lavoratori smart working

Lavoratori smart working: geolocalizzazione vietata Lavoratori smart working: il Garante privacy sanziona azienda che geolocalizza i dipendenti con procedure illecite

Geolocalizzazione lavoratori smart working

Il Garante per la protezione dei dati personali condanna le pratiche di sorveglianza dei lavoratori in smart working con il provvedimento n. 135 del 13 marzo 2025. Una controversia portata all’attenzione dell’Autorità privacy è culminata infatti con una sanzione di 50mila euro ai danni di un’azienda.

La contestazione riguarda l’illecita geolocalizzazione di circa cento lavoratori durante la loro attività lavorative da remoto. L’intervento del Garante è stato innescato dal reclamo di una dipendente e da una segnalazione dell’Ispettorato della Funzione Pubblica. Dall’istruttoria sono emerse significative violazioni della normativa sulla privacy.

Geolocalizzazione illecita

L’istruttoria condotta dal Garante ha svelato che l’azienda attuava il monitoraggio sistematico della posizione geografica dei propri dipendenti. L’obiettivo era verificare la corrispondenza tra il luogo effettivo di lavoro e l’indirizzo dichiarato nell’accordo individuale di smart working.

Questo tipo di controllo avveniva anche attraverso procedure mirate: i dipendenti, selezionati a campione, venivano contattati telefonicamente e invitati ad attivare la geolocalizzazione dei propri dispositivi (pc o smartphone) per effettuare una timbratura tramite app.

Subito dopo veniva richiesta una dichiarazione via e-mail del luogo in cui i lavoratori si trovavano fisicamente. Queste verifiche potevano anche evolversi in procedimenti disciplinari. Il tutto però senza una valida base giuridica e senza un’informativa adeguata. Inammissibile quindi questa intrusione nella sfera privata dei lavoratori, che contravviene al Regolamento europeo e al Codice della privacy.

Dignità del lavoratore e controllo a distanza

Il Garante privacy ha ribadito le legittime esigenze di controllo sulla diligenza dei dipendenti che operano in smart working. Queste però non possono giustificare l’impiego di strumenti tecnologici che comprimono la libertà e la dignità della persona.

Queste pratiche configurano un monitoraggio diretto dell’attività lavorativa che non è consentito né dallo Statuto dei lavoratori né dai principi costituzionali.

Occorre un equilibrio tra le esigenze organizzative del datore di lavoro e la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori, soprattutto in un contesto di lavoro agile dove il rispetto della privacy ha un’importanza ancora maggiore.

 

Leggi anche gli altri articoli dedicati allo smart working

accesso al bagno

Negare l’accesso al bagno lede la dignità del lavoratore La Cassazione ha confermato il diritto al risarcimento per un lavoratore costretto a urinarsi addosso per il diniego di accesso al bagno

Negato l’accesso al bagno, danno alla dignità

Negare l’accesso al bagno è una lesione della dignità del lavoratore. Con l’ordinanza n. 12504/2025, depositata l’11 maggio 2025, la Corte di Cassazione ha confermato la responsabilità della società datrice per non aver consentito a un dipendente di recarsi ai servizi igienici durante il turno di lavoro, riconoscendo un risarcimento di 5.000 euro per la lesione della dignità personale, ai sensi dell’articolo 2087 del codice civile.

I fatti

Durante il turno lavorativo, il dipendente ha avvertito un impellente bisogno fisiologico. Tuttavia, le disposizioni aziendali prevedevano che l’allontanamento dalla postazione fosse possibile solo previa autorizzazione e sostituzione da parte di un team leader. Nonostante ripetute richieste tramite il dispositivo di emergenza, il lavoratore non ha ottenuto l’autorizzazione necessaria. Giunto al limite della resistenza, si è recato autonomamente ai servizi igienici, ma non è riuscito a evitare di urinarsi addosso. Successivamente, ha chiesto di potersi cambiare in infermeria, ma anche questa richiesta è stata negata, costringendolo a proseguire il lavoro fino alla pausa, momento in cui ha potuto cambiarsi in un’area comune, alla presenza di altri colleghi. 

La decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibili i motivi di ricorso presentati dall’azienda, confermando le decisioni dei giudici di merito. È stato sottolineato che l’azienda non ha adottato misure idonee a prevenire situazioni lesive della dignità del lavoratore, come previsto dall’articolo 2087 c.c.

In particolare, la Corte ha evidenziato che l’organizzazione del lavoro non ha garantito un sistema efficace per gestire le necessità fisiologiche dei dipendenti, configurando una violazione degli obblighi di tutela dell’integrità fisica e morale del lavoratore. 

Allegati

bonus donne 2025

Bonus donne 2025: come ottenere l’esonero Bonus donne 2025: esonero contributivo del 100% per l’assunzione a tempo indeterminato di lavoratrici svantaggiate. Domanda INPS online dal 16 maggio

Bonus donne 2025 per lavoratrici svantaggiate

Con l’obiettivo di favorire l’occupazione femminile stabile, il Bonus donne 2025 introduce un esonero contributivo del 100% per le assunzioni a tempo indeterminato di lavoratrici svantaggiate, da effettuarsi entro il 31 dicembre 2025. L’incentivo è stato introdotto dal decreto-legge n. 60/2024 (decreto Coesione) e regolamentato dalla circolare INPS n. 91 del 12 maggio 2025, pubblicata in accordo con il Ministero del Lavoro.

Chi può beneficiare del bonus assunzioni donne?

L’esonero si applica a tutte le imprese private, incluse quelle del settore agricolo, che assumono a tempo indeterminato donne rientranti in una delle seguenti categorie:

  • donne disoccupate da almeno 24 mesi, indipendentemente dalla residenza;

  • donne senza impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi, se residenti in una delle regioni della Zona Economica Speciale (ZES) Unica per il Mezzogiorno (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna);

  • donne che lavorano in settori con forte disparità occupazionale di genere.

Quali sono i vantaggi per i datori di lavoro?

Il bonus contributivo per l’assunzione di donne svantaggiate prevede:

  • esonero del 100% dei contributi previdenziali INPS a carico del datore di lavoro;

  • esclusione dei contributi INAIL dall’agevolazione;

  • durata massima dell’incentivo: 24 mesi;

  • limite massimo dell’esonero: 650 euro al mese per ogni lavoratrice assunta.

Come richiedere l’incentivo INPS

A partire dal 16 maggio 2025, i datori di lavoro potranno presentare domanda attraverso il Portale delle Agevolazioni INPS (ex DiResCo), seguendo le modalità operative illustrate nella circolare INPS n. 91/2025.

Leggi anche Decreto Coesione: bonus under 35 e donne

bonus giovani under 35

Bonus giovani under 35: come ottenere l’esonero Bonus giovani under 35: dal 16 maggio l'INPS ha reso disponibile il modulo per ottenere l'esonero contributo previsto dal decreto Coesione

Bonus giovani under 35 dal 16 maggio

Bonus giovani under 35: dal 1° settembre 2024 al 31 dicembre 2025 i datori di lavoro privati possono usufruire di un incentivo contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato di giovani che non abbiano mai avuto un contratto stabile. Lo ha previsto il decreto-legge n. 60/2024 (decreto Coesione) e le modalità operative sono state dettagliate nella circolare INPS n. 90 del 12 maggio 2025.

A partire dal 16 maggio 2025, sarà attivo il modulo telematico per richiedere l’agevolazione sul Portale delle Agevolazioni INPS (ex DiResCo).

A chi spetta il Bonus giovani 2025?

L’incentivo, si ricorda, è rivolto a tutti i datori di lavoro privati (esclusi gli enti pubblici) che assumano, o trasformino un contratto da determinato a indeterminato, giovani che:

  • non abbiano ancora compiuto 35 anni alla data di assunzione;

  • non siano mai stati occupati con contratto a tempo indeterminato, in Italia o all’estero.

Quali sono i vantaggi per le imprese?

Il beneficio consiste in un esonero del 100% dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, per un periodo massimo di 24 mesi, con un tetto mensile di 500 euro per lavoratore.

Per i datori di lavoro con sede in una delle regioni della Zona Economica Speciale (ZES) Unica per il Mezzogiorno – ovvero Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna – il limite dell’incentivo mensile sale a 650 euro per ciascun lavoratore assunto.

Chi sono i lavoratori esclusi?

Non rientrano nell’ambito del Bonus:

  • i dirigenti;

  • i lavoratori domestici;

  • i rapporti di lavoro instaurati con contratto di apprendistato.

Come presentare la domanda

Per accedere all’incentivo, è necessario:

  1. accedere al Portale delle Agevolazioni INPS (ex DiResCo);

  2. compilare e inviare l’apposito modulo online disponibile dal 16 maggio 2025;

  3. seguire le istruzioni operative contenute nella circolare INPS n. 90/2025.

 

Leggi anche Decreto coesione: bonus under 35 e donne

osservatorio nazionale

Intelligenza artificiale e lavoro: nasce l’Osservatorio nazionale Online l’Osservatorio nazionale sull'IA del Ministero del lavoro: dati, strumenti e analisi per supportare imprese e lavoratori

Osservatorio nazionale sull’IA

E’ online la prima versione dell’Osservatorio nazionale sull’adozione dei sistemi di Intelligenza Artificiale nel mondo del lavoro del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, uno strumento digitale pensato per monitorare, analizzare e prevedere l’impatto delle tecnologie basate su IA sul mercato del lavoro italiano. Ne dà notizia il dicastero con un avviso pubblicato sul proprio sito.

Questa prima release rappresenta un passo iniziale in attesa della definizione completa della struttura dell’Osservatorio, che sarà formalizzata una volta approvato il disegno di legge recante “Disposizioni e delega al Governo in materia di Intelligenza Artificiale”, attualmente in discussione in Parlamento.

Obiettivi dell’Osservatorio nazionale sull’IA

L’Osservatorio si pone l’obiettivo di:

  • Monitorare le evoluzioni del mercato del lavoro alla luce dell’adozione dell’IA;

  • Ridurre il disallineamento tra domanda e offerta di competenze digitali e tecnologiche;

  • Fornire strumenti pratici per supportare imprese e lavoratori nell’integrazione dell’intelligenza artificiale nei processi produttivi;

  • Diffondere consapevolezza tra tutti gli stakeholder sugli impatti occupazionali dell’IA e sulle politiche adottate dal Ministero.

L’iniziativa si inserisce nel più ampio contesto delle politiche del lavoro promosse a livello nazionale e internazionale, in coerenza con il Piano d’Azione del G7 su Lavoro e Occupazione (Cagliari, settembre 2024) e con la Strategia Italiana per l’Intelligenza Artificiale 2024–2026, elaborata dall’Agenzia per l’Italia Digitale.

Un portale per cittadini, imprese e lavoratori

L’Osservatorio sull’IA è accessibile attraverso il portale istituzionale del Ministero del Lavoro e raccoglie contenuti informativi differenziati per:

  • Cittadini interessati a comprendere le trasformazioni in corso;

  • Lavoratori, che possono acquisire indicazioni sulle competenze richieste nei settori maggiormente impattati dall’IA;

  • Imprese, che troveranno linee guida e strumenti per adottare tecnologie IA in modo etico e sostenibile.

Attraverso un’organizzazione chiara e basata su evidenze statistiche e ricerche svolte dal Ministero e dagli enti vigilati, il sito offre una panoramica delle professioni più esposte all’automazione, dei comparti produttivi con maggiore richiesta di competenze IA e delle azioni necessarie per affrontare la transizione digitale in modo consapevole.

Una piattaforma in evoluzione

Attualmente in versione beta, l’Osservatorio sarà aggiornato con nuovi contenuti e strumenti, a partire dalle future “Linee guida per l’implementazione dell’Intelligenza Artificiale nel mondo del lavoro”, attualmente sottoposte a consultazione pubblica sulla piattaforma ParteciPA.

Tale documento intende fornire un riferimento operativo per garantire un utilizzo etico, responsabile e antropocentrico dell’IA, valorizzando le opportunità di sviluppo, ma prevenendo possibili distorsioni o rischi per l’occupazione.

Decreto coesione: i bonus under 35 e donne Decreto coesione: pubblicati dal Ministero del lavoro e dal MEF i decreti attuativi sugli sgravi contributivi per under 35 e donne

I decreti attuativi per giovani e donne

Pubblicati il 9 maggio 2025 sul sito del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali i due decreti attuativi, firmati in data 11 aprile 2025, relativi ai bonus per le assunzioni di giovani e donne, come previsti dalla legge di conversione del Decreto coesione agli articoli 22 e 23.

I decreti definiscono i criteri per l’esonero contributivo. L’esonero è per le assunzioni a tempo indeterminato di under 35 mai occupati stabilmente e la trasformazione di contratti a termine in contratti stabili. L’altro bonus riguarda invece l’assunzione di donne disoccupate da tempo e senza retribuzione regolare. L’obiettivo è incentivare il lavoro di qualità e a tempo indeterminato, con una particolare attenzione al Mezzogiorno.

Decreto coesione: under 35

Ai datori di lavoro privati che assumono personale non dirigenziale con contratto subordinato e indeterminato o convertono in indeterminato un contratto determinato spetta per 24 mesi un esonero contributivo.

Per le assunzioni dal 1° settembre 2024 al 31 dicembre 2025 l’esonero è del 100% (esclusi premi e contributi INAIL) nel limite di 500 euro.

Per i datori che assumono in determinate regioni del Sud Italia l’esonero, dalla data di autorizzazione della della Commissione UE e fino al 31 dicembre 2025, spetta un esonero nel limite di 650 euro. L’esonero non può superare in ogni caso il 50% dei costi salariali di cui al punto 31, articolo 2 del Regolamento UE n. 651/2014.

L’agevolazione spetta ai datori che assumono giovani che non hanno ancora compiuto 35 anni, non sono mai stati occupati a tempo indeterminato o che hanno compiuto l’apprendistato, senza però essere assunti stabilmente. Sono esclusi i rapporti di lavoro domestico e di apprendistato.

DL coesione: bonus donne

I datori che dal 1° settembre 2024 e fino al 31 dicembre 2025 assumono con contratto a tempo indeterminato donne senza impiego da almeno 24 mesi, hanno diritto a un esonero contributivo per un periodo massimo di 24 mesi.

L’esonero spetta anche ai datori che, dalla data di autorizzazione della Commissione UE e fino al 31 dicembre 2025, assumono donne  di specifiche regioni del Sud Italia (Zona Economica Speciale unica per il Mezzogiorno).

I datori che assumono donne dal 1 settembre 2024 al 31 dicembre 2025, in settori specifici, individuati ogni anno con decreto dal Ministero del Lavoro, hanno diritto a un esonero contributivo per un periodo massimo di 12 mesi. 

Sono invece esclusi dal beneficio il lavoro domestico e di apprendistato.

 

 Leggi anche l’articolo dedicato al Decreto coesione: cosa prevede la legge

Allegati

demansionamento

Demansionamento: cos’è e cosa comporta Demansionamento: significato, normativa, conseguenze e tutela del lavoratore

Cosa si intende per demansionamento

Il demansionamento rappresenta una delle problematiche più delicate nel rapporto di lavoro subordinato, poiché incide direttamente sulla posizione professionale, sulla dignità e sulla crescita del lavoratore. Esso si verifica quando un dipendente viene assegnato a mansioni inferiori rispetto a quelle per cui è stato assunto o che ha successivamente acquisito. In taluni casi, può costituire un comportamento illegittimo del datore di lavoro e dar luogo a responsabilità risarcitoria.

In ambito giuslavoristico, il demansionamento è definito, nello specifico, come il mutamento unilaterale in pejus delle mansioni affidate al lavoratore, ovvero l’assegnazione a compiti di contenuto professionale inferiore, che comportano una regressione nella carriera, nella professionalità o nel prestigio acquisito.

Il concetto si differenzia dal legittimo esercizio dello jus variandi, ovvero il potere del datore di lavoro di modificare le mansioni del dipendente nell’ambito della categoria o dell’inquadramento previsto dal contratto collettivo o individuale.

L’art. 2103 del codice civile

La disciplina del demansionamento trova la sua fonte principale nell’articolo 2103 del codice civile, così come riformulato dal decreto legislativo n. 81/2015, attuativo del Jobs Act.

Il testo dell’art. 2103 c.c. prevede:

  • Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, o a quelle corrispondenti alla categoria legale o al livello di inquadramento.
  • È possibile il cambio di mansioni, anche inferiori, solo nei seguenti casi:
    • In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incida sulla posizione del lavoratore;
    • In caso di accordo individuale stipulato in sede protetta (sindacato, DTL, commissioni di certificazione);
    • In caso di inidoneità fisica o psichica, accertata dal medico competente, che impedisca lo svolgimento delle mansioni originarie.

Quando il demansionamento è illegittimo

Il demansionamento è illecito quando:

  • non è giustificato da alcuna delle ipotesi previste dalla legge;
  • viene attuato in modo arbitrario o punitivo;
  • determina un svuotamento delle mansioni o una loro sostanziale dequalificazione;
  • avviene senza alcun confronto o accordo con il lavoratore nelle sedi protette previste dalla normativa.

La giurisprudenza ha chiarito che non basta un mero cambiamento di attività: è necessario valutare il contenuto qualitativo e quantitativo delle mansioni, l’autonomia decisionale, il livello di responsabilità e l’impatto sulla professionalità acquisita. È ritenuto illegittimo anche il cosiddetto demansionamento per inerzia, che si verifica quando al dipendente non vengono più affidate mansioni significative o viene lasciato inattivo per periodi prolungati.

Risarcimento danno da demansionamento

L’illegittimo demansionamento può comportare un danno risarcibile, che può assumere diverse forme:

1. Danno patrimoniale, riconducibile alla perdita di:

  • opportunità professionali o economiche;
  • premi, indennità o benefit legati alle mansioni precedenti.

2. Danno non patrimoniale

  • per il danno alla dignità, all’immagine professionale e alla salute psicofisica del lavoratore;
  • per la lesione della personalità giuridica e della vita relazionale.

Il lavoratore ha diritto a chiedere:

  • Il risarcimento del danno subito;
  • Il ripristino delle mansioni originarie;
  • In alcuni casi, la risoluzione del rapporto con indennità sostitutiva (art. 2119 c.c. per giusta causa).

Per ottenere il risarcimento, il lavoratore deve fornire prova del danno subito, anche mediante presunzioni o prove documentali, come perizie mediche, relazioni psicologiche o testimonianze.

Come tutelarsi in caso di demansionamento

Chi ritiene di essere stato demansionato può:

  • rivolgersi a un legale esperto in diritto del lavoro;
  • Inviare una diffida al datore di lavoro per contestare formalmente l’assegnazione a mansioni inferiori;
  • promuovere un tentativo di conciliazione in sede sindacale o presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro;
  • come ultima ratio agire in giudizio per ottenere la tutela dei propri diritti.

Giurisprudenza della Cassazione

Cassazione n. 27867/2024: il diritto al risarcimento per danno professionale, biologico o esistenziale non sorge automaticamente con l’inadempimento del datore di lavoro. È indispensabile che il lavoratore, fin dall’inizio della causa, specifichi e dimostri l’esistenza di un danno concreto e oggettivamente verificabile al proprio modo di lavorare, che abbia modificato le sue abitudini e relazioni, portandolo a scelte di vita diverse per la sua realizzazione personale. Non basta quindi provare la sola possibilità che la condotta del datore di lavoro abbia causato un danno; il lavoratore ha l’onere di provare sia il demansionamento subito sia il danno non patrimoniale e il legame di causa tra questo e l’inadempimento del datore di lavoro, come stabilito dall’articolo 2697 del Codice Civile.

Cassazione n. 6257/2024: il danno da demansionamento non richiede una prova specifica predeterminata, potendo essere accertato attraverso ogni mezzo probatorio ammesso dalla legge. In particolare, elementi come il livello e il volume dell’attività lavorativa svolta, la natura delle competenze professionali coinvolte, la durata dell’assegnazione a compiti di produzione rispetto alle precedenti mansioni impiegatizie, il nuovo ruolo lavorativo conseguito dopo eventuali corsi di formazione, e le richieste avanzate ai superiori per un incarico più adeguato, possono costituire indizi significativi per presumere l’esistenza e l’entità del danno subito dal lavoratore a causa della dequalificazione professionale.

 

Leggi anche: Danno da demansionamento: l’aggiornamento tecnologico incide

somministrazione di lavoro

Somministrazione di lavoro Somministrazione di lavoro: cos’è, normativa, tipologie contrattuali, principali novità 2025, quando la somministrazione è irregolare

Cos’è la somministrazione di lavoro

La somministrazione di lavoro è una forma contrattuale regolata dal diritto del lavoro italiano che consente a un soggetto (agenzia per il lavoro) di assumere un lavoratore per poi “somministrarlo” a un’altra azienda. Questo modello è utilizzato per garantire flessibilità alle imprese e tutele ai lavoratori. La somministrazione di lavoro configura quindi un rapporto triangolare tra:

  • agenzia per il lavoro (somministratore), che assume il lavoratore;
  • lavoratore somministrato, assunto dall’agenzia;
  • impresa utilizzatrice, che ne utilizza le prestazioni lavorative.

L’impresa utilizzatrice non è il datore di lavoro in senso giuridico, ma esercita il potere direttivo e di controllo durante la prestazione.

Normativa di riferimento

Il contratto di somministrazione è regolato principalmente da:

  • Decreto legislativo  n. 81/2015, articoli 30-40;
  • Decreto legislativo n. 276/2003, per alcuni profili ancora vigenti;
  • Direttiva 2008/104/CE sul lavoro tramite agenzia interinale.

Le agenzie autorizzate devono essere iscritte nell’apposito albo dell’ANPAL e possono operare solo se accreditate.

Tipologie di contratto di somministrazione

Il contratto di somministrazione può essere:

1. A tempo determinato

È la forma più diffusa e ha una durata massima di 24 mesi presso lo stesso utilizzatore.

2. A tempo indeterminato (staff leasing)

Il lavoratore è assunto a tempo indeterminato dall’agenzia e messo a disposizione dell’utilizzatore per periodi anche lunghi, superiori ai 24 mesi. Questa forma è ammessa solo nei casi espressamente previsti dalla legge o dai contratti collettivi.

Somministrazione di lavoro: forma contratto

Il contratto di somministrazione deve essere:

  • stipulato per iscritto a pena di nullità;
  • deve contenere elementi essenziali come: identità delle parti, la durata, l’attività richiesta, la sede di lavoro, il livello contrattuale.

Anche il contratto di lavoro tra agenzia e lavoratore deve essere scritto e deve contenere:

  • le condizioni economiche e normative del rapporto di lavoro;
  • la previsione del diritto alla parità di trattamento del lavoratore in somministrazione rispetto agli altri dipendenti;
  • eventuali benefit (es. buoni pasto, premi aziendali).

Parità di trattamento e tutele del lavoratore

Il lavoratore in somministrazione, proprio in virtù del diritto alla parità di trattamnento, ha diritto alle medesime condizioni economiche e normative previste per i dipendenti diretti dell’impresa utilizzatrice (inclusi ferie, malattia, permessi, sicurezza sul lavoro, accesso alla mensa, ecc.).

Ha inoltre diritto alla:

  • formazione professionale da parte dell’agenzia;
  • indennità mensile di disponibilità (se a tempo indeterminato e non assegnato a missione);
  • copertura assicurativa INAIL e previdenziale INPS.

Somministrazione di lavoro: novità 2025 

Nel 2025 sono state apportate modifiche significative al contratto di somministrazione di lavoro ad opera del Decreto Lavoro 2024 (attuativo del PNRR), in particolare:

  • l’utilizzo di lavoratori somministrati a tempo indeterminato è contingentato: non possono superare il 20% dei dipendenti a tempo indeterminato dell’azienda utilizzatrice. Tuttavia, questa limitazione non si applica a categorie specifiche come i lavoratori in mobilità, i disoccupati da almeno sei mesi con sostegno al reddito e i lavoratori svantaggiati;
  • è stata eliminata la possibilità di impiegare lo stesso lavoratore somministrato a tempo determinato per periodi superiori a 24 mesi senza l’effetto di l’instaurare un contratto a tempo indeterminato con l’azienda utilizzatrice;
  • per i contratti a tempo determinato, inclusi quelli in somministrazione, è previsto un limite numerico complessivo: non possono eccedere il 30% dei lavoratori a tempo indeterminato dell’utilizzatore. Anche in questo caso, sono esenti da tale limite i lavoratori somministrati a tempo indeterminato, i disoccupati di lunga durata con ammortizzatori sociali e i lavoratori svantaggiati.

Somministrazione irregolare 

Se il contratto di somministrazione viene stipulato senza rispettare le condizioni previste dagli artt. 31, commi 1 e 2, 32 e 33, comma 1, lettere a), b), c) e d), del decreto legislativo n. 81/2021, la somministrazione risulta irregolare (art. 38 d.lgs. 81/2015). In questo caso, il lavoratore può chiedere la constitutio ex tunc del rapporto con l’utilizzatore, con assunzione diretta.

Leggi anche: Collegato Lavoro: cosa prevede

dimissioni di fatto

Dimissioni di fatto: il nuovo modello di comunicazione L'Ispettorato Nazionale del Lavoro aggiorna il modello di comunicazione per le dimissioni di fatto alla luce delle recenti novità normative

Modello dimissioni di fatto

Dimissioni di fatto: l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha pubblicato un aggiornamento del modello di comunicazione previsto dall’art. 26, comma 7-bis, del d.lgs. n. 151/2015, così come modificato dalla legge n. 203/2024, introdotta all’art. 19. Il nuovo schema di comunicazione, redatto in forma di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, consente al datore di lavoro di avviare la procedura per le dimissioni di fatto (o per fatti concludenti) del lavoratore in caso di assenza ingiustificata protratta.

L’aggiornamento è stato comunicato con la nota INL n. 3984/2025, che recepisce le indicazioni fornite dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con la circolare n. 6 del 27 marzo 2025, e fa seguito alle precedenti note INL prot. n. 9740 del 30 dicembre 2024 e n. 579 del 22 gennaio 2025.

Le principali novità del modello 2025

Il nuovo modello, che i datori di lavoro devono trasmettere all’Ispettorato territoriale competente, introduce le seguenti modifiche operative:

  • Obbligo di notifica al lavoratore anche mediante raccomandata con ricevuta di ritorno, al fine di garantire la conoscenza dell’avvio della procedura;

  • Ampliamento dei dati richiesti relativi sia al datore di lavoro che al lavoratore, incluso l’eventuale indirizzo PEC del dipendente;

  • Specificazione della tipologia contrattuale, distinguendo tra rapporto a tempo determinato o indeterminato;

  • Dichiarazione dei giorni di assenza ingiustificata, con riferimento all’art. 47 del d.P.R. n. 445/2000;

  • Aggiornamento dell’informativa privacy, con indicazione del trattamento dei dati personali da parte dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

Finalità del nuovo modello

L’obiettivo della nuova modulistica è quello di formalizzare, con maggiore certezza giuridica, i casi in cui il lavoratore abbandona il posto di lavoro senza fornire giustificazione, agevolando così la cessazione del rapporto lavorativo nei casi in cui non siano presenti dimissioni esplicite ma si configuri un comportamento concludente.

Straining

Straining: la guida Straining: cos’è, differenze con il mobbing, tutele legali e risarcimento del danno

Cos’è lo straining

Lo straining è una forma di disagio lavorativo che si verifica quando il dipendente è esposto a condotte ostili isolate, ma permanenti nei loro effetti, in grado di compromettere la sua serenità psicofisica e professionale. Pur non essendo regolato da una norma specifica, lo straining è riconosciuto e tutelato dalla giurisprudenza italiana, che lo assimila, sotto alcuni profili, al mobbing.

Il termine “straining” deriva dall’inglese to strain (tendere, mettere sotto pressione) e si riferisce a una situazione di stress occupazionale forzato determinata da un singolo evento ostile o da pochi episodi non reiterati, ma capaci di produrre conseguenze durature nel tempo.

Caratteristiche principali:

  • azioni unilaterali del datore di lavoro o dei colleghi;
  • assenza della reiterazione tipica del mobbing;
  • esposizione del lavoratore a una condizione lavorativa deteriorata in modo continuativo;
  • impotenza relazionale e isolamento.

Esempi comuni di straining:

  • trasferimento immotivato o punitivo;
  • esclusione da riunioni o comunicazioni aziendali;
  • dequalificazione improvvisa e ingiustificata;
  • modifica unilaterale delle mansioni in senso peggiorativo.

Differenze tra straining e mobbing

Caratteristica Mobbing Straining
Frequenza delle condotte Reiterate e sistematiche Isolate ma con effetti duraturi
Durata Prolungata nel tempo Può essere anche un singolo episodio
Obiettivo persecutorio Esplicito e intenzionale Anche non intenzionale
Gravità delle conseguenze Spesso maggiore Reale ma meno intensa

Cosa dice la Cassazione  

Cassazione n. 123/2025: Anche in assenza di “mobbing” vero e proprio (cioè senza un intento persecutorio unitario), il datore di lavoro può essere ritenuto responsabile per danni alla salute del dipendente ai sensi dell’articolo 2087 del codice civile. Questa responsabilità scatta quando il datore di lavoro, anche per negligenza, permette il persistere di un ambiente di lavoro stressante che danneggia la salute dei lavoratori. Inoltre, il datore è responsabile se adotta comportamenti che, pur non essendo di per sé illegittimi, possono causare disagio o stress e che, isolatamente o insieme ad altre inadempienze, peggiorano gli effetti dannosi per la salute e la personalità del lavoratore. La Cassazione (sentenze citate) sottolinea che un ambiente di lavoro stressogeno è considerato un fatto ingiusto che può portare a riesaminare anche condotte datoriali apparentemente lecite o isolate, poiché la tutela della salute del lavoratore è un diritto fondamentale garantito da una lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 2087 c.c.

Cassazione n. 15957/2024: Il mobbing lavorativo si configura quando si verificano ripetuti comportamenti dannosi all’interno del contesto lavorativo, accompagnati dall’intenzione di perseguitare la vittima, indipendentemente dalla legalità dei singoli atti. Lo straining, invece, si verifica quando un singolo comportamento stressogeno viene attuato consapevolmente nei confronti del dipendente, anche in assenza di una pluralità di azioni vessatorie continuative, mirando a indurre una condizione di stress forzato e prolungato nell’ambiente di lavoro. In sostanza, il mobbing si basa sulla ripetizione di atti persecutori, mentre lo straining si concentra sull’impatto stressante di un singolo atto consapevole.

Cassazione 29101/2023: o “straining” è considerato una forma di mobbing “attenuata” perché non presenta la ripetitività tipica delle azioni vessatorie. Tuttavia, costituisce comunque un’imposizione di stress da parte del superiore attraverso atti ostili mirati a discriminare il lavoratore. L’aspetto fondamentale è che, indipendentemente dall’etichetta (“mobbing” o “straining”), ciò che rileva è che il singolo atto ostile sia di per sé illecito e causi una lesione all’integrità psicofisica e personale del lavoratore.

Cosa dice la legge  

Non esiste una disciplina legislativa specifica sullo straining. Tuttavia, il fenomeno trova tutela nei seguenti strumenti normativi:

  • Art. 2087 c.c.: obbligo del datore di lavoro di garantire l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore;
  • Art. 2043 c.c.: risarcimento del danno ingiusto;
  • Art. 32 Cost.: tutela della salute come diritto fondamentale;
  • Testo Unico Sicurezza (d.lgs. 81/2008): obbligo di valutazione e prevenzione dei rischi psicosociali;
  • Codice Civile e normativa antidiscriminatoria, se lo straining è legato a genere, età, orientamento sessuale, disabilità o appartenenza sindacale.

La giurisprudenza considera quindi il comportamento illecito e lesivo, anche se isolato, rilevante per fondare una richiesta di tutela e risarcimento.

Quando lo straining può costituire reato

Sebbene lo straining, come il mobbing, non configuri un reato autonomo, alcune condotte possono assumere rilevanza penale:

  • lesioni personali (art. 582 c.p.), se ne deriva un danno psico-fisico accertato;
  • atti persecutori (art. 612-bis c.p.), se si riscontra una condotta molesta o intimidatoria;
  • abuso d’ufficio, nei confronti di lavoratori della pubblica amministrazione.

Risarcimento del danno da straining

Il lavoratore vittima di straining ha diritto a un risarcimento integrale del danno subito, purché provi:

  • la condotta illecita posta in essere (anche isolata);
  • il nesso causale con il danno psicofisico o professionale;
  • l’entità del danno, anche tramite certificazione medica o relazioni psicologiche.

La giurisprudenza riconosce il danno da straining come:

  • danno biologico (patologie psichiche o fisiche);
  • danno morale (sofferenza soggettiva);
  • danno esistenziale (limitazione della sfera personale e sociale);
  • danno patrimoniale (perdita economica o dequalificazione).

Cassazione n. 33428/2022: l’ambiente di lavoro stressogeno costituisce un fatto ingiunto e illecito e come tale deve essere sempre preso in considerazione ai fini del risarcimento del danno del lavoratore, anche manca la reiterazione.

Tutele del lavoratore vittima di straining

Le azioni da intraprendere in caso di straining includono:

  1. raccolta accurata di documenti in grado di provare le condotte (email, provvedimenti, testimonianze);
  2. visita presso il medico competente aziendale o il medico di base;
  3. segnalazione all’Ispettorato del lavoro o al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS);
  4. assistenza legale da parte di un avvocato giuslavorista per agire in sede civile o penale;
  5. supporto da parte del sindacato o di associazioni specializzate nella tutela del benessere lavorativo.