lotta alla violenza genere

Lotta alla violenza di genere: diventa materia scolastica Il ddl 1813 all'esame della Camera prevede l'introduzione dell'educazione al contrasto della violenza nei confronti delle donne tra le materie scolastiche

Educazione contrasto alla violenza di genere a scuola

La lotta alla violenza di genere entra a scuola. Il ddl-1813 all’esame della commissione cultura della Camera prevede infatti “l’introduzione dell’educazione al contrasto della violenza nei confronti delle donne” quale materia scolastica, attraverso la modifica dell’art. 3 della legge n. 92/2019.

Iter proposta di legge

La pdl Semenzato ed Altri, recante “modifiche all’art. 3 della legge n. 92/2019, concernenti l’introduzione dell’educazione al contrasto della violenza nei confronti delle donne nonché l’insegnamento dell’educazione finanziaria nell’ambito dell’insegnamento dell’educazione civica”, è stata presentata nell’aprile scorso e assegnata alla VII Commissione Cultura in sede referente di Montecitorio, avendo ricevuto già il parere delle altre commissioni.

Violenza di genere e educazione finanziaria nell’educazione civica: le motivazioni

La pdl n. 1813 reca quale obiettivo quello di continuare nel “percorso intrapreso all’interno degli istituti scolastici, prevedendo che l’insegnamento scolastico dell’educazione civica assuma come riferimento il tema dell’educazione al contrasto di ogni forma di violenza nei confronti delle donne, quello dell’educazione finanziaria, l’autonomia economica del singolo familiare o convivente, con l’adozione di provvedimenti che incidano profondamente nella cultura delle nuove generazioni, attraverso un’azione positiva volta a sviluppare nella formazione degli studenti il rispetto dei princìpi di eguaglianza, pari opportunità e dignità nei rapporti di coppia”.
La violenza di genere, infatti, si legge ancora nella relazione alla proposta, passa anche per “la violenza economica – che – affonda le proprie radici in un terreno di pregiudizi patriarcali e culto dei ruoli di genere che in una società equa, moderna e civile non possono essere tollerati”. La scuola rappresenta “l’ambiente privilegiato per lo sviluppo della consapevolezza di quanto sia importante raggiungere e mantenere una autonomia economica, rompendo gli schemi della famiglia tradizionale, ed è il punto di riferimento prioritario attraverso cui far veicolare i messaggi chiave e avvicinare i futuri adulti al tema della indipendenza economica da assicurare al singolo nel nucleo familiare o nelle convivenze di fatto”.

Per quanto concerne, invece, l’educazione all’autonomia finanziaria, il principale obiettivo “è quello di attivare un processo virtuoso al fine di avere cittadini informati, attivi, responsabili e consapevoli che la libertà di scelta, in presenza di crisi familiari, presuppone una indipendenza economica”.

Il testo della proposta di legge

la pdl si compone di un unico articolo, il quale dispone che:

“1. All’articolo 3 della legge 20 agosto 2019, n. 92, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, lettera f), dopo le parole: «contrasto delle mafie» sono aggiunte le seguenti: «e di ogni forma di violenza nei confronti delle donne»;

b) al comma 2, dopo le parole: «e l’educazione finanziaria» sono inserite le seguenti: «, anche nel rispetto dell’indipendenza economica del singolo familiare o convivente»”.

domiciliari per il marito

Domiciliari per il marito che non rispetta il divieto di avvicinamento La Cassazione conferma la misura degli arresti domiciliari al marito che non rispetta il divieto di avvicinamento anche se la moglie lo segue di propria volontà

Arresti domiciliari

Domiciliari per il marito che non rispetta il divieto di avvicinamento anche se la moglie lo segue di propria volontà perché sono ancora legati sentimentalmente. Così la prima sezione penale della Cassazione nella sentenza n. 25002/2024.

La vicenda

Nella vicenda, il tribunale di Caltanissetta con funzione di riesame rigettava la richiesta dell’imputato avverso l’applicazione della misura degli arresti domiciliari, in relazione al reato di cui all’art. 75, comma 2, D.Lgs. n. 159 del 2011 perché, essendo sottoposto alla misura della Sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune per la durata di due anni, con l’ulteriore prescrizione del divieto di avvicinarsi a oltre i duecento metri alla moglie, in ogni luogo in questa si trovi, violava la misura, accompagnandosi alla predetta.

L’indagato ricorre in Cassazione contestando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, tenuto conto che la coniuge lo avrebbe avvicinato volontariamente, stante il perdurare del rapporto sentimentale tra i due, con il fine di aiutare perché affetto da patologia oncologica documentata.

La decisione

Per gli Ermellini, il ricorso è inammissibile sotto plurimi aspetti.

Intanto premettono i giudici, “in sede di riesame, non risultano contestati i gravi indizi di colpevolezza ma solo l’inadeguatezza della misura cautelare applicata con l’ordinanza genetica (ove il Tribunale chiarisce che il riesame proposto non specificava i motivi e che, all’udienza camerale, il difensore si era limitato a sottolineare l’inadeguatezza della misura cautelare applicata in considerazione della condotta della moglie). Con il ricorso, invece, se ne contesta la sussistenza”.
Orbene, sottolinea la S.C., “secondo la giurisprudenza di legittimità cui il Collegio aderisce, non è ammissibile prospettare, in sede di ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale con funzione di riesame, questioni non devolute in ordine ai gravi indizi di colpevolezza (Sez. 3, n. 41786 del 26/10/2021, Gabbianelli, Rv. 282460 – 02)”.
In ogni caso, proseguono da piazza Cavour, “la motivazione sulla sussistenza dei gravi indizi dell’ordinanza impugnata non è manifestamente illogica ma, anzi, esauriente e completa”. Il Tribunale, peraltro, esamina la deduzione circa il presunto carattere volontario della condotta della persona offesa, ne registra la presenza nell’occasione accertata nel palazzo di giustizia e in altra precedente occasione quando questa è stata trovata a bordo di un ciclomotore condotto da indagato. “L’ordinanza, con ragionamento non affetto da illogicità manifesta – concludono -, prende in considerazione lo stato di fatto, valuta le dinamiche interne alla coppia, descrivendole come non ancora sufficientemente delineate, alla stregua delle indagini svolte, quanto ai rapporti di forza tra le parti e, soprattutto, evidenzia che lo stesso indagato aveva ammesso di non aver mai rispettato la misura in atto, manifestando espresso e totale disinteresse rispetto all’osservanza degli obblighi impostigli”. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

Vedi tutti gli articoli della categoria Codice Rosso

Allegati

donne vittime di violenza

Donne vittime di violenza: la guida in 8 passi Dal numero verde al reddito di libertà, l'INPS fa il punto sui servizi e le prestazioni per le vittime di stalking, violenza o abusi

Donne vittime di violenza

Dal numero verde al Reddito di Libertà: le informazioni sui servizi e sulle prestazioni INPS per le vittime di stalking, violenza o abusi in una guida pubblicata online dallo stesso istituto di previdenza. La guida in otto passi per le donne vittime di violenza offre informazioni sui servizi e sulle prestazioni INPS per le donne vittime di stalking, violenza o abusi che abbiano o meno denunciato questi atti al numero verde 1522 per essere poste sotto la tutela dei Centri antiviolenza.

Numero verde 1522

Quando una donna si sente minacciata può chiamare il numero verde 1522, disponibile gratuitamente sia da rete fissa che mobile. Questo servizio offre supporto in italiano, inglese, francese, spagnolo e arabo ed è esposto anche presso gli Uffici relazioni con il pubblico delle sedi INPS.

Astensione dal lavoro e congedo indennizzato

È una tutela riconosciuta alle lavoratrici inserite nei percorsi di protezione, che possono avvalersi di un’astensione dal lavoro per un periodo massimo di 90 giorni nell’arco temporale di tre anni.

Possono beneficiarne le:

  •  lavoratrici dipendenti del settore pubblico e privato;
  •  lavoratrici con rapporti di collaborazione coordinata e continuativa;
  • apprendiste, operaie, impiegate e dirigenti con un rapporto di lavoro in corso all’inizio del congedo;
  •  lavoratrici agricole;
  •  lavoratrici domestiche;
  • lavoratrici autonome.

La domanda di congedo indennizzato per donne vittime di violenza può essere presentata online all’INPS dalle donne lavoratrici inserite nei percorsi di protezione.

ISEE per donne protette

Le donne inserite nei programmi di protezione dei Centri antiviolenza possono richiedere l’ISEE che non comprenda il reddito dell’altro genitore, nei casi in cui questi sia escluso dalla potestà genitoriale sui figli o sia soggetto a provvedimento di allontanamento dalla residenza familiare.

Reddito di Libertà

È una prestazione che sostiene l’autonomia e l’emancipazione delle donne vittime di violenza con un contributo fino a 400 euro mensili per 12 mensilità. La domanda può essere presentata al comune di residenza, direttamente o tramite un rappresentante legale.

Assegno di Inclusione (ADI)

L‘Assegno di Inclusione è un sostegno economico e di inclusione sociale per i nuclei familiari in condizione di svantaggio, comprese le vittime di violenza di genere. È necessario comprovare la situazione economica e partecipare a un percorso personalizzato di inclusione sociale e lavorativa.

pratiche di mutilazione

Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili Nozione e oggetto giuridico del reato di pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili ex art. 583bis c.p.

Il reato ex art. 583-bis c.p.

Il reato di pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili è previsto e punito ai sensi dell’art. 583bis, il quale dispone che risponde penalmente: “a) chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili (comma 1); b) chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, provoca, al fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate al comma 1, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente (comma 2)”.

Legge n. 7/2006

Trattasi di fattispecie introdotta dalla L. 9-1-2006, n. 7, nel novero di un complesso di misure finalizzate a «prevenire, contrastare e reprimere le pratiche di mutilazione genitale femminile quali violazioni dei diritti fondamentali all’integrità della persona e alla salute delle donne e delle bambine» (art. 1, L. 7/2006 cit). Configurando una ipotesi speciale del delitto di lesione personale, con essa condivide l’oggetto giuridico, essendo posta a tutela dell’incolumità della persona (cui va aggiunto l’interesse statuale all’integrità fisica e psichica dei cittadini). Con tale norma il legislatore mira, infatti, alla repressione di condotte lesive degli apparati connessi alla funzione sessuale, dunque gravemente pregiudizievoli dell’equilibrio psico-fisico dell’individuo, della sua dignità personale, nonché della stessa vita di relazione.

Il reato negli altri Paesi europei

L’opportunità di tale intervento legislativo è, altresì, evidenziata dal fatto che già altri Paesi europei hanno provveduto ad introdurre fattispecie ad hoc (ad esempio, in Svezia, sin dal 1983, è sanzionata penalmente qualsiasi forma di mutilazione dei genitali femminili, pur se solo con un massimo di due anni di reclusione, ma con una pena maggiore se dalla mutilazione deriva pericolo di morte; in Gran Bretagna, sin dal 1985, costituisce reato, fra l’altro, «tagliare, infibulare o in qualsiasi modo mutilare le grandi e piccole labbra in tutto o in parte e la clitoride»). Il ripudio di tali inammissibili aggressioni dell’integrità fisica è, peraltro, ricavabile, in modo più o meno chiaro e cogente, dalle previsioni normative di numerose dichiarazioni, patti e convenzioni internazionali, ratificati in Italia, fra le quali la Dichiarazione universale dei diritti umani (1948), la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (1969), la Convenzione contro la tortura (1984), la Convenzione contro ogni forma di discriminazione contro le donne (1979, nota con l’acronimo «Cedaw»), cui vanno aggiunti la Dichiarazione ed il Programma di azione adottati a Pechino il 15-9-1995 nella quarta Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle donne, nonché, a livello di legislazione «interna», gli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, alla cui attuazione è «consacrata» la L. 7/2006. Tale provvedimento è, altresì, in linea con quanto affermato dal Parlamento europeo nel settembre 2001, considerando le mutilazioni genitali come «gravissima lesione della salute fisica, mentale e riproduttiva delle donne e delle bambine», ed invitando gli Stati membri a considerarle come «reato all’integrità della persona».

Struttura oggettiva e soggettiva della fattispecie ex comma 1

Il comma 1 della previsione in commento sanziona penalmente il cagionare una mutilazione di organi genitali femminili, specificando (per vero pleonasticamente) che la condotta rileva penalmente solo ove non trovi giustificazione in esigenze terapeutico-curative della vittima.

È lo stesso comma 1 a precisare che, nel concetto di «pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili» rientrano «la clitoridectomia, l’escissione e l’infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo».

Secondo le definizioni mutuate dalla scienza medica tradizionale, la clitoridectomia (o escissione), chiamata anche in arabo Tahara (purificazione) o Khefad (riduzione), consiste nella rimozione dell’intero clitoride e delle adiacenti labbra. L’infibulazione (dal latino fibula, spilla), è, invece, una mutilazione genitale femminile praticata in molte società di stampo patriarcale dell’Africa, del sud della penisola araba e del sud-est asiatico. Con tale pratica (nota anche come escissione faraonica) il clitoride viene rimosso insieme alle piccole labbra e parte delle grandi (circa i 2/3), ed al termine dell’operazione, l’apertura viene ricucita con una sutura o con spine, lasciando solo un piccolo spazio per il passaggio delle urine e del sangue mestruale. Trattasi, come evidente, di una pratica che, se pur saldamente ancorata in talune tradizioni culturali, è totalmente inammissibile in ordinamenti i cui precetti pongono al centro di ogni previsione la salvaguardia dell’integrità e della dignità dell’individuo, specie se si considera che i rapporti sessuali, attraverso questa pratica, vengono impossibilitati fino alla defibulazione (che in queste culture, viene effettuata direttamente dallo sposo prima della consumazione del matrimonio), che dopo ogni parto viene effettuata una nuova infibulazione per ripristinare la situazione prematrimoniale, e che la pratica dell’infibulazione faraonica ha lo scopo di conservare e di indicare la verginità al futuro sposo e di rendere la donna una specie di oggetto sessuale incapace di provare piacere nel sesso.

Il delitto si consuma nel momento e nel luogo in cui vengono realizzate le orride mutilazioni di cui alla norma. Quanto all’elemento soggettivo, la fattispecie è punibile a titolo di dolo generico, richiedendosi esclusivamente la cosciente e volontaria realizzazione delle condotte produttive delle mutilazioni, a prescindere dalle finalità perseguite concretamente dal reo.

Struttura oggettiva e soggettiva della fattispecie ex comma 2

La norma completa la tutela della sfera genitale femminile sanzionando penalmente chiunque cagioni lesioni ad organi genitali femminili diverse da quelle prima descritte, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente, al fine di menomare le funzioni sessuali, anche in tale ipotesi (come detto, ovviamente) al di fuori del caso in cui sussistano esigenze terapeutico-curative.

Nel tentativo, peraltro, di configurare in tale fattispecie una ipotesi «speciale» di lesione personale, il legislatore ne ha riprodotto la equivoca struttura oggettiva, sanzionando le lesioni (agli organi genitali femminili, elemento specializzante) da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente. Anche in tale occasione, dunque, è possibile elevare le critiche mosse dalla migliore dottrina (Antolisei, Mantovani) e dalla prevalente giurisprudenza, in relazione all’analogo disposto dell’art. 582 c.p. Dalla lettura di tale ultimo articolo, infatti, sembra ipotizzarsi la necessità di un duplice evento naturalistico: la lesione organica conseguente alla condotta umana, e la malattia fisica o mentale in conseguenza dell’evento-lesione. In realtà, si obiettò che l’evento è unico, e consiste nella malattia corporea o mentale conseguente alla condotta criminosa.

È possibile, dunque, concludere che tale comma sia diretto a sanzionare chiunque cagioni una qualunque alterazione anatomico-funzionale a carico degli organi genitali femminili, che comporti la necessità di un processo di reintegrazione curativa, sia pur di breve durata. L’adesione alla tesi dell’unicità dell’evento, consistente, appunto, nella malattia, consente, altresì, di dedurre che la condotta criminosa (a differenza della fattispecie di cui al comma 1) non debba necessariamente consistere in una azione violenta, e debba (come la fattispecie-madre di lesioni) considerarsi configurabile anche in forma omissiva impropria.

Quanto al momento consumativo, si identifica con il prodursi dell’evento naturalistico della fattispecie, consistente nella malattia.

Quanto al tipo di malattia cagionabile, si è osservato che, se il riferimento alla patologia mentale ha un senso rispetto alle lesioni personali comuni, difficilmente è configurabile in relazione ad una fattispecie nella quale si richiede il prodursi di una malattia ad organi genitali, se non quale conseguenza ulteriore rispetto alla patologia «corporea».

Quanto all’elemento soggettivo, il delitto, a differenza della configurazione di cui al comma 1, è punibile a titolo di dolo specifico, richiedendosi la coscienza e volontà di cagionare la lesione, al fine di menomare le funzioni sessuali (finalità il cui mancato conseguimento non incide sulla consumazione del reato, rispetto al quale, come detto, rileva esclusivamente il prodursi della malattia). Poco opportuna, sotto il profilo interpretativo, appare, inoltre, la previsione di una circostanza attenuante ad effetto speciale, sancita dall’ultimo periodo del comma in esame, per il caso in cui la lesione sia di lieve entità, in quanto rimette al giudice una non agevole (dunque potenzialmente disuniforme) valutazione, contrapposta alla «chiarezza» delle nozioni «comuni» di lesione lieve o lievissima, connesse alla durata della patologia prodotta, evincibili dall’art. 582 c.p.

Circostanze aggravanti

Il comma 3 della norma in commento prevede due configurazioni aggravate delle fattispecie appena descritte, consistenti nel caso in cui il fatto sia commesso a danno di un minore o per fini di lucro.

Totalmente condivisibile risulta tale opzione normativa, se si ha riguardo del fatto che, eccettuati rari casi posti in essere su donne in età «da marito» ed, addirittura, su neonate, l’età tipica per praticare le mutilazioni di cui alla norma oscilla dai 6 ai 10 anni, e che la sussistenza nell’agente di un becero animus lucrandi, in luogo degli, sia pur inammissibili, intenti derivanti da convincimenti ideologico-religiosi, rende ancor più socialmente intollerabile la realizzazione di tali pratiche, fondando l’aggravio sanzionatorio.

Inoltre, a seguito dei correttivi effettuati sull’art. 585 c.p. dal cd. «Pacchetto sicurezza» (L. 15-7-2009, n. 94), il delitto in commento è aggravato se concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dall’art. 576 c.p. (pena aumentata da un terzo alla metà) e dall’art. 577 c.p. (pena aumentata fino a un terzo), come anche nel caso in cui il fatto sia commesso con armi o con sostanze corrosive, ovvero da persona travisata o da più persone riunite.

Pene e istituti processuali

La pena, per l’ipotesi di cui al comma 1, è la reclusione da 4 a 12 anni; per la fattispecie di cui al comma 2 è la reclusione da 3 a 7 anni (ridotta fino a due terzi in caso di lesione di lieve entità, ed incrementata di un terzo nell’ipotesi aggravata.

La pena accessoria di cui al comma 4

Dispone il comma 4 dell’articolo in esame (neointrodotto dalla L. 172/2012) che la condanna, anche se patteggiata, per il reato in commento comporta, qualora il fatto sia commesso dal genitore o dal tutore, rispettivamente la decadenza dall’esercizio della responsabilità genitoriale e l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno. Tale disposto non costituisce previsione inedita (salvo che per il riferimento alla pena patteggiata), ma trova corrispondenza nell’art. 602bis (conseguentemente soppresso).

L’art. 583-ter c.p.

Ai sensi dell’art. 583ter, la condanna contro l’esercente una professione sanitaria per taluno dei delitti previsti dall’art. 583bis importa la pena accessoria dell’interdizione dalla professione da tre a dieci anni (per tal via energicamente stigmatizzando, quasi con un «marchio di infamia», quanti si rendano responsabili delle lesioni in oggetto, ad un tempo suggellando plasticamente la gravità del reato e neutralizzando il reo). Della sentenza di condanna è data comunicazione all’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri (evidentemente in vista dell’applicazione di sanzioni disciplinari; si tenga, infatti, conto del fatto che l’art. 50 del Codice di deontologia medica, nel precludere al medico ogni forma di collaborazione, partecipazione o semplicemente presenza al compimento di atti di tortura o di trattamenti crudeli, disumani o degradanti, vieta, altresì, espressamente al medico di praticare qualsiasi forma di mutilazione sessuale femminile).

Aspetti procedurali

La fattispecie di cui al comma 1 è di competenza del Tribunale collegiale, mentre quella di cui al comma 2 del Tribunale monocratico. Si procede d’ufficio, l’arresto in flagranza è facoltativo ed il fermo consentito (salvo che per la seconda ipotesi attenuata).

Infine, l’ultimo comma dell’art. 583bis estende l’applicabilità delle relative disposizioni al caso in cui il fatto sia commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia, ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia. In tal caso, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia.

 

Vedi tutti gli articoli della categoria Codice Rosso

revenge porn

Revenge porn: come fare una segnalazione Revenge porn: come funziona il servizio di segnalazione online del Garante Privacy per prevenire il fenomeno del Revenge porn

Segnalazione Revenge Porn

Revenge porn: il Garante Privacy ha reso disponibile il servizio online per effettuare una segnalazione, oltre ad un’utile scheda informativa per prevenire e difendersi da questo tipo di fenomeni proteggendo e gestendo correttamente i propri dati personali.

Cos’è il revenge porn

Il revenge porn, si ricorda, consiste nell’invio, consegna, cessione, pubblicazione o diffusione, da parte di chi li ha realizzati o sottratti e senza il consenso della persona cui si riferiscono, di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito destinati a rimanere privati. Tale diffusione avviene di solito a scopo vendicativo (ad esempio per “punire” l’ex partner che ha deciso di porre fine ad un rapporto amoroso), per denigrare pubblicamente, ricattare, bullizzare o molestare. Si tratta quindi di una pratica che può avere effetti drammatici a livello psicologico, sociale e anche materiale sulla vita delle persone che ne sono vittime.

Protezione dati personali

La prima e più importante forma di difesa, ricorda il Garante, sono sempre la consapevolezza e la prudenza. Spesso accade che i dati personali vengano immessi dagli stessi interessati nel circuito di messaggistica e social network, sfuggendo così ogni controllo e rendendone impossibile la cancellazione una volta diffusi.

Per proteggere i dati personali eventualmente presenti nei tuoi dispositivi (smartphone, pc o tablet), occorre utilizzare sempre adeguate misure di sicurezza: ad esempio, password che proteggono i dispositivi e/o le cartelle in cui conservi i file, sistemi di crittografia per rendere illeggibili i file agli altri, sistemi anti-virus e anti-intrusione per i dispositivi.

Se si ricevono foto o immagini a contenuto sessualmente esplicito che riguardano altre persone, il Garante consiglia di evitare “di essere complice di comportamenti illeciti nei confronti delle stesse” di non diffonderle, cancellarle e se si ritiene di fare una segnalazione alla Polizia postale.

A maggior ragione quando tali fenomeni riguardano i minori, come vittime o destinatari di contenuti.

“Se sei un genitore – consiglia il Garante – evita di far utilizzare dispositivi digitali ai tuoi figli piccoli se sono da soli, monitora il loro comportamento online e spiega con chiarezza perché è bene evitare di interagire con sconosciuti e diffondere informazioni personali, soprattutto foto e filmati, tramite messaggi e social network (vedi anche la pagina informativa www.gpdp.it/minori).

Come prevenire il Revenge porn

Nel caso in cui si abbia un fondato timore che immagini a contenuto sessualmente esplicito possano essere diffuse senza il proprio consenso è possibile presentare una segnalazione al Garante ai sensi degli art. 144-bis del Codice in materia di protezione dei dati personali e 33-bis del regolamento n. 1/2019 del Garante.

Per farlo è possibile utilizzare l’apposito form reso disponibile nel sito istituzionale dell’Autorità, in cui dovranno essere indicate le piattaforme di condivisione di contenuti (social network, messaggistica, ecc.) attraverso le quali si teme la diffusione, nonché le ragioni che fondano il timore che la condotta pregiudizievole possa essere posta in essere.

Dovranno poi essere trasmesse all’Autorità – tramite un link che sarà comunicato dopo la presentazione della segnalazione – le immagini o i contenuti sessualmente espliciti dalla cui divulgazione ci si intenda tutelare.

Il Garante, in presenza dei presupposti indicati dalle norme di riferimento, adotterà un provvedimento, che sarà notificato alle piattaforme coinvolte nel tentativo di contrastare la temuta diffusione.

Questo strumento può essere utilizzato non solo dagli adulti, ma anche dai minori.

Si ricorda che alla tutela che accorda il Garante può sempre aggiungersi quella prestata dalla Polizia Postale, alla quale è possibile rivolgersi per denunciare situazioni in cui siano ravvisabili gli estremi di una condotta penalmente rilevante (come nel caso in cui si subiscano minacce o richieste estorsive).

Infine, rammenta l’autorità, il più importante accorgimento “è tenere alto il livello di prudenza nel condividere materiale a contenuto sessualmente esplicito, in quanto l’intervento del Garante non è in grado di assicurare, in termini assoluti, che l’evento temuto non si verificherà: la persona malintenzionata, ad esempio, potrebbe detenere immagini anche solo parzialmente diverse da quelle comunicate alla piattaforma vanificando così la misura adottata”.

omicidio commissione reati sessuali

Omicidio realizzato in occasione della commissione di reati sessuali Si fa riferimento all'ipotesi aggravata del delitto di omicidio disciplinata dall'art. 576 n. 5 c.p.

Omicidio realizzato in occasione di reati sessuali: evoluzione normativa

La norma a cui si fa riferimento costituisce ipotesi aggravata del delitto di omicidio, nello specifico disciplinata dall’art.576, n. 5. Nell’attuale formulazione, la norma sanziona penalmente, con la pena dell’ergastolo, l’omicidio realizzato in occasione della commissione di taluno dei delitti previsti dagli artt. 572, 583quinquies, 600bis, 600ter, 609bis, 609quater e 609octies. L’aggravante in esame è stata oggetto di correttivi dapprima ad opera del D.L. 23-2- 2009, n. 11, conv. in L. 23-4-2009, n. 38, e successivamente della L. 1-10-2012, n. 172.

Nella sua formulazione originaria, infatti, la norma faceva riferimento agli artt. 519, 520 e 521 c.p. Per comprendere il fondamento del primo dei segnalati correttivi, deve evidenziarsi che le figure delittuose richiamate nel testo previgente sono state integralmente abrogate dalla L. 66/1996, in occasione della «riscrittura» delle fattispecie di violenza sessuale.

Il legislatore del 2009 ha, dunque, inteso «attualizzare» i richiami della configurazione aggravata in commento, sostituendo i riferimenti alle fattispecie abrogate con quelli a previsioni neointrodotte, per tal via sanando una «dimenticanza» del legislatore del ’96.

Dottrina e giurisprudenza

Già, peraltro, prima di tale correttivo espresso, la citata abrogazione delle fattispecie in origine richiamate fece porre, in dottrina e giurisprudenza, il problema di stabilire se il rinvio potesse essere inteso alla fattispecie che aveva sostanzialmente recepito le citate previsioni abrogate, l’art. 609bis c.p.

La dottrina che si era occupata del problema ritenne che il rinvio contenuto nella norma in esame non dovesse intendersi agli articoli di legge, in quanto tali, ma alle condotte che essi descrivono, per cui se queste condotte non cessano di essere oggetto di previsione da parte della nuova norma penale che prende il luogo di quella abrogata, ma sono riproposte negli stessi termini in altre norme di legge, il rinvio implicito alle nuove norme deve essere ritenuto ammissibile, senza violazione del principio di stretta legalità dettato dall’art. 25, comma 2, della Costituzione.

Nel medesimo senso si era espressa concordemente la giurisprudenza della Cassazione, la quale, nel confermare che tale aggravante doveva trovare applicazione con riferimento a tutti i delitti di violenza sessuale di cui agli artt. 609bis e ss. c.p., aveva motivato tale asserto sostenendo che il richiamo agli articoli abrogati, contenuto nell’art. 576 rientrava nella figura del rinvio formale e non di quello recettizio, sicché quella abrogazione non aveva comportato una «abolitio criminis», ma solo un ordinario fenomeno di successione di leggi penali incriminatrici nel tempo, e il mancato adeguamento della formulazione di quest’ultima norma era ascrivibile a mero difetto di coordinamento legislativo.

Dopo tale opportuno correttivo di coordinamento, il legislatore, come segnalato, ha nuovamente inciso sulla portata precettiva di tale previsione, attraverso la L. 172/2012, di ratifica della Convenzione di Lanzarote per la tutela dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale. In particolare, nel riscrivere la lettera del n. 5) dell’art. 576, si è provveduto ad estendere le ipotesi di omicidio aggravato a quello commesso in occasione della realizzazione delle fattispecie di cui agli artt. 572, 600bis e 600ter (trattasi dei delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi, prostituzione e pornografia minorile, a loro volta riformulati dal legislatore del 2012), riconoscendo a tale tipologia omicidiaria analogo surplus di disvalore penale rispetto a quello che la norma già attribuiva alla condotta realizzata nell’atto di aggredire sessualmente taluno.

Correttivo nel Codice Rosso

Da ultimo, l’evoluzione normativa concernente l’aggravante in esame trova il suo epilogo nella L. 19-7-2019, n. 69, nota come «Codice rosso» (espressione mutuata dalla terminologia sanitaria, per alludere ad un percorso preferenziale e d’urgenza per la trattazione dei procedimenti in materia, funzionale alla tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, percorso procedurale introdotto proprio dal citato provvedimento), pur se deve osservarsi come il correttivo si limiti ad una estensione del margine di applicabilità della previsione al caso in cui il fatto omicidiario sia posto in essere in occasione della commissione del neointrodotto delitto di cui all’art. 583quinquies (al cui esame si rinvia).

In sostanza, si inserisce nel catalogo dei reati puniti con l’ergastolo anche il delitto di lesioni permanenti al viso (previsione che il legislatore, con modalità operativa analoga a quella già precedentemente seguita in tema di cd. omicidio stradale, trasforma in autonoma fattispecie di reato, rispetto al sistema previgente, dove era prevista come delitto aggravato, modificandone nel contempo il trattamento sanzionatorio in senso maggiormente afflittivo, mirando, per tal via, a frustrare il rischio di possibili attenuazioni sanzionatorie, conseguenti al meccanismo del bilanciamento delle circostanze, in una prospettiva di contenimento della discrezionalità del giudice), qualora da esso sia derivata la morte della vittima. Trattasi di valutazione che trova il suo condivisibile fondamento nel fatto che, da aggressioni poste in essere ai sensi del neointrodotto art. 583quinquies, possono derivare conseguenze irreversibili circoscritte non solo alla sfera dell’identità personale della vittima, ma anche alla stessa vita di quest’ultima.

In tale sede va, altresì, rammentato che il novero dei potenziali autori del delitto di omicidio aggravato, di cui all’art.576 c.p., è stato implementato proprio ad opera del D.L. 23-2-2009, n. 11, conv. in L. 23-4-2009, n. 38, norma con cui si è introdotto il delitto di «atti persecutori».

Orbene, per effetto del medesimo provvedimento, si è operato un correttivo alla norma in esame, disponendo che vada punito con l’ergastolo anche l’omicidio  commesso dall’autore del delitto previsto dall’art. 612bis (dunque del delitto di «stalking»), nei confronti della stessa persona offesa.

La giurisprudenza della Cassazione a Sezioni Unite

Su tale ipotesi aggravata, si segnala una significativa pronuncia, a Sezioni unite, della Cassazione (sent. 26-10-2021, n. 38402), per effetto della quale la fattispecie del delitto di omicidio, realizzata a seguito di quella di atti persecutori da parte dell’agente nei confronti della medesima vittima, contestata e ritenuta nella forma del delitto aggravato ai sensi degli artt. 575 e 576, comma 1, n. 5.1) c.p. – punito con la pena edittale dell’ergastolo – integra un reato complesso, ai sensi dell’art. 84, comma 1, c.p., in ragione della unitarietà del fatto, per tal via escludendo che le due fattispecie concorrano fra loro.

La norma si limita a richiedere che autore e vittima degli atti persecutori e dell’omicidio siano i medesimi, senza necessità di alcun legame cronologico o eziologico fra le due condotte criminose. Peraltro, in dottrina si tende a restringere la portata applicativa della previsione ai soli casi in cui l’omicidio rappresenti l’esito finale del delitto di «stalking», escludendola quando invece l’omicidio possa trovare motivazione in ragioni diverse dalla persecuzione.

Vai agli articoli della categoria Codice Rosso

violenza donne legge 168 2023

Violenza donne: la legge n. 168/2023 Le innovazioni della L. 168/2023, il clamore suscitato dal caso Cecchettin, l'iter legislativo e la ratio della legge

Il clamore suscitato dal «caso Cecchettin» e la L. 168/2023

L’aumento esponenziale degli omicidi di genere nel nostro Paese, spesso perpetrati con modalità agghiaccianti, come nel caso di Giulia Cecchettin, che ha destato sconcerto anche per la giovane età della vittima e per l’ambiente familiare in cui è maturato il delitto, ha indotto il Parlamento ad approvare celermente e all’unanimità la L. 168/2023.

In particolare, la L. 24-11-2023, n. 168, recante Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 24-11-2023, in vigore dal 9-12-2023, impone, per la rilevanza dei temi affrontati e per le numerose disposizioni introdotte, un primo approfondimento per consentirne l’immediata e puntuale applicazione. Il provvedimento si compone di 19 articoli.

Alla luce dell’aumento esponenziale degli omicidi di genere nel nostro Paese, l’obiettivo perseguito dal Governo è quello di rendere, da una parte, più efficace la protezione preventiva, rafforzando le misure contro la reiterazione dei reati a danno delle donne e inasprendo le pene nei confronti dei recidivi; dall’altra, di ampliare la tutela, in generale, delle vittime di violenza. Riveste, infatti, particolare importanza l’attenzione verso la prevenzione della violenza sulle donne, soprattutto rispetto alla commissione dei cosiddetti «reati spia», ovvero delitti che rappresentano indicatori di una violenza di genere per evitare che possano degenerare in comportamenti più gravi.

Tra gli interventi di maggior rilievo, troviamo il rafforzamento della misura di prevenzione dell’ammonimento del Questore e di informazione alle vittime di violenza; l’applicazione delle misure di prevenzione della sorveglianza speciale e dell’obbligo di soggiorno nel Comune di residenza o di dimora, anche agli indiziati di reati legati alla violenza contro le donne e alla violenza domestica; l’introduzione di norme finalizzate a velocizzare i processi in materia di violenza di genere e domestica, l’applicazione di misura cautelare personale e la possibilità di disporre l’applicabilità del controllo tramite il cd. braccialetto elettronico.

Rivestono, inoltre, particolare interesse anche le iniziative formative in materia di contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica nonché l’introduzione di una provvisionale, ovvero una somma di denaro liquidata preventivamente a titolo di ristoro anticipato in favore delle vittime di violenza.

La legge contiene, infine, la clausola di invarianza finanziaria, per cui dall’attuazione del provvedimento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Le principali modifiche contenute nella L. 168/2023

Si riportano di seguito, in maniera sintetica, le più rilevanti innovazioni disciplinari contenute nella legge, consistenti:

  • nell’ampliamento del novero dei reati per i quali il questore può disporre l’ammonimento del presunto responsabile di violenza domestica, ricomprendendovi anche i reati che possono assumere valenza sintomatica (cosiddetti «reati spia») quali le fattispecie di violenza privata, di minaccia aggravata, di atti persecutori, di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (il cd. revenge porn), di violazione di domicilio e di danneggiamento;
  • nell’aumento, fino a 1/3, delle pene dei reati che configurano una violenza domestica, specificamente elencati, se il fatto è commesso da soggetto già ammonito;
  • nella procedibilità d’ufficio, anche per alcuni reati che oggi richiederebbero la querela, qualora il fatto che integra la fattispecie è commesso, nell’ambito di violenza domestica, da soggetto già ammonito;
  • nella facoltà riconosciuta al prefetto di adottare misure di vigilanza dinamica qualora, per fatti riconducibili a reati di violenza domestica, emerga il pericolo di reiterazione delle condotte.

Novità in materia di misure di prevenzione personali per indiziati di gravi reati

Ulteriori novità sono tese al potenziamento delle misure di prevenzione e si sostanziano in modifiche al Codice antimafia.

Tali modifiche, peraltro, estendono l’applicabilità delle misure di prevenzione personali anche ai soggetti indiziati di alcuni gravi reati che ricorrono nell’ambito dei fenomeni della violenza di genere e domestica (reati di omicidio, lesioni gravi, deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, violenza sessuale).

Tra le novità, viene ampliato l’utilizzo della misura della sorveglianza speciale con le modalità del braccialetto elettronico, rispetto al quale l’obbligo di verificare preventivamente la disponibilità degli apparati da parte della polizia giudiziaria viene sostituito con quello di accertare previamente la fattibilità tecnica.

L’applicazione del braccialetto elettronico è comunque soggetta al consenso dell’interessato; in caso di diniego, è imposta l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi.

La priorità nei processi

Ulteriore elemento di novità è da individuarsi nel fatto che la L. 24-11-2023, n. 168 amplia le fattispecie per le quali è assicurata priorità nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi.

Detta priorità (già assicurata per i casi di maltrattamenti contro familiari e conviventi, violenza sessuale e atti persecutori) è estesa alle ipotesi di:

  • violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento;
  • costrizione o induzione al matrimonio, lesioni personali aggravate;
  • deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso;
  • interruzione di gravidanza non consensuale;
  • diffusione illecita di immagini o di video sessualmente espliciti;
  • stato di incapacità procurato mediante violenza laddove ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale.

L’arresto in flagranza differita e la provvisionale anticipata

Per effetto del provvedimento in esame è stato, altresì, reso possibile l’arresto in flagranza differita nei casi di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, di maltrattamenti contro familiari e conviventi, nonché di atti persecutori.

Tra le novità della legge, infine, si segnala l’introduzione della possibilità di corrispondere in favore della vittima di violenza di genere, oppure degli aventi diritto in caso di morte della vittima, una provvisionale, vale a dire una somma di denaro liquidata dal giudice, come anticipo sull’importo integrale che le spetterà in via definitiva.

L’iter legislativo e la ratio della legge

Il provvedimento, composto da 19 articoli, è diretto soprattutto alla prevenzione per evitare che i cosiddetti «reati spia» possano poi degenerare in fatti più gravi. E infatti l’inasprimento riguarda soprattutto chi è già stato destinatario dell’ammonimento e ricade nella stessa condotta, i cosiddetti recidivi.

L’intento del Governo è quello di:

  • rendere più veloci le valutazioni preventive sui rischi che corrono le potenziali vittime di femminicidio o di reati di violenza;
  • rendere più efficaci le azioni di protezione preventiva; rafforzare le misure contro la reiterazione dei reati a danno delle donne e la recidiva;
  • migliorare la tutela complessiva delle vittime di violenza.

Per ciò che concerne l’iter legislativo, come si vedrà, caratterizzato da una rapida approvazione, il relativo disegno di legge di iniziativa governativa n. 1294, recante Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica veniva presentato alla Camera dei Deputati il 12-7-2023.

L’esame in Commissione Giustizia iniziava il 6-9-2023 e si concludeva in poco più di un mese, il 19-10-2023. La Camera approvava all’unanimità il testo il 26-10-2023.

La Commissione giustizia del Senato della Repubblica esaminava il testo nella sola seduta del 21-11-2023 e il Senato lo approvava definitivamente il giorno successivo, il 22-11-2023, con votazione unanime. Negli interventi in Commissione e in aula si segnalava l’urgenza dell’intervento: «con riguardo ai provvedimenti in materia di violenza contro le donne dimostra quanto il tema, anche alla luce dei tristi e frequenti episodi di cronaca, sia per tutte le forze politiche di priorità assoluta. Anche nel dibattito svoltosi ieri in Commissione giustizia, tutti i Commissari hanno ribadito all’unanimità l’assoluta urgenza che il Parlamento approvi il prima possibile il disegno di legge, che rappresenta una prima risposta alla drammatica escalation di femminicidi alla quale stiamo assistendo».

Il Presidente della Repubblica promulgava la legge il 24-11-2023; lo stesso giorno il testo veniva pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

La celerità dell’approvazione, le ragioni su indicate e l’unanimità della votazione costituiscono chiari elementi di cui l’interprete deve tenere conto sia nell’esame del significato delle nuove norme, sia nella concreta attuazione.

Quanto, invece, alla ratio della legge, fin dall’epigrafe, con la medesima, per la prima volta il legislatore indica espressamente il contrasto alla violenza sulle donne (e non solo alla violenza di genere o domestica), prendendo atto del contenuto e delle finalità della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e contro la violenza domestica, ratificata ai sensi della L. 77/2013. La legge in esame, finalmente, menziona direttamente la citata Convenzione.

La relazione di accompagnamento al disegno di legge di iniziativa governativa n. 1294, poi divenuto legge con alcune modifiche, indica con chiarezza l’obiettivo: «contrastare il fenomeno della violenza sulle donne e della violenza domestica, spesso declassata a semplice conflittualità, e il reiterarsi di episodi di violenza che possono degenerare in condotte più gravi, finanche in femminicidi; il disegno di legge si muove […] nel solco delle considerazioni rappresentate nella Relazione finale (Doc. XXIIbis, n. 15, della XVIII legislatura) della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio nonché su ogni forma di violenza di genere».

Conclusioni

Il contrasto alla violenza domestica ed in particolare sulla donna è – e deve restare – una priorità del Legislatore.

La violenza di genere, soprattutto in ambito domestico, come abbiamo innanzi annotato, continua a far rilevare dei dati allarmanti, nonostante la fine dell’emergenza pandemica e le novità introdotte dalla L. 69/2019 (cd. Codice Rosso). Infatti, continuano a essere tantissime le donne costrette a subire violenze di ogni genere, sia fisiche che psicologiche. Ogni condotta che mira ad annientare la donna nella sua identità e libertà, non soltanto fisicamente, ma anche nella sua dimensione psicologica, sociale e professionale, è una violenza di genere ed è su questa che si misura il grado di civiltà di una comunità. È necessaria una reazione di condanna forte e chiara. Non esiste tolleranza né giustificazione alcuna per le condotte che ledono i diritti delle donne e la consapevolezza condivisa della gravità del problema, come spesso succede nel campo dei comportamenti sociali, costituisce il presupposto indispensabile perché, davvero, si realizzi un concreto cambiamento.

A fronte di tale ineludibile esigenza, l’intervento normativo qui esaminato pone una specifica attenzione all’inasprimento del trattamento sanzionatorio e soprattutto cautelare, in linea con le esigenze pubbliche di sicurezza.

Vengono inoltre previste norme che, seppur prive di rilievo processuale, introducono una tempistica serrata nella valutazione del rilievo cautelare di vicende spesso nebulose, tempistica la cui violazione, seppur priva di alcun rilievo processuale, potrà determinare altre forme di responsabilità.

A fronte di tale esigenza securitaria, marcata invece è l’esigenza di una crescita culturale e sociale che passi dalle formazioni intermedie secondo quanto riportato nel preambolo della Convenzione di Istanbul:

  • riconoscendo che il raggiungimento dell’uguaglianza di genere de jure e de facto è un elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne;
  • riconoscendo che la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione;
  • riconoscendo la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere, e riconoscendo altresì che la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini.

La legge in questione costituisce certamente un passo in avanti per il contrasto dell’odioso fenomeno di cui trattasi. Tuttavia, come ormai riconosciuto da tutte le parti politiche, è indispensabile anche un’operazione socio-culturale, lunga e difficile, che richiede l’intervento coordinato di tutti gli attori istituzionali. In primo luogo, dovrà essere potenziata ulteriormente con adeguati finanziamenti l’attività dei Centri Antiviolenza che sono in prima linea nel contrasto a tale fenomeno.

In conclusione, il fenomeno della violenza di genere ha nel nostro Paese consolidate radici culturali e psicologiche che potranno essere estirpate o quantomeno ridotte, solo con una forte azione sinergica posta in essere da parte di tutti i settori della società civile e che deve trovare il suo fulcro nelle scuole e, quindi, nella formazione dei nostri giovani.

La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci, è una violazione dei diritti umani e dunque, come tale, si tratta di una battaglia non solo delle donne ma un impegno di tutti coloro, donne e uomini, che credono nell’eguaglianza, nei diritti della persona e nella democrazia.

corruzione di minorenni reato

Corruzione di minorenni: il reato ex art. 609-quinquies c.p. Il reato di corruzione di minorenni (art. 609-quinquies c.p.) è punito con la reclusione da uno a cinque anni

Corruzione di minorenni: interesse tutelato e normativa

A seguito dei correttivi operati sulla previsione di cui all’art. 609-quinquies c.p. dalla L. 172/2012, successivamente dal D.Lgs. 39/2014, nonché, da ultimo, dalla L. 238/2021 (cd. Legge europea 2019-2020), la norma in esame consta di quattro commi, i primi due costituenti le figure-base della fattispecie, mentre il terzo e quarto configurazioni aggravate.

In particolare, ai sensi della disposizione in commento, risponde penalmente chiunque compie atti sessuali in presenza di persona minore di anni quattordici, al fine di farla assistere (comma 1), nonché chiunque fa assistere una persona minore di anni quattordici al compimento di atti sessuali, ovvero mostra alla medesima materiale pornografico, al fine di indurla a compiere o a subire atti sessuali (comma 2).

Il bene giuridico tutelato nel delitto di corruzione di minorenni consiste nella salvaguardia di un sereno sviluppo psichico della sfera sessuale di soggetti di età minore, che non deve essere turbato dal trauma che può derivare dall’assistere ad atti sessuali compiuti con ostentazione da altri.

Corruzione di minorenni: l’ipotesi di cui al comma 1

Come anticipato, il comma 1 della disposizione sanziona penalmente chiunque compie atti sessuali in presenza di persona minore di anni quattordici, al fine di farla assistere.

L’elemento oggettivo di tale configurazione consiste nel compimento di atti sessuali in presenza del minore. Appare condivisibile quella dottrina che ritiene che la pura e semplice esibizione degli organi genitali al minore, qualunque sia la sua finalizzazione, non costituisca compimento di «atti sessuali» in senso stretto.

Per converso, in giurisprudenza si afferma che nella nozione di atto sessuale rilevante ai fini della configurabilità del reato in esame rientra qualsiasi comportamento, anche di mero intenzionale esibizionismo, collegabile alle manifestazioni della vita sessuale.

Basta la presenza del minore

Occorre, poi, sottolineare che il delitto in esame richiede la sola presenza del minore: infatti, se gli atti sessuali coinvolgono direttamente il minore infraquattordicenne, ovvero di età compresa fra i quattordici ed i sedici anni, se legato dai vincoli di parentela o di familiarietà all’agente previsti dall’art. 609quater, comma 1, n. 2), ricorrerà il reato di atti sessuali con minorenne.

È opportuno precisare che a differenza della fattispecie di cui all’art. 609bis, ai fini della sussistenza del reato di corruzione assumono rilievo anche gli atti di bestialità o necrofilia commessi alla presenza di un minore.

La rilevanza del consenso del minore

Si pone, infine, il problema della rilevanza o meno del consenso del minore. In particolare, se il minore volontariamente assiste al compimento di atti sessuali, non ricorrono i presupposti per l’applicazione della causa di giustificazione di cui all’art. 50 c.p. (atteso che il consenso proviene da persona incapace di prestarlo consapevolmente); se, invece, il minore infraquattordicenne viene costretto ad assistere agli atti sessuali ricorrerà tanto il reato di cui all’art. 609quinquies, tanto il reato mezzo commesso per coartare la volontà del minore (violenza privata, minaccia, sequestro di persona).

Esibizione di foto pedopornografiche

Ai fini della configurabilità del delitto, inoltre, è sufficiente l’esibizione, a persona minore degli anni 14, di foto pedopornografiche (ad esempio, minori con genitali in mostra), in modo tale da coinvolgere emotivamente la persona offesa e compromettere la sua libertà sessuale. Si afferma, altresì, che il delitto sia configurabile anche nel caso in cui tali atti, pur compiuti a distanza, siano condivisi con il minore mediante videochat, nel corso della loro commissione, posto che il mezzo di comunicazione telematica, volutamente utilizzato dall’agente, consente di ritenere gli atti commessi in presenza della persona offesa (Cass. 12-4-2023, n. 15261).

Corruzione di minorenni: l’ipotesi di cui al comma 2

Si è detto come, ai sensi del comma 2 della disposizione in commento, è sanzionato penalmente chiunque fa assistere una persona minore di anni quattordici al compimento di atti sessuali, ovvero mostra alla medesima materiale pornografico, al fine di indurla a compiere o a subire atti sessuali.

Trattasi di figura inedita, introdotta dalla L. 172/2012, nota come legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote, ed avente carattere sussidiario, in quanto configurabile solo ove il fatto non costituisca più grave reato.

In particolare, attraverso tale disposto si sono ampliati i margini di tutela del minore, inserendo nella norma condotte oggettivamente più gravi. Se, infatti, in entrambe le configurazioni-base, il disvalore del reato si sostanzia essenzialmente nel fatto che un minore assista al compimento di atti sessuali, privo del necessario «bagaglio» di maturità psico-fisica, nella prima figura tale situazione costituisce lo scopo perseguito dal reo, mentre nella seconda la medesima situazione, come anche il mostrare materiale pornografico, sono finalizzati ad indurre il minore a compiere o subire atti sessuali.

Si tratta di un autonomo delitto comune doloso, la cui configurazione sostanzialmente colma lacune di tutela, in più occasioni, segnalate, presenti nella previgente corruzione di minorenni, della quale peraltro ripropone il medesimo trattamento sanzionatorio per come rimodulato dalla novella del 2012. Si afferma in giurisprudenza che le condotte poste in essere mediante comunicazione telematica – pur svolgendosi in assenza di contatto fisico con la vittima – sono riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 609quinquies, comma 2, c.p., poiché il far assistere persona minore di anni 14 al compimento di atti sessuali o il mostrare alla medesima materiale pornografico al fine di indurla a compiere o a subire atti sessuali non richiede necessariamente la presenza fisica degli interlocutori (si pensi all’invio di materiale pornografico a mezzo di «whatsapp») (Cass. 11-5-2020, n. 14210).

Figure circostanziali aggravanti

La novità disciplinare dovuta, invece, al D.Lgs. 39/2014 si traduce nella previsione di talune figure circostanziali aggravanti. In particolare, per effetto del neointrodotto comma 3 della disposizione in esame, si prevede un incremento sanzionatorio, nel caso in cui il fatto sia commesso da più persone riunite, da persona che fa parte di un’associazione per delinquere e al fine di agevolarne l’attività, o con violenze gravi, ovvero ancora se dal fatto deriva al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave.

Il novero di tali figure circostanziali è stato, da ultimo, integrato dalla cd. Legge europea 2019-2020, al caso in cui dal fatto deriva pericolo di vita per il minore. 

Come già per le fattispecie di cui agli artt. 602ter e 609ter, il legislatore opera analogo correttivo anche in relazione al delitto che si esamina. Ancora una volta, a trovare attuazione è il disposto dell’art. 9, lett. f) della Direttiva 2011/93/UE, il quale prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché sia considerata quale aggravante, con riferimento ai reati sessuali su minori (specificamente indicati negli artt. da 3 a 7 della direttiva stessa) la circostanza per la quale «l’autore del reato, deliberatamente o per negligenza, ha messo in pericolo la vita del minore».

Sempre nel novero delle aggravanti rientra la norma (stavolta dovuta alla L. 172/2012) applicabile al caso in cui il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato, o che abbia con quest’ultimo una relazione di stabile convivenza.

Elemento soggettivo

Sul piano soggettivo, in entrambe le configurazioni (quella originaria e quella frutto dei correttivi del 2012) rileva il dolo specifico, dovendo la cosciente e volontaria realizzazione delle condotte tipizzate essere finalizzata nei modi anzidetti. Si ritiene in giurisprudenza che tale dolo specifico sia incompatibile con la configurazione eventuale.

Si è precisato, altresì, che il delitto di corruzione di minorenne commesso mediante esibizione di materiale pornografico è caratterizzato, stante il fine di indurre il minore infraquattordicenne a compiere o subire atti sessuali, dal dolo specifico, la cui sussistenza può essere desunta anche dalle circostanze di tempo e luogo della condotta, laddove indicative delle specifiche finalità dell’atto (Cass. 2-8-2022, n. 30435).

Consumazione e tentativo

Il delitto si consuma col compimento degli atti sessuali alla presenza del minore. Il tentativo appare senz’altro configurabile. Si configura il reato anche nel caso di una presenza temporanea del minore in occasione dello svolgimento di un rapporto sessuale tra adulti.

Pena e procedibilità

La pena è la reclusione da 1 a 5 anni per le due configurazioni di base, aumentata fino ad un terzo, per l’ipotesi aggravante di cui al comma 3, e fino alla metà per quella di cui al comma 4.

L’arresto in flagranza è facoltativo mentre il fermo non è consentito.

Si procede d’ufficio e la competenza spetta al Tribunale monocratico.

Leggi anche Prostituzione minorile: art. 600-bis c.p.

costrizione o induzione al matrimonio

Matrimonio forzato: il reato ex art. 558-bis c.p. Il reato di costrizione o induzione al matrimonio di cui all'art. 558-bis c.p., introdotto dalla legge 69/2019 (Codice Rosso) è punito con la reclusione da uno a cinque anni, salvo aggravanti

Reato di costrizione o induzione al matrimonio

La figura di reato ex art. 558-bis c.p., introdotta dalla L. 19-7-2019, n. 69 (cd. «Codice rosso») ha natura di reato comune, potendo essere posto in essere da chiunque. Trattasi di norma che mira a tutelare le vittime dei cosiddetti «matrimoni forzati».

Soggetto attivo e interesse tutelato

Si tratta di una piaga che affligge in modo particolare alcune regioni del mondo «in via di sviluppo», specialmente Africa e Asia, ma è riscontrabile sempre più spesso anche nelle odierne società multiculturali e multietniche, sia in Europa, sia oltreoceano. Qui le vittime sono principalmente, anche se non esclusivamente, giovani donne provenienti da comunità e famiglie immigrate, spesso di seconda generazione, di varia origine. Con l’espressione «matrimonio forzato» (dall’inglese forced marriage) si definisce un matrimonio rispetto al quale il consenso manifestato da almeno una delle due parti non era in realtà libero e pieno ed è stato estorto tramite violenze, minacce o altre forme di coercizione.

Nella normativa sovranazionale, l’obbligo di sanzionare penalmente i matrimoni forzati è sancito dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne e della violenza domestica, il cui art. 37 impone agli Stati firmatari di assicurare la repressione penale delle condotte consistenti nel «costringere un adulto o un minore a contrarre un matrimonio» e nell’«attirare un adulto o un minore nel territorio di uno Stato estero, diverso da quello in cui risiede, con lo scopo di costringerlo a contrarre un matrimonio». In Italia, diversamente da molti altri Paesi europei, non era ancora stata introdotta alcuna disposizione ad hoc per queste condotte, la cui repressione penale poteva essere in qualche modo assicurata, de iure condito, attraverso il ricorso ad alcune fattispecie (in particolare quelle degli artt. 572, 605, 610, 609bis, 609quater c.p.), i cui estremi possono risultare integrati nell’ambito di una vicenda di matrimonio forzato.

Quanto all’interesse tutelato, nonostante la collocazione sistematica della fattispecie tra i delitti contro il matrimonio, esso non è identificabile con la sola tutela dell’istituzione matrimoniale, ma è costituito, soprattutto, dalla salvaguardia della libertà individuale in relazione alle scelte di vita che coinvolgono la sfera affettiva.

Le condotte rilevanti

La disposizione si articola in due figure criminose distinte (disciplinate nei primi due commi della norma) ed egualmente sanzionate.

Nello specifico, ai sensi del comma 1 è punito chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile.

La costrizione al matrimonio

Trattasi della cd. costrizione al matrimonio, figura criminosa che ricalca la struttura oggettiva del delitto di violenza privata, prevedendo unicamente la violenza e la minaccia come modalità di coercizione; la sola differenza è che il «fare», costituente l’evento del reato di cui all’art. 610 c.p., nel caso di tale disposizione (qualificabile come «speciale») è individuato nella contrazione di un matrimonio o di un’unione civile. Orbene, per alcuni, un limite della previsione andrebbe ravvisato proprio nel puntualizzare, quale evento lesivo, i soli «matrimonio o unione civile», senza che sia chiaro se la fattispecie abbracci soltanto vincoli con effetti civili, o anche riti considerati come matrimonio dagli agenti. L’espressa menzione di unione civile e matrimonio indurrebbero a ritenere, infatti, che vadano incluse nel novero delle ipotesi punibili unicamente le unioni dotate di effetti civili per l’ordinamento italiano. Una tale interpretazione, peraltro, rischierebbe di ridurre in modo considerevole la portata applicativo-precettiva della norma e la sua efficacia, posto che un gran numero di matrimoni contratti «forzatamente» – specialmente quelli celebrati all’estero – non ha effetti civili. Per evitare tale problema, parte della dottrina auspica una puntualizzazione normativa che conferisca un’accezione più ampia al termine «matrimonio», ricomprendendovi anche unioni valide ai sensi di ordinamenti stranieri, convivenze more uxorio e riti considerati come matrimonio nella comunità di riferimento, come del resto era previsto in uno dei disegni di legge, successivamente accantonati, in cui veniva impiegata la formula «vincolo di natura personale da cui derivano uno o più obblighi tipici del matrimonio o dell’unione civile» (soluzione, peraltro, già adottata nel 2014 in Inghilterra).

A norma del comma 2, viene, altresì, sanzionato penalmente chiunque, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell’autorità derivante dall’affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induce a contrarre matrimonio o unione civile.

L’induzione

Nella nozione di induzione rientrano quella per persuasione e quella mediante frode: la prima configurabile quando l’agente, abusando della qualità o dei poteri, fa leva su di essi per suggestionare, persuadere, convincere la propria vittima, persuasa allo scopo di evitare un male peggiore: in tale ipotesi, la volontà del privato cede il passo a causa della preminenza di colui che induce il quale, sia pure senza avanzare aperte ed esplicite pretese, ingenera nel soggetto privato la fondata persuasione di dover sottostare alle sue decisioni per evitare il rischio di subire un pregiudizio maggiore; la seconda si configura quando, in conseguenza di un inganno, il privato aderisce al modus operandi proposto da colui che induce, temendo le conseguenze derivanti dall’assunzione di una condotta non conforme alle esigenze artificiosamente palesate dal reo.

Orbene, nella lettera della previsione, le modalità coercitive son state tipizzate in modo tale da poter abbracciare tutte quelle ipotesi in cui il consenso della persona venga ottenuto attraverso violenze psicologiche più sottili e, in generale, abusando dell’autorità genitoriale o familiare. Ipotesi molto frequenti, se non addirittura «tipiche» del fenomeno in esame, che rendono difficile l’applicazione del reato di violenza privata e dunque parziale la tutela che questa norma sarebbe in grado di fornire.

Inoltre, l’impiego del termine «induzione» per descrivere la condotta dell’agente richiama, sul piano definitorio, una coercizione «anomala» e più lata, perseguita con mezzi meno diretti rispetto alle classiche violenze fisiche e minacce, ma che comunque hanno lo scopo ed il risultato di condizionare e viziare il consenso di una persona a contrarre un’unione in realtà non voluta. Il legislatore dunque, anziché prevedere in un’unica fattispecie tutte le possibili modalità di condotta con le quali si può imporre il matrimonio, ha preferito distinguere due forme, in base all’entità e alla tipologia della coazione esercitata, attribuendo però ad entrambe il medesimo trattamento sanzionatorio, a conferma del fatto che si tratta pur sempre, in entrambi i casi, di un consenso estorto con violenza, intesa nel senso estensivo anzidetto.

Circostanze aggravanti

I commi 3 e 4 della previsione in esame riconoscono la sussistenza di un surplus di disvalore penale, prevedendo una circostanza aggravante per il caso in cui uno i fatti indicati nei precedenti commi siano commessi in danno di minori (con risposa sanzionatoria ancor più intensa, e natura dell’aggravante «ad effetto speciale» ove trattasi di infraquattordicenni).

Nei commenti alla riforma, si è osservato, peraltro, che, ferma restando l’ovvia opportunità di un incremento sanzionatorio, in presenza di minore età della vittima (tra l’altro, in linea con i principi del nostro ordinamento), probabilmente sarebbe stato opportuno che il legislatore configurasse un’ipotesi delittuosa autonoma in cui, al di sotto di determinate soglie d’età, il reato fosse integrato a prescindere da condotte coercitive, anche in considerazione del fatto che i matrimoni precoci, contratti con persona minorenne, sono sempre considerati come «forzati» in tutti i numerosi strumenti normativi delle organizzazioni internazionali, salvo naturalmente le specifiche eccezioni disciplinate dalle leggi statali (ad esempio, in Italia, nei casi di «emancipazione»). L’adozione di tale opzione normativa – sul modello di quella scelta con il delitto di atti sessuali con minorenne, ex art. 609quater c.p. – si ritiene, potrebbe fornire una tutela ancora più ampia a coloro che, a causa della loro minore età, non sono in grado di esprimere un consenso pieno e libero rispetto ad un fatto della vita importante come un’unione coniugale (per tal via evitando il rischio, altresì, di veder neutralizzata la risposta sanzionatoria inasprita attraverso il gioco «perdente» del bilanciamento circostanziale con eventuali, concorrenti, circostanze attenuanti).

Limiti di applicabilità

La fattispecie si chiude precisando che le relative disposizioni trovano applicazione anche quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia. 

Trattasi di deroga al principio di territorialità, costruita sulla falsariga di quella, di analogo tenore, introdotta in occasione della creazione di un’altra fattispecie di reato dalle spiccate connotazioni internazionali: il delitto di «Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili», previsto e punito dall’art. 583bis c.p. Si è osservato come tale norma estensiva sia da ritenersi assolutamente condivisibile, allo scopo di reprimere efficacemente un fenomeno caratterizzato da una grande transnazionalità. L’evento tipizzato dalle figure criminose previste dalla norma, infatti, si realizza molto spesso all’estero, ai danni e ad opera di soggetti che risiedono stabilmente (e talvolta hanno avuto i loro natali) nel territorio dello Stato. Peraltro, la previsione di una deroga dal tenore anzidetto è espressamente richiesta anche dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne e della violenza domestica (in particolare all’art. 44, dedicato alla giurisdizione, paragrafo 2).

Elemento soggettivo e consumazione

Sotto il profilo soggettivo, la fattispecie è punibile a titolo di dolo generico, richiedendosi la cosciente e volontaria realizzazione delle condotte costrittivo-induttive anzidette, a prescindere dalle finalità concretamente perseguite dal reo. Il reato si consuma con la contrazione del matrimonio o dell’unione civile.

Pena e procedibilità

La pena è la reclusione da uno a cinque anni, aumentata fino ad un terzo se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni diciotto, mentre è la reclusione da due a sette anni se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni quattordici.

L’arresto in flagranza è facoltativo ed il fermo consentito solo nella seconda ipotesi aggravata.

Si procede d’ufficio e la competenza spetta al Tribunale monocratico.

reato atti sessuali minorenne

Atti sessuali con minorenne L'art. 609quater c.p. punisce con la reclusione da sei a dodici anni chiunque compie atti sessuali con minori di anni 14 o di anni 16 quando il colpevole è un familiare o tutore

Nozione e scopo dell’art. 609quater c.p.

L’art. 609quater c.p. sanziona penalmente, con la pena prevista dall’art. 609bis, chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto non ha compiuto gli anni quattordici (comma 1, n. 1) ovvero non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza (comma 1, n. 2).

In tale ultima ipotesi, rileva il titolo dell’affidamento del minore, che determina l’instaurazione di un rapporto fiduciario che pone l’agente in una condizione di preminenza e di autorevolezza idonea a indurre il minore a prestare un consenso agli atti sessuali, e non il luogo in cui vengono consumati gli atti sessuali, che può essere diverso da quello in cui sussistono le ragioni di vigilanza e custodia dell’affidamento.

Il comma 2

Il comma 2 di tale previsione sanziona penalmente, ma in misura attenuata (e sempre fuori dai casi in cui sia configurabile una violenza sessuale ex art. 609bis c.p.) i medesimi soggetti elencati nel comma  1, n. 2), i quali, con l’abuso dei poteri connessi alla loro posizione, compiano atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni sedici.

Oggetto giuridico

Oggetto giuridico della tutela penale apprestata dalla norma è il corretto sviluppo della personalità sessuale del minore; in particolare, essa stabilisce l’assoluta intangibilità sessuale per il minore di quattordici anni, e quella relativa (in particolari situazioni) per il minore di anni sedici nei confronti del soggetto attivo in relazione di parentela, cura o vigilanza con il minore stesso.

Il legislatore muove, dunque, da una presunzione di incapacità di una consapevole prestazione del consenso al compimento di atti sessuali, delle persone che si trovano nelle condizioni indicate dalla norma in esame. Si parla, perciò, in tali casi di violenza sessuale presunta secondo una terminologia già in precedenza adoperata per le corrispondenti ipotesi previste e punite dall’art. 519 c.p. nn. 1) e 2).

Il delitto non è necessariamente caratterizzato dal contatto fisico fra l’agente e la vittima, risultando configurabile anche nel caso in cui l’uno trovi soddisfacimento sessuale dal fatto di assistere all’esecuzione di atti sessuali da parte dell’altra (Cass. 21-6-2023, n. 26809).

Atti sessuali con minorenne e legge n. 238/2021: l’inedito comma 3

Sulla portata precettiva della disposizione in esame ha inciso, da ultimo, la L. 23-12-2021, n. 238 (nota come Legge europea 2019-2020), correttivi tradottisi nell’introduzione di un inedito comma 3 e nella riscrittura (in senso estensivo) dell’originario comma 3, già introdotto dal cd. «Codice rosso» del 2019.

Partendo, dunque, dal primo dei segnalati correttivi, fuori dei casi di configurabilità delle ipotesi di reato appena descritte, viene sanzionato penalmente chiunque compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni quattordici, abusando della fiducia riscossa presso il minore o dell’autorità o dell’influenza esercitata sullo stesso in ragione della propria qualità o dell’ufficio ricoperto o delle relazioni familiari, domestiche, lavorative, di coabitazione o di ospitalità.

La modifica deve ritenersi volta ad attuare quanto previsto dall’art. 3 della Direttiva 2011/93/UE, che al par. 5, lett. i), prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché siano punite le condotte intenzionali di chi compie atti sessuali con un minore, e a tal fine abusa di una posizione riconosciuta di fiducia, autorità o influenza sul minore.

Il comma 4, dopo la legge europea

Come anticipato, il secondo dei correttivi dovuti alla cd. legge europea si è tradotto nella riscrittura dell’originario comma 3 della disposizione in commento, per effetto della quale si prevede un incremento sanzionatorio:

1) se il compimento degli atti sessuali con il minore che non ha compiuto gli anni quattordici avviene in cambio di denaro o di qualsiasi altra utilità, anche solo promessi;

2) se il reato è commesso da più persone riunite;

3) se il reato è commesso da persona che fa parte di un’associazione per delinquere e al fine di agevolarne l’attività;

4) se dal fatto, a causa della reiterazione delle condotte, deriva al minore un pregiudizio grave;

5) se dal fatto deriva pericolo di vita per il minore.

L’integrale sostituzione del comma 3 della previsione in commento si traduce, ad un tempo, nella conferma della preesistente aggravante ad efficacia comune, consistente nel mercimonio di atti sessuali con minori infraquattordicenni in cambio anche della mera promessa di denaro o utilità, già introdotta dalla L. 69/2019, cd. Codice rosso, cui si aggiunge una integrazione di figure aggravanti che rende, in tal parte, la norma sovrapponibile al comma 8 dell’art. 602ter, alla cui lettera si rinvia.

La causa di non punibilità di cui al comma 5

Il comma 5 prevede una causa di non punibilità a beneficio del minorenne che al di fuori delle ipotesi previste nell’art. 609bis, compie atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni tredici, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore a quattro anni.

La scelta di dar rilievo al consenso del minore ultratredicenne, pur incapace di agire (cfr. art. 2 c.c.), si inserisce nella più ampia tendenza al riconoscimento, nel mondo giuridico, delle capacità di autodeterminazione (sia pure a precise condizioni) dei minori. Per la migliore dottrina si tratta di una causa di non punibilità di carattere soggettivo.

Figure circostanziali (commi 6 e 7)

I commi 6 e 7 dell’art. 609quater prevedono una circostanza attenuante ed una aggravante: la prima ricorre nei casi di minore gravità, consentendo la diminuzione della pena in misura non eccedente i due terzi; la seconda ricorre quando la persona offesa non ha compiuto gli anni dieci.

Si afferma che, in tema di atti sessuali con minorenne, per l’applicazione dell’attenuante speciale prevista dall’art. 609quater, comma 6, c.p. il giudice deve valutare l’intensità dell’offesa all’integrità fisio-psichica del minore nella prospettiva di un corretto sviluppo della personalità sessuale, considerando tutte le caratteristiche oggettive e soggettive del fatto (Cass. 27-1-2021, n. 3241).

Più di recente, si è precisato che per il riconoscimento della suddetta attenuante è necessaria una valutazione globale del fatto in cui assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima e le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, anche in relazione all’età, mentre, ai fini del suo diniego, è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità (Cass. 1-3-2023, n. 8735).

Elemento soggettivo

La fattispecie è punibile a titolo di dolo generico, che presuppone la volontà dell’atto sessuale con la coscienza di tutti gli elementi essenziali del fatto.

Consumazione e tentativo

Il delitto si consuma con il compimento dell’atto sessuale. In particolare, il reato ha natura istantanea, e non già abituale o permanente, in quanto si perfeziona con la realizzazione del fatto tipico, ossia con il compimento dell’atto sessuale che ne esaurisce l’offesa (Cass. 5-7-2022, n. 25619). È configurabile il tentativo del reato di atti sessuali con minorenne quando, pur in mancanza di un contatto fisico tra i soggetti coinvolti, la condotta tenuta dall’imputato presenta i requisiti della idoneità e della univocità dell’invito a compiere atti sessuali, in quanto la stessa è specificamente diretta a raggiungere l’appagamento degli istinti sessuali dell’agente attraverso la violazione della libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale. Possono essere in astratto indici rivelatori dell’idoneità dell’azione la ripetitività degli episodi ed il modo pressante della richiesta. È, però, necessario, al fine di riscontrare anche l’estremo dell’univocità, inserire il comportamento nelle concrete modalità di spazio e di tempo, per verificarne la direzione all’effettiva perpetrazione dell’illecito e la coincidenza della fattispecie concreta con quella legale.

Pena ed istituti processuali

La pena prevista per il reato in esame è la stessa del reato di cui all’art. 609bis (da sei a dodici anni di reclusione) ma per il comma 2 è la reclusione da 3 a 6 anni (aumentata fino ad un terzo per la neointrodotta ipotesi aggravata).

Per il comma 3, la pena è la reclusione fino a 4 anni. Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi. Si applica la pena di cui all’art. 609ter, comma 2, se la persona offesa non ha compiuto gli anni dieci. L’arresto è obbligatorio (commi 1 e 2) ed il fermo consentito (commi 1 e 7).

Si procede d’ufficio e la competenza spetta al Tribunale collegiale.