calunnia

Calunnia: guida al reato Calunnia: definizione, caratteristiche, natura, manifestazione, elemento soggettivo, punibilità, consumazione, sanzioni e Cassazione recente

Cos’è la calunnia?

La calunnia è un reato disciplinato dall’art. 368 c.p. Si tratta nello specifico di un delitto, che rientra nella categoria dei reati contro l’amministrazione della giustizia. La funzione di questo reato è duplice: mira a prevenire l’instaurazione di procedimenti penali infondati contro persone innocenti e tutela l’onore e la libertà personale degli individui ingiustamente accusati. Per questa ragione, la calunnia è considerata un reato “plurioffensivo”.

L’articolo 368 c.p. 

” 1. Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la  reclusione da due a sei anni. 

2. La pena è aumentata se s’incolpa taluno di un reato per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un’altra pena più grave.

3. La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo.”

Caratteristiche del reato di calunnia

Il reato di calunnia presenta le seguenti caratteristiche:

1) Natura del reato di calunnia

È un reato di pericolo, questo significa che non è necessario che l’accusa falsa porti effettivamente a una condanna o all’avvio di un processo penale; è sufficiente che esista la mera possibilità che l’autorità giudiziaria agisca in base alla falsa incolpazione.

2) Modalità di manifestazione 

La calunnia può manifestarsi in due forme principali:

  • Calunnia formale (o diretta): si verifica quando un’accusa di reato, consapevole di essere falsa e rivolta a una persona che si sa innocente, viene presentata attraverso atti formali come denunce, querele, richieste o istanze. Queste devono essere indirizzate all’Autorità Giudiziaria o a un’altra autorità che ha l’obbligo di riferire a quest’ultima. Rientrano in questa categoria anche le denunce anonime o sotto falso nome.
  • Calunnia materiale (o indiretta): consiste nella simulazione di tracce di un reato. In questo caso, il colpevole crea prove materiali o indizi falsi che tendono ad implicare erroneamente un individuo innocente in un crimine che non è mai avvenuto. Le tracce simulate devono essere tali da indicare inequivocabilmente il soggetto incolpato come autore del fatto.

3) Elemento soggettivo

Per la configurazione del reato è richiesto il “dolo” specifico, ovvero la piena consapevolezza e volontà di accusare falsamente una persona che si sa essere innocente. Non è sufficiente il dolo eventuale. Come chiarito dalla Cassazione n. 27098/2024 “perché sia integrato il dolo del delitto di calunnia occorre che colui che formula la falsa accusa abbia la certezza della innocenza dell’incolpato.”

4) Condizioni di punibilità 

L’azione non è punibile se il fatto denunciato o simulato non costituisce un reato (manca di tipicità legale) o se esiste una causa di giustificazione o un’esclusione della punibilità.

Il reato tuttavia può configurarsi anche se l’autorità giudiziaria deve svolgere un’indagine minima per accertare i fatti.

5) Consumazione

Il reato si consuma quando l’autorità riceve la falsa informazione (calunnia formale) o acquisisce le tracce simulate (calunnia materiale).

Come viene punito il reato di calunnia

Le pene previste per la calunnia dipendono dalla gravità della falsa accusa e dalle sue conseguenze:

La pena base è rappresentata dalla reclusione da due a sei anni.Sono previsti degli aumenti di pena nei seguenti casi:

  • l’accusato è incolpato di un reato per il quale la legge prevede una pena massima di reclusione superiore a dieci anni o una pena più grave;
  • la falsa accusa porta a una condanna alla reclusione superiore a cinque anni, la pena in questo caso è la reclusione da quattro a dodici anni.
  • la falsa accusa comporta una condanna all’ergastolo, la reclusione in questa ipotesi varia da sei a venti anni (storicamente, se derivava una condanna a morte, si applicava l’ergastolo a seguito dell’abrogazione della pena capitale).

Giurisprudenza

Cassazione n. 16651/2025: si configura il reato di calunnia e sussiste il dolo, in quanto provato dal fatto che il denunciante ha riportato solo fatti parziali. Questa condotta evidenzia la consapevolezza di accusare la persona offesa di un’inesistente tentata estorsione, pur sapendo della sua innocenza.

Cassazione n. 27098/2024: il giudizio per calunnia è autonomo rispetto a quello che riguarda il reato ascritto al calunniato. Anche una sentenza di proscioglimento definitiva a favore dell’incolpato non preclude al giudice del processo per calunnia di rivalutare i fatti. Il giudice può quindi accertare autonomamente la falsità della denuncia del calunniatore, riesaminando gli stessi fatti già oggetto del precedente giudizio.

Cassazione n. 21632/2022: la calunnia è un reato di pericolo che si perfeziona con una condotta (falsa denuncia o simulazione di tracce di reato) idonea a generare il concreto rischio di un’indagine penale contro un innocente. Non è necessario l’effettivo avvio del procedimento, ma la falsa accusa deve contenere gli elementi sufficienti per l’azione penale e non essere manifestamente inverosimile. L’elemento soggettivo richiede la consapevolezza da parte del calunniatore di incolpare una persona innocente, esponendola al rischio di un processo. Questa consapevolezza si desume dalle circostanze concrete dell’azione.

 

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giurista risponde

Delitto di rapina e configurabilità dell’attenuante (art. 62, co. 1, n. 4, c.p.) In relazione al delitto di rapina, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 4, c.p. qual è il momento in cui deve prendersi in considerazione l’entità del danno?

Quesito con risposta a cura di Sara Frattura, Raffaella Lofrano e Maria Lavinia Violo

 

Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante in esame, il momento in cui deve prendersi in considerazione l’entità del danno è quello della consumazione del reato, in quanto il danno non può divenire di speciale tenuità in conseguenza di eventi successivi (Cass., Sez. Un., 15 novembre 2024, n. 42124 – Delitto di rapina e configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 4, c.p.).

Nel caso di specie, la Corte di Appello di L’Aquila confermava la condanna alla pena irrogata dal Tribunale di Pescara con sentenza del 6 luglio 2022 per i reati di rapina aggravata e lesioni, unificati

dal vincolo della continuazione e previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla recidiva contestata.

Il ricorso è stato assegnato alla Seconda sezione, che, con ordinanza del 5 aprile 2024, n. 16364, ne disponeva la rimessione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618, comma 1, c.p.p., rilevando l’esistenza di contrasti interpretativi sia in ordine alla determinazione del termine a comparire nel giudizio di appello a far data dal 30 dicembre 2022 (che un orientamento individua in giorni venti ed un altro in giorni quaranta), sia all’individuazione – in presenza di un fenomeno di successione di leggi (l’art. 601 c.p.p., che disciplina gli atti preliminari al giudizio di appello, è stato in parte qua novellato dall’art. 34 D.Lgs. 150/2022) – dell’atto da valorizzare in concreto ai fini dell’applicazione del principio tempus regit actum.

Per quanto di interesse, la Corte di Appello avrebbe disatteso la richiesta di riconoscere all’imputato la circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 4, c.p., osservando genericamente che il profitto del reato consistette sia in un telefono cellulare che in una catenina di argento, oggetti il cui valore sommato supera i limiti entro i quali può essere riconosciuta tale attenuante.

La motivazione fornita sul punto dalla sentenza impugnata è inficiata da un errore di diritto, pur non determinante annullamento, che va, ai sensi dell’art. 619 c.p.p., corretto.

Invero, va ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale, ai fini della configurabilità, in relazione al delitto di rapina della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità di cui all’art. 62, comma 1, n. 4, c.p., non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, occorrendo valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia. Il delitto di rapina, ancorché incluso nel Titolo XIII del Libro II del codice penale, relativo ai delitti contro il patrimonio, ha in genere natura pluri-offensiva, in quanto il danno che ne deriva non incide soltanto sulla sfera patrimoniale, ma comprende anche gli aspetti lesivi della libertà fisica o psichica della persona offesa aggredita per la realizzazione del profitto.

Ne discende che, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante in esame, non può aversi riguardo unicamente al fatto che il bene materiale sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi al bene personale dell’integrità fisica e/o psichica della parte offesa contro la quale l’agente ha indirizzato l’attività violenta o minacciosa al fine di impossessarsi della cosa. La predetta circostanza potrà essere ritenuta sussistente, sulla base di un apprezzamento riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se immune da vizi logico-giuridici, soltanto nel caso in cui la valutazione complessiva dei pregiudizi arrecati ai beni tutelati risulti di speciale tenuità.

Deve, per completezza, evidenziarsi che il riferimento all’intervenuta restituzione del telefono cellulare è, comunque, privo di rilievo.

La giurisprudenza ha, infatti, già chiarito che, ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 4, c.p., il momento in cui deve prendersi in considerazione l’entità del danno è quello della consumazione del reato, in quanto il danno non può divenire di speciale tenuità in conseguenza di eventi successivi.

 

 

(*Contributo in tema di “Delitto di rapina e configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 4, c.p. ”, a cura di Sara Frattura, Raffaella Lofrano e Maria Lavinia Violo, estratto da Obiettivo Magistrato n. 85 / Maggio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

spaccio di lieve entità

Spaccio di lieve entità: sì alla messa alla prova La Corte costituzionale dichiara illegittima l’esclusione del reato di spaccio di lieve entità dalla sospensione con messa alla prova

Spaccio di lieve entità e messa alla prova

Spaccio di lieve entità e messa alla prova: la Corte costituzionale, con sentenza n. 90 del 2025, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 168-bis del codice penale nella parte in cui non consente la sospensione del procedimento con messa alla prova per il reato di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti di lieve entità, previsto dall’articolo 73, comma 5, del Testo unico stupefacenti (D.P.R. n. 309/1990).

Le questioni di legittimità sollevate

Le questioni di costituzionalità erano state sollevate dai Tribunali di Padova e Bolzano, i quali hanno censurato, in combinato disposto, l’articolo 168-bis, primo comma, c.p., l’articolo 550, secondo comma, c.p.p. e l’articolo 73, comma 5, del Testo unico stupefacenti, come modificato dal decreto-legge n. 123 del 2023.

Quest’ultimo intervento normativo aveva innalzato la pena detentiva massima per il piccolo spaccio, portandola da quattro a cinque anni di reclusione. Di conseguenza, il reato risultava escluso dall’ambito applicativo della messa alla prova, che prevede un limite massimo edittale inferiore.

Il confronto con l’istigazione all’uso di stupefacenti

Secondo i giudici rimettenti, tale preclusione si traduceva in una violazione del principio di ragionevolezza e del finalismo rieducativo della pena, non consentendo all’imputato di accedere a un programma personalizzato di riparazione e reinserimento sociale.

Inoltre, era evidenziata una disparità di trattamento rispetto al reato di istigazione all’uso illecito di sostanze stupefacenti, sanzionato con pene più elevate ma comunque compatibile, in astratto, con la sospensione del procedimento e la messa alla prova.

La decisione della Corte costituzionale

La Corte costituzionale ha accolto la questione di legittimità, richiamando l’articolo 3 della Costituzione. È stato ritenuto irragionevole che il reato di lieve entità, meno grave rispetto all’istigazione, fosse escluso dall’istituto che coniuga finalità deflattive e rieducative.

Secondo la Consulta, la preclusione automatica dell’accesso alla messa alla prova determinava un’inversione della scala di gravità dei reati in materia di stupefacenti e ostacolava la possibilità per l’imputato di intraprendere percorsi risocializzanti.

giurista risponde

Turbativa ed estorsione Colui che allontani l’offerente da una gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private ricorrendo alla violenza o alla minaccia integra solo il reato di turbata libertà agli incanti ex art. 353 c.p. o una pluralità di fattispecie di reato?

Quesito con risposta a cura di Sara Frattura, Raffaella Lofrano e Maria Lavinia Violo

 

La condotta di chi, con violenza o minaccia, allontani l’offerente da una gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private, oltre ad integrare il reato di cui all’art. 353 c.p., può integrare altresì quello di cui all’art. 629 c.p. ove abbia causato un danno patrimoniale derivante dalla perdita di una seria e consistente possibilità di ottenere un risultato utile per effetto della partecipazione alla predetta gara. Nella nozione di danno patrimoniale rilevante ai fini della configurabilità del delitto di estorsione rientra anche la perdita della seria e consistente possibilità di conseguire un bene o un risultato economicamente valutabile, la cui sussistenza deve essere provata sulla base della nozione di causalità propria del diritto penale (Cass., Sez. Un., 22 luglio 2024, n. 30016 – Turbativa ed estorsione).

Il reato di turbata libertà degli incanti, previsto dall’art. 353 c.p., punisce colui che con una condotta vincolata, ovvero con violenza o minaccia, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private oppure ne allontana gli offerenti.

La questione sottoposta all’attenzione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione riguarda la possibilità che il medesimo fatto possa configurare un concorso formale con il reato di estorsione nel caso in cui oltre all’allontanamento dalla gara, o ad altra turbativa, venga prodotto un altro evento dannoso che non è previsto dall’art. 353 c.p.: l’ingiusto profitto o l’altrui danno.

Il reato di turbata libertà degli incanti è infatti un reato comune di condotta a dolo generico poiché prescinde dal realizzarsi dell’ingiusto profitto o dall’altrui danno.

Anche il bene giuridico protetto dalla fattispecie cambia in questo caso: nel reato previsto dall’art. 353 c.p. si tutela la libertà di scelta del contraente; nel reato di estorsione il bene tutelato è il patrimonio del soggetto passivo.

Le due fattispecie di reato si pongono in rapporto di specialità reciproca perché sono caratterizzate da elementi costitutivi differenziati, ed è per questo che si è posta dinnanzi alle Sezioni Unite la questione relativa alla possibilità di riconoscere il concorso formale con il reato di estorsione quando viene anche cagionato un danno o conseguito un ingiusto profitto.

In particolare, la questione riguarda la possibilità di ravvisare il concorso formale con il reato di estorsione quando il danno corrisponda a una perdita di chance. Le Sezioni Unite risolvono positivamente la questione, affermando che rientra nella nozione di danno di cui all’art. 629 c.p. anche la perdita della seria e consistente possibilità di conseguire un risultato utile di cui sia provata la sussistenza sulla base di una nozione di causalità propria del diritto penale.

La causalità nel diritto penale è determinata sulla base del criterio di “oltre ogni ragionevole dubbio”, mentre la perdita di chance è una nozione civilistica, in cui la causalità è determinata in base alla regola del “più probabile che non”, quindi potrebbe risultare arduo applicare il criterio penalistico per accertare tale elemento costitutivo.

Un primo e più risalente orientamento riteneva sussistente solo un concorso apparente di norme tra i due reati poiché la fattispecie di turbata libertà agli incanti assorbirebbe in sé l’intero disvalore del fatto criminoso in base al presupposto per cui il danno dell’estorsione coinciderebbe con la lesione della libertà di partecipare o meno ad una gara e influenzarne l’esito, danno già punito alla luce dell’art. 353 c.p.

Un secondo orientamento riteneva invece configurabile il concorso formale tra le due fattispecie criminose evidenziando i differenti elementi costitutivi di entrambe: nell’estorsione l’elemento fondamentale è la coartazione della volontà altrui al fine specifico di conseguire un ingiusto profitto con altrui danno; il reato di turbata libertà degli incanti invece è integrato nel caso di cosciente e volontario impedimento o turbativa di una gara o dall’allontanamento degli offerenti, senza che sia necessario il verificarsi di un ulteriore danno o il conseguimento di un profitto ingiusto.

A questo secondo orientamento aderiscono le Sezioni Unite affermando che nel reato di estorsione l’elemento centrale è costituito dal danno, che deve essere verificato secondo i canoni previsti dal diritto penale, ovvero la regola che impone un accertamento “oltre ogni ragionevole dubbio”, e che il danno può essere costituito da qualsiasi parte del patrimonio della vittima, compresi i beni immobili e le aspettative di diritto perché il patrimonio non è costituito solo da beni materiali, ma da rapporti giuridici attivi e passivi aventi contenuto economico unificati dalla legge in considerazione dell’appartenenza al medesimo soggetto, così da ricomprendere nel concetto di danno di cui all’art. 629 c.p. qualunque situazione idonea ad incidere negativamente sull’assetto economico dell’individuo, compresa la delusione delle aspettative e le chance future di arricchimento o di consolidamento dei propri interessi.

Alla luce di queste premesse, le Sezioni Unite concludono affermando che la perdita dell’aspettativa di conseguire un vantaggio economico, ovvero la chance, può essere ricondotta nell’ambito di operatività del danno patrimoniale quale elemento costitutivo del reato di estorsione ex art. 629 c.p.

Infine, si precisa che il rapporto di causalità tra la condotta e l’evento dannoso corrispondente alla perdita della possibilità di conseguire il risultato favorevole deve essere provato mediante l’utilizzo degli strumenti di cui il giudice penale dispone per effettuare le valutazioni probatorie e si considera sussistente quando, considerate tutte le circostanze del caso concreto, possano escludersi processi causali alternativi e si possa affermare in termini di certezza processuale, ovvero di alta credibilità razionale o probabilità logica, che sia stata proprio quella condotta a determinare l’evento dannoso.

 

(*Contributo in tema di “Turbativa ed estorsione”, a cura di Sara Frattura, Raffaella Lofrano e Maria Lavinia Violo, estratto da Obiettivo Magistrato n. 85 / Maggio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

abrogazione abuso d'ufficio

Abrogazione abuso d’ufficio legittima: le motivazioni della Consulta La Corte costituzionale ha depositato le motivazioni della sentenza con cui ha dichiarato legittima l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, escludendo contrasti con la Convenzione di Mérida e i principi costituzionali

Legittima l’abrogazione dell’abuso d’ufficio

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 95 del 2025 depositata il 3 luglio, già anticipata l’8 maggio scorso, ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate contro l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio prevista dalla legge n. 114 del 2024. L’iniziativa giudiziaria era stata promossa da quattordici giudici, tra cui la Corte di cassazione, che avevano censurato la scelta legislativa sotto diversi profili costituzionali e internazionali.

Nessun obbligo internazionale di mantenere il reato

La Corte ha riconosciuto l’ammissibilità delle questioni prospettate in relazione all’articolo 117, primo comma, della Costituzione, il quale impone il rispetto degli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali. In particolare, si è esaminato se la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, nota come Convenzione di Mérida, imponesse l’obbligo di sanzionare penalmente l’abuso d’ufficio.

Dopo un’analisi dettagliata delle disposizioni convenzionali, la Consulta ha escluso che l’Italia fosse vincolata a mantenere nel proprio ordinamento una specifica fattispecie incriminatrice corrispondente all’abuso d’ufficio, evidenziando che la tipologia di condotte considerate non è prevista in modo uniforme in tutti gli Stati firmatari.

La discrezionalità del legislatore in materia penale

La sentenza sottolinea che la Corte costituzionale non può sostituire la propria valutazione di opportunità a quella del legislatore circa l’efficacia complessiva del sistema di prevenzione e contrasto degli illeciti commessi dai pubblici funzionari. Eventuali vuoti di tutela penale conseguenti all’abrogazione costituiscono una scelta politica che ricade nella responsabilità esclusiva del Parlamento.

Le censure basate sugli articoli 3 e 97 della Costituzione

I giudici rimettenti avevano anche prospettato un contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, per asserita disparità di trattamento tra condotte meno gravi che continuano a essere punite e comportamenti più gravi ora privi di sanzione.

Inoltre, si lamentava un vuoto di tutela rispetto ai principi di buon andamento e imparzialità amministrativa sanciti dall’articolo 97. Tuttavia, la Corte ha dichiarato queste censure inammissibili, rilevando che il loro eventuale accoglimento avrebbe comportato un effetto “in malam partem”, cioè un ampliamento della punibilità, ipotesi preclusa al giudizio di legittimità costituzionale.

La conclusione della Corte costituzionale

In definitiva, la Consulta ha affermato che la scelta di abrogare il reato di abuso d’ufficio, pur producendo indubbi effetti sul piano della tutela penale, è una decisione politica non sindacabile in sede costituzionale. L’eventuale bilanciamento tra i vuoti di tutela e i benefici che il legislatore si è prefisso di conseguire appartiene al piano della responsabilità politica e non può essere oggetto di censura alla luce dei parametri costituzionali e internazionali esaminati.

bullismo e cyberbullismo

Bullismo e cyberbullismo: cosa prevede il decreto attuativo Bullismo e cyberbullismo: in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo che rafforza la prevenzione e il contrasto in attuazione della legge n. 70/2024

Bullismo e cyberbullismo: il decreto in GU

Il decreto legislativo n. 99/2025, approvato dal Consiglio dei Ministri è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’1 luglio 2025 per entrare in vigore il 16 luglio 2025.

Il testo recante”Disposizioni in materia di prevenzione e contrasto del bullismo e del cyberbullismo“, mira a rafforzare la prevenzione e il contrasto a entrambi i fenomeni, in attuazione della legge n. 70/2024, con cui si pone quindi in linea di continuità.

Bullismo e cyberbullismo: emergenza infanzia

Il nuovo decreto potenzia il servizio telefonico “emergenza infanzia 114”, estendendone l’operatività anche a questi fenomeni per tutelare i minori. Il 114, attivo 24 ore al giorno 7 giorni su 7, offrirà una prima assistenza psicologica e giuridica, oltreché una consulenza psicopedagogica e segnalerà i casi gravi alle autorità. L’app del 114 includerà anche la geolocalizzazione (previa acquisizione del consenso) e un servizio di messaggistica istantanea. Il tutto ovviamente nel rispetto della privacy. I dati anonimi sui fenomeni del bullismo e del cyberbullismo nelle scuole, raccolti dal 114, saranno trasmessi annualmente al Ministero dell’Istruzione e del Merito per programmare azioni di sensibilizzazione. Il sito web del 114 garantirà inoltre un’ ampia accessibilità ai servizi.

Indagini statistiche su bullismo e cyberbullismo

L’ISTAT condurrà rilevazioni biennali su questi fenomeni giovanili la fine di identificarne le caratteristiche, i soggetti a rischio, i fattori e le conseguenze psicologiche che producono. La Presidenza del Consiglio dei Ministri invierà alle Camere un rapporto di sintesi con i risultati ISTAT e lo stato di attuazione delle misure nelle scuole secondarie.

Più responsabilità genitoriale

Il decreto aggiorna inoltre le comunicazioni dei fornitori di servizi online, richiamando però sul punto anche la responsabilità genitoriale prevista dall’ articolo 2048 del codice civile per i danni causati dai figli minori nel mondo online.

Campagne su uso responsabile della rete

La Presidenza del Consiglio promuoverà campagne informative sull’uso consapevole della rete e sui suoi rischi. Il Ministero dell’Istruzione e le scuole promuoveranno infine la conoscenza del numero 114, strumento fondamentale per esternare il disagio e chiedere aiuto.

 

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tutela animali

Tutela degli animali: pene più severe per legge In vigore dal 1° luglio 2025 la legge in materia di tutela degli animali. Pene più severe, tra carcere e multe, ecco cosa prevede

Tutela degli animali: legge in vigore dal 1° luglio 2025

Dopo l’approvazione definitiva del 29 maggio scorso da parte del Senato, la nuova legge n. 82/2025 che mira a a rafforzare la tutela degli animali, in linea con la riforma dell’articolo 9 della Costituzione, che riconosce la protezione degli animali come valore fondamentale, è entrata in vigore l’1 luglio 2025.

Il testo introduce numerose modifiche al codice penale, intensificando le sanzioni per i reati contro gli animali e prevedendo nuove misure di prevenzione e contrasto.

Queste modifiche rappresentano un passo avanti nella tutela giuridica degli animali, con pene più severe, nuove aggravanti e misure preventive. Le legge sottolinea il riconoscimento degli animali come esseri senzienti e introduce strumenti concreti per combattere la crudeltà e promuovere il loro benessere.

Sanzioni penali più elevate a tutela degli animali

L’articolo 1 modifica il Titolo IX-bis del Libro II del codice penale, riformulando il titolo in “Dei delitti contro gli animali”. Questo cambiamento elimina il riferimento al “sentimento per gli animali”, concentrandosi sulla tutela diretta degli animali come esseri senzienti. Ecco un riepilogo delle principali modifiche introdotte:

Organizzazione di spettacoli con sevizie (art. 544-quater)

La pena pecuniaria passa da 3.000-15.000 euro a 15.000-30.000 euro. Verrà inoltre punito anche chi, al di fuori dei casi di concorso, si limita a partecipare a questi spettacoli e manifestazioni.

Combattimenti tra animali (art. 544-quinquies)

La reclusione per questo reato aumenta da 1-3 anni a 2-4 anni. La pena per i partecipanti, in precedenza limitata ai proprietari degli animali, si estende a chiunque partecipi ai combattimenti (reclusione 3 mesi-2 anni e multa 5.000-30.000 euro).

Uccisione di animali (art. 544-bis)

La reclusione sale da 4 mesi-2 anni a 6 mesi-3 anni, con l’aggiunta di una multa di 5.000-30.000 euro.

Aggravante: sevizie o sofferenze prolungate sono punite con reclusione da 1 a 4 anni e una multa 10.000-60.000 euro.

Maltrattamento di animali (art. 544-ter)

La reclusione passa da 3-18 mesi a 6 mesi-2 anni, la multa (5.000-30.000 euro) diventa obbligatoria e si estende l’aggravante in caso di somministrazione di sostanze dannose agli animali.

Uccisione o danneggiamento di animali altrui (art. 638)

Chi, senza necessità, uccide o rende inservibili o comunque deteriora tre o più animali raccolti in gregge o in mandria, ovvero compie il fatto su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria, verrà punito con la pena della reclusione minima di un anno e massima di 4 anni.

Abbandono di animali (art. 727)

La multa minima passa da 1.000 a 5.000 euro. L’ammenda resta invece fissata nella misura massima di 10.000 euro.

Protezione della fauna selvatica (art. 727-bis)

Per l’uccisione, la cattura e la detenzione di esemplari di specie animali selvatiche protette la reclusione aumenta da 1-6 mesi a 3 mesi-1 anno. La multa invece passa da 4.000 a 8.000 euro.

Distruzione di habitat protetti (art. 733-bis)

Per chi distrugge o deteriora un habitat all’interno di un sito protetto la reclusione passa da un massimo di 18 mesi a 3 mesi-2 anni, mentre la multa minima diventa 6.000 euro.

Aggravante comune (art. 544-septies)

Viene introdotta un’aggravante a effetto comune per i reati di cui agli articoli 544 bis c.p, 544 ter c.p, 544 quater c.p, 544 quinquies c.p e 638 c.p, commessi in presenza di minori, nei confronti di più animali, o con diffusione attraverso strumenti telematici.

Misure preventive e procedurali a tutela degli animali

La legge tutela la salute psico fisica-degli animali, introducendo   importanti novità anche sotto il profilo procedurale.

Sequestro e confisca di animali

Gli animali vittime di reato non potranno essere abbattuti o ceduti fino alla sentenza definitiva. Il nuovo art. 260-bis del codice di procedura penale regola il sequestro, consentendo l’affidamento degli animali a enti, associazioni o privati dietro cauzione. Chi commette reati abituali contro gli animali potrà essere soggetto a misure di prevenzione previste dal codice antimafia.

Responsabilità amministrativa di enti e società

L’introduzione dell’art. 25-undevicies nel decreto legislativo 231/2001 prevede sanzioni specifiche per gli enti coinvolti in reati contro gli animali.

Divieto di catene

Sarà vietato tenere gli animali legati con catene o strumenti simili, salvo esigenze documentate. La violazione sarà punita con una multa da 500 a 5.000 euro.

Traffico illecito di animali da compagnia

La reclusione aumenta a 4-18 mesi e la multa da 6.000 a 30.000 euro. Sanzioni più severe sono previste per l’introduzione illecita di animali sul territorio nazionale.

Banca dati dei reati contro gli animali

Sarà creata una sezione specifica nella banca dati delle Forze di polizia, con il coinvolgimento del Ministero dell’Ambiente per il coordinamento.

Divieto di commercio di pellicce di gatti domestici

Sarà vietato utilizzare a fini commerciali pelli e pellicce della specie Felis catus.

 

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decreto sicurezza

Il Decreto Sicurezza secondo la Cassazione Decreto Sicurezza: la relazione dell'Ufficio del Massimario della Cassazione solleva dubbi di legittimità costituzionale sul testo e problemi di merito e metodo

Decreto Sicurezza: dubbi di legittimità costituzionale

L’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione ha pubblicato una relazione di studio sul Decreto Sicurezza n. 48/2025, convertito nella legge n. 80/2025 e in vigore dal 10 giugno 2025.  L’Ufficio ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale e problemi di merito e metodo. La relazione è una “base di analisi” orientativa e non vincola decisioni future. Il documento tuttavia si rivela molto importante perché fornisce ai magistrati uno strumento per comprendere la nuova normativa.

Utilizzo anomalo della decretazione d’urgenza

Il documento di 129 pagine segnala la presenza di diverse problematiche. Sul fronte del metodo, i giudici della Cassazione condividono il parere dei giuristi: la trasformazione del disegno di legge in decreto-legge manca del requisito di “necessità e urgenza”, come previsto dalla Costituzione. Criticato anche il ricorso anomalo alla decretazione d’urgenza in materia penale, che svilisce il ruolo del Parlamento.

Analizzando il testo articolo per articolo, vengono individuati profili di incostituzionalità in molti reati a causa dell’abbassamento della soglia di punibilità e dell’innalzamento delle pene. Le critiche degne di segnalazione riguardano principalmente il reato di detenzione di materiale con finalità di terrorismo, la resistenza passiva in carcere, la vendita della cannabis light. Il contenuto del testo di legge infine è ritenuto troppo “eterogeneo” perché si occupa di materie troppo diverse.

Decreto Sicurezza: critiche alla relazione

La relazione ha subito sollevato critiche e perplessità. L’azione della Cassazione è stata giudicata come una “invasione di campo”; una “provocazione”.

Dura la reazione del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che si è detto “incredulo” delle notizie diffuse dalla stampa sulla relazione e ha dato mandato di acquisire la relazione per verificarne il regime di divulgazione, per appurare che la pubblicazione non risulti dannosa per il Governo.

Anche il ministro Piantedosi in un’intervista si è espresso negativamente sulla relazione della Suprema Corte, ritenendola “ideologica”.

 

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ddl intelligenza artificiale

Intelligenza artificiale: cosa prevede il ddl in Parlamento Il 25 giugno 2025 la Camera ha approvato, con modificazioni, il testo del ddl in materia di intelligenza artificiale trasmesso dal Senato

Intelligenza artificiale: sì della Camera

La Camera il 25 giugno 2025 ha approvato, con modifiche, il testo del ddl trasmesso dal Senato e di iniziativa del Governo in materia di Intelligenza Artificiale. I voti a favore sono stati 136, i voti contrari 94, gli astenuti 5.

Il testo prevede un giro di vite e introduce fattispecie di reato,  confermando l’obbligo dei professionisti di informare i clienti sull’utilizzo dei sistemi di IA.

Cinque gli ambiti in cui il ddl, recante “Disposizioni e deleghe al governo in materia di intelligenza artificiale”, mira ad intervenire. Nel testo è compresa una delega al governo per l’adeguamento al Regolamento UE sull’alfabetizzazione dei cittadini sull’IA e la formazione degli ordini professionali per professionisti e operatori, oltre all’adeguamento, sul fronte penale, di reati e sanzioni per l’uso illecito dell’IA.

Il testo è ora all’esame del Senato per la lettura definitiva.

I cinque ambiti di intervento

Il testo individua criteri regolatori capaci di riequilibrare il rapporto tra le opportunità che offrono le nuove tecnologie e i rischi legati al loro uso improprio, al loro sottoutilizzo o al loro impiego dannoso. Inoltre, introduce norme di principio e disposizioni di settore che, da un lato, promuovono l’utilizzo delle nuove tecnologie per il miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini e della coesione sociale e, dall’altro, forniscono soluzioni per la gestione del rischio fondate su una visione antropocentrica.

Il testo contiene disposizioni di principio e di settore, si occupa della strategia nazionale per l’intelligenza artificiale, delinea le funzioni delle Autorità nazionali per l’IA e dedica la parte conclusiva alle disposizioni penali introducendo reati e sanzioni.

Strategia nazionale

Si introduce la Strategia nazionale per l’intelligenza artificiale, il documento che garantisce la collaborazione tra pubblico e privato, coordinando le azioni della PA in materia e le misure e gli incentivi economici rivolti allo sviluppo imprenditoriale ed industriale.

Dopo il passaggio alla Camera l’articolo 19 prevede ora che la strategia debba essere sottoposta ad approvazione quantomeno biennale dal Comitato interministeriale per la transizione digitale e che in sede di attuazione il Dipartimento per la trasformazione digitale della presidenza del CdM debba sentire la Banca d’Italia, l’Ivass e la Consob.

I risultati del monitoraggio dovranno essere trasmessi annualmente alle Camere.

Autorità nazionali per l’intelligenza artificiale

Si istituiscono le Autorità nazionali per l’intelligenza artificiale, disponendo l’affidamento all’Agenzia per lItalia digitale (AgID) e all’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (ACN) del compito di garantire l’applicazione e l’attuazione della normativa nazionale e UE in materia di AI.
AgID e ACN, ciascuna per quanto di rispettiva competenza, assicurano l’istituzione e la gestione congiunta di spazi di sperimentazione finalizzati alla realizzazione di sistemi di intelligenza artificiale conformi alla normativa nazionale e UE.

Misure di sostegno ai giovani sull’IA

Tra i requisiti per beneficiare del regime agevolativo a favore dei lavoratori rimpatriati rientrerà l’aver svolto un’attività di ricerca nell’ambito delle tecnologie di intelligenza artificiale.
Nel piano didattico personalizzato (PDP) delle scuole superiori per le studentesse e gli studenti ad alto potenziale cognitivo potranno essere inserite attività volte all’acquisizione di ulteriori competenze attraverso esperienze di apprendimento presso le istituzioni della formazione superiore.

Il comma 3 dell’articolo 22 infine promuove l’intervento statale per favorire l’accesso all’intelligenza artificiale con la finalità di migliorare il benessere psicologico e fisico grazie all’attività sportiva.

Professioni intellettuali, giustizia e diritto d’autore

L’uso di sistemi di intelligenza artificiale è consentito nelle professioni per attività strumentali e di supporto, con prevalenza del lavoro intellettuale. E’ obbligatoria la comunicazione chiara e completa al cliente sull’uso di tali sistemi, per tutelare il rapporto fiduciario.

L’uso dell’IA nel settore giustizia deve essere limitato all’organizzazione del lavoro giudiziario e alla ricerca giurisprudenziale e dottrinale. Ai magistrati è riservata l’interpretazione della legge, la valutazione di fatti e prove e l’adozione di provvedimenti.

Le opere create con l’intelligenza artificiale sono protette dal diritto d’autore, a patto che la loro creazione derivi dal lavoro intellettuale.

In ambito sanitario l’intelligenza artificiale migliora il sistema, la prevenzione, la diagnosi e la cura,  nel rispetto ovviamente dei diritti e delle libertà degli individui e dei dati personali.

Per quanto riguarda il lavoro invece l’intelligenza artificiale del essere impiegata per migliorare le condizioni dei lavoratori, la loro salute e la produttività, nel rispetto della dignità, dei diritti inviolabili e della riservatezza.

Disciplina penale

Il testo prevede un aumento della pena per i reati commessi mediante l’impiego di sistemi di intelligenza artificiale, quando gli stessi, per natura o modalità di utilizzo, “abbiano costituito mezzo insidioso, o quando il loro impiego abbia comunque ostacolato la pubblica o la privata difesa o aggravato le conseguenze del reato”.

Il testo introduce una circostanza aggravante del delitto di attentati conto i diritti politici dei cittadini (art. 294 c.p.) commessi impiegando l’intelligenza artificiale.

Si punisce l’illecita diffusione di contenuti generati o manipolati con sistemi di IA, atti a indurre in inganno sulla loro genuinità, con la pena da uno a cinque anni di reclusione, se dal fatto deriva un danno ingiusto.
Si introducono circostanze aggravanti speciali per alcuni reati come l’aggiotaggio e la manipolazione del mercato, se commessi con l’impiego dell’intelligenza artificiale.

Sanzionato anche il plagio commesso con l’utilizzo dell’AI.

 

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abigeato

Abigeato: cos’è e come viene punito Abigeato: che cos'è, quando si configura, quale norma del codice penale lo disciplina e come viene punito dalla legge

Cos’è l’abigeato?

L’abigeato è un reato che consiste nel furto di bestiame e che, in passato, era considerato un crimine particolarmente grave nelle società agricole. Ancora oggi, pur essendo meno diffuso, rappresenta un problema in alcune zone rurali, motivo per cui il legislatore ha previsto specifiche sanzioni nel Codice Penale italiano.

Il termine abigeato deriva dal latino “abigere”, che significa “portare via”. Questo reato si configura quando una persona sottrae animali da allevamento con l’intenzione di trarne profitto, sia per la vendita che per l’uso personale. A differenza del furto comune, l’abigeato coinvolge capi di bestiame di proprietà altrui e può avvenire con modalità organizzate, coinvolgendo più soggetti.

Normativa di riferimento

L’abigeato è disciplinato dall’art. 625 n. 8 del Codice Penale, che lo qualifica come un’aggravante del reato di furto. In particolare, il furto di bestiame è considerato più grave perché colpisce direttamente il settore agricolo e zootecnico, danneggiando l’economia locale.

Inoltre, in alcune regioni italiane, esistono normative specifiche volte a contrastare l’abigeato, con misure di sorveglianza e controlli rafforzati nelle aree a rischio.

Quando scatta il reato di abigeato?

L’abigeato si configura quando:

  • viene sottratto un numero significativo (minimo tre) di capi di bestiame (bovini, equini, ovini, suini o altri animali da allevamento);
  • il bestiame è raccolto in gregge lo mandria, e, se trattasi di bovini o equini, anche se non sono raccolti in mandria;
  • il soggetto che si impossessa degli animali li sottrae per trarne profitto per sé o per altri.

Come viene punito  

La pena per l’abigeato dipende dalla gravità del reato:

  • reclusione da 2 a 6 anni e multa fino a 1.500 euro, se il furto è aggravato (art. 625 c.p.);
  • pene più severe se il furto è commesso da un gruppo organizzato o con violenza;
  • sequestro dei mezzi utilizzati per il trasporto degli animali rubati;
  • applicazione di aggravanti ulteriori in caso di ricettazione o vendita fraudolenta del bestiame.

 

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