spaccio di lieve entità

Spaccio di lieve entità: sì alla messa alla prova La Corte costituzionale dichiara illegittima l’esclusione del reato di spaccio di lieve entità dalla sospensione con messa alla prova

Spaccio di lieve entità e messa alla prova

Spaccio di lieve entità e messa alla prova: la Corte costituzionale, con sentenza n. 90 del 2025, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 168-bis del codice penale nella parte in cui non consente la sospensione del procedimento con messa alla prova per il reato di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti di lieve entità, previsto dall’articolo 73, comma 5, del Testo unico stupefacenti (D.P.R. n. 309/1990).

Le questioni di legittimità sollevate

Le questioni di costituzionalità erano state sollevate dai Tribunali di Padova e Bolzano, i quali hanno censurato, in combinato disposto, l’articolo 168-bis, primo comma, c.p., l’articolo 550, secondo comma, c.p.p. e l’articolo 73, comma 5, del Testo unico stupefacenti, come modificato dal decreto-legge n. 123 del 2023.

Quest’ultimo intervento normativo aveva innalzato la pena detentiva massima per il piccolo spaccio, portandola da quattro a cinque anni di reclusione. Di conseguenza, il reato risultava escluso dall’ambito applicativo della messa alla prova, che prevede un limite massimo edittale inferiore.

Il confronto con l’istigazione all’uso di stupefacenti

Secondo i giudici rimettenti, tale preclusione si traduceva in una violazione del principio di ragionevolezza e del finalismo rieducativo della pena, non consentendo all’imputato di accedere a un programma personalizzato di riparazione e reinserimento sociale.

Inoltre, era evidenziata una disparità di trattamento rispetto al reato di istigazione all’uso illecito di sostanze stupefacenti, sanzionato con pene più elevate ma comunque compatibile, in astratto, con la sospensione del procedimento e la messa alla prova.

La decisione della Corte costituzionale

La Corte costituzionale ha accolto la questione di legittimità, richiamando l’articolo 3 della Costituzione. È stato ritenuto irragionevole che il reato di lieve entità, meno grave rispetto all’istigazione, fosse escluso dall’istituto che coniuga finalità deflattive e rieducative.

Secondo la Consulta, la preclusione automatica dell’accesso alla messa alla prova determinava un’inversione della scala di gravità dei reati in materia di stupefacenti e ostacolava la possibilità per l’imputato di intraprendere percorsi risocializzanti.

giurista risponde

Turbativa ed estorsione Colui che allontani l’offerente da una gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private ricorrendo alla violenza o alla minaccia integra solo il reato di turbata libertà agli incanti ex art. 353 c.p. o una pluralità di fattispecie di reato?

Quesito con risposta a cura di Sara Frattura, Raffaella Lofrano e Maria Lavinia Violo

 

La condotta di chi, con violenza o minaccia, allontani l’offerente da una gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private, oltre ad integrare il reato di cui all’art. 353 c.p., può integrare altresì quello di cui all’art. 629 c.p. ove abbia causato un danno patrimoniale derivante dalla perdita di una seria e consistente possibilità di ottenere un risultato utile per effetto della partecipazione alla predetta gara. Nella nozione di danno patrimoniale rilevante ai fini della configurabilità del delitto di estorsione rientra anche la perdita della seria e consistente possibilità di conseguire un bene o un risultato economicamente valutabile, la cui sussistenza deve essere provata sulla base della nozione di causalità propria del diritto penale (Cass., Sez. Un., 22 luglio 2024, n. 30016 – Turbativa ed estorsione).

Il reato di turbata libertà degli incanti, previsto dall’art. 353 c.p., punisce colui che con una condotta vincolata, ovvero con violenza o minaccia, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private oppure ne allontana gli offerenti.

La questione sottoposta all’attenzione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione riguarda la possibilità che il medesimo fatto possa configurare un concorso formale con il reato di estorsione nel caso in cui oltre all’allontanamento dalla gara, o ad altra turbativa, venga prodotto un altro evento dannoso che non è previsto dall’art. 353 c.p.: l’ingiusto profitto o l’altrui danno.

Il reato di turbata libertà degli incanti è infatti un reato comune di condotta a dolo generico poiché prescinde dal realizzarsi dell’ingiusto profitto o dall’altrui danno.

Anche il bene giuridico protetto dalla fattispecie cambia in questo caso: nel reato previsto dall’art. 353 c.p. si tutela la libertà di scelta del contraente; nel reato di estorsione il bene tutelato è il patrimonio del soggetto passivo.

Le due fattispecie di reato si pongono in rapporto di specialità reciproca perché sono caratterizzate da elementi costitutivi differenziati, ed è per questo che si è posta dinnanzi alle Sezioni Unite la questione relativa alla possibilità di riconoscere il concorso formale con il reato di estorsione quando viene anche cagionato un danno o conseguito un ingiusto profitto.

In particolare, la questione riguarda la possibilità di ravvisare il concorso formale con il reato di estorsione quando il danno corrisponda a una perdita di chance. Le Sezioni Unite risolvono positivamente la questione, affermando che rientra nella nozione di danno di cui all’art. 629 c.p. anche la perdita della seria e consistente possibilità di conseguire un risultato utile di cui sia provata la sussistenza sulla base di una nozione di causalità propria del diritto penale.

La causalità nel diritto penale è determinata sulla base del criterio di “oltre ogni ragionevole dubbio”, mentre la perdita di chance è una nozione civilistica, in cui la causalità è determinata in base alla regola del “più probabile che non”, quindi potrebbe risultare arduo applicare il criterio penalistico per accertare tale elemento costitutivo.

Un primo e più risalente orientamento riteneva sussistente solo un concorso apparente di norme tra i due reati poiché la fattispecie di turbata libertà agli incanti assorbirebbe in sé l’intero disvalore del fatto criminoso in base al presupposto per cui il danno dell’estorsione coinciderebbe con la lesione della libertà di partecipare o meno ad una gara e influenzarne l’esito, danno già punito alla luce dell’art. 353 c.p.

Un secondo orientamento riteneva invece configurabile il concorso formale tra le due fattispecie criminose evidenziando i differenti elementi costitutivi di entrambe: nell’estorsione l’elemento fondamentale è la coartazione della volontà altrui al fine specifico di conseguire un ingiusto profitto con altrui danno; il reato di turbata libertà degli incanti invece è integrato nel caso di cosciente e volontario impedimento o turbativa di una gara o dall’allontanamento degli offerenti, senza che sia necessario il verificarsi di un ulteriore danno o il conseguimento di un profitto ingiusto.

A questo secondo orientamento aderiscono le Sezioni Unite affermando che nel reato di estorsione l’elemento centrale è costituito dal danno, che deve essere verificato secondo i canoni previsti dal diritto penale, ovvero la regola che impone un accertamento “oltre ogni ragionevole dubbio”, e che il danno può essere costituito da qualsiasi parte del patrimonio della vittima, compresi i beni immobili e le aspettative di diritto perché il patrimonio non è costituito solo da beni materiali, ma da rapporti giuridici attivi e passivi aventi contenuto economico unificati dalla legge in considerazione dell’appartenenza al medesimo soggetto, così da ricomprendere nel concetto di danno di cui all’art. 629 c.p. qualunque situazione idonea ad incidere negativamente sull’assetto economico dell’individuo, compresa la delusione delle aspettative e le chance future di arricchimento o di consolidamento dei propri interessi.

Alla luce di queste premesse, le Sezioni Unite concludono affermando che la perdita dell’aspettativa di conseguire un vantaggio economico, ovvero la chance, può essere ricondotta nell’ambito di operatività del danno patrimoniale quale elemento costitutivo del reato di estorsione ex art. 629 c.p.

Infine, si precisa che il rapporto di causalità tra la condotta e l’evento dannoso corrispondente alla perdita della possibilità di conseguire il risultato favorevole deve essere provato mediante l’utilizzo degli strumenti di cui il giudice penale dispone per effettuare le valutazioni probatorie e si considera sussistente quando, considerate tutte le circostanze del caso concreto, possano escludersi processi causali alternativi e si possa affermare in termini di certezza processuale, ovvero di alta credibilità razionale o probabilità logica, che sia stata proprio quella condotta a determinare l’evento dannoso.

 

(*Contributo in tema di “Turbativa ed estorsione”, a cura di Sara Frattura, Raffaella Lofrano e Maria Lavinia Violo, estratto da Obiettivo Magistrato n. 85 / Maggio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

scioglimento del consiglio comunale

Scioglimento del consiglio comunale per mancato bilancio La Corte costituzionale ha confermato la legittimità dello scioglimento del consiglio comunale che non approva il bilancio in riequilibrio nei termini previsti

Bilancio in riequilibrio e scioglimento del consiglio comunale

Con la sentenza n. 91 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità sollevate dal TAR Campania in merito allo scioglimento del consiglio comunale che non approvi entro i termini di legge l’ipotesi di bilancio in riequilibrio, prevista dall’articolo 262, comma 1, del Testo unico degli enti locali (D.Lgs. n. 267/2000).

Il meccanismo previsto dal Testo unico degli enti locali

La Corte ha rilevato che l’articolo 262 del Tuel stabilisce un procedimento chiaro e oggettivo, privo di margini di discrezionalità arbitraria. La mancata approvazione del bilancio entro il termine stabilito costituisce un presupposto di fatto che comporta, in modo automatico, lo scioglimento degli organi consiliari.

Questa previsione normativa risponde all’esigenza di garantire il rispetto degli impegni finanziari assunti con il mandato elettorale.

La ratio dello scioglimento come extrema ratio

Secondo la Corte costituzionale, lo scioglimento rappresenta una misura estrema ma necessaria per tutelare l’autonomia e l’efficienza amministrativa. Il principio di buon andamento dell’amministrazione, sancito dall’articolo 97 della Costituzione, impone che gli organi elettivi siano in grado di assicurare il risanamento finanziario dell’ente locale.

L’inerzia o l’incapacità di approvare un bilancio in equilibrio interrompe il rapporto fiduciario con la comunità e compromette l’interesse collettivo alla stabilità economica dell’ente.

Il legame tra equilibrio finanziario e rappresentanza democratica

La sentenza evidenzia che la salvaguardia degli equilibri finanziari costituisce un presupposto essenziale del mandato elettivo e della stessa rappresentanza democratica. L’amministrazione che non rispetta in modo reiterato tali obblighi mina la fiducia dei cittadini e giustifica l’intervento sostitutivo dello Stato.

In questo quadro, lo scioglimento si configura come uno strumento coerente con i principi costituzionali e con la tutela dell’interesse pubblico al corretto funzionamento delle istituzioni locali.

abrogazione abuso d'ufficio

Abrogazione abuso d’ufficio legittima: le motivazioni della Consulta La Corte costituzionale ha depositato le motivazioni della sentenza con cui ha dichiarato legittima l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, escludendo contrasti con la Convenzione di Mérida e i principi costituzionali

Legittima l’abrogazione dell’abuso d’ufficio

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 95 del 2025 depositata il 3 luglio, già anticipata l’8 maggio scorso, ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate contro l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio prevista dalla legge n. 114 del 2024. L’iniziativa giudiziaria era stata promossa da quattordici giudici, tra cui la Corte di cassazione, che avevano censurato la scelta legislativa sotto diversi profili costituzionali e internazionali.

Nessun obbligo internazionale di mantenere il reato

La Corte ha riconosciuto l’ammissibilità delle questioni prospettate in relazione all’articolo 117, primo comma, della Costituzione, il quale impone il rispetto degli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali. In particolare, si è esaminato se la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, nota come Convenzione di Mérida, imponesse l’obbligo di sanzionare penalmente l’abuso d’ufficio.

Dopo un’analisi dettagliata delle disposizioni convenzionali, la Consulta ha escluso che l’Italia fosse vincolata a mantenere nel proprio ordinamento una specifica fattispecie incriminatrice corrispondente all’abuso d’ufficio, evidenziando che la tipologia di condotte considerate non è prevista in modo uniforme in tutti gli Stati firmatari.

La discrezionalità del legislatore in materia penale

La sentenza sottolinea che la Corte costituzionale non può sostituire la propria valutazione di opportunità a quella del legislatore circa l’efficacia complessiva del sistema di prevenzione e contrasto degli illeciti commessi dai pubblici funzionari. Eventuali vuoti di tutela penale conseguenti all’abrogazione costituiscono una scelta politica che ricade nella responsabilità esclusiva del Parlamento.

Le censure basate sugli articoli 3 e 97 della Costituzione

I giudici rimettenti avevano anche prospettato un contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, per asserita disparità di trattamento tra condotte meno gravi che continuano a essere punite e comportamenti più gravi ora privi di sanzione.

Inoltre, si lamentava un vuoto di tutela rispetto ai principi di buon andamento e imparzialità amministrativa sanciti dall’articolo 97. Tuttavia, la Corte ha dichiarato queste censure inammissibili, rilevando che il loro eventuale accoglimento avrebbe comportato un effetto “in malam partem”, cioè un ampliamento della punibilità, ipotesi preclusa al giudizio di legittimità costituzionale.

La conclusione della Corte costituzionale

In definitiva, la Consulta ha affermato che la scelta di abrogare il reato di abuso d’ufficio, pur producendo indubbi effetti sul piano della tutela penale, è una decisione politica non sindacabile in sede costituzionale. L’eventuale bilanciamento tra i vuoti di tutela e i benefici che il legislatore si è prefisso di conseguire appartiene al piano della responsabilità politica e non può essere oggetto di censura alla luce dei parametri costituzionali e internazionali esaminati.

tribunale online

Tribunale online: come funziona Attivo dal 1° marzo 2024 il tribunale online. La sperimentazione coinvolge sette sedi: Catania, Catanzaro, L'Aquila, Marsala, Napoli Nord, Trento e Verona. Dal 1° luglio 2025 anche Roma

Tribunale online

Tribunali più smart per una giustizia più vicina ai bisogni dei cittadini. E’ questo l’obiettivo della sperimentazione del progetto “Tribunale online” attivo in sette sedi (Catania, Catanzaro, L’Aquila, Marsala, Napoli Nord, Trento e Verona) dal 1° marzo 2024.

Dal 1° luglio 2025 si entra nella seconda fase di sperimentazione con l’ampliamento dell’offerta di servizi con nuove tipologie di istanze disponibili online, tra cui la nomina del cancelliere o del notaio incaricato dell’inventario, l’autorizzazione alla vendita dei beni ereditari, l’istanza di proroga per l’inventario e le autorizzazioni del giudice tutelare per gli atti di straordinaria amministrazione.
Contestualmente, cresce anche la rete dei Tribunali coinvolti nella sperimentazione: alle sette sedi giudiziarie già attive – Catania, Catanzaro, L’Aquila, Marsala, Napoli Nord, Trento e Verona – si aggiunge il Tribunale di Roma.

L’iniziativa, realizzata dalla Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati del Dipartimento per la transizione digitale della giustizia, è stata finanziata nell’ambito del Pon Governance 2014-2020, in coerenza con le priorità indicate dal Pnrr.

Caratteristiche

Il portale, fruibile da qualsiasi dispositivo, è costituito da una sezione pubblica accessibile a tutti, di natura informativa, e da una sezione riservata, in cui i cittadini dotati di identità digitale (SPID, CIE o CNS) possono depositare autonomamente alcune istanze nei procedimenti di volontaria giurisdizione e monitorarne lo stato di avanzamento.

Il portale Tribunale Online è disponibile all’indirizzo https://smart.giustizia.it/to e raggiungibile dal portale dei Servizi Telematici del Ministero della giustizia https://pst.giustizia.it.

All’interno dell’area pubblica, liberamente accessibile, sono contenute informazioni su iter procedurali, attori, tempi e costi dei servizi, modulistica completa e istruzioni sul deposito presso i Tribunali, oltre a una sezione dedicata alle domande frequenti.

La sperimentazione del Tribunale Online ha reso possibile ad oggi, il deposito telematico delle istanze in alcuni procedimenti di volontaria giurisdizione, come l’amministrazione di sostegno, la gestione di eredità giacente e la nomina del curatore. Dal 1° luglio 2025, l’offerta di servizi si amplia ulteriormente. Con la seconda fase, infatti, la piattaforma si arricchisce di nuove funzionalità, offrendo ai cittadini la possibilità di svolgere un numero crescente di attività in modo sempre più semplice, rapido e digitale.

Nei prossimi mesi, il Tribunale Online continuerà ad evolversi con l’introduzione di ulteriori servizi e strumenti pensati per migliorare e ampliare l’esperienza d’uso, con l’obiettivo di estenderlo progressivamente a tutti i Tribunali sul territorio nazionale, per una giustizia sempre più accessibile e vicina alle persone.

Procedimenti ammessi

I procedimenti ammessi al deposito telematico attraverso la piattaforma sono: amministrazione di sostegno (art.473-bis.58 c.p.c.); gestione dell’eredità giacente e nomina del curatore (art.782 c.p.c.); richiesta di autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione in favore di minori (art. 320, 374 c.p.c.); autorizzazione al rilascio di passaporto o documento valido per l’espatrio per figli minori (art 3, lett.a) della legge 21 novembre 1967, n. 1185).

La piattaforma è predisposta altresì per la consultazione di molteplici procedimenti nell’ambito della volontaria giurisdizione. Nei casi in cui il procedimento, o il Tribunale di riferimento, non sia tra quelli coinvolti nella sperimentazione, l’utente avrà la possibilità di recepire informazioni utili all’avvio dell’iter per l’atto di interesse, con indicazione e riferimenti dell’ufficio giudiziario di competenza territoriale.

Il deposito per l’utenza non qualificata sarà possibile attraverso la compilazione online con procedura guidata e l’invio della domanda direttamente dalla piattaforma.

Le notifiche cartacee da parte dell’ufficio giudiziario, spedite tramite raccomandata postale, saranno sostituite dalle notifiche di avvenuta consegna visualizzabili nell’area riservata del portale.

La modulistica eterogenea tra uffici giudiziari sarà sostituita da una modulistica standard, disponibile nell’Area pubblica del portale.

decreto flussi 2026-2028

Decreto flussi 2026-2028: cosa prevede Approvato in via preliminare il Decreto Flussi 2026-2028: programmati quasi 500mila ingressi regolari di lavoratori non comunitari. Obiettivi, quote e settori interessati

Approvato il Decreto Flussi 2026-2028

Il Consiglio dei Ministri ha approvato, il 30 giugno 2025, in esame preliminare, il decreto che definisce la programmazione dei flussi migratori regolari per il triennio 2026-2028.

La misura intende rispondere al fabbisogno di forza lavoro indispensabile per numerosi comparti dell’economia italiana e contrastare l’immigrazione irregolare e il lavoro sommerso. Il provvedimento, predisposto congiuntamente da diversi dicasteri, introduce una pianificazione stabile e più ampia rispetto ai decreti precedenti.

Quasi mezzo milione di ingressi autorizzati in tre anni

Il nuovo decreto stabilisce che, tra il 2026 e il 2028, potranno entrare in Italia fino a 497.550 lavoratori non comunitari, così ripartiti:

  • 230.550 unità per lavoro subordinato non stagionale e lavoro autonomo;

  • 267.000 unità per lavoro stagionale nei comparti agricolo e turistico.

Per il solo anno 2026, sono previsti 164.850 ingressi, una quota significativa pensata per sostenere i settori produttivi più esposti alla carenza di manodopera.

Le quote derivano da un’analisi dei dati storici relativi alle domande di nulla osta e dai fabbisogni indicati dalle parti sociali, con l’obiettivo di calibrare la programmazione alle reali esigenze delle imprese.

Obiettivi del decreto: regolarità, formazione e click day

Tra le finalità principali della programmazione triennale si evidenziano:

  • Creare canali di immigrazione legale e controllata, che rafforzino la cooperazione con i Paesi di origine dei flussi;

  • Ridurre l’irregolarità nell’ingresso e nella permanenza sul territorio nazionale;

  • Prevenire fenomeni di sfruttamento lavorativo e lavoro nero;

  • Gradualmente superare il meccanismo del “click day”, soprattutto per le figure professionali più richieste, privilegiando percorsi di formazione dei lavoratori nei Paesi di provenienza.

L’obiettivo dichiarato del Governo è costruire un sistema più prevedibile e funzionale, che tuteli sia le esigenze del mercato del lavoro sia la dignità dei lavoratori stranieri.

Le categorie di lavoro previste dal decreto

Il decreto distingue chiaramente le tipologie di rapporto di lavoro interessate dagli ingressi programmati:

  • Lavoro subordinato non stagionale e lavoro autonomo, per attività continuative e professionalizzate in vari settori;

  • Lavoro stagionale, prevalentemente nell’agricoltura e nel turismo, comparti che storicamente registrano le maggiori esigenze di reclutamento di manodopera straniera.

Il sistema delle quote sarà accompagnato da ulteriori misure per favorire la formazione linguistica e professionale dei lavoratori, così da facilitare il loro inserimento socio-lavorativo.

Verso un modello di programmazione più stabile

Il decreto rappresenta un passo verso una programmazione strutturale dei flussi migratori regolari, che supera l’approccio emergenziale del passato. La scelta di un orizzonte triennale consente alle imprese di pianificare le assunzioni con maggiore certezza e ai lavoratori di conoscere in anticipo le opportunità disponibili.

Nei prossimi mesi, il provvedimento dovrà completare l’iter di approvazione definitiva e verranno definiti nel dettaglio i criteri e le modalità operative per la presentazione delle istanze.

conflitto di interessi

Conflitto di interessi avvocato: illecito anche se solo potenziale Il CNF chiarisce che l’avvocato commette illecito disciplinare per conflitto di interessi anche se solo potenziale

Il conflitto di interessi come illecito disciplinare

La sentenza n. 443/2024, pubblicata il 29 giugno 2025 sul portale del Codice Deontologico Forense, ha affrontato un tema di grande rilievo in materia di responsabilità disciplinare dell’avvocato: il conflitto di interessi.

Il Consiglio Nazionale Forense ha stabilito che l’illecito sussiste anche in assenza di un danno effettivo e persino quando il conflitto sia solo potenziale, ribadendo la funzione preventiva della norma.

Il fatto oggetto di contestazione

Nel caso deciso, un avvocato era stato deferito per avere assunto l’incarico di assistenza in un procedimento in cui l’altra parte era un soggetto con il quale intratteneva rapporti professionali e personali qualificati, tali da ingenerare il rischio che l’attività difensiva potesse non essere svolta con piena indipendenza.

La difesa del professionista si era concentrata sull’assenza di un concreto pregiudizio per il cliente e sull’impossibilità di dimostrare che i rapporti con la controparte avessero effettivamente influenzato il suo operato.

La decisione del CNF: l’illecito di pericolo

Il Consiglio Nazionale Forense ha respinto questa tesi, chiarendo che la violazione dell’art. 24 del Codice Deontologico Forense si configura come illecito di pericolo, assimilabile – per struttura – a fattispecie proprie del diritto penale in cui il rischio astratto di danno è sufficiente a integrare la condotta vietata.

Come precisa la motivazione, il divieto di operare in conflitto di interessi mira a:

  • Tutela della fiducia del cliente

  • Garanzia dell’indipendenza e imparzialità dell’avvocato

  • Salvaguardia della corretta percezione sociale dell’attività professionale

In questa prospettiva, è sufficiente che l’attività difensiva possa apparire condizionata da interessi contrapposti, a prescindere dal pregiudizio effettivo subito dal cliente.

Il concetto di conflitto anche solo potenziale

Il CNF ha ribadito che l’art. 24 cdf ha una finalità anticipatoria e preventiva, volta a evitare situazioni che possano anche solo far dubitare della correttezza dell’operato del professionista.

Di conseguenza, per l’integrazione dell’illecito disciplinare non è necessario dimostrare:

  • La produzione di un danno concreto

  • L’effettivo condizionamento dell’azione difensiva

Basta che l’avvocato versi in una condizione idonea ad alterare la percezione di terzietà e lealtà richiesta dal ruolo.

rito lavoro

Rito lavoro: udienza sostituibile con note col consenso di tutti Le Sezioni Unite chiariscono che nel processo del lavoro l’udienza può essere sostituita da note scritte solo con l’accordo unanime delle parti

Rito lavoro e modalità cartolare

Con la sentenza n. 17603/2025, le Sezioni Unite civili della Cassazione hanno sciolto i dubbi interpretativi in merito alla possibilità di sostituire le udienze orali con il deposito di note scritte anche nel rito del lavoro.

La decisione stabilisce che l’articolo 127-ter del Codice di procedura civile, introdotto dalla riforma Cartabia, trova applicazione pure nei giudizi di lavoro, dove tradizionalmente prevale il principio dell’oralità. Tuttavia, tale modalità di trattazione cartolare è ammessa solo in presenza del consenso di tutte le parti processuali, a garanzia del contraddittorio e della parità di posizione.

Il deposito di note scritte e il termine di presentazione

Le Sezioni Unite hanno precisato che, quando il giudice indica una data entro cui depositare le note scritte, l’eventuale indicazione di un orario non costituisce un termine perentorio tale da far ritenere tardivo il deposito effettuato nel medesimo giorno.

In particolare, l’orario va inteso come coincidente con l’intero periodo di apertura dell’ufficio giudiziario competente. Inoltre, l’adozione del deposito telematico ormai pienamente operativo in ambito civile rende ancor più chiaro che il termine fissato non possa assumere carattere rigido, purché l’adempimento sia completato entro la giornata stabilita.

Il deposito telematico del dispositivo e la lettura in udienza

Un altro aspetto importante affrontato dalla sentenza riguarda la pubblicazione del dispositivo. La Suprema Corte ha chiarito che il deposito telematico del dispositivo produce effetti equivalenti alla lettura in udienza, anche qualora quest’ultima non avvenga alla presenza delle parti.

Questa evoluzione rispecchia la tendenza normativa, già emersa durante la fase emergenziale, a favorire forme di trattazione camerale che consentano di velocizzare le fasi decisionali senza comprimere le garanzie difensive.

L’oralità può essere sostituita, ma con il consenso unanime

La Corte ha affermato che la regola dell’oralità non è inderogabile. La possibilità di sostituire l’udienza con difese scritte è legittima “ogni volta che la struttura e la funzione del procedimento o dell’attività processuale lo permettano”, purché le parti si trovino in condizioni di parità.

Il consenso unanime è quindi la condizione imprescindibile per attivare la modalità cartolare nel processo del lavoro, a tutela del diritto di difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione e dall’art. 6 CEDU.

Il principio di pubblicità dell’udienza e le deroghe ammesse

La sentenza si colloca nel solco delle pronunce costituzionalmente orientate che riconoscono alla pubblicità dell’udienza un valore importante ma non assoluto. È infatti compatibile con il sistema processuale la previsione di deroghe motivate da esigenze oggettive, come la rapidità di definizione delle controversie di lavoro e l’efficienza dell’amministrazione della giustizia.

L’introduzione di strumenti che riducano l’onere della presenza fisica delle parti risponde a questa esigenza, a condizione che si rispetti la piena effettività del contraddittorio.

modello 5

Modello 5 inviato in ritardo: il CNF chiarisce le conseguenze Il CNF chiarisce che l’invio tardivo del Mod. 5 a Cassa Forense non elimina l’illecito deontologico. La sospensione amministrativa non esclude la sanzione disciplinare

L’obbligo di comunicazione del Modello 5 alla Cassa Forense

La sentenza n. 444/2024 del CNF, pubblicata il 23 giugno 2025 sul sito del codice deontologico, affronta un tema di grande rilievo per la professione forense: la mancata o tardiva comunicazione del Modello 5 alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense.

L’adempimento è previsto dall’art. 17, comma 1, della Legge n. 576/1980, che impone agli iscritti l’obbligo di trasmettere annualmente i dati reddituali e contributivi. Il mancato invio determina gravi conseguenze sia sul piano amministrativo sia sul piano deontologico.

La sospensione amministrativa dell’iscritto

Il Consiglio Nazionale Forense ha precisato che l’omesso invio del Mod. 5 comporta l’applicazione della sospensione a tempo indeterminato dall’esercizio professionale, di natura amministrativa e non disciplinare.

In particolare, l’art. 17, comma 5, della Legge n. 576/1980 stabilisce che: “Il Consiglio dell’Ordine dispone la sospensione dell’iscritto sino alla regolarizzazione dell’inadempimento”.

Tale provvedimento non necessita di valutazione discrezionale, essendo conseguenza automatica dell’inadempimento previdenziale.

Modello 5: il rilievo deontologico dell’invio tardivo

La sentenza chiarisce che la regolarizzazione successiva della posizione previdenziale non è sufficiente a escludere la responsabilità disciplinare dell’avvocato.

L’art. 70 del Codice Deontologico Forense attribuisce rilievo autonomo alla violazione degli obblighi contributivi e previdenziali, in quanto espressione del dovere di probità, correttezza e rispetto delle regole della professione.

La condotta integra, quindi, un illecito deontologico distinto rispetto alla sospensione amministrativa.

La ratio della decisione

Secondo il CNF, l’invio tardivo del Mod. 5 determina: la cessazione automatica della sospensione amministrativa con la regolarizzazione ma non elide la violazione deontologica già perfezionata con l’omesso adempimento entro il termine.

In altre parole, la sanzione disciplinare ha finalità diversa e autonoma rispetto alla misura amministrativa di sospensione.

assegno di inclusione

Assegno di inclusione: guida alla misura Cos'è l'assegno di inclusione, misura di sostegno economico introdotta dal 2024 dal dl n. 48/2023 convertito dalla legge n. 85/2023

Assegno di Inclusione (ADI): dal 1° gennaio 2024

L’Assegno di Inclusione (ADI) è una misura nazionale di sostegno economico introdotta a decorrere dal 1° gennaio 2024 con l’articolo 1 del decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, convertito con modificazioni dalla legge 3 luglio 2023, n. 85. La misura, gestita dall’INPS, mira a contrastare la povertà e favorire l’inclusione sociale e lavorativa delle persone in situazioni di disagio economico.

In cosa consiste l’ADI

L’ADI è un beneficio economico mensile erogato alle famiglie che rispettano determinati requisiti di reddito e patrimonio. La misura sostituisce il Reddito di Cittadinanza, concentrandosi su politiche attive di lavoro e sul supporto personalizzato. L’importo dell’assegno varia in base alla composizione del nucleo familiare e alle specifiche condizioni economiche dei beneficiari.

Chi può richiedere l’ADI

I destinatari dell’Assegno di Inclusione sono le famiglie che soddisfano i seguenti requisiti:

  • Requisiti economici: Un ISEE non superiore a 10.140 euro annui, un patrimonio mobiliare non superiore a 10mila euro (per i nuclei composti da tre o più componenti, soglia aumentata di mille euro per ogni figlio a partire dal terzo; ovvero non superiore a seimila euro per i nuclei di un solo componente e a 8mila euro per i nuclei di due componenti) e immobiliare (in Italia e all’estero), spiega l’INPS, “come definito ai fini ISEE diverso dalla casa di abitazione di valore ai fini dell’imposta municipale propria (IMU) non superiore a 150.000 euro, non superiore a 30.000 euro”. A seguito dell’entrata in vigore del dpcm 13/2025, del 5 marzo 2025, da aprile 2025, inoltre, titoli di Stato, buoni fruttiferi postali e libretti di risparmio postale sono esclusi dal calcolo dell’ISEE (per un importo massimo di 50mila euro per nucleo familiare) rendendo più semplice ottenere il beneficio;
  • Residenza e cittadinanza: I richiedenti devono essere cittadini italiani, dell’Unione Europea o extracomunitari con permesso di soggiorno di lungo periodo e residenti in Italia da almeno cinque anni, di cui gli ultimi due continuativi.
  • Requisiti ulteriori: Non essere sottoposti a misure cautelari personali o di prevenzione nè avere sentenze definitive di condanna intervenute nei dieci anni precedenti la richiesta; non essere disoccupati; non risiedere in strutture a totale carico pubblico; aver adempiuto all’obbligo di istruzione per i beneficiari tra i 18 e i 29 anni ovvero “essere iscritto e frequentare percorsi di istruzione degli adulti di primo livello, funzionali all’adempimento del predetto obbligo di istruzione”.

Modalità di erogazione

L’importo dell’ADI viene calcolato tenendo conto del reddito disponibile del nucleo familiare. L’accredito del beneficio avviene mensilmente su una carta di pagamento elettronica (Carta di Inclusione o Carta ADI) per un periodo continuativo non superiore a 18 mesi, che può essere rinnovato per ulteriori 12 mesi.

La carta consente non solo di effettuare acquisti di beni di prima necessità, ma anche di prelevare contante entro limiti stabiliti.

Bonus ponte luglio 2025

Abbiamo appena visto che l’assegno di inclusione, decorrente da 1° gennaio 2024 dura inizialmente 18 mesi, rinnovabili per altri 12, con una sospensione obbligatoria di un mese tra i due cicli.

Per evitare disagi ai soggetti più svantaggiati, il Ministero del Lavoro ha annunciato un “contributo straordinario” per coprire questa pausa di un mese, erogato a fine giugno o inizio luglio 2025. Si tratta di una misura “ponte”, non di una nuova rata dell’assegno e sarà resa operativa con un decreto o una circolare attuativa.

Obblighi per i beneficiari

L’Assegno di Inclusione non è solo un aiuto economico, ma si inserisce in un percorso di reinserimento sociale e lavorativo. I beneficiari, infatti, devono sottoscrivere un Patto di Inclusione che prevede la partecipazione a programmi formativi, tirocini o attività lavorative. Sono previste esenzioni per chi non è in grado di lavorare per motivi di salute o altre condizioni specifiche.

Il beneficio decorre dal mese successivo a quello di sottoscrizione, da parte del richiedente, del Patto di attivazione digitale del nucleo familiare (PAD) all’esito positivo dell’istruttoria.

Come presentare la domanda

La richiesta dell’ADI può essere effettuata tramite il portale online dell’INPS, accedendo in via telematica con SPID, CIE o CNS, alla pagina dedicata al servizio, oppure rivolgendosi a un Centro di Assistenza Fiscale (CAF) o ancora presso i patronati.

È necessario presentare tutta la documentazione richiesta, tra cui l’ISEE aggiornato.