pensioni all'estero

Pensioni all’estero: seconda fase accertamento esistenza in vita L'Inps comunica l'avvio della seconda fase dell'accertamento dell'esistenza in vita per i pensionati residenti all'estero

Pensioni all’estero e accertamento esistenza in vita

Pensioni all’estero: con il messaggio n. 3006/2024, l’Inps ha comunicato l’avvio della seconda fase dell’accertamento dell’esistenza in vita nei confronti dei pensionati residenti in EuropaAfrica e Oceania, Sono esclusi i paesi scandinavi e quelli dell’Est Europa già interessati dalla prima fase (avviata per il 2024-2025 con il messaggio n. 4071/2023).

Richieste di attestazione entro il 18 gennaio 2025

Pertanto, a partire dal 20 settembre 2024, Citibank N.A. curerà la spedizione delle richieste di attestazione dell’esistenza in vita nei confronti dei pensionati residenti in Europa, Africa e Oceania, i quali dovranno restituirle alla Banca entro il 18 gennaio 2025.

Qualora l’attestazione non sia prodotta, il pagamento della rata di febbraio 2025, laddove possibile, avverrà in contanti presso le agenzie Western Union del Paese di residenza e, in caso di mancata riscossione personale o produzione dell’attestazione di esistenza in vita entro il 19 febbraio 2025, il pagamento delle pensioni sarà sospeso a partire dalla rata di marzo 2025.  

Verifica generalizzata a prescindere dall’area geografica

Inoltre, evidenzia l’istituto, “al fine di ridurre il rischio di pagamenti di prestazioni dopo la morte del beneficiario e in una logica di prevenzione delle criticità derivanti dalle eventuali azioni di recupero delle somme indebitamente erogate, alcuni gruppi di pensionati potranno essere interessati dalla verifica generalizzata dell’esistenza in vita indipendentemente dalla propria area geografica di residenza o domicilio”.

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avvocati in scadenza contributi

Avvocati: in scadenza i contributi minimi obbligatori 2024 Cassa Forense comunica che dal 10 settembre sono disponibili le modalità pagoPA e F24 per saldare i contributi in scadenza il 30 settembre

Al via il pagamento della quarta dei contributi minimi obbligatori 2024, in scadenza il 30 settembre.

Cassa Forense ha reso noto infatti che “la funzione per la generazione e la stampa dei moduli di pagamento – pagoPA ed F24 – della quarta rata dei contributi minimi obbligatori del 2024 – è – disponibile, dalle ore 9,00 del giorno 10 settembre 2024, tramite la sezione “Accessi riservati/posizione personale“, mediante l’utilizzo dei  codici personali Pin e Meccanografico”.

La quarta rata, ricorda la Cassa, “comprende la rivalutazione ISTAT, prevista dall’art. 21 del Regolamento Unico della previdenza Forense, per l’anno 2024 (+ 5,4%) nonché il contributo di maternità pari ad € 96,76″.

Il 30 settembre è prevista anche la scadenza per l’invio telematico del Modello 5 e del Modello 5-Ter oltre ai contributi integrativi in autoliquidazione connessi a quest’ultimo.

Congedo parentale 2024: le faq dell’Inps L'Istituto di previdenza ha aggiornato le faq sul congedo parentale 2024 a fronte delle richieste di chiarimento provenienti da vari lavoratori

Faq INPS Congedo parentale 2024

Congedo parentale 2024: l’Inps ha aggiornato sul proprio portale istituzionale le relative faq, a fronte delle richieste di chiarimenti pervenute da vari lavoratori.
Undici le risposte dell’istituto alle domande più frequenti in materia, comprensive di casistica ed esempi di calcolo.
L’INPS ha anche chiarito i criteri di calcolo della mensilità ai fini del congedo parentale e i presupposti per poter accedere all’ulteriore mensilità indennizzata all’80%, alla luce delle novità introdotte dalle ultime due leggi di bilancio.
La domanda di congedo parentale, tra i chiarimenti forniti dall’istituto nelle faq, va presentata in modalità telematica attraverso il portale istituzionale www.inps.it, il Contact center integrato o gli Istituti di Patronato.
Sarà il datore di lavoro ad erogare la maggiorazione in busta paga, secondo le indicazioni fornite dall’Inps con la circolare n. 57 del 18 aprile 2024.
corte ue conferma multa

La Corte UE conferma la multa di 2,4 miliardi a Google Conclusa la questione aperta fin dal 2017 con Google Alphabet. Per i giudici di Lussemburgo si è trattato di abuso della propria posizione dominante

Confermata multa a Google

La Corte UE conferma la multa di 2,4 miliardi a Google, per aver abusato della propria posizione dominante favorendo il serrvizio di prodotti. La sentenza è resa dalla Corte nella causa C-48/22 P | Google e Alphabet/Commissione (Google Shopping).

La vicenda

La vicenda ha inizio nel 2017, quando la Commissione aveva inflitto un’ammenda di circa 2,4 miliardi di euro a Google per aver abusato della sua posizione dominante su vari mercati nazionali della ricerca su Internet favorendo il proprio servizio di comparazione di prodotti rispetto a quello dei suoi concorrenti.

Poiché il Tribunale ha, in sostanza, confermato tale decisione e mantenuto l’ammenda di cui sopra, Google e Alphabet hanno proposto un’impugnazione dinanzi alla Corte, che è stata respinta da quest’ultima confermando così la sentenza del Tribunale.

La Commissione

Con decisione del 27 giugno 2017, la Commissione aveva constatato che, in tredici paesi dello Spazio economico europeo (SEE), “Google aveva privilegiato, sulla sua pagina di risultati di ricerca generale, i risultati del proprio comparatore di prodotti rispetto a quelli dei comparatori di prodotti concorrenti. Google aveva infatti presentato i risultati di ricerca del suo comparatore di prodotti in prima posizione e li aveva valorizzati all’interno di «boxes», accompagnandoli con informazioni visive e testuali attraenti”.

Per contro, i risultati di ricerca dei comparatori di prodotti concorrenti “apparivano soltanto come semplici risultati generici (presentati sotto forma di link blu) ed erano, per tale motivo, contrariamente ai risultati del comparatore di prodotti di Google, suscettibili di essere retrocessi da algoritmi di aggiustamento nelle pagine di risultati generali di Google”.

La Commissione ha concluso che Google aveva abusato della propria posizione dominante sul mercato dei servizi di ricerca generale su Internet nonché su quello dei servizi di ricerca specializzata di prodotti e le ha inflitto un’ammenda di EUR 2 424 495 000, per il pagamento della quale Alphabet, in quanto socia unica di Google, è stata ritenuta responsabile in solido per un importo di EUR 523 518 000.

Il tribunale e la Corte

La questione era approdata innanzi al tribunale UE, il quale aveva respinto il ricorso e confermato l’ammenda.

Google e Alphabet hanno allora proposto un’impugnazione dinanzi alla Corte, la quale con la sentenza in parola ha rigettato l’impugnazione e confermato la sentenza del Tribunale.

La decisione

Nella sentenza, la Corte ricorda che “il diritto dell’Unione sanziona non l’esistenza stessa di una posizione dominante, bensì soltanto lo sfruttamento abusivo di quest’ultima. In particolare, sono vietati i comportamenti di imprese in posizione dominante che restringano la concorrenza basata sui meriti e siano dunque suscettibili di causare un pregiudizio alle singole imprese e ai consumatori”.

Tra tali comportamenti rientrano quelli che, con mezzi diversi dalla concorrenza basata sui meriti, “ostacolano il mantenimento o lo sviluppo della concorrenza su un mercato in cui il grado di concorrenza è già indebolito, proprio in ragione della presenza di una o più imprese in posizione dominante”.

Non si può certo ritenere, in generale, “che un’impresa dominante che applichi ai propri prodotti o ai propri servizi un trattamento più favorevole di quello che essa accorda a quelli dei suoi concorrenti tenga, indipendentemente dalle circostanze del caso di specie, un comportamento che si discosta dalla concorrenza basata sui meriti” precisa la Corte. La stessa constata tuttavia che nella fattispecie, “il Tribunale ha effettivamente stabilito che, alla luce delle caratteristiche del mercato e delle circostanze specifiche del caso in esame, il comportamento di Google era discriminatorio e non rientrava nell’ambito della concorrenza basata sui meriti”.

giurista risponde

Competenza delitto di lesioni personali dopo la riforma Cartabia Delitto di lesioni personali comportanti una malattia di durata superiore a venti giorni e non eccedente i quaranta: chi è competente?

Quesito con risposta a cura di Andrea Primavilla, Valentina Russo e Stefania Segato

 

 

Se la competenza per materia per il delitto di lesioni personali comportanti una malattia di durata superiore a venti giorni e non eccedente i quaranta, dopo le modifiche introdotte dall’art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, permanga in capo al tribunale ovvero sia stata attribuita dalla stessa norma al giudice di pace.

Appartiene al giudice di pace, dopo l’entrata in vigore delle modifiche introdotte dall’art. 2, comma 1, D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, la competenza per materia in ordine al delitto di lesione personale nei casi procedibili a querela, anche quando comporti una malattia di durata superiore a venti giorni e fino a quaranta giorni, fatte salve le ipotesi espressamente escluse dall’ordinamento. – Cass., Sez. Un., 28 marzo 2024, n. 12759.

Nel caso di specie, la Corte d’appello territoriale confermava la sentenza con cui il Tribunale, sul presupposto della sua competenza, aveva dichiarato la responsabilità dell’imputato per il delitto di cui all’art. 582 c.p., per aver cagionato lesioni personali alla persona offesa, giudicate guaribili in trenta giorni.

Investita del ricorso, la Quinta Sezione della Corte di cassazione ha rimesso gli atti alle Sezioni Unite, rilevando l’esistenza di un contrasto in ordine alla individuazione del giudice competente, relativamente al delitto di lesioni personali comportanti una malattia di durata superiore ai venti giorni e non eccedente i quaranta giorni, quando il fatto è perseguibile a querela, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.

Secondo un primo orientamento, il giudice di pace è competente per il delitto di lesioni personali, anche nel caso di malattia di durata superiore a venti giorni e non eccedente i quaranta giorni, sempre che la perseguibilità sia a querela a norma dell’art. 582 c.p. attualmente in vigore.

A fondamento di questo indirizzo, una interpretazione estensiva, o “parzialmente analogica” dell’art. 4, comma 1, lett. a), D.Lgs. 274/2000, coerente con la finalità deflattiva della Riforma e con la persistente vigenza del D.Lgs. 274/2000, istitutivo della competenza penale del giudice di pace.

Secondo un diverso orientamento, fondato sulla interpretazione letterale del combinato disposto del “nuovo” art. 582, comma 2, c.p. e dell’art. 4 D.Lgs. 274/2000, il giudice di pace non ha più alcuna competenza in materia di lesioni personali, poiché le ipotesi perseguibili a querela sono ora previste tutte nel primo comma dell’art. 582 c.p. e dall’art. 4, limite di ogni altro metodo ermeneutico, ivi compreso quello dell’interpretazione estensiva.

La Suprema Corte, dichiarato inammissibile il ricorso, ha ritenuto che nella interpretazione delle citate disposizioni occorra farsi guidare da una interpretazione letterale, limite insuperabile anche qualora si proceda a una interpretazione estensiva, ai sensi degli artt. 12 preleggi e 101, comma 2, Cost. Tuttavia, il rispetto della lettera della legge impone di esaminare la singola disposizione in modo sistematico, per individuare il preciso significato e l’ambito applicativo della stessa, ovvero considerando tutte le norme riferite alla disciplina dell’identica vicenda che si pongano tra loro in rapporti di reciproca interferenza, dal momento che le disposizioni normative non possono mai essere prese in considerazione isolatamente, dovendo sempre essere valutate come componenti di un “insieme” tendenzialmente unitario, in coordinamento con le altre riferite alla disciplina dell’identica vicenda. Per tale ragione, la Suprema Corte afferma che l’art. 4, comma 1, lett. a), D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, va letto in combinato disposto con l’art. 15, comma 1, L. 24 novembre 1999, secondo una interpretazione sistematica, che valorizza il dato testuale risultante dal combinato disposto delle due previsioni normative.

In questa prospettiva, è possibile ritenere che, tra i possibili significati attribuibili al dato testuale del combinato disposto delle due previsioni normative, rientra senz’altro anche quello secondo cui sono devoluti alla competenza del giudice di pace i delitti consumati o tentati di lesione personale, quando la procedibilità per gli stessi sia a querela e fatte salve le ipotesi espressamente escluse dall’ordinamento.

*Contributo in tema di “Delitto di lesioni personali e competenza”, a cura di Andrea Primavilla, Valentina Russo e Stefania Segato, estratto da Obiettivo Magistrato n. 76 / Luglio 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

reato per l'avvocato

Reato per l’avvocato che deposita ricorsi senza abilitazione Integrato l'esercizio abusivo della professione di avvocato per chi, non abilitato, deposita ricorsi in commissione tributaria

Esercizio abusivo della professione di avvocato

Reato per l’avvocato che deposita in commissione senza abilitazione. E’ integrato infatti l’esercizio abusivo della professione di avvocato per chi senza essere abilitato deposita ricorsi alla commissione tributaria. Così la sesta sezione penale della Cassazione nella sentenza n. 25006/2024.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d’appello di Genova, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Savona rideterminava
la pena, quantificata in mesi sei di reclusione ed euro 10.000 di multa, nei confronti di un soggetto in ordine al delitto di esercizio abusivo della professione di avvocato ex art. 348 cod. pen., e dichiarava non doversi procedere per prescrizione in ordine al delitto di truffa aggravata.

Il ricorrente adisce il Palazzaccio denunciando, tra l’altro, la carenza degli elementi necessari ai fini dell’integrazione del delitto contestato in quanto i ricorsi depositati presso la Commissione Tributaria Provinciale di Savona, erano stati presentati da altro professionista regolarmente abilitato che collaborava con lo stesso, né veniva dimostrato che fosse stato il ricorrente ad averli depositati.

La decisione

Sul fronte dell’entità della pena, la S.C. osserva innanzitutto che “la pena in concreto irrogata per il delitto di esercizio abusivo della professione ex art. 348 cod. pen. è illegale là dove è stata quantificata secondo la forbice edittale non ancora vigente al momento della commissione dei fatti, invero, risalenti al 1 febbraio 2013 ed al 15 aprile 2014”.
La fondatezza del motivo in punto di trattamento sanzionatorio determina la prescrizione del reato, con la necessità di annullare senza rinvio la decisione impugnata.
Tuttavia, in ragione della presenza della parte civile costituita, la Cassazione ritiene necessario dare conto dell’infondatezza del primo motivo di ricorso con cui si contesta il personale contributo fornito dal ricorrente alla condotta qualificata ex art. 348 cod. pen.
“Sotto tale aspetto – aggiungono gli Ermellini – il ricorso si presenta generico e riproduttivo di identica censura adeguatamente vagliata dalla Corte d’appello, che ha rilevato come il coinvolgimento del ricorrente emergesse dalle dichiarazioni rese dai testimoni e dalla coimputata oltre che dall’apprezzata documentazione acquisita, rilevando come proprio il contenuto del mandato alla lite apposto a margine dei ricorso smentisse l’assunto secondo cui lo stesso si fosse limitato a fornire consigli al professionista abilitato all’attività difensiva prestata in occasione della presentazione dei ricorsi presso la Commissione Tributaria Provinciale di Savona”.
Le citate ragioni, “che danno conto della realizzazione della condotta generatrice del danno nei confronti della costituita parte civile, assistita legalmente da chi era privo di un titolo ad esercitare la professione forense, impongono la conferma delle statuizioni civili”.

Per cui, la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione e conferma le statuizioni civili.

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bonus psicologo 2024

Bonus psicologo 2024: online le graduatorie L'INPS ha pubblicato le graduatorie degli aventi diritto al bonus psicologo 2024, chiarendo le modalità per la consultazione e l'ottenimento del contributo

Bonus psicologo 2024

Bonus psicologo 2024: sono online le graduatorie degli aventi diritto al contributo per sostenere le spese relative a sessioni di psicoterapia. Lo rende noto l’INPS che, con il messaggio n. 2976 del 6 settembre 2024, illustra le modalità per consultare le graduatorie attraverso il servizio online Bonus psicologo.

Si ricorda che il bonus psicologo è un contributo economico introdotto per aiutare le persone che soffrono di ansia, stress, depressione o fragilità psicologica a causa della pandemia e della crisi socio-economica. Il bonus copre fino a 50 euro a seduta di psicoterapia, per un importo massimo variabile in base al reddito ISEE. In particolare, il contributo è rivolto a tutti i cittadini italiani o residenti in Italia che:

  • hanno un ISEE inferiore a 50.000 euro;
  • hanno avuto gravi conseguenze di natura psicologica a causa della pandemia;
  • vogliono intraprendere un percorso psicoterapeutico.

Le graduatorie INPS

Le graduatorie, distinte per Regione e Provincia autonoma di residenza dei richiedenti, sono state elaborate tenendo conto del valore dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) più basso e, a parità di valore dell’ISEE, dell’ordine cronologico di presentazione delle relative domande, nei limiti dell’ammontare delle risorse indicate all’articolo 1 del decreto interministeriale 24 novembre 2023, come ripartite nella tabella 1 allegata al medesimo decreto.

Come consultare la graduatoria

Con il messaggio 2976, l’istituto comunica che le graduatorie sono consultabili attraverso il servizio “Contributo per sostenere le spese relative a sessioni di psicoterapia – Bonus psicologo”, accedendo con la propria identità digitale SPID di livello 2 o superiore, Carta di identità elettronica (CIE) 3.0 o Carta Nazionale dei servizi (CNS) dalla Homepage del portale istituzionale, digitando nella barra del motore di ricerca le parole “bonus psicologo”.

Una volta completato l’accesso alla procedura, i soggetti possono visualizzare l’esito della domanda in uno dei seguenti stati:

  • “Accolta”: al beneficiario, in possesso dei requisiti di accesso alla misura, è riconosciuto l’intero importo spettante da utilizzare entro 270 giorni dalla data di pubblicazione del messaggio n. 2584 dell’11 luglio 2024;
  • “Parzialmente accolta”: al beneficiario, in possesso dei requisiti di accesso alla misura, ultimo di ogni graduatoria regionale o delle Province autonome, è riconosciuto in misura parziale l’importo spettante fino a concorrenza delle risorse economiche assegnate alla Regione/Provincia autonoma;
  • “Non accolta provvisoria”: ai richiedenti, in possesso dei requisiti di accesso alla misura, non può essere assegnato l’importo spettante per incapienza delle risorse economiche messe a disposizione delle Regioni/Province autonome.

Sulla base dei fondi al momento stanziati per l’anno 2023, le domande per l’anno 2024 attualmente accolte, precisa l’INPS, sono pari a 3.325.

ufficio del processo

Ufficio del processo: accelerata la giustizia civile Centomila i procedimenti civili arretrati smaltiti in un anno. I dati nello studio del Ministero della Giustizia e Bankitalia

Upp acceleratore della giustizia civile

L’Ufficio del processo è un acceleratore della giustizia civile. E’ quanto emerge dai dati dello studio congiunto realizzato dal ministero della Giustizia e dalla Banca d’Italia, “Gli effetti dell’ufficio per il processo sul funzionamento della giustizia civile”, disponibile in versione integrale.

“L’assunzione degli addetti Upp prevista dal Pnrr ha avuto un impatto positivo sulla definizione dei processi, soprattutto i più complessi, con riflessi positivi anche sull’abbattimento dell’arretrato e la riduzione dei tempi” si legge nella nota di via Arenula.

I dati

Si stima, infatti, che dall’immissione del primo gruppo di addetti Upp, nel primo trimestre 2022, alla fine del 2023, i tribunali che hanno ricevuto un numero maggiore di addetti hanno registrato una variazione nel numero dei procedimenti definiti di circa 4 punti percentuali più elevata; per i procedimenti più complessi la variazione è di circa 10 punti percentuali.

L’incremento complessivo di definizioni è valutabile in circa 100.000 procedimenti civili all’anno, pari a circa 1/3 dell’arretrato 2019.

Il contributo degli addetti risulta essere maggiore nei tribunali che prima della pandemia avevano già livelli di produttività elevata, “segno che gli uffici con maggiore capacità organizzativa hanno saputo sfruttare meglio le nuove risorse”.

Un risultato incoraggiante, conclude il ministero, “anche alla luce del fatto che gli effetti positivi messi in luce dall’analisi hanno riguardato il primo periodo di immissione degli addetti Upp; solo in un orizzonte temporale più lungo potranno pienamente dispiegarsi i benefici – in termini di quantità e qualità della risposta –  della nuova organizzazione del lavoro all’interno degli uffici giudiziari”.

recidiva

Recidiva: il giudice deve motivare specificamente La Cassazione ricorda che in tema di recidiva è richiesta al giudice una specifica motivazione e in tal caso è escluso il sindacato di legittimità

Recidiva

In materia di recidiva è richiesta al giudice un specifica motivazione. Lo ha ricordato la seconda sezione penale nella sentenza n. 19125/2024 dichiarando inammissibile il ricorso di un imputato.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte di appello di Firenze, confermava la sentenza di primo grado che aveva ritenuto un uomo responsabile dei reati di cui agli artt. 110 cod. pen., 5 comma 9 D.Lgs. n. 231/2007 (ora art. 493-ter cod. pen.) e 110- 482 cod. pen. aggravati da recidiva reiterata.

L’uomo mediante il proprio difensore adisce la Cassazione, lamentando violazione di legge penale in relazione al riconoscimento della recidiva, in quanto la Corte di appello si era limitata ad evidenziare l’esistenza di precedenti penali dell’imputato, specifici e vicini nel tempo, non spiegando in alcun modo per quali ragioni la condotta avrebbe dovuto essere ritenuta di un’offensività tale da dover ritenere la pericolosità del soggetto aumentata in raffronto con i suddetti precedenti penali.

Ricorso inammissibile

Per gli Ermellini il ricorso è inammissibile. Il giudice territoriale infatti ha fornito congrua ed esaustiva motivazione evidenziando che il numero e la specificità dei precedenti del ricorrente non apparivano “una ricaduta occasionale bensì un pervicace percorso criminale intrapreso dall’imputato nel lontano 1985”.

Trattasi, pertanto, di motivazione logica, sulla quale non è ammesso il sindacato di legittimità.

Per cui il ricorso è inammissibile e il ricorrente condannato anche al pagamento di 3mila euro a favore della Cassa delle ammende.

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giurista risponde

Millantato credito e traffico di influenze illecite Sussiste continuità normativa tra il reato di millantato credito e il reato di traffico di influenze illecite?

Quesito con risposta a cura di Andrea Primavilla, Valentina Russo e Stefania Segato

 

Non sussiste continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all’art. 346, comma 2, cod. pen. – abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. s), della L. 9 gennaio 2019, n. 3 – e il reato di traffico di influenze illecite di cui all’art. 346bis c.p., come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. t), della L. 3/2019; le condotte, già integranti gli estremi dell’abolito reato di cui all’art. 346, comma 2, c.p., potevano, e tuttora possono, configurare gli estremi del reato di truffa (in passato astrattamente concorrente con quello di millantato credito corruttivo), purché siano formalmente contestati e accertati in fatto tutti gli elementi costitutivi della relativa diversa fattispecie incriminatrice. – Cass., Sez. Un., 15 maggio 2024, n. 19357.

Il caso da cui scaturisce il rinvio alle Sezioni Unite Penali è quello di un soggetto, detenuto in carcere, il quale convinceva un altro recluso a promettergli del denaro in cambio dell’intermediazione che il primo avrebbe esercitato su di un agente penitenziario, rimasto ignoto, per evitare che l’altro recluso fosse trasferito in altra struttura detentiva, nonostante tale trasferimento non fosse stato programmato dall’amministrazione penitenziaria. Nelle more del giudizio – nel quale inizialmente si procedeva per il delitto ex art. 319quater c.p. – interveniva la L. 3/2019 che introduceva il reato di cui all’art. 346bis c.p., per cui l’imputato veniva condannato dalla Corte d’Appello che riformulava la condanna di primo grado.

La questione sottoposta all’attenzione delle Sezioni Unite è relativo alla possibilità di ravvisare continuità normativa tra l’abrogata fattispecie di millantato credito (art. 346 c.p.) e la nuova fattispecie di traffico di influenze illecite (art. 346bis c.p.), con particolare riguardo alla punibilità del “venditore di fumo” (ovvero del soggetto che chieda ad un soggetto denaro o altre utilità in cambio della sua intermediazione presso un pubblico ufficiale, quanto tuttavia tale influenza non esista, configurandosi la stessa quale mera occasione per ingannare il privato).

La soluzione positiva si fondava su due ordini di considerazioni. In primo luogo la volontà del legislatore del 2019 sarebbe stata quella di conformarsi agli obblighi di criminalizzazione imposti dalle fonti sovranazionali e, pertanto, l’introduzione dell’art. 346bis c.p. dovrebbe “ampliare” lo spettro delle condotte punibili, certamente non restringerlo. In secondo luogo si sostiene che le condotte che l’art. 346, comma 2, c.p. riconduceva al “pretesto” di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o di doverlo remunerare, coinciderebbero con le “relazioni (reali o) asserite” di cui all’art. 346bis c.p.

La soluzione negativa, invece, parte innanzitutto dalla considerazione che, innanzitutto, ci sarebbe diversità strutturale già nei beni tutelati tra il millantato credito di cui all’art. 346, comma 2 c.p. ed il nuovo 346bis c.p.. Infatti se nella prima norma assume una rilevanza centrale la tutela del patrimonio del compratore “circuito” dalla millanteria, la nuova disposizione è incentrata sull’anticipazione della tutela del buon andamento della p.a. che, nel caso del venditore di fumo, non risulterebbe affatto intaccata. A seguire la medesima giurisprudenza ha a più riprese osservato che non può farsi coincidere il “pretesto” del vecchio millantato credito con le “relazioni asserite” del traffico di influenze illecite. La prima espressione, infatti, designa un rapporto che l’intermediario sa inesistente e che viene utilizzato per raggirare il privato “compratore di fumo”; la seconda espressione delinea invece una serie di rapporti dell’intermediario i quali possano far aspirare il privato al favorevole esercizio del patrimonio pubblico, pure se tale risultato non si configuri come sicuro.

Le Sezioni Unite, investite della questione controversa in giurisprudenza, sposano la tesi della discontinuità tra le due fattispecie di reato, precisando quanto segue. Innanzitutto la differenza strutturale tra le due fattispecie emerge anche solo dalla considerazione che, mentre il millantato credito era reato monosoggettivo, il nuovo traffico di influenze illecite, ai sensi del comma 2, è reato necessariamente plurisoggettivo nel quale entrambe le parti vengono sanzionate se c’è la relazione con il pubblico ufficiale. Si riafferma inoltre che, per quanto concerne l’offensività delle condotte di cui all’art. 346bis c.p., ora il bene giuridico tutelato è certamente il solo buon andamento della pubblica amministrazione che, nel caso di un’influenza solo millantata, non sarebbe di certo offeso. Non possono essere dirimenti, in senso contrario, le pur valide obiezioni che valorizzano l’astratta volontà del legislatore di ampliare le ipotesi di reato punibili e non certo di restringerle: sul punto, infatti, per pacifico insegnamento giurisprudenziale si evidenzia che anche l’interpretazione sistematica non può comunque ignorare la formulazione ed il significato letterale delle norme di legge (cfr. Cass., Sez. Un., 19 maggio 1999, n. 11).

Per quanto concerne l’offesa al patrimonio del “compratore di fumo” – che la giurisprudenza prevalente vedeva offeso nel vecchio reato di millantato credito – la Corte si occupa anche della punibilità della condotta del “venditore di fumo” a titolo di truffa. La questione impone di valutare se tra il delitto di truffa e l’abrogata fattispecie di millantato credito (e, in particolare, delle condotte di cui al secondo comma) sussista un rapporto di specialità e, quindi, se possa ravvisarsi un fenomeno di abrogatio sine abolitione. Il rapporto di specialità ex art. 15 c.p., secondo le conclusioni sulle quali si è attestata la giurisprudenza (Cass., Sez. Un., 23 febbraio 2017, n. 20664), va investigato alla luce della comparazione della struttura astratta delle fattispecie, non essendo valorizzabili, per un deficit di legalità, i criteri di assorbimento e consunzione.

Nel caso in esame le Sezioni Unite evidenziano come, confrontando la struttura delle due fattispecie, tra esse non possa rinvenirsi un rapporto di specialità unilaterale ma, piuttosto, di specialità bilaterale poiché ognuna presenta elementi specializzanti rispetto all’altra: il pretesto di dover comprare la funzione nel millantato credito, l’ingiusto profitto e l’induzione in errore nella truffa). Tale rapporto di interferenza esclude che tra i due reati possa individuarsi una continuità temporale con “riespansione” della norma generale e, pertanto, la condotta del venditore di fumo sarà punibile purché nel processo sia stato contestato anche quest’ultimo reato e ne siano stati accertati in fatto tutti gli elementi costitutivi.

(*Contributo in tema di “Millantato credito e traffico di influenze illecite”, a cura di Andrea Primavilla, Valentina Russo e Stefania Segato, estratto da Obiettivo Magistrato n. 76 / Luglio 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)