliminare di compravendita di un immobile all’epoca privo del certificato di agibilità, in quanto privo della destinazione ad uso abitativo.

In primo grado, il Tribunale adito pronunciava la risoluzione del contratto preliminare di vendita per grave inadempimento della promittente venditrice nella consegna di un valido certificato di abitabilità, evidenziando che la medesima non avesse fornito alcuna prova circa le caratteristiche necessarie per l’uso proprio dell’immobile promesso in vendita e della sanabilità della difformità edilizia acclarata.

La promittente venditrice ha promosso appello avverso la sentenza del Tribunale.

La Corte d’Appello ha accolto il ricorso, rigettando la domanda di risoluzione del preliminare di vendita.

La sentenza d’appello ha evidenziato le seguenti circostanze: al momento in cui era stata fissata la stipula del definitivo, la promittente venditrice non era in grado di consegnare il certificato di agibilità, ne’ esso era stato rilasciato nel corso del giudizio di primo grado; nel preliminare era stato stabilito che, in caso di esito negativo del giudizio pendente dinanzi al Tar e di annullamento dei provvedimenti amministrativi di rigetto delle istanze di sanatoria, la promittente alienante si impegnava a restituire, in favore della promissaria acquirente, le somme nel frattempo versate; le parti avevano inteso subordinare la risoluzione del preliminare alla mancata positiva conclusione del giudizio amministrativo; il Tar aveva rilevato nella propria sentenza che la promittente alienante non era stata messa in grado di fornire un principio di prova circa la realizzazione dell’opera entro il termine ultimo di legge, con conseguente annullamento del provvedimento del Comune di rigetto delle istanze di condono, con conseguente obbligo dell’Amministrazione di rinnovare la procedura istruttoria; il Tar aveva inoltre rilevato che nessun termine essenziale era stato stabilito per la consegna del certificato di abitabilità entro la data pattuita per la stipula del definitivo.

Viene proposto, quindi, ricorso per Cassazione, contestando il promittente acquirente che la sentenza impugnata sarebbe censurabile nella parte in cui non avrebbe ritenuto insanabile la carenza relativa al difetto della certificazione di agibilità per l’abusivo mutamento di destinazione d’uso, non avendo la società promittente venditrice dimostrato la perdurante possibilità di procurare tale certificato.

La Suprema Corte, nella sentenza de qua, ha chiarito che, in tema di vendita di immobili destinati ad abitazione, la mancanza del certificato di abitabilità configura alternativamente l’ipotesi di: vendita di aliud pro alio, qualora le difformità riscontrate non siano in alcun modo sanabili; vizio contrattuale, sub specie di mancanza di qualità essenziali, qualora le difformità riscontrate siano sanabili; inadempimento non grave, fonte di esclusiva responsabilità risarcitoria del venditore ma non di risoluzione del contratto per inadempimento, qualora la mancanza della certificazione sia ascrivibile a semplice ritardo nella conclusione della relativa pratica amministrativa (Cass., sez. II, 2 agosto 2023, n. 23605; Cass., sez. II, 2 agosto 2023, n. 23604).

Tale insanabilità nella fattispecie doveva essere accertata alla luce del quadro probatorio (documentale) offerto, con precipuo riferimento allo stato in concreto della pratica amministrativa volta ad ottenere l’istanza di sanatoria dell’abusiva variazione di destinazione d’uso da servizi comuni (palestre e piscina) in superfici abitative; tenuto conto, al contempo, del lungo lasso di tempo decorso rispetto alla data fissata nel preliminare per la stipula del definitivo.

In proposito, nella valutazione della gravità ex art. 1455 c.c., sotto il profilo qualitativo e quantitativo, dell’inadempimento dedotto (ossia in ordine alla carenza dei requisiti per ottenere la sanatoria del mutamento di destinazione d’uso da servizi comuni a superficie abitativa), avrebbe dovuto tenersi conto dell’iter della pratica amministrativa (e segnatamente del suo eventuale avvio all’esito della pronuncia giudiziale evocata), dovendo ponderarsi, in difetto di riscontri, se fosse stata esclusa, in modo significativo, l’oggettiva attitudine del bene a soddisfare le aspettative del promissario acquirente, essendo il cespite oggettivamente inadeguato ad assolvere alla sua funzione economico-sociale (Cass., sez. II, ord. 27 dicembre 2017, n. 30950).

Tenuto conto altresì che, nel caso di insanabili violazioni di disposizioni urbanistiche, sono integrati gli estremi di un inadempimento ex se idoneo alla risoluzione della compravendita, da qualificarsi grave in relazione alle concrete esigenze del promissario compratore di utilizzazione diretta od indiretta dell’immobile. In ragione di siffatte direttrici, le carenze sostanziali acclarate non avrebbero potuto ricondursi al mero rilievo formale del difetto della consegna del certificato.

Ebbene, solo quando sia appurata la ricorrenza delle condizioni sostanziali che ne avrebbero giustificato il rilascio non può darsi luogo alla risoluzione del contratto, in quanto tale deficienza non influisce, per definizione, sulla funzione economico-sociale della res alienata, la cui identità sul piano statico e dinamico corrisponde esattamente all’oggetto della pattuizione.

Pertanto, qualora manchi la documentazione amministrativa, ma siano presenti, in concreto, i requisiti richiesti dalla legge per l’agibilità, non si può attivare il rimedio della risoluzione, presupponendo il ricorso a detto rimedio la verifica, sul piano oggettivo e subiettivo, dell’importanza dell’inadempimento ex art. 1455 c.c. (Cass., sez. III, 4 marzo 2022, n. 7187).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha erroneamente applicato la disciplina sulla risoluzione del contratto preliminare per inadempimento, in relazione alla mancanza della licenza di agibilità (ex abitabilità), in assoluta carenza di alcuna dimostrazione, a cura della società promittente venditrice, della regolarità della sanatoria e della perdurante possibilità di ottenere il detto certificato. Per tale motivo, la Cassazione ha accolto il ricorso e cassato la sentenza rinviando la causa alla Corte d’Appello, la quale dovrà attenersi al principio evidenziato in massima.

*Contributo in tema di “Contratto preliminare di compravendita”, a cura di Manuel Mazzamurro e Incoronata Monopoli, estratto da Obiettivo Magistrato n. 75 / Giugno 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

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Pensioni all’estero: dal 1° luglio stop assegni L'INPS comunica che le pensioni all'estero potranno essere pagate solo con accredito sul conto o in contanti. La novità riguarda oltre 300mila italiani

Pensioni all’estero

Con un comunicato del 29 marzo 2024, l’INPS ha reso noto che non provvederà più al pagamento delle pensioni all’estero con assegno. Questa scelta è finalizzata a impedire erogazioni non dovute e perdite degli assegni durante il percorso a causa di disservizi postali.

Pagamenti sul conto o in contanti

Dal 1° luglio 2024 pertanto l’INPS provvederà a effettuare i pagamenti delle pensioni all’estero solo con accredito diretto sul conto corrente o in contanti, che i pensionati potranno riscuotere presso gli sportelli della Western Union. Qualora i soggetti interessati non abbiano provveduto a comunicare i dati per poter ricevere l’accredito della pensione potranno rivolgersi al servizio dedicato di Citibank o agli uffici di patronato di zona.

Pensionati interessati dalla novità

L’INPS ha già provveduto a fornire le necessarie informazioni sulla cessazione dei pagamenti a mezzo assegno ai pensionati che risiedono in Austria, Australia, Belgio e Tunisia.

I pensionati che hanno stabilito la loro residenza in Europa riceveranno un modulo da parte di Citybank, la banca incaricata di effettuare i pagamenti delle pensioni all’estero.

Il modulo, debitamente compilato, deve contenere i dati bancari necessari per ricevere l’accredito della pensione. Per la restituzione del modulo compilato è stata fissata la scadenza del 15 giugno 2024. Al modulo il pensionato deve allegare un documento di identità in corso di validità e un documento dell’istituto bancario estero contenente le coordinate bancarie per l’accredito (IBAN, e Bic, Sort Code e numero del conto per chi risiede nel Regno Unito).

Pagamento in contanti in caso di mancato invio del modulo

In caso di mancato invio del modulo e della documentazione necessaria per l’accredito bancario della pensione, il pagamento del rateo di luglio verrà effettuato in contanti presso uno degli sportelli della Western Union presente nel paese di residenza del pensionato.

Il pagamento verrà effettuato in contanti, sempre a partire dal 1 luglio 2024, anche in relazione alle nuove pensioni o nelle ipotesi di trasferimenti di pensioni dall’Italia, sempre qualora il pensionato non abbia fornito le coordinate bancarie necessarie per l’accredito a mezzo bonifico.

Numeri e link utili

Per i pensionati che non hanno provveduto all’invio del modulo richiesto per procedere all’accredito bancario della pensione sono previsti numeri di telefono e indirizzi di posta elettronica da poter contattare:

Per chi è poco pratico con il PC può sempre rivolgersi agli uffici locali di patronato.

Oltre 300mila pensionati italiani all’estero

La novità riguarda oltre 300.000  italiani che risiedono all’estero, sia in paesi europei che extra europei e che ricevono pensioni per un valore di 1,6 miliardi di euro.

Dopo l’intervento del Governo del Portogallo per frenare i trasferimenti dei pensionati italiani, il desiderio di trasferirsi per beneficiare di una tassazione agevolata ha spostato l’interesse verso altri paesi come la Spagna e le Canarie. Regimi agevolati sono previsti però anche da Malta, Grecia, Albania, Tunisia e Slovacchia.

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