sanzione

Avvocati: la malattia non annulla l’illecito ma attenua la sanzione Il CNF stabilisce che le condizioni di salute dell’avvocato non escludono l’illecito deontologico, ma possono ridurre la sanzione disciplinare

Malattia avvocato e responsabilità disciplinare

Sanzione avvocato: il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza n. 487/2024, pubblicata l’8 luglio 2025, ha chiarito un principio fondamentale in tema disciplinare: la malattia dell’incolpato non scrimina l’illecito deontologico, ma può influenzare la misura della sanzione.

Nessuna scriminante per motivi di salute

Il CNF afferma che, anche se le condizioni psicofisiche dell’avvocato possono incidere sul suo comportamento, non escludono la responsabilità disciplinare, in quanto per commettere un illecito è sufficiente la volontarietà dell’azione. La malattia, pertanto, non è una giustificazione che invalidi la procedura disciplinare.

Mitigazione della sanzione: il margine di discrezionalità

Tuttavia, la gravità ridotta per motivi di salute può rappresentare una causa di attenuazione della sanzione. L’Autorità disciplinare, nel valutare il caso, può modulare la pena commisurandola alle condizioni dell’incolpato, riconoscendo il ruolo attenuante della malattia nella valutazione complessiva.

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procura alle liti

Procura alle liti in lingua straniera: valida senza traduzione Le Sezioni Unite civili hanno stabilito che la procura speciale alle liti redatta in lingua straniera è valida anche senza traduzione, poiché l’obbligo dell’italiano riguarda solo gli atti processuali

La procura alle liti in lingua straniera non è nulla

Le Sezioni Unite civili della Cassazione, con la sentenza n. 17876 del 2025, hanno chiarito un principio di grande rilievo per la tutela del diritto di difesa: la procura speciale alle liti redatta in lingua straniera e rilasciata all’estero è pienamente valida, anche se priva di traduzione in italiano e di certificazione traduttiva.

Secondo la Corte, l’obbligo di utilizzare la lingua italiana si applica esclusivamente agli atti processuali in senso stretto e non a quelli prodromici, come la procura con cui si conferiscono i poteri al difensore.

L’ambito di applicazione dell’art. 122 c.p.c.

La Cassazione ha ricordato che l’art. 122, comma 1, c.p.c., impone l’uso della lingua italiana “in tutto il processo”. Tale prescrizione riguarda però solo gli atti che si formano nel processo e per il processo: atti processuali veri e propri, come le comparse, le memorie, i ricorsi e le sentenze.

La procura alle liti, pur strettamente collegata al processo, ha natura meramente strumentale e preparatoria. Per questo motivo, non è soggetta alla regola della redazione obbligatoria in italiano.

La traduzione non è requisito di validità

Imporre la traduzione della procura come condizione di validità integrerebbe un vincolo non previsto dalla legge. La Corte ha evidenziato che un simile obbligo costituirebbe un ostacolo sproporzionato al diritto di azione in giudizio, privo di adeguata giustificazione in termini di interesse pubblico.

In linea con il principio di tassatività delle nullità, sancito dall’art. 156 c.p.c., non è possibile estendere per analogia il requisito della lingua italiana a documenti che non siano atti processuali.

Il ruolo del giudice e l’art. 123 c.p.c.

La Suprema Corte ha chiarito che, se il documento prodotto in giudizio è in lingua straniera, il giudice può applicare l’art. 123 c.p.c.: è dunque sua facoltà, e non un obbligo, disporre la nomina di un traduttore.

Il giudice può decidere di non avvalersi del traduttore se comprende il contenuto dell’atto o se non esistono contestazioni sulla traduzione eventualmente allegata.

Il caso concreto e i principi di diritto affermati

La decisione nasce da un procedimento ereditario in cui una delle parti aveva eccepito la nullità della procura speciale rilasciata negli Stati Uniti e autenticata da un notaio della Florida, proprio per l’assenza della traduzione in italiano.

La Corte di Cassazione ha respinto l’eccezione, stabilendo due principi di diritto fondamentali:

  1. La procura speciale alle liti redatta in lingua straniera e rilasciata all’estero è valida anche senza traduzione né certificazione, perché la disciplina della lingua italiana si riferisce ai soli atti processuali.

  2. Il giudice può eventualmente nominare un traduttore se necessario per comprendere il contenuto dell’atto, ma non è tenuto a farlo in assenza di contestazioni o difficoltà interpretative.

restituzione documenti

Restituzione documenti al cliente: illecito disciplinare anche senza danno Il CNF ha stabilito che la tardiva restituzione degli atti al cliente costituisce illecito disciplinare a prescindere dal danno subito, confermando l’autonomia della responsabilità deontologica

Mancata o tardiva restituzione dei documenti

Restituzione documenti al cliente: il Consiglio Nazionale Forense, con sentenza n. 451/2024 pubblicata il 26 giugno 2025 sul sito del Codice deontologico, ha ribadito un principio chiaro in tema di responsabilità disciplinare dell’avvocato: l’illecito previsto dall’art. 33 Cdf si configura anche quando la riconsegna dei documenti al cliente avviene con colpevole ritardo, indipendentemente dal fatto che ciò abbia prodotto un danno concreto.

La sentenza si inserisce nella giurisprudenza che valorizza la corretta gestione del rapporto fiduciario con l’assistito, ritenuto essenziale per garantire la dignità e il decoro della professione forense.

La norma violata: art. 33 cdf

L’art. 33 del Codice Deontologico impone all’avvocato di restituire al cliente, alla cessazione del mandato, tutta la documentazione ricevuta e quella formata nell’interesse dell’assistito. L’obbligo è di carattere immediato e non può essere subordinato ad altre pretese del professionista, come la liquidazione delle proprie competenze.

Nel caso esaminato dal CNF, l’avvocato aveva riconsegnato la documentazione solo dopo reiterati solleciti e con un ritardo significativo.

L’irrilevanza del danno subito dal cliente

Un aspetto centrale della decisione è l’affermazione che l’illecito disciplinare prescinde dall’accertamento di un pregiudizio effettivo.

Infatti, la circostanza che il cliente non abbia subito alcuna decadenza o preclusione non esclude la violazione del dovere deontologico. La Corte ha osservato che il rapporto fiduciario si fonda anche sulla disponibilità degli atti e sulla correttezza del comportamento professionale, elementi che assumono valore autonomo rispetto all’eventuale danno patrimoniale.

Il principio di diritto affermato

La sentenza ha chiarito in modo inequivoco che: “L’illecito disciplinare di cui all’art. 33 cdf sussiste anche qualora la documentazione sia stata restituita con colpevole ritardo, senza che ciò abbia determinato danni concreti al cliente.”

Questo principio ribadisce l’autonomia della responsabilità deontologica rispetto alla responsabilità civile o agli effetti sul processo.

Le conseguenze disciplinari e il dovere di correttezza

Il CNF ha sottolineato che l’adempimento tempestivo dell’obbligo di restituzione è espressione del dovere di diligenza, correttezza e lealtà, che costituiscono i pilastri dell’attività professionale.

Il mancato rispetto di questi principi è suscettibile di sanzione disciplinare anche in assenza di conseguenze dannose per il cliente, poiché incide sulla fiducia che deve caratterizzare il rapporto tra difensore e assistito.

conflitto di interessi

Conflitto di interessi avvocato: illecito anche se solo potenziale Il CNF chiarisce che l’avvocato commette illecito disciplinare per conflitto di interessi anche se solo potenziale

Il conflitto di interessi come illecito disciplinare

La sentenza n. 443/2024, pubblicata il 29 giugno 2025 sul portale del Codice Deontologico Forense, ha affrontato un tema di grande rilievo in materia di responsabilità disciplinare dell’avvocato: il conflitto di interessi.

Il Consiglio Nazionale Forense ha stabilito che l’illecito sussiste anche in assenza di un danno effettivo e persino quando il conflitto sia solo potenziale, ribadendo la funzione preventiva della norma.

Il fatto oggetto di contestazione

Nel caso deciso, un avvocato era stato deferito per avere assunto l’incarico di assistenza in un procedimento in cui l’altra parte era un soggetto con il quale intratteneva rapporti professionali e personali qualificati, tali da ingenerare il rischio che l’attività difensiva potesse non essere svolta con piena indipendenza.

La difesa del professionista si era concentrata sull’assenza di un concreto pregiudizio per il cliente e sull’impossibilità di dimostrare che i rapporti con la controparte avessero effettivamente influenzato il suo operato.

La decisione del CNF: l’illecito di pericolo

Il Consiglio Nazionale Forense ha respinto questa tesi, chiarendo che la violazione dell’art. 24 del Codice Deontologico Forense si configura come illecito di pericolo, assimilabile – per struttura – a fattispecie proprie del diritto penale in cui il rischio astratto di danno è sufficiente a integrare la condotta vietata.

Come precisa la motivazione, il divieto di operare in conflitto di interessi mira a:

  • Tutela della fiducia del cliente

  • Garanzia dell’indipendenza e imparzialità dell’avvocato

  • Salvaguardia della corretta percezione sociale dell’attività professionale

In questa prospettiva, è sufficiente che l’attività difensiva possa apparire condizionata da interessi contrapposti, a prescindere dal pregiudizio effettivo subito dal cliente.

Il concetto di conflitto anche solo potenziale

Il CNF ha ribadito che l’art. 24 cdf ha una finalità anticipatoria e preventiva, volta a evitare situazioni che possano anche solo far dubitare della correttezza dell’operato del professionista.

Di conseguenza, per l’integrazione dell’illecito disciplinare non è necessario dimostrare:

  • La produzione di un danno concreto

  • L’effettivo condizionamento dell’azione difensiva

Basta che l’avvocato versi in una condizione idonea ad alterare la percezione di terzietà e lealtà richiesta dal ruolo.

separazione carriere giudici

Separazione delle carriere: cosa prevede la riforma Il disegno di legge sulla riforma della Giustizia sulla divisione delle carriere della magistratura requirente e giudicante è in corso di esame al Senato

Separazione delle carriere: ddl all’esame del Senato

Il disegno di legge sulla separazione delle carriere, il 16 gennaio 2025 è stato approvato dalla Camera con 174 voti a favore, 92 contrari e 5 astenuti. Il disegno di legge costituzionale di riforma contiene le “Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare”.

Il testo della riforma della separazione delle carriere, come reso noto dal ministero della Giustizia, il 26 marzo 2025  ha ricevuto il parere non ostativo della Commissione Giustizia del Senato ed è stato trasmesso alla commissione Affari costituzionali, per il prosieguo dell’esame.

L’esame del testo è stato ripreso dal Senato e in Aula proseguono sia l’illustrazione che il voto degli emendamenti presentati.

Il 1° luglio è stato approvato l’articolo che interviene sulla formulazione del comma 10 dell’articolo 87 della Costituzione. La modifica prevede che il Presidente della Repubblica presieda sia il CSM giudicante che requirente, non più l’unico CSM previsto dalla formulazione originaria del comma 10 art. 87 Costituzione. Nella stessa giornata è iniziato anche l’esame dell’articolo 2 che modifica l’art. 102 della Costituzione.

Cosa prevede la riforma

Il testo, composto da otto articoli, interviene infatti sugli articoli 87, 102, 104, 105, 106, 107 e 110 della Costituzione, disponendo la separazione delle carriere dei magistrati, introducendo un sistema di sorteggio per la componente laica del CSM e istituendo l’Alta Corte per giudicare gli errori dei magistrati.

L’approvazione del testo da parte del Senato potrebbe slittare alla seconda settimana di luglio 2025.

Separazione delle carriere

Il primo punto della riforma, che la magistratura non ha accolto con favore, dispone la separazione delle carriere. La modifica prevede che i magistrati requirenti non possano passare al ruolo della magistratura giudicante e viceversa.

Indipendenza della magistratura requirente

La separazione delle carriere mira anche a garantire la piena indipendenza della magistratura requirente da qualsiasi tipo di influenza e di interferenza da parte del Governo e da parte di altri poteri, al pari della magistratura giudicante.

Due CSM

La riforma interviene anche sulla composizione del Consiglio Superiore della Magistratura. Il CSM  verrà diviso in due sezioni, una dedicata ai magistrati requirenti e una ai magistrati giudicanti, presiedute entrambe dal Presidente della Repubblica.

Nomina della componente laica del CSM

La componente laica del CMS, costituita attualmente dai membri eletti dal Parlamento, verrà nominata per sorteggio, sempre con la finalità di garantire la piena indipendenza e imparzialità del Consiglio Superiore della Magistratura.

Istituita l’Alta Corte

Per giudicare gli illeciti disciplinari dei magistrati viene istituita l’Alta Corte, che si va a sostituire in questo modo al Consiglio Superiore della Magistratura.

modello 5

Modello 5 inviato in ritardo: il CNF chiarisce le conseguenze Il CNF chiarisce che l’invio tardivo del Mod. 5 a Cassa Forense non elimina l’illecito deontologico. La sospensione amministrativa non esclude la sanzione disciplinare

L’obbligo di comunicazione del Modello 5 alla Cassa Forense

La sentenza n. 444/2024 del CNF, pubblicata il 23 giugno 2025 sul sito del codice deontologico, affronta un tema di grande rilievo per la professione forense: la mancata o tardiva comunicazione del Modello 5 alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense.

L’adempimento è previsto dall’art. 17, comma 1, della Legge n. 576/1980, che impone agli iscritti l’obbligo di trasmettere annualmente i dati reddituali e contributivi. Il mancato invio determina gravi conseguenze sia sul piano amministrativo sia sul piano deontologico.

La sospensione amministrativa dell’iscritto

Il Consiglio Nazionale Forense ha precisato che l’omesso invio del Mod. 5 comporta l’applicazione della sospensione a tempo indeterminato dall’esercizio professionale, di natura amministrativa e non disciplinare.

In particolare, l’art. 17, comma 5, della Legge n. 576/1980 stabilisce che: “Il Consiglio dell’Ordine dispone la sospensione dell’iscritto sino alla regolarizzazione dell’inadempimento”.

Tale provvedimento non necessita di valutazione discrezionale, essendo conseguenza automatica dell’inadempimento previdenziale.

Modello 5: il rilievo deontologico dell’invio tardivo

La sentenza chiarisce che la regolarizzazione successiva della posizione previdenziale non è sufficiente a escludere la responsabilità disciplinare dell’avvocato.

L’art. 70 del Codice Deontologico Forense attribuisce rilievo autonomo alla violazione degli obblighi contributivi e previdenziali, in quanto espressione del dovere di probità, correttezza e rispetto delle regole della professione.

La condotta integra, quindi, un illecito deontologico distinto rispetto alla sospensione amministrativa.

La ratio della decisione

Secondo il CNF, l’invio tardivo del Mod. 5 determina: la cessazione automatica della sospensione amministrativa con la regolarizzazione ma non elide la violazione deontologica già perfezionata con l’omesso adempimento entro il termine.

In altre parole, la sanzione disciplinare ha finalità diversa e autonoma rispetto alla misura amministrativa di sospensione.

segreto professionale

Avvocati: il segreto professionale blocca la Finanza La Cassazione sancisce l’inutilizzabilità dei dati acquisiti dalla Guardia di Finanza senza autorizzazione specifica dopo l’eccezione del segreto professionale

Con l’ordinanza n. 17228/2025, la Cassazione ha riaffermato il valore inderogabile del segreto professionale dell’avvocato. La Guardia di Finanza, in caso di opposizione al sequestro di documenti coperti da riservatezza, può procedere al loro esame solo se munita di un’autorizzazione specifica rilasciata dal Procuratore della Repubblica o dall’autorità giudiziaria competente. In difetto, i dati raccolti sono inutilizzabili.

Accesso nello studio legale e block notes “secretato”

La vicenda trae origine da un’ispezione fiscale svolta dalle Fiamme Gialle presso lo studio di un avvocato.
Nel corso dell’accesso, i militari avevano individuato un block notes contenente informazioni di rilievo fiscale e contabile. L’avvocato aveva immediatamente eccepito il segreto professionale, opponendosi all’esame e all’acquisizione del documento.

Nonostante l’opposizione, i finanzieri avevano proceduto comunque alla consultazione e al sequestro del block notes, basandosi su un’autorizzazione preventiva e generica rilasciata dal Procuratore della Repubblica.

Perché serve un’autorizzazione specifica

La Cassazione ha chiarito che l’autorizzazione generica non è sufficiente quando viene formalmente eccepito il segreto professionale.
In queste situazioni:

  • La Guardia di Finanza deve sospendere l’attività di acquisizione;
  • Può riprenderla solo dopo aver ottenuto un’autorizzazione “ad hoc” rilasciata successivamente all’opposizione e riferita ai documenti specifici contestati;
  • L’eventuale omissione rende inutilizzabili i dati acquisiti.

Questo principio tutela la riservatezza del rapporto fiduciario tra avvocato e cliente, che rappresenta un presidio essenziale del diritto di difesa.

La decisione della Cassazione

I giudici di legittimità hanno condiviso la conclusione della Commissione tributaria regionale, che aveva dichiarato l’inutilizzabilità delle informazioni tratte dal block notes “secretato”.
In particolare, è stato evidenziato che: “Non è sufficiente l’esistenza di un’autorizzazione preventiva e generica a procedere all’accesso, essendo necessaria un’autorizzazione successiva e specifica rilasciata dall’autorità giudiziaria competente una volta opposto il segreto professionale.”

Di conseguenza, tutti i dati utilizzati dall’amministrazione finanziaria e derivanti da quell’atto di acquisizione sono stati dichiarati privi di efficacia probatoria.

Il principio di diritto affermato

La Corte ha ribadito che la tutela del segreto professionale prevale sulle esigenze istruttorie dell’amministrazione, salvo che non sia rispettata la procedura di autorizzazione prevista dalla legge.

In sintesi:

  • Quando l’avvocato eccepisce il segreto professionale, ogni attività di esame o sequestro deve essere sospesa;
  • La prosecuzione è consentita esclusivamente previa autorizzazione specifica e motivata del Procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria più vicina;
  • In caso contrario, il materiale acquisito è inutilizzabile in sede processuale.

Allegati

avvocato deve privilegiare la verità

L’avvocato deve privilegiare la verità al mandato Il CNF ribadisce che l’avvocato deve privilegiare la verità e la legge anche rinunciando al mandato. I principi deontologici su lealtà e dignità professionale

Il dovere di verità come cardine della funzione difensiva

L’avvocato deve privilegiare la verità al mandato: la sentenza n. 445/2024, pubblicata il 25 giugno 2025 sul sito del Codice Deontologico Forense, interviene su un profilo essenziale della professione: il rapporto tra l’obbligo di lealtà e verità e il mandato difensivo.

La decisione richiama il principio secondo cui l’attività dell’avvocato deve essere improntata al rispetto della verità e della legge, in quanto elementi qualificanti la funzione difensiva e la dignità professionale.

Il prevalente dovere di rispettare la legge e la verità

Il CNF ha precisato che, qualora si crei un conflitto tra il mandato ricevuto e l’osservanza della verità e della legge, l’avvocato è tenuto a privilegiare questi ultimi, anche a costo di rinunciare all’incarico.

Tale orientamento trova fondamento:

  • nell’art. 50 del Codice Deontologico Forense, che disciplina il dovere di verità e correttezza nell’attività professionale;

  • nell’art. 3 della L. n. 247/2012, che impone il rispetto dei principi di lealtà e probità;

  • nell’art. 88 del codice di procedura civile, che richiede alle parti e ai difensori comportamento leale e veritiero nel processo.

La rinuncia al mandato per giusto motivo

La sentenza sottolinea che l’ossequio alla verità rappresenta un dovere di rango superiore, in virtù del quale l’avvocato deve astenersi da qualsiasi condotta che possa porsi in contrasto con la legge o con la verità dei fatti.

Se la prosecuzione del mandato dovesse comportare una violazione di tali principi, l’avvocato è tenuto a valutare la rinuncia all’incarico per giusto motivo, quale espressione della propria indipendenza e della dignità della funzione difensiva.

Verità, mandato e dignità professionale

La pronuncia evidenzia come il dovere di verità non sia limitato all’attività processuale, ma si estende anche ai rapporti stragiudiziali e alle relazioni con la controparte e i terzi.

Questo dovere si pone come limite invalicabile alla libertà di difesa tecnica, la quale non può mai tradursi in atti contrari alla legge o idonei a ingenerare inganno nell’autorità giudiziaria o negli altri soggetti coinvolti.

carriere separate

Carriere separate per gli avvocati: la proposta della Cassazione Corte di Cassazione: il documento dell'Assemblea generale del 19 giugno 2025 propone la separazione delle carriere anche per gli avvocati

Carriere separate anche per gli avvocati  

Carriere separate per gli avvocati: i magistrati della Corte di Cassazione e della Procura Generale richiamano l’attenzione del Parlamento e del Governo sulla necessità di attuare la separazione delle carriere anche per gli avvocati.

Il 19 giugno 2025 presso l’Aula Magna del Palazzo di Giustizia, si è tenuta infatti  l’Assemblea Generale della Suprema Corte di Cassazione. L’incontro, che segue quelle del 2009 e del 2015 affronta il tema del rapporto tra la nomofilachia, ossia l’interpretazione uniforme della legge e il sindacato di legittimità, previsto dal comma 7 dell’articolo 111 della Costituzione.

Dal documento scaturito dall’Assemblea uno dei punti di maggiore interesse da segnalare è la proposta di modificare l’accesso degli avvocati all’albo speciale dei patrocinatori davanti alle giurisdizioni superiori. 

Per l’Assemblea sarebbe opportuno separare gli avvocati in due categorie distinte: avvocati abilitati a patrocinare davanti alle corti di merito e avvocati specializzati solo nel giudizio di legittimità di fronte alla Corte di Cassazione. Il giudizio di legittimità richiede infatti conoscenze specifiche, che necessita di avvocati altamente specializzati nel proporre ricorsi a critica vincolata. L’attuazione di questa riforma porterebbe il vantaggio di ricorsi qualitativamente superiori e in grado di assicurare la tutela effettiva dei diritti. Non solo, la creazione di una categoria di avvocati  con competenze esclusive nei giudizi di legittimità consentirebbe all’Italia di allinearsi a quanto già previsto in diversi paesi europei.

Analizziamo ora, in sintesi, il contenuto del documento suddiviso in quattro punti, ciascuno dei quali merita un’attenta disamina.

Assemblea della Corte di Cassazione: il documento approvato

Nel primo punto vengono elencati i valori che l’Assembla generale ritiene di condividere.

Prima di tutto la funzione interpretativa della Cassazione deve essere intesa come un valore metodologico, non come un fattore di irrigidimento della produzione giurisprudenziale. I giudici di legittimità e giudici di merito devono dialogare per contribuire alla formazione del diritto vivente.

La funzione interpretativa mira a garantire i diritti fondamentali della persone e la loro tutela e deve essere in grado di adeguarsi all’evoluzione sociale. Il continuo confronto tra la Cassazione e le altre giurisdizioni deve fornire agli avvocati e agli assistiti linee guida chiare per consentire loro di scegliere consapevolmente.

La Cassazione deve anche rapportarsi con la Corte Costituzionale e con gli organi di giustizia sovranazionali perché il confronto arricchisce e rinforza la tutela dei diritti.

Una delle questioni più importati sollevate nel documento è quella in cui la Cassazione sottolinea l’importanza del confronto con tutti i protagonisti della giurisdizione e con i giuristi, come quello avviato da tempo con il Consiglio nazionale Forense. Occorre anche continuare a collaborare per attuare i Protocolli CEDU e della Corte UE e rendere sempre più completa la formazione grazie alla Scuola Superiore della Magistratura. I giudici devono uscire dall’isolamento e aprirsi alla comunità, perché l’interpretazione della legge parte dal basso.

La Cassazione esprime la volontà di razionalizzare la trattazione dei ricorsi per dedicare una maggiore attenzione a quelli che pongono nuovi interrogativi o che stimolano la revisione degli indirizzi precedenti. Occorre che gli avvocati specializzati nel giudizio della Cassazione siano sempre più preparati. I magistrati da parte loro devono operare dando priorità ai diritti dei cittadini e alla loro tutela. La Cassazione esalta poi il ruolo dell’Ufficio per il processo, che è riuscito a ridurre i tempi del processo e a realizzare un cambio di mentalità importante.

Proposte della Corte di Cassazione a Governo e Parlamento 

I punti due e tre del documento contengono le proposte dell’Assemblea Generale all’Esecutivo e all’organo legislativo:

  • garantire un quadro normativo stabile per un diritto positivo coerente, fondamentale per l’interpretazione;
  • coordinare le leggi nuove con le precedenti e, in caso di incompatibilità, provvedere alla loro abrogazione;
  • produrre leggi chiare per scongiurare incertezze;
  • prevedere più forme di controllo per evitare di attribuire alla magistratura un ruolo di orientamento etico, che caratterizza i regimi autoritari;
  • valorizzare il ruolo interpretativo, prevedendo il rinvio pregiudiziale anche per il settore penale con deroghe e limiti necessari;
  • acquisire il parere della Cassazione e della Procura sulle riforme processuali che riguardano questi soggetti;
  • porre attenzione all’esecuzione penale;
  • riflettere sul sistema penitenziario;
  • consentire ad avvocati e professori universitari designati per il ruolo di giudice di legittimità, di tornare a svolgere la professione precedente su domanda;
  • avviare le procedure di reclutamento del personale amministrativo, in sotto organico da anni;
  • riconoscere maggiori risorse alla giurisdizione;
  • prestare maggiore attenzione alle riforme del settore giudiziario in corso per evitare di indebolirlo e di comprometterne l’indipendenza.

Prospettazioni al Consiglio Superiore della magistratura

Al CSM l’assemblea chiede invece di:

  • bandire con un certo anticipo i posti per i sostituti di coloro che sono destinati a essere vacanti per il raggiungimento dei limiti di età presso la Cassazione e la Procura generale;
  • accordarsi con il Ministero per la presa in possesso dei magistrati in due periodi dell’anno per programmare il lavoro in modo puntuale;
  • introdurre regole tabellari per comporre i Collegi delle Sezioni Unite civili in materia disciplinare magistrati per permettere la partecipazione dei consiglieri del settore civile e penale.

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modello 5

Modello 5 omesso? Risponde l’avvocato anche se “colpa” del consulente Il CNF chiarisce: l’avvocato è responsabile dell’omesso invio del Modello 5, anche se attribuito a un errore del consulente

Obbligo Modello 5: nessuna scusa per l’avvocato

Con le decisioni n.  408/2024 e 409/2024, il Consiglio Nazionale Forense ha confermato la sospensione a tempo indeterminato di due avvocati per l’omesso invio del Modello 5 alla Cassa Forense. Entrambi avevano attribuito la responsabilità a una presunta dimenticanza del commercialista. Ma il CNF ha chiarito che la gestione personale degli adempimenti previdenziali è un obbligo non delegabile.

Sospensione senza sanzione disciplinare

La sospensione dell’iscritto, disposta ex art. 17, comma 5, della legge n. 576/1980, non ha natura disciplinare. Si tratta di una misura automatica connessa all’omesso adempimento di obblighi previdenziali. Tuttavia, ciò non esclude un ulteriore giudizio deontologico, ai sensi dell’art. 70 del Codice Deontologico Forense, di competenza del Consiglio Distrettuale di Disciplina.

L’avvocato è sempre responsabile verso la Cassa

Il CNF sottolinea che l’iscritto non può esimersi dalla responsabilità per atti che restano comunque a lui riferibili. Anche quando incarica un consulente, è l’avvocato a dover vigilare sul corretto invio del Modello 5.

La semplice delega non costituisce causa di esonero da colpa.

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