licenziamento vigile in mutande

Torna al lavoro il vigile in mutande! Licenziamento illegittimo: la Cassazione conferma la sentenza della Corte d’Appello in favore del vigile beccato a timbrare il cartellino in mutande

Illegittimo il licenziamento del vigile in mutande

Illegittimo il licenziamento del vigile sorpreso a timbrare il cartellino in mutande. Lo ha confermato la sentenza della Corte di Cassazione n. 20109-2024.

La “truffa del cartellino”

Confermata quindi la revoca del licenziamento, la reintegra nel posto di lavoro e il risarcimento del danno. Si conclude così la vicenda del vigile diventato protagonista, insieme ad altri furbetti, della nota vicenda della “truffa del cartellino”.

Sottoposto a procedimento penale e disciplinare il vigile era stato infine licenziato. In sede d’appello però il licenziamento era stato dichiarato illegittimo e al dipendente comunale era stato riconosciuto un risarcimento superiore a 230.000 euro e la reintegra nel posto di lavoro. Dopo la sentenza della Cassazione i legali dichiarano che agiranno per ottenere somme ulteriori per le ferie non godute, oltre alla rivalutazione e agli interessi.

Licenziamento per giusta causa

La vicenda portata all’attenzione degli Ermellini si apre quando la Corte di Appello, accogliendo il reclamo del vigile urbano, annulla il licenziamento disciplinare e il provvedimento che lo ha confermato, condannando il Comune di Sanremo, nella veste di datore di lavoro, a risarcirgli i danni pari alla retribuzione dovuta dal giorno del licenziamento a quello della reintegra nel posto di lavoro.

Il licenziamento per giusta causa è conseguito a un procedimento penale intrapreso nei confronti del vigile, accusato di essersi allontanato dal posto di lavoro senza timbrare il badge in uscita, di avere timbrato anche per i colleghi e di non avere timbrato in diverse occasioni, dichiarando orari di servizio falsi.

Per la Corte di Appello, in relazione alla timbratura in abiti succinti (ossia in mutande come risultato dalle riprese delle telecamere) e alla timbratura effettuata da terzi, il Comune non è stato in grado di dimostrare compiutamente la rilevanza disciplinare di queste condotte.

La Corte di Appello ha quindi  accolto il reclamo del vigile perché ha ritenuto vincolante il giudicato penale, che ha escluso la rilevanza penale degli episodi attribuiti al vigile.

Cassazione: confermato il licenziamento illegittimo

Il Comune di Sanremo nella sua qualità di datore di lavoro non accetta la decisione e ricorre in Cassazione, affidandosi a tre motivi di doglianza.

La Cassazione però respinge il ricorso, dichiarando infondati il primo e il secondo motivo di impugnazione e inammissibile il terzo.

Per gli Ermellini l’articolo 653 c.p.p. che regola l’efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio disciplinare, non comporta automaticamente l’insussistenza dell’illecito disciplinare in presenza di un’assoluzione in sede penale.

Il giudicato penale di assoluzione da un reato non comporta in automatico l’archiviazione del procedimento disciplinare. Anche quando l’assoluzione viene pronunciata con la formula “perché il fatto non sussiste” non significa che la pubblica amministrazione, nella sua qualità di datore di lavoro, non possa procedere in sede disciplinare.

Nel caso di specie però la Corte di merito ha sancito l’illegittimità della sanzione espulsiva del dipendente in maniera corretta. La sentenza penale di assoluzione adottata con la formula “perché il fatto non sussiste” non consentiva infatti di ritenere le condotte del vigile autonomamente rilevanti dal punto di vista disciplinare. Il giudicato penale ha coperto quindi l’elemento oggettivo e quello soggettivo, anche sotto il profilo disciplinare.

Queste le ragioni per le quali la Cassazione è arrivata a confermare la decisione della Corte d’appello sull’illegittimità del licenziamento irrogato al vigile.

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patente a crediti decreto

Patente a crediti: pronto il decreto attuativo Il Ministero del Lavoro ha annunciato che il decreto attuativo sulla patente a crediti per gli infortuni sul lavoro è in arrivo, pronta la bozza del testo 

Patente a crediti: decreto attuativo in arrivo

Il decreto attuativo della patente a crediti, come previsto dalla legge n. 56/2024, è ormai pronto. Lo ha annunciato il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali con un comunicato pubblicato sul sito il 23 luglio 2024.

Il testo, in versione bozza, presentato alle parti sociali in un incontro del 10 luglio 2024, ha preso in considerazione le osservazioni delle varie associazioni sindacali e dei datori di lavoro partecipanti al tavolo.

Il decreto contiene le indicazioni necessarie per presentare la domanda, il contenuto della patente, il meccanismo di attribuzione, l’incremento e il recupero dei crediti e il meccanismo di sospensione cautelare previsto quando si verificano gli infortuni sul lavoro più gravi.

Patente a crediti dal 1° ottobre 2024

Il decreto attuativo, dopo che avrà ricevuto la firma del Ministro Marina Calderone, sarà pronto per la partenza, prevista per il 1° ottobre 2024 e consentirà anche di avviare i lavori per la creazione del portale dell’Ispettorato del Lavoro, che gestirà la patente a crediti.

Il meccanismo della patente a crediti, che riguarderà inizialmente il settore edile, sarà estesa probabilmente anche ad altri settori. In attesa della pubblicazione del testo definitivo e ufficiale del decreto, vediamo quali sono le principali novità che emergono dalla bozza.

Destinatari della patente a crediti

La patente “a punti” o “a crediti” riguarda, per il momento, le imprese e i lavoratori autonomi dei cantieri mobili e temporanei, con l’obiettivo di realizzare un “Sistema di Qualificazione” per chi opera nel settore delle costruzioni.

Esclusi dalla misura i soggetti in possesso della attestazione SOA almeno di III categoria e coloro che si limitano a effettuare mere forniture o prestazioni professionali.

Come fare domanda per la patente a crediti

La richiesta per conseguire la patente potrà essere presentata dalle imprese e dai lavoratori autonomi, nelle persone del legale rappresentante o del delegato (professionisti compresi) in modalità telematica dal portale che sarà gestito dall’Ispettorato del lavoro.

Nella fase iniziale il richiedente potrà limitarsi ad auto-certificare il possesso dei requisiti richiesti. Gli operatori stranieri stabiliti in un paese UE diverso dall’Italia devono presentare invece un’autocertificazione che attesta il possesso di un documento equivalente del paese di origine, in mancanza devono fare domanda nelle stesse modalità previste per gli operatori italiani.

Informazioni sul portale INL

Sarà il portale dell’INL a fornire le seguenti informazioni relative alla patente a crediti:

  • dati anagrafici del richiedente e del titolare della patente;
  • numero della patente e data di rilascio;
  • punteggio riconosciuto al momento del rilascio;
  • punteggio aggiornato;
  • provvedimenti di sospensione o decurtazione.

Queste informazioni saranno nella disponibilità del titolare della patente, del committente, delle pubbliche amministrazioni, degli organismi paritetici, del cantiere, di coloro che si occupano della sicurezza nella fase della progettazione e della attuazione e dei rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori.

Crediti base, incremento e decurtazione

Ogni patente non potrà avere più di 100 crediti, così ripartiti:

  • 30 punti sono attribuiti quando viene rilasciata la patente;
  • 30 punti ulteriori come punteggio massimo dipendono dalla storicità dell’operatore economico;
  • 40 punti ulteriori invece, sempre come punteggio massimo, possono essere attribuiti se:
  • vengono effettuati investimenti o percorsi di formazione in materia di prevenzione degli infortuni;
  • vengono adottati sistemi di gestione per la sicurezza sul posto di lavoro;
  • vengono adottati dispositivi di protezione e soluzioni tecnologiche avanzate sulla base di protocolli di intesa o dopo un minimo di due visite del medico competente.

I crediti persi possono essere recuperati attuando uno o più investimenti diretti a prevenire gli infortuni sul lavoro, che devono ricevere il parere positivo di una commissione composta dai rappresentanti dell’Ispettorato del Lavoro e dell’INAIL.

Sospensione in via cautelare della patente

L’Ispettorato del Lavoro può disporre la sospensione della patente a crediti fino a un massimo di 12 mesi se si verifica un infortunio imputabile almeno alla colpa grave del datore di lavoro e da cui sia derivata la morte o l’inabilità temporanea di uno o più lavoratori dipendenti.

Contro il provvedimento di sospensione è possibile fare ricorso (art. 14 comma 14 del decreto legislativo n. 81/2008)

Fusione e incorporazione dell’impresa

L’impresa che dovesse sorgere a seguito di una trasformazione, una fusione o un’incorporazione diventa titolare del punteggio accreditato alla società trasformata o incorporata alla data in cui dette operazioni hanno effetto. In caso di fusione invece, alla nuova società, viene attribuito il punteggio della società che possiede il numero più elevato di crediti.

 

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tregua estiva inps

Tregua estiva INPS Dal 26 luglio al 31 agosto l'INPS concede una tregua estiva a datori di lavoro, autonomi e intermediari sospendendo l'invio di note di rettifica e diffide di adempimento

Inps va in “vacanza”

Tregua estiva INPS per datori di lavoro, aziende, lavoratori autonomi e intermediari. Dal 26 luglio al 31 agosto l’Istituto di previdenza sospenderà l’inoltro di note di rettifica e diffide di adempimento, eccetto i casi prossimi alla prescrizione, e delle richieste di regolarizzazione del DurcOnline, nonchè la trasmissione dei crediti all’agente della riscossione. A renderlo noto è lo stesso istituto in un comunicato stampa diffuso in questi giorni.

Cosa è sospeso

L’Inps sospende le Note di rettifica e le Diffide di adempimento Per agevolare gli adempimenti delle aziende e dei loro intermediari, dal prossimo 26 luglio e fino al 31 agosto 2024 compreso, l’Inps sospenderà, dunque, l’inoltro delle notifiche delle Note di rettifica e delle Diffide di adempimento verso tutti i soggetti contribuenti, salvo i casi in cui sia prossimo il maturare del termine di prescrizione.

Sempre nello stesso periodo saranno sospese anche le elaborazioni delle richieste verso DurcOnLine per la verifica della regolarità contributiva, ai fini della fruizione dei benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale, tramite il sistema di Dichiarazione preventiva di agevolazione (D.P.A.).

Nel medesimo periodo, inoltre, sarà sospesa la trasmissione dei crediti all’Agente della riscossione.

 

Niente indennità di impiego ai dirigenti del NOCS La Consulta conferma che non è incostituzionale la mancata estensione ai dirigenti del NOCS dell'indennità di impiego

Indennità di impiego dirigenti NOCS

Polizia di Stato: non è incostituzionale la mancata estensione ai dirigenti del NOCS dell’indennità di impiego spettante al personale non dirigente. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 134/2024. “La mancata estensione ai dirigenti del Nucleo operativo centrale di sicurezza della Polizia di Stato dell’indennità di impiego istituita, per il personale operativo non dirigente dello stesso reparto, dall’accordo sindacale recepito dal d.P.R. n. 51 del 2009, non contrasta con gli artt. 3 e 36 della Costituzione” ha deciso la Corte dichiarando non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, della legge 30 novembre 2000, n. 356, e, in via subordinata, dell’art. 45, comma 30, del decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95.

La qlc

Le questioni erano state sollevate dal TAR Lazio, che aveva lamentato una irragionevole disparità di trattamento tra i dirigenti del NOCS e le corrispondenti figure apicali del GIS dell’Arma dei carabinieri, cui è riconosciuta un’indennità – quella di incursore – volta a compensare gli specifici rischi connessi all’impiego operativo, nonché tra il personale non dirigenziale del NOCS e i dirigenti dello stesso nucleo, oltre che la lesione, ai danni di questi ultimi, del principio della proporzionalità della retribuzione alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, di cui all’art. 36 Cost.

Dirigenti NOCS e GIS: nessuna discriminazione

La Corte ha escluso anzitutto la discriminazione tra i dirigenti del NOCS e quelli del GIS, evidenziando come le posizioni a raffronto risultino eterogenee. Infatti, il GIS, oltre ad operare come unità speciale di polizia, sotto la direzione del Ministero dell’interno, per far fronte ad esigenze di sicurezza nazionale, agisce anche quale forza speciale appartenente al Comando interforze per le operazioni delle Forze speciali (COFS) e svolge interventi anche all’estero. “Ed è in forza di tale duplice ruolo che il GIS, a differenza del NOCS, è qualificato come reparto incursore (e percepisce la relativa indennità), tanto che ai suoi componenti, ufficiali e sottufficiali, è richiesto il conseguimento dello speciale brevetto militare di incursore, il cui possesso non è, invece, prescritto per gli appartenenti all’omologo nucleo operativo della Polizia di Stato” ha affermato il giudice delle leggi.

A giudizio della Corte, “una disparità di trattamento non sussiste neppure tra i dirigenti del NOCS e gli appartenenti allo stesso reparto privi di qualifica dirigenziale, non essendo tali categorie professionali comparabili per via della eterogeneità dei rispettivi status giuridico ed economico”.

La Corte ha osservato, tra l’altro, che la scelta legislativa di non estendere l’indennità per i poliziotti in possesso della qualifica di operatore NOCS ai dirigenti del medesimo reparto riguarda la disciplina, non ancora contrattualizzata, dei dirigenti delle Forze di polizia, mentre l’indennità di cui si tratta è stata riconosciuta ai poliziotti in possesso della qualifica di operatore NOCS in sede sindacale.

La soluzione adottata dal legislatore non impedisce – precisa la Corte – una volta che l’area negoziale istituita, anche per i dirigenti delle Forze di polizia ad ordinamento civile, dall’art. 46 del d.lgs. n. 95 del 2017, trovi attuazione, che il riallineamento retributivo auspicato dal rimettente possa essere raggiunto, attraverso le apposite procedure negoziali.

Indennità di impiego trattamento economico accessorio

La sentenza ha, altresì, chiarito che gli operatori del NOCS conservano comunque l’indennità di impiego dopo il conseguimento della qualifica dirigenziale, anche se il relativo ammontare non viene adeguato alla nuova posizione apicale.

È stata, infine, esclusa anche la violazione dell’art. 36 Cost., sul rilievo che l’indennità di impiego costituisce soltanto una parte del trattamento economico accessorio spettante al personale in servizio presso il NOCS, mentre la verifica della proporzionalità della retribuzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato deve investire, come più volte chiarito dalla Corte, il trattamento economico del lavoratore nel suo complesso e non i singoli elementi che lo compongono, né le sole prestazioni accessorie.

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jobs act intervento consulta

Jobs Act: nuovo intervento della Consulta La Corte Costituzionale amplia la nuova tutela reintegratoria attenuata ritenendola applicabile anche al licenziamento per giustificato motivo oggettivo e a quello disciplinare

Jobs Act: tutela reintegratoria attenuata

Sul Jobs Act si registra un nuovo intervento della Consulta con due sentenze depositate in data odierna. “La tutela reintegratoria attenuta si applica anche al licenziamento per giustificato motivo oggettivo in caso di insussistenza del fatto materiale ed al licenziamento disciplinare intimato per un fatto punito dalla contrattazione collettiva solo con una sanzione conservativa”.

La sentenza n. 128/2024

Così, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 128-2024 di oggi, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. 4 marzo 2015 n. 23, nella parte in cui non prevede che la tutela reintegratoria attenuata si applichi anche nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa il ricollocamento del lavoratore (c.d. repêchage).

La sentenza n. 129/2024

Riguardo alla stessa disposizione, il giudice della leggi (con sentenza n. 129-2024) ha ritenuto non fondata la questione, sollevata in riferimento ad un licenziamento disciplinare basato su un fatto contestato per il quale la contrattazione collettiva prevedeva una sanzione conservativa, a condizione che se ne dia un’interpretazione adeguatrice. Ossia “deve ammettersi la tutela reintegratoria attenuata nelle particolari ipotesi in cui la regolamentazione pattizia preveda che specifiche inadempienze del lavoratore, pur disciplinarmente rilevanti, siano passibili solo di sanzioni conservative”.

La qlc

Quanto alla prima pronuncia, la Sezione lavoro del Tribunale di Ravenna aveva censurato, sotto diversi profili, la disciplina dettata dal d.lgs. n. 23 del 2015 per il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo nella parte in cui esclude la tutela reintegratoria nell’ipotesi in cui il giudice accerti l’insussistenza del fatto, a differenza di quanto previsto per il licenziamento disciplinare fondato su di un fatto contestato insussistente.

La Corte ha accolto le questioni sollevate in riferimento ai parametri di cui agli artt. 3, 4 e 35 Cost. rilevando che, seppure la ragione d’impresa posta a fondamento del giustificato motivo oggettivo di licenziamento non risulti sindacabile nel merito, il principio della necessaria causalità del recesso datoriale esige che il “fatto materiale” allegato dal datore di lavoro sia “sussistente”, sicché la radicale irrilevanza dell’insussistenza del fatto materiale prevista dalla norma censurata determina un difetto di sistematicità che rende irragionevole la differenziazione rispetto alla parallela ipotesi del licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo soggettivo.

Discrezionalità del legislatore limitata

La discrezionalità del legislatore nell’individuare le conseguenze dell’illegittimità del licenziamento non si estende, infatti, fino a consentire di rimettere questa alternativa ad una scelta del datore di lavoro che, intimando un licenziamento fondato su un “fatto insussistente”, lo qualifichi come licenziamento per giustificato motivo oggettivo piuttosto che come licenziamento disciplinare.

Precisa, infine, la Corte che il vizio di illegittimità costituzionale, invece, non si riproduce qualora il fatto materiale, allegato come ragione d’impresa, sussiste sì, ma non giustifica il licenziamento perché risulta che il lavoratore potrebbe essere utilmente ricollocato in azienda. Ne consegue che la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata deve tener fuori la possibilità di ricollocamento del lavoratore licenziato per ragioni di impresa, non diversamente da come la valutazione di proporzionalità del licenziamento alla colpa del lavoratore è stata tenuta fuori dal licenziamento disciplinare fondato su un fatto insussistente.

Quindi, la violazione dell’obbligo di repêchage attiverà la tutela indennitaria di cui al comma 1 dell’art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015.

Mancato riconoscimento tutela reintegratoria

Quanto alla seconda sentenza, la Sezione lavoro del Tribunale di Catania aveva censurato il mancato riconoscimento ad opera della stessa norma della tutela reintegratoria quando, per l’inadempienza del lavoratore contestata dal datore di lavoro, che si riveli “sussistente”, sia la stessa contrattazione collettiva a prevedere una sanzione conservativa. La Corte, pur ritenendo complessivamente infondate le questioni sollevate in riferimento a plurimi parametri, ha fornito una interpretazione adeguatrice della disposizione censurata orientata alla conformità all’art. 39 Cost.

Premesso che la natura “disciplinare” del recesso datoriale comporta l’applicabilità del canone generale della proporzionalità, secondo cui l’inadempimento del lavoratore deve essere caratterizzato da una gravità tale da compromettere definitivamente la fiducia necessaria ai fini della conservazione del rapporto, la Corte ha ribadito la valutazione di adeguatezza e sufficiente dissuasività dell’apparato complessivo di tutela nei confronti del licenziamento illegittimo contenuto nel d.lgs. n. 23 del 2015, come novellato dal d.l. n. 87 del 2018 ed emendato dalle sue precedenti pronunce, anche in riferimento alle ipotesi in cui il licenziamento disciplinare risulti “sproporzionato” rispetto alla condotta e alla colpa del lavoratore per le quali è prevista la tutela indennitaria. Quanto, però, alla prospettata violazione dell’art. 39, la Corte ha affermato che la disposizione censurata deve essere letta nel senso che il riferimento alla proporzionalità del licenziamento ha sì una portata ampia, tale da comprendere le ipotesi in cui la contrattazione collettiva vi faccia riferimento come clausola generale ed elastica, ma non concerne anche le ipotesi in cui il fatto contestato sia in radice inidoneo, per espressa pattuizione contrattuale, a giustificare il licenziamento, le quali vanno invece equiparate a quelle dell’«insussistenza del fatto materiale».

La mancata previsione della reintegra quando il fatto contestato sia punito con una sanzione solo conservativa dalla contrattazione collettiva andrebbe ad incrinare il tradizionale ruolo di quest’ultima nella disciplina del rapporto. In conclusione, all’esito di queste due pronunce, vi è simmetria tra licenziamento disciplinare e licenziamento per ragione di impresa, tracciata dalla Corte sulla linea del “fatto materiale insussistente”.

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lavoratori cassa integrazione caldo

Lavoratori in cassa integrazione se fa troppo caldo La legge di conversione del decreto agricoltura, in vigore dal 14 luglio 2024, prevede la CIGO in caso di temperature elevate

Legge conversione decreto agricoltura 2024 in vigore

Lavoratori in cassa integrazione se le temperature sono troppo elevate. E’ una delle novità del ddl di conversione del decreto legge n. 63/2024, contenente le disposizioni urgenti per le imprese agricole della pesca, dell’acquacoltura e di quelle che rivestono un interesse strategico a livello nazionale, che ha ricevuto il via libera definitivo della Camera l’11 luglio 2024, dopo l’approvazione della fiducia al Governo con 181 voti a favore e 111 contrari.

Il provvedimento vieta l’installazione dei pannelli fotovoltaici in alcune aree agricole, prevede disposizioni sull’amministrazione straordinaria di Ilva S.p.a. e incrementa le risorse per sostenere i settori produttivi e le aree in maggiore difficoltà.

La nuova legge-101-2024 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 13 luglio ed è in vigore dal 14 luglio 2024.

Vediamo le novità di maggiore rilievo.

Ammortizzatori sociali per le temperature elevate

Il testo prevede la possibilità di ricorrere agli ammortizzatori sociali in caso di sospensione o interruzione del lavoro a causa di situazioni climatiche eccezionali come quelle collegate alle ondate di calore.

La disposizione, frutto di un emendamento approvato dalla Commissione industria del Senato nel corso della seduta dell’1 luglio 2024 riconosce ai datori di lavoro, in presenza di un’emergenza climatica, di poter accedere alla cassa integrazione ad ore fino alla fine del mese di dicembre 2024, in deroga ai limiti di durata massima previsti dalla normativa.

Della CIGO possono beneficiare gli operai agricoli che subiscono una riduzione dell’attività lavorativa pari alla metà dell’orario giornaliero previsto contrattualmente nel periodo compreso tra la data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto n. 63/2024 e il 31 dicembre del 2024. I benefici tuttavia potranno essere riconosciuti nel limite di spesa di 2 milioni per il 2024 e saranno concessi dall’INPS territorialmente competente.

Le altre misure per il lavoro

Previsti interventi di integrazione salariale di tipo straordinario per le imprese della Basilicata che operano in aree soggette alla crisi industriale.

Per il periodo compreso tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2024 è prevista una riduzione della contribuzione previdenziale pari al 68% a favore delle imprese agricole dell’Emilia-Romagna, delle Marche e della Toscana colpite dalle alluvioni verificatesi dal 1° maggio 2023.

Il contrasto allo sfruttamento del lavoro agricolo si rafforza grazie all’istituzione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali del Sistema informativo per la lotta al caporalato, che si basa sulla condivisione delle informazioni acquisite da parte dell’amministrazioni statali e regionali.

Presso l’INPS viene istituita una banca dati degli appalti in agricoltura per aumentare i controlli nel settore agricolo.

Contributi alle imprese agricole

Per contrastare la crisi economica delle imprese agricole, della pesca e dall’acquacoltura sono previsti diversi interventi:

  • moratoria sui mutui e sui finanziamenti per le imprese interessate dal provvedimento;
  • allargamento delle imprese che potranno accedere ai finanziamenti garantiti dall’ISMEA;
  • più risorse per il Fondo per la sovranità alimentare;
  • 5 milioni di euro saranno destinati alla ristrutturazione delle imprese agricole che coltivano gli olivi, producono olio, coltivano agrumi e producono latte e formaggi di origine ovina e caprina;
  • 32 milioni di euro del fondo per lo sviluppo e il sostegno delle filiere agricole, della pesca e della acquacoltura andranno ai produttori di grano duro, a quelli della filiera cerealicola, alle imprese e ai consorzi della pesca e dell’acquacoltura anche per contrastare la crisi economica derivante dal granchio blu;
  • contributi agli imprenditori agricoli che allevano specie e razze autoctone a rischio di estinzione o che hanno una diffusione limitata;
  • sostegni per le imprese che hanno subito danni alle produzioni di kiwi nel 2023, alle quali sono destinati anche le risorse che vanno incrementare il fondo di solidarietà nazionale;
  • incrementato il fondo mutualistico per la copertura dei danni derivanti dalle catastrofi climatiche;
  • 30 milioni di euro saranno destinati all’imprese agricole danneggiate dal batterio della xylella al fine di reimpiantare e riconvertire le coltivazioni degli olivi;
  • possibilità di accesso al fondo di solidarietà nazionale per le imprese agricole siciliane che hanno subito danni a causa della siccità nel periodo compreso da luglio 2023 a maggio 2024;
  • ristori particolari per il settore agricolo delle regioni colpite dalle frane come l’Emilia, la Toscana e le Marche.

Commissari straordinari

Diverse le nomine e le proroghe degli incarichi affidati ai commissari straordinari. Prevista la nomina di un Commissario straordinario, che resterà in carica fino al 31 dicembre 2026, per adottare misure urgenti per limitare la diffusione del granchio blu.

Prevista anche la nomina di un Commissario straordinario per contrastare la brucellosi e la tubercolosi.

Prorogata la durata dell’incarico del commissario straordinario destinato a risolvere il problema della scarsità idrica.

Le altre misure

Al fine di garantire un miglior controllo della produzione agricola vengono definiti specifici obblighi di comunicazione a carico delle aziende che acquistano e vendono cereali nazionali ed esteri. Vengono rafforzate le sanzioni in caso di violazione delle norme sulla rintracciabilità degli alimenti, sulla commercializzazione dell’olio d’oliva e sul rispetto delle indicazioni geografiche e le denominazioni di origine.

Provvedimenti ulteriori mirano a scoraggiare le pratiche commerciali scorrette all’interno della filiera agricola e alimentare.

Disposte infine misure per il monitoraggio della produzione del latte e dell’acquisto dei prodotti caseari con latte importato da paesi europei e terzi.

licenziamento giustificato motivo soggettivo

Licenziato l’infermiere che indossa gioielli vistosi Per la Cassazione, è legittimo il licenziamento dell'infermiere della RSA che non rispetta il divieto di indossare monili in presenza di pazienti fragili

Licenziamento giustificato motivo soggettivo

E’ legittimo il licenziamento per giustificato motivo soggettivo dell’infermiere che non rispetta il divieto imposto dalla casa di cura di indossare gioielli vistosi in presenza di pazienti fragili. Lo ha statuito la sezione lavoro della Cassazione con ordinanza n. 17267-2024 escludendo il carattere discriminatorio del licenziamento, in quanto trattandosi di condotta che integra una grave negligenza in grado di pregiudicare la stessa immagine della struttura.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d’appello di Roma, in accoglimento del reclamo di una casa di cura, riteneva legittimo il licenziamento per giustificato motivo soggettivo intimato all’infermiere, riformando la sentenza di primo grado che, in esito a rito Fornero, ne aveva accolto l’opposizione ravvisando la natura ritorsiva del licenziamento.

Per la corte di merito, erano fondati gli addebiti disciplinari di reiterata inosservanza delle disposizioni regolamentari di divieto, “per il personale a diretto contatto con i pazienti della R.S.A. quale il lavoratore (passato dalle mansioni di portantino a quelle di operatore sanitario ausiliario), di indossare in servizio monili (vistosa catena a larghe maglie al collo, anelli, un grosso bracciale e un voluminoso orologio tutti di metallo) o acconciature (un lungo pizzetto al mento), in quanto veicoli di contagio per pazienti fragili e immunodeficienti”. Tutti comportamenti adottati “in violazione dell’art. 40 del CCNL applicato, per essere atti di insubordinazione, integranti gravi negligenze in servizio potenzialmente nocive alla salute dei pazienti e idonee a pregiudicare l’immagine della struttura sanitaria”.

L’uomo adiva quindi il Palazzaccio, ma la S.C. gli dà torto su tutta la linea, ritenendo le censure in parte infondate e in parte inammissibili.

I principi di diritto in tema di licenziamento ritorsivo

Preliminarmente, la Cassazione ribadisce “i principi di diritto in tema di licenziamento ritorsivo, secondo cui l’accertamento della sua nullità è subordinata alla verifica che l’intento di vendetta abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di risolvere il rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso, rispetto ai quali va quindi escluso ogni giudizio comparativo (Cass. 7 marzo 2023, n. 6838)”. Il motivo illecito addotto, “ai sensi dell’art. 1345 c.c., deve essere infatti determinante, ossia costituire l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale: con la conseguenza che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore, ai fini all’applicazione della tutela prevista dal testo novellato dell’art. 18, comma 1 legge n. 300/1970, richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del licenziamento”.

Nella specie, il ricorrente ha operato una sostanziale contestazione dell’accertamento in fatto della Corte d’appello, insindacabile in sede di legittimità, in quanto congruamente argomentato.

Idem per la contestazione della valutazione di proporzionalità, basata sulla gravità complessiva di più infrazioni, “insindacabile in sede di legittimità, in quanto implicante un apprezzamento dei fatti spettante al giudice di merito, salve le ipotesi (qui non ricorrenti) di assoluta mancanza della motivazione o della sua affezione da vizi giuridici integranti ipotesi di nullità della sentenza ovvero di omesso esame di un fatto avente valore decisivo”.

La recidiva

La Corte d’appello, invero, secondo gli Ermellini, “ha accertato una ‘persistente volontà di disattendere le prescrizioni aziendali’, non valutando peraltro il primo addebito alla stregua di recidiva, non contestata, in linea con il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, in esito ad un corretto procedimento di sussunzione nelle ipotesi di contrattazione collettiva (art. 40, lett. c, d, i, f, A): in esatta applicazione dei principi di diritto in tema di licenziamento disciplinare, secondo cui, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dall’art. 18, commi 4 e 5 legge n. 300/1970, come novellato dalla legge n. 92/2012, il giudice può sussumere la condotta addebitata al lavoratore, e in concreto accertata giudizialmente, nella previsione contrattuale che, con clausola generale ed elastica, punisca l’illecito con sanzione conservativa, non trasmodando detta operazione di interpretazione e sussunzione nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, ma restando nei limiti dell’attuazione del principio di proporzionalità, come eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo (Cass. 11 aprile 2022, n. 11665; Cass. 28 giugno 2022, n. 20780)”.

Reiterazione della condotta

Inoltre, la corte di merito, conclude la S.C. rigettando il ricorso, “ha correttamente apprezzato la rilevanza della reiterazione della condotta e l’ha valutata, nella complessiva gravità dei fatti del primo addebito, ancorché ‘non … come recidiva, perché non contestata’, in linea con i principi di diritto, secondo cui: a) ai fini disciplinari, la recidiva, per sua stessa natura, presuppone non solo che un fatto illecito sia posto in essere una seconda volta, ma che lo sia stato dopo che la precedente infrazione sia stata (quanto meno) contestata formalmente al medesimo lavoratore; ove tale contestazione per la precedente infrazione sia mancata, e non sia pertanto configurabile la recidiva, la reiterazione del comportamento, che si ha per effetto della mera ripetizione della condotta in sé considerata, non è irrilevante, incidendo comunque sulla gravità del comportamento posto in essere dal lavoratore, che, essendo ripetuto nel tempo, realizza una più intensa violazione degli obblighi del lavoratore e può, pertanto, essere comunque sanzionato in modo più grave (Cass. 20 ottobre 2009, n. 22162); b) la mera reiterazione dell’illecito, pur rilevando ai fini della valutazione della gravità del comportamento tenuto dal lavoratore, non può determinare la pretermissione della graduazione delle condotte di rilievo disciplinare contemplata dai contratti collettivi, di cui il giudice deve tenere conto per disposto normativo (Cass. 12 luglio 2023, n. 19868)”.

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Allegati

licenziamento giustificato motivo oggettivo

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo Presupposti e disciplina del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. L’obbligo di repêchage e la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione

I diversi tipi di licenziamento

La normativa in materia di licenziamenti individuali, in primo luogo individuata dalla legge n. 604 del 1966, prevede che il datore di lavoro possa adottare tale misura in conseguenza della condotta del lavoratore (si tratta delle ipotesi di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo), oppure per ragioni obiettive: in tal caso ricorre il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

In particolare, tale misura può essere adottata dal datore per motivi di carattere economico (ad esempio, a fronte di un periodo di crisi) o per ragioni organizzative che inducano a ridurre il personale o a rinunciare all’attività di determinati settori aziendali.

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Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: i presupposti

In generale, perché il licenziamento per giustificato motivo oggettivo possa essere considerato legittimo, è necessario non solo che ricorrano le ragioni obiettive sopra evidenziate, ma anche che sia verificabile il nesso causale tra esse ed il licenziamento e che l’individuazione del lavoratore da licenziare sia stata effettuata senza discriminazioni o disparità di giudizio da parte del datore.

Inoltre, come costante giurisprudenza insegna, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è da considerarsi legittimamente adottato solo nel caso in cui non sia stato possibile ricorrere al c.d. repêchage. Con tale termine si fa riferimento alla possibilità di mantenere in essere il rapporto di lavoro con il dipendente attraverso la ricollocazione dello stesso in una diversa posizione lavorativa, con contestuale mutamento delle mansioni a cui lo stesso viene adibito.

In altre parole, se nell’ambito dell’organizzazione aziendale è individuabile una posizione lavorativa che può essere ricoperta da quel lavoratore, anche con mansioni diverse ed inferiori rispetto a quelle cui questi era stato adibito in precedenza, il licenziamento non è legittimamente praticabile.

Inoltre, ove praticabile, il licenziamento deve essere preceduto da preavviso scritto e, nelle realtà aziendali più grandi, deve essere oggetto di apposito tentativo di conciliazione, salvo poi poter essere impugnato dal lavoratore davanti al Giudice del lavoro.

Obbligo di repêchage e giurisprudenza della Corte di Cassazione

Sul tema del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, e in particolare sull’obbligo di repêchage, si registra copiosa ed autorevole giurisprudenza di legittimità, tesa soprattutto a definire meglio i contorni della legittimità, o meno, del licenziamento.

Cassazione SS.UU. n. 7755/1998

Al riguardo, una delle pronunce più importanti è sicuramente quella delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 1998, che ha chiarito che il ricollocamento del lavoratore può riguardare anche posizioni relative a mansioni inferiori, poiché in tal caso l’esigenza di evitare il demansionamento del dipendente recede rispetto all’interesse di quest’ultimo alla conservazione del posto di lavoro (Cass., SS.UU., n. 7755/98).

Cassazione n. 2739/2024

Sul punto, è da segnalare un recente arresto della Suprema Corte (Cass., ord.  n. 2739 del 30 gennaio 2024), che, da un lato, si riporta all’orientamento appena evidenziato, per confermare che al dipendente vada prospettata la possibilità di ricollocazione anche in posizioni lavorative caratterizzate da mansioni inferiori a quelle precedentemente ricoperte; dall’altro, sottolinea come l’onere della prova in merito alla possibilità di repêchage (così come in relazione all’esistenza del nesso causale tra ragioni oggettive e licenziamento) incombe sul datore di lavoro.

La pronuncia degli Ermellini, infatti, a questo proposito ha smentito quella della Corte di merito, che aveva fatto riferimento ad un supposto onere del dipendente di indicare a quali posizioni lavorative egli avrebbe astrattamente potuto essere adibito; la Suprema Corte ha evidenziato che il dipendente non ha alcun onere di allegazione al riguardo, e che spetta soltanto al datore di lavoro l’onere di dimostrare – per quanto con prova negativa – che non vi erano posizioni idonee all’operazione di ricollocamento del lavoratore.

Professionisti: super sconto per chi assume In Gazzetta il decreto che prevede una super deduzione del 120% e del 130% del costo del lavoro per imprese e professionisti che assumono con contratto a tempo indeterminato

Super sconto per chi assume a tempo indeterminato

I Ministri dell’Economia e del Lavoro hanno firmato il decreto del 25 giugno 2024, pubblicato sul sito del Ministero dell’Economia, che attua una parte della riforma IRPEF. Il decreto attua in particolare l’articolo 4 del decreto legislativo n. 216 del 30 dicembre 2023 e introduce una “super deduzione” per le nuove assunzioni a tempo indeterminato.

La maggiorazione spetta per le assunzioni di lavoratori con contratto di lavoro a tempo indeterminato qualora il contratto sia in essere a partire dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2023, ossia relativo periodo di imposta 2024, se al termine del 2024 il numero di lavoratori occupati risultano superiori a quelli occupati mediamente nel periodo di imposta precedente.

Il decreto sulla maxideduzione 2024 per le nuove assunzioni è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 154 del 3 luglio 2024.

Determinazione delle nuove assunzioni

Al fine di determinare le nuove assunzioni e calcolare l’incremento occupazionale, non rilevano i lavoratori dipendenti con contratti ceduti dopo trasferimenti di aziende rami di aziende, quelli assunti a tempo indeterminato ma destinati a un’organizzazione stabile localizzata all’estero di un soggetto residente, quelli assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato precedentemente in forza presso una società del gruppo, il cui rapporto di lavoro con questa sia stato interrotto a partire dal 30 dicembre 2023.

Si tiene invece conto, ai fini del calcolo dell’incremento, dei lavoratori dipendenti assunti inizialmente con contratto a tempo determinato convertito in un contratto a tempo indeterminato durante il 2024 e dei soci lavoratori di società cooperative, che sono assimilati ai lavoratori dipendenti. Per quanto riguarda i lavoratori dipendenti con contratto part-time essi rilevano ai fini dell’incremento occupazionale in misura proporzionale alle ore di lavoro prestate rispetto a quelle contemplate dal contratto nazionale di categoria.

Ai fini del calcolo dell’incremento occupazionale rilevano anche per l’impresa che li utilizza i dipendenti con contratto di somministrazione.

Beneficiari dello sconto

Possono beneficiare del bonus le società di capitali e gli enti, gli enti non commerciali, le società e gli enti non residenti, le società di persone e le equiparate, le imprese individuali, gli esercenti arti e professioni, ma alle seguenti condizioni:

  • purché provvedano ad aumentare il numero dei dipendenti a tempo indeterminato rispetto all’anno precedente;
  • purché i nuovi contratti siano a tempo indeterminato e in essere alla fine dell’anno d’imposta.

Sono invece escluse dal beneficio le imprese in liquidazione ordinaria, in concordato preventivo o sottoposte ad altre procedure concorsuali.

Le percentuali della detrazione

Il decreto consente alle imprese di detrarre un importo pari al 120% del costo del lavoro dei nuovi dipendenti assunti a tempo indeterminato.

Per quanto riguarda invece le assunzioni dei soggetti appartenenti alle categorie considerate “fragili”, come le mamme, gli under 30, i percettori di reddito di cittadinanza e le persone con invalidità, la detrazione sale addirittura al 130%. Il beneficio però è valido per le assunzioni che effettuate a decorrere dal 1° gennaio 2024.

Come funziona in concreto la detrazione?

La detrazione viene effettuata in sede di dichiarazione dei redditi. Il costo del lavoro su cui viene calcolata la detrazione è quello sostenuto per gli stipendi e i contributi previdenziali, per il TFR, trattamento di quiescenza e simili e per quei costi che sono strettamente collegati all’assunzione.

esonero contributi reddito cittadinanza

Niente contributi per chi assume beneficiari reddito di cittadinanza L'INPS ha pubblicato le istruzioni per le aziende che intendono fruire dell'esonero contributivo del 100% per l'assunzione di beneficiari del reddito di cittadinanza

Assunzione beneficiari reddito di cittadinanza

Via libera all’esonero contributivo per chi assume i beneficiari del reddito di cittadinanza. L’INPS ha infatti pubblicato le istruzioni per le aziende che intendono fruire dell’agevolazione con la circolare n. 75/2024 del 28 giugno scorso.

Esonero contributi: come funziona

E’ stata la legge di bilancio 2023 a prevedere un esonero del 100% dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro privati che assumono i beneficiari del reddito di cittadinanza.

L’esonero contributivo è riconosciuto – al massimo per 12 mesi e nel limite di 8.000 euro annui – ai datori di lavoro privati che, dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023, assumano i percettori del RdC con contratto a tempo indeterminato o trasformino i contratti da tempo determinato a indeterminato.

L’esonero, spiega l’INPS, non si applica ai rapporti di lavoro domestico.

Le istruzioni INPS

La circolare INPS 28 giugno 2024, n. 75 illustra l’esonero contributivo e fornisce le indicazioni per la gestione degli adempimenti previdenziali.

In particolare, la circolare definisce:

  • i datori di lavoro che possono accedere al beneficio;
  • i rapporti di lavoro incentivati;
  • l’assetto e la misura dell’incentivo;
  • le condizioni di spettanza dell’incentivo;
  • le compatibilità con la normativa in materia di aiuti di Stato;
  • il coordinamento con altri incentivi;
  • le modalità di esposizione dei dati relativi alla fruizione dell’esonero nel flusso UNIEMENS.