rifiuto ricovero

Rifiuto ricovero: il medico è libero se ha informato la paziente Il rifiuto al ricovero della paziente libera il medico da responsabilità se la informa adeguatamente sulle sue condizioni e sui rischi

Rifiuto ricovero e responsabilità medica

Il rifiuto al ricovero della paziente che poi muore, di regola, libera i sanitari da eventuali responsabilità, solo se gli stessi la hanno informata sulle sue reali condizioni di salute e sui rischi. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 21362/2024.

Concorso di colpa della paziente

Una donna si reca al Pronto Soccorso e viene sottoposta ad alcuni esami. I medici però non le  diagnosticano un’ischemia cerebrale. La patologia viene individuata in ritardo in un altro ospedale dopo una Tac. La struttura a cui la donna si è rivolta inizialmente e sicuramente responsabile. I giudici di merito però ritengono che il rifiuto della paziente al ricovero comporti a suo carico un concorso di colpa. La Corte d’appello infatti riduce il risarcimento del danno quantificato in primo grado.

Rifiuto al ricovero non accertato

I familiari della de cuius impugnano la sentenza d’appello  e contestano il concorso di colpa attribuito all’estinta. I congiunti della vittima ritengono errata la decisione di merito per l’erronea applicazione dell’articolo 1227 c.c. La norma stabilisce infatti la diminuzione del risarcimento se il fatto colposo concorre a cagionare il danno. Nel caso di specie però non sussisterebbe un fatto colposo del creditore causante danno, in quanto la …. non ha posto in essere alcun fatto colposo perché non ha firmato alcun rifiuto di ricovero”.

Nonostante ciò la Corte rigetta il motivo d’appello, affermando che “Il rifiuto del ricovero è sicuramente un fatto idoneo a configurare un concorso colposo della vittima”, dando per scontato l’accertamento della sua esistenza.”

I consulenti comunque hanno concluso che, anche in presenza del rifiuto al ricovero, la corretta terapia anticoagulante sarebbe stata somministrata solo con due giorni di anticipo. Il danno oramai si era prodotto e tale danno deve imputarsi ai medici.

Motivazione apparente e concorso di colpa

La Cassazione si pronuncia sul ricorso principale accogliendo il secondo e terzo motivo, tra loro  collegati.

Con il secondo motivo i ricorrenti contestano la motivazione apparente della sentenza nel capo che ripartisce la responsabilità tra medico e paziente. Con il terzo invece denunciano l’omessa decisione sul concorso di colpa della vittima nella misura del 50%. Una percentuale così alta è del tutto irragionevole, visto che il medico è stato ritenuto responsabile al 100%.

Mancata informazione sulle condizioni e sui rischi

Gli Ermellini ripercorrono gli atti di causa e rilevano come il secondo motivo in relazione al terzo siano fondati e quindi meritino di essere accolti.

I consulenti tecnici d’ufficio hanno evidenziato che se la paziente non avesse rifiutato il ricovero …….la diagnostica radiologica positiva del ….. sarebbe stata anticipata di due giorni con la possibilità di anticipare la protezione con gli anticoagulanti e di contenere e, ancorché con poco verosimile efficacia, gli insulti embolici … nei due emisferi.”

I familiari però, già in sede di appello, avevano contestato che “il rifiuto del ricovero ospedaliero non vi sarebbe stato, che comunque “né la … né i di lei famigliari che l’accompagnavano furono edotti – in modo conveniente – del reale quadro clinico della paziente e della conseguente necessità di disporre l’immediato ricovero” (che “gli stessi medici del Pronto Soccorso avrebbero dovuto loro stessi disporre”), e che dalla ricostruzione del fatto sarebbe emersa la responsabilità esclusiva del Ca.Sa. che avrebbe “palesemente” disatteso “le prescrizioni e i dettami dei “protocolli medici”. 

Da motivare la percentuale di colpa attribuita alla vittima

Dai rilievi sollevati dagli odierni ricorrenti però, compresa l’assenza di informazioni sul quadro clinico della de cuius, la corte d’appello non si è occupata. Essa si è limitata ad attribuire la colpa alla vittima nella misura del 50% senza motivare. La stessa si è limitata ad affermare che Il rifiuto di ricovero ospedaliero è sicuramente un fatto idoneo a configurare un concorso colposo della vittima dato che, in ambiente ospedaliero, il paziente – che può essere seguito da una equipe di medici – è molto più tutelato per cui è normale pensare che il danno procurato dall’errore terapeutico del ….. avrebbe potuto essere attenuato”. 

La fondatezza di questo secondo motivo conduce alla fondatezza e all’accoglimento del terzo. La Corte avrebbe dovuto motivare con argomenti più chiari e specifici la misura percentuale della colpa attribuita alla vittima.

 

Leggi anche: “Responsabilità medica: la legge Gelli-Bianco

Allegati

consenso informato

Consenso informato: non è voce autonoma di danno Consenso informato, per la Cassazione non è voce autonoma di danno se  il paziente avvia solo l’azione per il risarcimento del danno alla salute  

Consenso informato: obbligo accessorio inadempiuto

La violazione del consenso informato non rappresenta una voce autonoma di danno se il paziente promuove un’azione solo per ottenere il risarcimento del danno alla salute derivante da un intervento chirurgico invasivo di cui non era stato informato preventivamente. La richiesta del consenso è un obbligo accessorio, che nel caso di specie non è stato adempiuto, ma che è stato valutato per determinare l’inadempimento del medico. Lo ha chiarito l’ordinanza della Cassazione n. 17703/2024

Consenso non richiesto per la variazione dell’intervento

Un paziente si rivolge a un medico per l’asportazione di un nodulo al torace. Le parti concordano l’intervento in endoscopia. Il medico però, dopo aver aperto la gabbia toracica del paziente, asporta il nodulo e richiede un esame istologico immediato. Per togliere il nodulo il medico procede all’asportazione dell’intero lobo del polmone sinistro. Dall’esame del nodulo emerge però un’origine non tumorale.

Il paziente ricorre nei confronti del medico e dell’azienda ospedaliera. Costui ritiene di essere stato sottoposto a un intervento chirurgico inutile, devastante esteticamente e con conseguenze fisiche permanenti. Lo stesso ha rilevato infatti una ridotta capacità polmonare e la conseguente difficoltà a svolgere una normale attività lavorativa, fisica e sociale.

Voce di danno assorbita

Il Tribunale accoglie le domande del paziente, ritenendo violato il principio del consenso informato. L’ autorità giudiziaria riconosce all’attore un’invalidità del 12% e condanna l’ospedale e il medico a risarcire più di 28.000 euro.

La Corte d’appello rigetta il gravame principale del soggetto danneggiato e quello incidentale del medico e dell’azienda ospedaliera, confermando in parte la decisione di primo grado.

In relazione alla domanda di risarcimento dei danni per violazione del consenso informato la Corte d’appello ritiene che la domanda del danneggiato sia stata avanzata per ottenere il risarcimento del danno alla salute derivante dall’intervento chirurgico, per effetto della sua errata  esecuzione. La questione del consenso informato di conseguenza deve ritenersi assorbita.

Consenso informato: voce autonoma di danno

Il paziente ricorre quindi in Cassazione, contestando nel quarto motivo del ricorso il mancato riconoscimento del risarcimento del danno per violazione del consenso informato. Per il ricorrente la violazione rappresenta una voce autonoma di danno, mentre la Corte d’appello ha escluso tale conclusione ritenendola assorbita dalla richiesta risarcitoria per l’errata esecuzione dell’intervento.

Il ricorrente fa presente di aver prestato il proprio consenso all’intervento in endoscopia sottoscrivendo un modulo generico. Lo stesso però, una volta in sala operatoria, è stato sottoposto, senza essere preventivamente consultato e senza una condizione di reale necessità, ad un intervento chirurgico con apertura del torace e asportazione di un lobo polmonare, con conseguente formazione di una vistosa cicatrice su tutto il torace

Ribadisce quindi il diritto al risarcimento del danno da lesione del diritto all’autodeterminazione.

Diritto all’autodeterminazione: manca l’azione specifica

La Corte di Cassazione conferma la decisione della Corte d’appello sul risarcimento del danno per violazione del diritto informato . Il ricorrente non ha mai introdotto un’azione autonoma finalizzata all’accertamento del proprio diritto di autodeterminazione. Il paziente ha proposto solo un’azione finalizzata al risarcimento del danno alla salute riportata in conseguenza dell’intervento chirurgico invasivo e nel quale si inseriva un obbligo accessorio rimasto inadempiuto. L’inadeguata informazione preoperatoria non dà diritto ad un’autonoma posta risarcitoria. La stessa è stata presa in considerazione per valutare l’inadempimento del medico e le conseguenze sulla salute del paziente.

 

Per approfondire leggi anche “Responsabilità medica: la legge Gelli- Bianco

responsabilità medica

Responsabilità medica: la legge Gelli-Bianco Responsabilità del medico e della struttura sanitaria nella legge Gelli-Bianco: differenze, termini di prescrizione e onere della prova per il paziente

La legge sulla responsabilità per danno da colpa medica

Responsabilità medica: la legge n. 24 del 2017, più nota come legge Gelli-Bianco, rappresenta il provvedimento normativo di riferimento in materia.

Con tale legge sono state introdotte importanti novità che hanno contribuito a delimitare in modo più chiaro i confini della responsabilità sanitaria del medico e della struttura presso cui opera, in caso di danni provocati al paziente.

Imperizia e responsabilità penale del medico nella l. 24/2017

Una prima importante novità apportata dalla legge Gelli-Bianco è stata quella di prevedere una causa di esclusione della punibilità del medico in ambito penalistico.

Il provvedimento, infatti, ha introdotto, nel secondo comma dell’art. 590-sexies del codice penale (relativo alla responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario), la previsione secondo cui è esonerato da responsabilità medica il sanitario che abbia causato l’evento dannoso per il paziente a causa di imperizia, se risulta che lo stesso si sia attenuto alle linee guida sanitarie e alle buone pratiche, ove queste risultino adeguate alle specificità del caso concreto.

Di contro, rimane penalmente responsabile il medico che abbia agito con negligenza o imprudenza.

A conferma di quanto sopra si è successivamente espressa anche la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza Cass. SS.UU. n. 8770 del 2018.

Responsabilità sanitaria nella legge Gelli-Bianco

Anche sul piano civilistico, la Legge Gelli-Bianco si è rivelata importante per definire i contorni della responsabilità sanitaria, introducendo una disciplina che favorisce, in sostanza, la richiesta di risarcimento del danno da parte del paziente nei confronti della struttura anziché del medico.

Al riguardo, è opportuno distinguere le varie ipotesi.

Responsabilità contrattuale

Innanzitutto, quando il sanitario opera nell’ambito di una struttura pubblica o privata, la responsabilità medica è considerata di natura contrattuale, in virtù del c.d. contratto di spedalità tra il paziente e la struttura stessa.

In caso di danno da responsabilità medica, quindi, il paziente potrà agire per il risarcimento direttamente nei confronti della struttura.

È vero che rimane possibile, in linea teorica, agire anche contro il medico, ma l’inquadramento normativo della responsabilità di quest’ultimo rende, in concreto, difficilmente percorribile questa strada.

Responsabilità extracontrattuale

Infatti, la responsabilità del medico dipendente di una struttura (o che operi per essa in ambito intramurario, collaborando con partita Iva) è considerata di natura extracontrattuale.

Prescrizione e onere della prova

Per il paziente, quindi, si presenta più agevole richiedere il risarcimento direttamente alla clinica, dal momento che la natura contrattuale del rapporto che egli ha instaurato con essa (ex artt. 1218 e 1228 c.c.) comporta che il termine di prescrizione dell’azione sia decennale e che l’onere della prova per il danneggiato sia limitato all’esistenza di tale rapporto, sussistendo una presunzione di colpa in capo alla struttura ex art. 1218 c.c.

Un’eventuale richiesta di risarcimento verso il medico ex art. 2043 c.c. (sulla base, quindi, di una responsabilità extracontrattuale o aquiliana, come previsto dall’art. 7 della legge 24/2017), invece, deve rispettare un termine di prescrizione di soli cinque anni e risulta molto più gravosa per il paziente in ordine alla prova, poiché quest’ultimo avrebbe l’onere di dimostrare non solo il danno, ma anche il fatto illecito, il nesso di causalità tra evento e danno e l’elemento soggettivo (dolo o colpa grave) che ha accompagnato la condotta del sanitario.

Azione diretta del paziente contro l’assicurazione

A corollario di quanto sopra, va anche ricordato che il paziente, a norma della Legge Gelli-Bianco, ha azione diretta anche nei confronti dell’impresa di assicurazione della struttura sanitaria, come meglio specificato dal recente Decreto interministeriale n. 232 del 15 dicembre 2023, in vigore dal 16  marzo 2024.

Inoltre, è opportuno evidenziare che la struttura sanitaria ha diritto all’azione di rivalsa nei confronti del medico che abbia agito con dolo o colpa grave e che quest’ultimo può essere destinatario dell’azione per responsabilità amministrativa da parte della Corte dei Conti.

Leggi anche Vittima di errore medico: può agire direttamente per il risarcimento

L’obbligo di assicurazione professionale per il medico

Infine, rimane da considerare il caos in cui il medico operi al di fuori di una struttura sanitaria, e quindi in qualità di libero professionista. In tal caso sussiste un rapporto contrattuale tra lui ed il paziente e proprio per tale motivo egli è tenuto, per legge, a sottoscrivere una polizza assicurativa per eventuali danni arrecati nell’ambito della propria attività professionale.

pedone distratto

Pedone distratto: va risarcito se cade in un tombino Il pedone distratto va comunque risarcito se la sua condotta non è abnorme, tanto più se il Comune non segnala che il tombino è scoperto

Risarcimento danni pedone

Il pedone distratto, se cade in un tombino posto su una via pubblica, deve essere risarcito. Solo se la disattenzione del pedone è abnorme e sia quindi la causa esclusiva della caduta e del danno che ne consegue il diritto al risarcimento è escluso. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 19078-2024.

Pedone distratto cade in un tombino

La vicenda ha inizio con la caduta di una donna in un tombino presente ai margini di una strada comunale, sulla banchina, coperto di rami e foglie.

Il tribunale riconosce alla donna un risarcimento del danno di Euro 39.153,00.

Il Comune soccombente appella la decisione, ma il giudice dell’impugnazione la rigetta. La questione viene portata quindi all’attenzione della Corte di Cassazione.

Distrazione non rileva se non è causa esclusiva della caduta

La Cassazione rigetta ancora una volta il ricorso del Comune. Il pedone distratto infatti ha diritto al risarcimento se la sua condotta non è abnorme. Come affermato da precedente Cassazione sulla responsabilità dell’ente per le cose in custodia “può influire la condotta della vittima, la quale, però, assume efficacia causale esclusiva soltanto ove sia qualificabile come abnorme, cioè estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto, potendo, in caso contrario, rilevare ai fini del concorso causale ai sensi dell’art. 1227 c.c.” 

Natura pubblica della strada: obbligo di custodia del Comune

La Cassazione rileva inoltre che nei precedenti gradi di giudizio i giudici di merito hanno accertato che la strada aveva carattere comunale o comunque ad uso pubblico e che la strada interponderale era aperta all’uso pubblico. L’ente quindi doveva provvedere alla custodia del bene. Lo stesso sarebbe dovuto intervenire affinché il tombino presente sulla banchina non restasse scoperto o segnalare quantomeno l’assenza di copertura dello stesso. Corretta quindi la condanna dell’Ente a rispondere dei danni per cose in custodia in base all’articolo 2051 c.c.

Allegati

autovelox laguna

Anche l’autovelox della Laguna va tarato La Cassazione conferma che anche gli apparecchi per misurare la velocità dei mezzi in Laguna veneta devono essere tarati

Autovelox Laguna

Anche l’autovelox della Laguna va tarato, come tutti gli apparecchi per misurare la velocità dei mezzi. Così la seconda sezione civile della Cassazione con l’ordinanza n. 20492-2024.

La vicenda

Nella vicenda, il titolare di una ditta individuale aveva proposto opposizione innanzi al Giudice di Pace di Venezia avverso l’ordinanza-ingiunzione emessa dalla polizia municipale con cui gli era stato ingiunto il pagamento di oltre 300 euro per aver superato il limite massimo di velocità con il proprio motoscafo appartenente alla propria ditta.

Il Gdp rigettava l’opposizione confermando l’ordinanza ingiunzione, ritenendo non necessario sottoporre il sistema alle operazioni di omologazione e taratura previste dal codice della strada, non sussistendo i requisiti per applicare in via analogica li codice della strada all’ambito della navigazione.
La sentenza veniva impugnata da innanzi al Tribunale di Venezia, li quale accoglieva l’opposizione e annullava in toto l’ordinanza-ingiunzione sostenendo che l’amministrazione comunale avesse totalmente omesso di produrre in giudizio la documentazione attestante l’avvenuta omologazione, tantomeno le periodiche verifiche di funzionalità e taratura della strumentazione nel sistema (tutor) installato dal Comune di Venezia.

Il tribunale richiamava inoltre la sentenza n. 113/2015 della Corte Costituzionale che aveva dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 45, comma 6, del d.lgs. n. 285 del 1992 nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura”.
Il comune impugnava la sentenza innanzi alla Cassazione.

La decisione

Per gli Ermellini, tuttavia, le doglianze del comune sono infondate.

Giova, innanzitutto, precisare che “la circolazione nelle acque del Comune di Venezia, ed in genere della laguna veneta, è disciplinata dal Regolamento per li Coordinamento della navigazione locale nella Laguna Veneta (adottato ai sensi dell’art. 11, comma 3, D. Lgs. n. 422 del 1997) che, all’art. 67 («Dispositivi di monitoraggio»: norma inserita all’interno del Titolo V dedicato al Sistema di rilevazione), con riferimento (anche) ai dispositivi di monitoraggio del traffico installati dalle autorità competenti (comma 2) prescrive l’obbligo che gli apparati di rilevamento impiegati siano «debitamente omologati» (comma 3)”.

Per cui, “tale esplicito riferimento normativo all’obbligatorietà dell’omologazione è in linea con il più generale principio di garanzia in materia di accertamenti rimessi a mezzi tecnici di rilevamento automatico: l’omologazione, infatti, consiste in una procedura che – pur essendo amministrativa – ha anche natura necessariamente tecnica; tale specifica connotazione risulta finalizzata a garantire la perfetta funzionalità e la precisione dello strumento elettronico da utilizzare per l’attività di accertamento da parte del pubblico ufficiale legittimato: requisito, questo, che costituisce l’indispensabile condizione
per la legittimità dell’accertamento stesso (Cass. Sez. 2, n. 10505 del 18.04.2024)”.

Spetta, infine, “all’amministrazione la prova positiva dell’iniziale omologazione (e dell’eventuale periodica taratura dello strumento: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6579 del 2023; Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 32369 del 13/12/2018), non essendo necessario che di detto adempimento ne dia conto il verbale di contestazione”.
In definitiva, il ricorso è rigettato.

Allegati

medico di base

Medico di base: in caso di urgenza non è competente Il dovere di recarsi a casa del paziente non sussiste in caso di urgenza. In tal caso la competenza è del 118 e l'obbligo sussiste per la guardia medica

Doveri del medico di base

Il medico di base non è tenuto a recarsi a casa del paziente in caso di urgenza: in tale evenienza infatti la competenza passa al 118 o alla guardia medica. Lo ha affermato la sesta sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 24722-2024.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d’appello di Palermo assolveva un medico dal reato di rifiuto di atti d’ufficio (art. 328, comma 1, del codice penale) per il quale era stato condannato ni primo grado perché, in qualità di medico di assistenza primaria, aveva omesso di effettuare, nonostante le continue richieste di intervento dei familiari, una visita domiciliare a scopo diagnostico e terapeutico ad un assistito che lamentava forti dolori a seguito caduta accidentale, anziano e affetto da patologie (Parkinson avanzato, cardiopatia ischemica cronica), condizioni che gli impedivano di recarsi presso l’ambulatorio.
Avverso la sentenza il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Palermo adiva il Palazzaccio, ritenendo che il medico di base avesse uno specifico obbligo per i medici di base di effettuare la visita domiciliare al paziente nel caso di non trasferibilità dell’ammalato.

Medico di base non preposto alle urgenze

Per la S.C., il ricorso è infondato.

All’esito assolutorio della sentenza in appello il Procuratore Generale ricorrente oppone “l’omessa considerazione di quanto disposto dall’art. 47, comma 1, del’Accordo Collettivo Nazionale vigente all’epoca dei fatti (del 23/03/2005), a mente del quale «l’attività medica viene prestata nello studio del medico o a domicilio, avuto riguardo alla non trasferibilità dell’ammalato»: disposizione invece menzionata nella sentenza di primo grado, dalla quale deriverebbe – deve inferirsi – la fonte dell’obbligo di agire, tale da giustificare l’integrazione del reato omissivo, oltre al dedotto vizio motivazionale”.
In realtà, sostengono i giudici, “la disposizione in oggetto non è affatto sfuggita alla Corte d’appello la quale, seppur senza citarla espressamente, in un punto della pronuncia, vi ha fatto un chiaro riferimento, precisando di non fare «questione di adempimento o meno del dovere giuridico del medico di base di procedere a visita a domicilio del paziente non trasportabile, quanto solo dell’esistenza o meno nel caso concreto di un dovere di procedere senza ritardo ad un tale incombente […], dovere di urgenza né ordinariamente pretensibile dal medico di medicina generale né specificamente dall’imputato in considerazione delle circostanze del caso concreto»”.
In un altro passaggio, in modo ancora più inequivoco, i Giudici di secondo grado hanno inoltre ritenuto che «il medico di base, contrariamente al medico di guardia, non è istituzionalmente preposto a soddisfare le urgenze, le quali rimangono affidate al servizio sanitario di urgenza ed emergenza medica già denominato 118», aggiungendo che «da ciò deriva che per fondare uno specifico obbligo giuridico di prestazioni sanitarie urgente, anche nelle more del servizio di emergenza, da parte di un pubblico ufficiale sanitario a ciò non preposto, sarebbe stata necessaria una peculiare situazione di prossimità spaziale di necessità non indifferibile […], ben distante dall’ordinarietà degli accadimenti».

La decisione

Per cui, nessuna lacuna motivazionale è ravvisabile nella sentenza impugnata la quale distingue in modo netto il profilo della trasferibilità del paziente (toccato dal citato Accordo Nazionale) da quello dell’urgenza della prestazione richiesta: urgenza in presenza della quale – come nel caso di specie -, trasferibile o meno che fosse li paziente, i Giudici hanno ritenuto scattasse la competenza di altra articolazione sanitaria, e cioè, nella specie, dei medici del 118.
Si tratta di una “distinzione di ruoli – sottolineano da piazza Cavour che – trova la sua ratio nell’esigenza di assicurare li miglior assolvimento delle funzioni all’interno di un’organizzazione complessa qual è li sistema sanitario, consentendo a ciascun operatore del settore di concentrarsi sui propri compiti specifici. Distinzione che, inoltre, nei casi come quello di specie, risponde inoltre all’esigenza di evitare sovrapposizioni non soltanto inutili (il medico di base non essendo attrezzato per far fronte alle urgenze), ma anche potenzialmente dannose, ove – come ben possibile – foriere di ritardi e confusioni”.
Per le ragioni esposte, la S.C. ha rigettato il ricorso.

Leggi le altre notizie di penale

Allegati

autovelox non omologati sequestro

Autovelox non omologati sotto sequestro in tutta Italia Autovelox non omologati: disposto il sequestro, 10 le Regioni interessate. Le multe potrebbero essere tutte annullate

GIP di Cosenza: sotto sequestro gli autovelox illegittimi

Autovelox sequestrati in tutta Italia. Illegittimo il sistema di rilevazione della velocità effettuato con lo strumento T-Exspeed 2.0. Il provvedimento con cui è stato disposto il sequestro dei misuratori di velocità è stato emesso dal GIP di Cosenza nel corso dell’indagine disposta dalla Procura locale. Dagli accertamenti effettuati la strumentazione T-Exspeed 2.0 installata nelle postazioni fisse per rilevare sia la velocità media che quella specifica è illegittima così come lo sono le sanzioni che sono state elevate in seguito ai rilevamenti effettuati per mezzo della stessa.

Autovelox senza omologazione: 10 le regioni interessate

Il problema riguarda 10 regioni italiane (Veneto, Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Basilicata, Molise, Puglia, Calabria e Sicilia). Le apparecchiature infatti sono state installate su diverse strade statali e provinciali della penisola. Immediata la denuncia per frode in pubblica fornitura per il legale rappresentante della società che si era aggiudicata l’appalto per la fornitura.

Dagli accertamenti è emerso che le apparecchiature non sono state omologate e che era assente anche il prototipo del sistema per il rilevamento della velocità. Il prototipo che è stato depositato presso il Ministero è risultato essere diverso dalla versione modificata che la società ha fornito poi ai Comuni.

Autovelox illegittimi: multe nulle

Apparecchiature illegittime, multe illegittime. Le multe irrogate con le apparecchiature incriminate potrebbero essere annullate. Si ricorda che la questione è stata affrontata di recente anche dagli Ermellini. L’ordinanza n. 10505-2024 della Cassazione ha infatti sancito che devono considerarsi nulle le multe elevate con apparecchi autovelox non omologati e che la mera approvazione non può considerarsi equipollente all’’omologazione ministeriale. L’omologazione infatti è un procedimento molto più importante perché autorizza la riproduzione in serie del prototipo dell’autovelox, mentre l’approvazione non prevede la comparazione del prototipo con le caratteristiche necessarie dello strumento o previste dal regolamento.

Omologazione: controllo tecnico garanzia di perfetta funzionalità

Come precisa del resto la Cassazione nella citata ordinanza l’omologazione consiste in una procedura che non ha solo carattere  amministrativo, ma anche tecnico e “tale specifica connotazione risulta finalizzata a garantire la perfetta funzionalità e la precisione dello strumento elettronico da utilizzare per l’attività di accertamento da parte del pubblico ufficiale legittimato, requisito, questo, che costituisce l’indispensabile condizione per la legittimità dell’accertamento stesso, a cui pone riguardo la norma generale di cui al comma 6 dell’art. 142 c.d.s.” 

Mancato deposito del prototipo

Il mancato deposito del prototipo è l’altra questione di rilievo emersa nel corso delle indagini e sulla quale il dibattito è ancora aperto. L’articolo 192 de del regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada, al comma 2  dispone che “L’ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale del Ministero dei Lavori  Pubblici accerta, anche mediante prove, e avvalendosi, quando ritenuto necessario, del parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, la rispondenza e lefficacia delloggetto di cui si chiede lomologazione alle prescrizioni stabilite dal presente regolamento, e ne omologa il prototipo quando gli accertamenti abbiano dato esito favorevole. Linteressato è tenuto a fornire le ulteriori notizie e certificazioni che possono essere richieste nel corso dellistruttoria amministrativa di omologazione e acconsente a che uno dei prototipi resti depositato presso lIspettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale.” 

Negli anni il mancato deposito del prototipo per l’omologazione non ha mai condotto a pronunce di condanna gravi. In genere le motivazioni del mancato deposito sono riconducibili a problemi di gestione e di custodia dei luoghi di deposito del ministero. C’è poi chi ritiene che le varianti di un modello che configurano meri aggiornamenti del software non rilevanti non andrebbero depositate. A complicare il quadro della questione ci sono poi due voti del Consiglio superiore dei lavori pubblici in cui si afferma che il prototipo comprende la strumentazione i documenti relativi alla parte che non può essere depositata fisicamente.

dirigenti sanitari ssn intramoenia

Dirigenti sanitari SSN: intramoenia illegittima La Consulta ha bocciato la legge della Regione Liguria che consentiva ai dirigenti sanitari in rapporto di lavoro esclusivo con il SSN di svolgere attività intramoenia

Intramoenia dei dirigenti sanitari Ssn

Incostituzionali le norme della regione Liguria che consentono ai dirigenti sanitari in regime di rapporto di lavoro esclusivo con il SSN di svolgere attività intramoenia presso le strutture private accreditate. Lo ha stabilito la Consulta, con la sentenza n. 153-2024, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, comma 1, della legge della Regione Liguria 28 dicembre 2023, n. 20, nella parte in cui consente, in via transitoria e fino al 2025, alle «strutture private accreditate, anche parzialmente, con il Servizio sanitario regionale, di avvalersi dell’operato di dirigenti sanitari dipendenti dal Servizio sanitario nazionale che abbiano optato per il regime di attività libero professionale intramuraria» (ALPI).

Contrasto con la tutela della salute

La Corte ha affermato che la citata previsione si pone in contrasto con un principio fondamentale in materia di tutela della salute, vincolante per tutte le Regioni, che vieta ai medici che abbiano optato per il rapporto di lavoro esclusivo con il SSN e ai quali è dunque consentito svolgere attività libero professionale solo intramoenia, di svolgere l’ALPI presso strutture sanitarie private accreditate.

Anche allorquando, infatti, è stata transitoriamente introdotta, in considerazione della carenza degli spazi disponibili, la possibilità di un’ALPI “allargata” e si è consentito al direttore generale di assumere le specifiche iniziative per reperire fuori dall’azienda spazi sostitutivi, includendovi anche gli studi professionali privati, è stata sempre ribadita l’espressa esclusione delle strutture sanitarie private accreditate.

Divieto mira a garantire efficienza del servizio sanitario pubblico

Con tale divieto, stabilito dall’art. 1, comma 4, della legge n. 120 del 2007 e ripetutamente affermato dal legislatore statale negli anni, il legislatore «ha inteso garantire la massima efficienza e funzionalità operativa al servizio sanitario pubblico», evitando che «potesse spiegare effetti negativi il contemporaneo esercizio da parte del medico dipendente di attività professionale presso strutture» accreditate, con il «pericolo di incrinamento della funzione ausiliaria» della rete sanitaria pubblica, che queste ultime svolgono.

Diverso esito hanno trovato, invece, le censure di incostituzionalità rivolte al comma 2 dello stesso art. 47 della legge della Regione Liguria n. 20 del 2023, là dove consente, «[i]n via transitoria» e comunque solo «fino all’anno 2025», alle aziende sanitarie, enti e istituti del SSR di acquisire dai propri sanitari prestazioni in regime di ALPI «[a]l fine di ridurre le liste di attesa» e ovviare alla carenza di organico (prestazioni aggiuntive o integrative).

La disposizione regionale impugnata è, infatti, ha concluso la Corte, in linea con la normativa statale, ad eccezione della previsione della possibilità che le prestazioni acquistate dall’azienda sanitaria dai propri dirigenti sanitari in regime di ALPI siano effettuate presso strutture sanitarie accreditate.

Vedi le altre news dalla Consulta

Allegati

Autovelox: basta la segnalazione Per la Cassazione, non è necessario che il cartello segnali che l'apparecchio rilevi la velocità media del veicolo

Autovelox: è sufficiente che il cartello lo segnali

Per l’autovelox basta la segnalazione. L’obbligo è assolto, infatti, se il cartello avverte che la strada è sottoposta al controllo elettronico della velocità, senza necessità di dover specificare che l’apparecchiatura effettua il calcolo della velocità media. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 19377-2024.

Autovelox non segnalato

Una società si oppone al verbale con cui le è stata contestata, a un automezzo di sua proprietà, la violazione del superamento del limite di velocità su un tratto di strada. Il ricorso viene rigettato dal Giudice di Pace. La società appella la decisione e il tribunale annulla la sanzione. Per il giudice dell’impugnazione la violazione è stata accertata con un’apparecchiatura elettronica che misura la velocità dei veicoli in relazione alla velocità media tenuta in un determinato tratto stradale. Questa caratteristica di rilevamento però non è stata adeguatamente segnalata agli automobilisti. Il cartello riporta infatti solo la dicitura “controllo elettronico della velocità”, senza fare alcun riferimento al calcolo della velocità media. La rilevazione della velocità effettuata in questo modo quindi è illegittima perché:

  • non preceduta da idonea segnalazione, come previsto dall’articolo 142, comma 6 del codice della strada;
  • l’apparecchio ha preso in considerazione due punti del tratto stradale, uno iniziale e uno finale, di cui però solo il primo può essere visibile.

A dire della ricorrente, il controllo basato sulla velocità media non è idoneo a invitare i conducenti alla prudenza e neppure a far affidamento sul controllo elettronico, che normalmente viene eseguito su un punto fisso.

Cartello autovelox deve segnalare solo controllo velocità

Il Comune opposto contesta la decisione del Tribunale e la Cassazione accoglie il ricorso.

Per gli Ermellini il Tribunale ha errato nel considerare inadeguato il cartello di segnalazione dell’apparecchio elettronico per il rilevamento della velocità per la mancata indicazione del controllo mediante il calcolo della velocità media.

Tale ragionamento non può essere condiviso perché non è conforme alla normativa in materia.

Il codice della strada consente infatti l’utilizzo delle apparecchiature elettroniche per il controllo della velocità anche per calcolare la velocità media su determinati tratti di strada, stabilendo che le stesse debbano essere segnalate con impiego di cartelli o dispositivi luminosi.

Per la legge quindi l’uso di questi apparecchi richiede solo un’adeguata segnalazione. La normativa non prevede regole distinte per gli apparecchi che rilevano la velocità media su determinati tratti stradali e quelli che compiono il controllo su un punto fisso.

L’obbligo di segnalazione pertanto deve ritenersi soddisfatto quando è presente un cartello che avverte che quel tratto di strada è sottoposto al controllo elettronico della velocità, senza ulteriori specificazioni.

Leggi anche Autovelox, tutor e telelaser cosa cambia

Allegati

riforma codice della strada

Riforma Codice della strada: via la patente se si guida col cellulare La riforma del Codice della Strada, all'esame del Senato, prevede alcune importanti novità in materia di guida con il cellulare e monopattini 

Riforma del Codice della Strada: a che punto siamo

La Riforma del Codice della Strada, dopo l’approvazione del testo alla Camera il 27 marzo 2024, è ferma in Senato, dove ha ricevuto i pareri non ostativi di diverse Commissioni.

Vediamo quali sono le novità più significative del ddl-1086, in attesa del secondo passaggio a Montecitorio e dell’approvazione definitiva, che potrebbe arrivare entro la fine del mese di luglio 2024.

Via la patente per chi usa il cellulare mentre guida

Per chi durante la marcia fa uso di smartphone, computer portatili, notebook, tablet e dispositivi che richiedono l’allontanamento anche solo temporaneo delle mani dal volante corre il rischio di dover pagare fino a 1000 euro di multa e a essere privato della patente per due mesi.

Pene più severe per la guida in stato di ebbrezza

Sulla patente del conducente che ha commesso il reato di guida in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a certi limiti, la riforma prevede l’apposizione dei codici unionali 68 “LIMITAZIONE DELL’USO – Niente alcool” e 69 “LIMITAZIONE DELL’USO –Limitata alla guida di veicoli dotati di un dispositivo di tipo alcolock conformemente alla norma EN 50436”.

Veicoli con alcolock

Questi codici (Allegato I della direttiva n. 2006/126/CE) indicano che quel conducente non può più bere prima di mettersi alla guida (cod. 68) o che può guidare solo veicoli muniti di alcolock, per cui il guidatore, prima di accendere la macchina, deve sottoporsi a controllo soffiando nell’apposito apparecchio.

Per chi guida in stato di ebbrezza e presenta un tasso alcolemico elevato la contravvenzione prevede l’arresto, sanzioni pecuniarie salate e la sospensione della patente.

Abbandono di animali: pene più severe se avviene su strada

Abbandonare un animale sulla strada o in una sua pertinenza costituisce una circostanza aggravante del reato di abbandono di animali, contemplato dall’art. 727 c.p e comporta anche l’applicazione della sanzione accessoria della sospensione della patente da sei mesi a un anno.

Monopattini: più obblighi e divieti

La riforma prevede alcune importanti novità anche per i conducenti di monopattini e dispositivi per la micromobilità. Previsto il contrassegno per tutti i monopattini, l’obbligo di indossare il casco indipendentemente dall’età, il divieto di utilizzo fuori dai centri urbani e l’obbligo di assicurazione per la responsabilità civile.

Più punti sulla patente per chi segue corsi extracurriculari

Per incentivare lo studio delle regole sulla circolazione stradale la riforma vuole riconoscere due punti in più sulla patente, al momento del rilascio a quei ragazzi che partecipino a corsi extracurriculari organizzati dalle scuole superiori statali o paritarie e delle autoscuole.

Nuovi limiti per i neopatentati

Si vogliono estendere da uno a tre anni i divieti previsti nei confronti dei neo-patentati con patente B per quanto riguarda la guida di autoveicoli con potenze specifiche, ossia superiori a 75 kw per tonnellata e veicoli M1 ibridi o interamente elettrici superiori a 105 kw per tonnellata.

Revisione dei veicoli: controlli sulle imprese autorizzate

I controlli sulle imprese autorizzate a effettuare la revisione periodica dei veicoli devono essere effettuati da personale debitamente abilitato dal Dipartimento competente del MIT. Il decreto che stabilirà le tariffe della revisione stabilirà anche gli importi che saranno a carico delle autofficine e che sono destinate al capitolo specifico di pertinenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la cui mancata corresponsione sarà sanzionata.

Segnalazioni acustiche per i pedoni con disabilità visive

Per aiutare i pedoni con disabilità visive ad attraversare la strada la riforma prevede, presso gli attraversamenti pedonali semaforizzati, la presenza di segnalazioni acustiche per indicare lo stato di accensione delle luci e guide tattili a pavimento per consentire l’individuazione dei pali che sostengono i semafori.

Leggi anche Alcoltest non vale come prova

Allegati