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Rivalutazione pensioni 2025: novità e limiti Rivalutazione pensioni 2025: incrementi dello 0,8%, minime a +1,90 euro al mese, dettagli su scaglioni, rivalutazione e prospettive future

Rivalutazione pensioni 2025: cosa prevede il decreto

Le pensioni italiane subiranno un modesto aumento nel 2025, frutto della rivalutazione legata all’inflazione. Lo ha stabilito il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanza del 15 novembre 2024, che disciplina la perequazione automatica delle pensioni a partire dal 1° gennaio 2025. I numeri rivelano incrementi esigui, sollevando dubbi sull’effettiva tutela del potere d’acquisto dei pensionati. Ecco quali cambiamenti porterà la rivalutazione pensioni 2025.

Cosa aspettarsi dalla rivalutazione

Nel 2025, le pensioni aumenteranno dello 0,8%, un valore determinato dal tasso d’inflazione registrato nel 2024. Questo incremento è tra i più bassi degli ultimi anni, influenzato dalla riduzione dell’inflazione rispetto ai picchi recenti. Gli assegni più alti tuttavia subiranno un trattamento differenziato, con aumenti ridotti progressivamente in base alla fascia di reddito.

Il ritorno al sistema a scaglioni

Dal 2025 si applicherà nuovamente il sistema a scaglioni, abbandonando quello a fasce utilizzato nel 2024. Ecco come saranno calcolati gli aumenti:

  • pensioni fino a quattro volte il minimo (fino a 2.394,44 euro lordi): aumento dello 0,8%;
  • tra quattro e cinque volte il minimo (da 2.394,45 a 2.993,04 euro): aumento dello 0,72%;
  • oltre cinque volte il minimo (sopra 2.993,05 euro): aumento dello 0,6%.

Il meccanismo consente un recupero parziale dell’inflazione per gli assegni più alti, con percentuali graduate.

Esempi pratici aumenti rivalutazione pensioni 2025

Gli incrementi mensili risultano molto contenuti. Una pensione da 1.000 euro lordi crescerà di 8 euro, mentre un assegno da 1.500 euro vedrà un incremento di 12 euro. Per redditi superiori, come una pensione da 4.000 euro, l’aumento sarà di circa 30 euro al mese.

Pensioni minime: incremento simbolico

Le pensioni minime subiranno un aumento simbolico. L’importo minimo passerà da 614,77 a 616,67 euro al mese, con un incremento netto di soli 1,90 euro mensili.

È importante notare che questo aumento non compensa la riduzione rispetto al 2024, quando era stato applicato un incremento straordinario del 2,7%. In totale, nel 2025 l’assegno minimo crescerà di soli 24,70 euro all’anno.

Differenze con gli anni precedenti

Gli aumenti pensionistici nel 2023 e nel 2024 erano stati più consistenti grazie a un’inflazione più alta. Nonostante ciò, gli assegni più alti avevano subito tagli più severi, con recuperi parziali dell’inflazione. Nel 2025, le percentuali di recupero saranno meno punitive, ma la base di calcolo limitata rende gli aumenti poco significativi.

Conguagli e possibili modifiche

Il dato dello 0,8% in ogni caso è provvisorio, calcolato sui primi tre trimestri del 2024. Eventuali variazioni negli ultimi mesi potrebbero portare a conguagli alla fine del 2025. Tuttavia, l’impatto complessivo su redditi bassi e medi resta modesto.

Prospettive per il futuro

Un’ulteriore questione riguarda le promesse politiche sulle pensioni minime. Forza Italia aveva annunciato di voler portare l’assegno minimo a 1.000 euro al mese entro il 2027, ma l’obiettivo appare sempre più lontano senza ulteriori interventi legislativi.

Considerazioni finali

L’aumento delle pensioni nel 2025 mostra limiti evidenti. Se da un lato il meccanismo di rivalutazione preserva parzialmente il potere d’acquisto, dall’altro gli incrementi rispecchiano un’inflazione moderata, che non compensa il costo della vita. Le pensioni minime, in particolare, continuano a soffrire di un aumento insufficiente rispetto alle promesse politiche. Il sistema rimane vincolato a parametri economici prudenti. Il dibattito sulla necessità di interventi più incisivi resta comunque aperto.

 

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pensione di inabilità

Pensione di inabilità: spese per la CTU non dovute Pensione di inabilità: il titolare del trattamento, se in condizione di disagio economico non è tenuto a pagare le spese della CTU

Pensione di inabilità e disagio economico

Il titolare della pensione inabilità, in disagio economico, se chiede prestazioni previdenziali o assistenziali non può essere obbligato a pagare le spese della consulenza tecnica dufficio (CTU), a meno che la sua pretesa sia infondata o temeraria. Lo ha sancito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 30147/2024, con cui ha annullato un decreto del Tribunale di Roma.

Pensione di inabilità: la vicenda

La vicenda nasce dalla decisione del Tribunale di Roma, che aveva rigettato la richiesta di pensione ordinaria di inabilità e di assegno ordinario di invalidità presentata da una ricorrente. Il Tribunale nel respingere le richieste aveva posto a carico della stessa le spese della CTU. Decisione incomprensibile, considerato che la stessa aveva dichiarato un reddito familiare inferiore al limite previsto per l’esonero dalle spese processuali.

La ricorrente ha impugnato quindi la decisione in Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 152 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile. La norma prevede infatti che chi si trova in condizioni economiche disagiate non deve sostenere le spese del processo, inclusa la CTU, se il giudizio riguarda prestazioni previdenziali o assistenziali.

Spese della CTU non possono gravare sul richiedente

La Corte di Cassazione ha infatti accolto il ricorso, richiamando un principio consolidato. Essa ha sancito infatti che nei giudizi relativi a prestazioni previdenziali o assistenziali, le spese della CTU non possono gravare sul ricorrente che rispetta i limiti reddituali previsti, salvo che la domanda risulti palesemente infondata o temeraria.

Nella pronuncia, la Corte evidenzia che il giudice di merito non si è attenuto a questo principio. La ricorrente aveva infatti chiaramente i requisiti reddituali per l’esonero e la sua pretesa non era manifestamente infondata o avanzata in malafede. Il Tribunale, pertanto, non aveva il potere di condannarla al pagamento delle spese di CTU.

La Corte ha quindi cassato senza rinvio la parte del decreto che poneva le spese della CTU a carico della ricorrente. Ha inoltre condannato l’INPS, controparte del giudizio, al rimborso delle spese del processo di legittimità.

Art. 152 disp. att. c.p.c.: norma a tutela dei più fragili

L’art. 152 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile tutela chi si trova in difficoltà economiche. Essa stabilisce infatti che non può essere condannato al pagamento di spese processuali, competenze o onorari nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali od assistenziali. In questi casi, l’esonero si applica anche alle spese per la CTU, strumento spesso necessario per accertare le condizioni di salute o di invalidità. Tuttavia, l’esonero non si applica se il ricorso è palesemente infondato o temerario, cioè se manca del tutto una base giuridica o fattuale per la richiesta.

 

 

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pensione reversibilità

Pensione reversibilità anche senza domanda La pensione di reversibilità si basa sui requisiti maturati dal de cuius, non serve la domanda  amministrativa

Pensione reversibilità: per il diritto rilevano i requisiti

La pensione di reversibilità rappresenta un diritto fondamentale che si lega al raggiungimento dei requisiti pensionistici del de cuius, ossia la persona deceduta. La sua concessione non dipende dalla presentazione, da parte del de cuius, della domanda amministrativa per ottenere il trattamento previdenziale, ma esclusivamente dalla maturazione dei requisiti richiesti. Questo principio, riaffermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 30315/2024, stabilisce che il diritto alla reversibilità non può essere negato per la semplice mancanza di una domanda formale da parte del titolare deceduto.

Domanda di reversibilità su pensione di anzianità

La questione affrontata dalla sezione Lavoro della Corte di Cassazione riguarda una donna che, in qualità di erede, aveva richiesto la reversibilità della pensione del marito deceduto. Quest’ultimo percepiva una pensione di invalidità, ma al momento del decesso aveva maturato i requisiti per accedere a un trattamento pensionistico più favorevole, quello di anzianità. Il de cuius aveva accumulato 35 anni di contributi e aveva richiesto il riscatto degli anni di laurea, completando quasi interamente l’iter necessario per il miglior trattamento. L’unica condizione non ancora soddisfatta era il pagamento dell’ultima rata per il riscatto degli anni di studio, a cui aveva provveduto la moglie dopo la morte del marito. La donna, pertanto, ha chiesto che la pensione di reversibilità venisse calcolata in base al trattamento più vantaggioso, ovvero quello di anzianità, e non su quello di invalidità percepito dal marito.

Pensione di reversibilità: contano i requisiti

La Corte di Cassazione ha confermato il diritto della moglie di ricevere la pensione di reversibilità parametrata al trattamento di anzianità, anche se il marito non aveva presentato la domanda per questo tipo di pensione prima della morte. La pronuncia si fonda su un principio chiaro: i requisiti previdenziali raggiunti sono sufficienti a far valere il diritto al miglior trattamento pensionistico. La mancanza del presupposto amministrativo della domanda da parte del de cuius non può pregiudicare il diritto dell’erede.

Il riscatto degli anni di laurea, anche se formalmente concluso post mortem, contribuisce a consolidare il diritto del de cuius al trattamento di anzianità. Questo aspetto si traduce in un beneficio economico maggiore per la pensione di reversibilità spettante all’erede.

Questa sentenza è significativa infatti non solo per la donna che ha ottenuto il riconoscimento del suo diritto, ma anche per tutti i casi analoghi futuri. Essa infatti stabilisce che:

  • il diritto alla reversibilità si basa sui requisiti previdenziali raggiunti dal de cuius;
  • la mancata presentazione della domanda non inficia il diritto degli eredi;
  • è legittimo parametrare la reversibilità al trattamento più favorevole, se i requisiti sono stati maturati.

In situazioni simili gli eredi possono quindi avanzare una richiesta per ottenere il trattamento previdenziale più favorevole, anche se il de cuius non ha presentato formalmente la domanda.

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pensioni minime

Pensioni minime: bonus di 154,94 euro Pensioni minime: bonus di 154,94 euro in arrivo a dicembre per i pensionati con redditi bassi per fornire un sostegno concreto

Pensioni minime: bonus 154,94 euro in arrivo a Natale

In arrivo a dicembre il bonus da 154,94 euro per oltre 400.000 titolari delle pensioni minime. Il messaggio INPS n. 3821 del 15 novembre 2024 descrive questo beneficio aggiuntivo di 154,94 euro, che rappresenta un sostegno significativo per i pensionati con redditi bassi. L’attenzione verso la trasparenza nei criteri di attribuzione e il rispetto dei limiti reddituali garantisce un approccio equo e mirato. Le nuove disposizioni sottolineano l’impegno dell’INPS nel fornire un aiuto concreto a una platea che necessita di protezione sociale, specie nei periodi critici, come quello natalizio.

Vediamo quindi in cosa consiste questa misura, chi sono i beneficiari e quali limiti reddituali devono essere rispettati.

Cos’è il bonus di 154,94 euro

Il bonus consiste in una somma forfettaria di 154,94 euro che l’INPS erogherà con la rata di dicembre 2024 per sostenere i redditi più bassi. Per i titolari di pensioni con decorrenza infrannuale, l’importo sarà calcolato in proporzione ai mesi di percezione della pensione.

Bonus di 154,94 euro: fonte normativa

Il bonus di 159,94 euro trova la sua fonte normativa nell’articolo 70, comma 7 della finanziario del 2011 (legge n. 388/2010). La somma erogata non è soggetta a tassazione e verrà corrisposta in modo automatico. Per il suo riconoscimento l’INPS terrà conto dell’importo della pensione attuale e dell’ultimo reddito registrato non precedente al 2020.

Pensioni minime: i beneficiari del bonus

Il bonus è destinato ai pensionati che percepiscono trattamenti a carico dell’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO) e delle forme sostitutive o integrative, gestite dall’INPS o dagli enti di previdenza regolati dal D.Lgs. n. 509/1994. Sono esclusi dalla misura  i titolari di prestazioni non classificate come pensioni e i pensionati con redditi complessivi che superano i limiti fissati.

Limiti reddituali e calcoli

Il limite massimo del trattamento pensionistico per ricevere il bonus è fissato a 7.936,87 euro annui. Per importi di pensione compresi tra  7.781,93 euro e 7.781,93 euro (trattamento minimo INPS), il bonus sarà rappresentato dalla differenza tra 7.936,87 euro e l’importo della pensione.

Il reddito complessivo assoggettabile all’IRPEF,  invece, comprensivo del trattamento pensionistico, non deve superare una volta e mezza il trattamento minimo annuale, fissato a 11.672,9 euro. Per i pensionati coniugati, il reddito cumulato con quello del coniuge non può eccedere tre volte il trattamento minimo, pari a 23.345,79 euro. In caso di separazione legale ed effettiva, il reddito del coniuge non viene considerato. Se tali limiti vengono superati, il diritto all’importo aggiuntivo decade.

Modalità di erogazione ed eventuale recupero

Il beneficio sarà indicato nella comunicazione ufficiale ai pensionati, che specificherà anche la normativa di riferimento. Esso sarà corrisposto nella rata di pensione di dicembre 2024, con la dicitura: “Importo Aggiuntivo (Legge 23 dicembre 2000 n. 388) – Credito Anno 2024”. Per i pensionati che non percepiscono trattamenti dall’INPS, l’importo sarà erogato dalla Cassa Professionale competente, individuata tramite il Casellario centrale dei pensionati.

Se dovessero emergere condizioni di reddito o anagrafiche non conformi, l’INPS potrà recuperare le somme indebitamente corrisposte.

 

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pensione anticipata

Pensione anticipata: nuovi scenari dopo la Cassazione Pensione anticipata: cosa cambia soprattutto per i lavoratori dopo che la Cassazione ha valorizzato i contributi figurativi

Pensione anticipata e pronuncia della Cassazione

La pensione anticipata è uno dei temi più dibattuti nel panorama previdenziale italiano, soprattutto alla luce delle recenti evoluzioni normative e giurisprudenziali. Due decisioni della Corte di Cassazione (si tratta delle due sentenze “gemelle” n. 24916/2024 e n. 24952/2024) hanno recentemente cambiato l’orientamento riguardo al requisito dei 35 anni di contributi effettivi necessari per accedere a questa forma di pensionamento, stabilendo che tale requisito non è più indispensabile.

Queste decisioni potrebbero avere un impatto significativo su molti lavoratori italiani, in particolare su coloro che hanno attraversato periodi di disoccupazione, malattia o altre situazioni coperte da contribuzione figurativa.

In questo articolo, approfondiremo le implicazioni di queste pronunce, analizzando il contesto normativo, le motivazioni della Corte e le possibili conseguenze per il sistema previdenziale e i lavoratori.

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Il contesto normativo della pensione anticipata

Per comprendere appieno la portata delle pronunce della Cassazione, è fondamentale esaminare il quadro normativo entro cui si inserisce. La pensione anticipata, introdotta con la Riforma Fornero del 2011, permette ai lavoratori di ritirarsi dal lavoro prima dell’età pensionabile di vecchiaia, a condizione di aver maturato una significativa anzianità contributiva. I requisiti tradizionali per accedere alla pensione anticipata erano:

  • Per gli uomini: almeno 42 anni e 10 mesi di contributi.
  • Per le donne: almeno 41 anni e 10 mesi di contributi.

Oltre a questi requisiti contributivi, era necessario che almeno 35 anni di contributi fossero “effettivi”, ossia derivanti da attività lavorativa reale. Questo escludeva dal conteggio i cosiddetti contributi figurativi, ovvero quelli accreditati per periodi di non lavoro coperti da specifiche tutele previdenziali, come malattia, disoccupazione indennizzata, cassa integrazione, servizio militare e maternità.

Pensione anticipata: contributi effettivi e figurativi

La distinzione tra contributi effettivi e figurativi è stata per lungo tempo un elemento cruciale nel determinare l’accesso alla pensione anticipata. I contributi effettivi sono quelli versati dal datore di lavoro o dal lavoratore autonomo durante l’effettiva attività lavorativa, rappresentando il frutto del lavoro svolto. Sono direttamente correlati alla prestazione lavorativa e alla retribuzione percepita.

I contributi figurativi, invece, sono accrediti contributivi riconosciuti in specifiche situazioni previste dalla legge, senza oneri per il lavoratore o per il datore di lavoro. Questi periodi sono coperti dall’ordinamento per garantire una continuità contributiva anche in assenza di lavoro effettivo. Rientrano tra i contributi figurativi i periodi di:

  • malattia o infortunio sul lavoro;
  • disoccupazione;
  • cassa integrazione guadagni;
  • servizio militare obbligatorio o servizio civile;
  • assistenza a familiari disabili, usufruendo dei permessi previsti dalla Legge 104/1992.

Fino alla recente sentenza, per accedere alla pensione anticipata era necessario che almeno 35 anni dei contributi fossero effettivi, escludendo dunque i periodi coperti da contribuzione figurativa dal calcolo di questa quota minima. Questa limitazione penalizzava i lavoratori che, per motivi non dipendenti dalla loro volontà, avevano interrotto l’attività lavorativa per periodi protetti dalla legge.

Contributi figurativi per la pensione anticipata

La Corte di Cassazione, con le sentenze innovative, ha stabilito che il requisito dei 35 anni di contributi effettivi non è più necessario per accedere alla pensione anticipata. Questa decisione rappresenta una svolta significativa, in quanto modifica un’interpretazione consolidata della normativa previdenziale.

Le motivazioni della Cassazione

La Corte ha fondato in sostanza la sua decisione su diversi principi giuridici e costituzionali:

  • interpretazione conforme ai principi costituzionali: le norme previdenziali devono essere interpretate in modo coerente con i principi sanciti dalla Costituzione, in particolare il principio di uguaglianza (art. 3) e il diritto alla previdenza sociale (art. 38). Escludere i contributi figurativi dal conteggio per la pensione anticipata potrebbe violare questi principi, creando disparità di trattamento tra lavoratori in situazioni analoghe;
  • valorizzazione dei contributi figurativi: i contributi figurativi sono riconosciuti dall’ordinamento come periodi di contribuzione validi a tutti gli effetti. Rappresentano periodi in cui il lavoratore, pur non svolgendo attività lavorativa, è comunque tutelato dalla legge. La loro esclusione dal calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per la pensione anticipata contrasterebbe con la finalità stessa della protezione previdenziale;
  • eliminazione di disparità di trattamento: la distinzione tra contributi effettivi e figurativi creava una disparità ingiustificata tra lavoratori che avevano maturato la stessa anzianità contributiva complessiva. Questa differenziazione penalizzava coloro che, per cause indipendenti dalla loro volontà, non avevano potuto accumulare 35 anni di contributi effettivi;
  • funzione sociale della previdenza: la Corte ha ribadito che il sistema previdenziale ha una funzione sociale fondamentale, volta a garantire la sicurezza economica dei lavoratori anche nei periodi di difficoltà. Riconoscere pienamente i contributi figurativi rafforza questa funzione, evitando penalizzazioni ingiuste.

Il caso che ha originato la sentenza

Le sentenze traggono origine da un caso concreto in cui i lavoratori avevano richiesto la pensione anticipata, avendo maturato l’anzianità contributiva complessiva richiesta, ma senza raggiungere i 35 anni di contributi effettivi a causa di periodi di disoccupazione indennizzata e malattia. L’INPS aveva rigettato la domanda, sostenendo che non erano stati soddisfatti tutti i requisiti previsti dalla normativa vigente.

I lavoratori hanno impugnato la decisione, sostenendo che i contributi figurativi dovessero essere considerati validi ai fini del raggiungimento dell’anzianità contributiva necessaria. La questione è giunta fino alla Corte di Cassazione, che ha accolto le argomentazioni, stabilendo un nuovo orientamento interpretativo.

Implicazioni pratiche per i lavoratori

La decisione della Corte di Cassazione può avere importanti ripercussioni per numerosi lavoratori italiani. Come ad esempio:

  • Accesso facilitato alla pensione anticipata: molti lavoratori che finora non potevano accedere alla pensione anticipata a causa della mancanza dei 35 anni di contributi effettivi potranno ora farlo, considerando nel computo anche i contributi figurativi. Questo apre nuove opportunità per coloro che hanno avuto carriere lavorative discontinue o interrotte da periodi di difficoltà.
  • Valorizzazione dei periodi di tutela: I periodi di malattia, disoccupazione, maternità e altri eventi protetti saranno pienamente riconosciuti, riflettendo una maggiore attenzione verso le situazioni di fragilità del lavoratore. Questo riconoscimento rafforza il principio di solidarietà su cui si basa il sistema previdenziale italiano.
  • Riduzione delle disparità: La sentenza elimina una distinzione che penalizzava ingiustamente alcuni lavoratori, promuovendo una maggiore equità nel sistema previdenziale. Si supera così una barriera che creava disuguaglianze tra chi aveva avuto una carriera lavorativa lineare e chi aveva affrontato periodi di interruzione.
Ape social

Ape Social: verifica requisiti entro il 30 novembre L'Inps pubblica avviso sulla scadenza del termine per la presentazione della domanda di verifica delle condizioni di accesso all'anticipo pensionistico

Ape Sociale termine domanda

Ape Sociale: scade il 30 novembre 2024 il termine per la presentazione della domanda di verifica delle condizioni di accesso all’anticipo pensionistico. Lo rammenta l’Inps con un avviso pubblicato sul sito istituzionale, rammentando condizioni e presupposti dell’Ape social.

Ape Social: a chi spetta

L’indennità, rammenta l’istituto, “spetta ai lavoratori iscritti all’Assicurazione Generale Obbligatoria dei lavoratori dipendenti, alle forme sostitutive ed esclusive della stessa, alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi e alla Gestione Separata che si ritrovano in determinate condizioni lavorative, personali e familiari”.

Per verificare condizioni e requisiti di accesso l’Inps rinvia all’apposita pagina “APE Sociale – Anticipo pensionistico – Verifica Requisiti”.

Requisiti

Per ottenere l’indennità è necessario che i soggetti in possesso delle condizioni indicate dalla legge abbiano, al momento della domanda di accesso, i seguenti requisiti:

  • almeno 63 anni e 5 mesi di età;
  • almeno 30 anni di anzianità contributiva; per i lavoratori che svolgono le attività gravose, l’anzianità contributiva minima richiesta è di 36 anni (o almeno 32 anni, per le categorie di gravosi illustrate nella pagina APE Sociale). Ai fini del riconoscimento dell’indennità, i requisiti contributivi richiesti sono ridotti, per le donne, di 12 mesi per ogni figlio, nel limite massimo di due anni;
  • non essere titolari di alcuna pensione diretta.

L’accesso al beneficio è inoltre subordinato alla cessazione di attività di lavoro dipendente, autonomo e parasubordinato svolta in Italia o all’estero.

Incompatibilità

L’indennità non è compatibile con i trattamenti di sostegno al reddito connessi allo stato di disoccupazione involontaria, con l’assegno di disoccupazione, nonché con l’indennizzo per la cessazione dell’attività commerciale.

Ape social anche nel 2025

La misura, in vigore dal 1° maggio 2017 e già prorogata fino al 31 dicembre 2024, sarà oggetto di ulteriore proroga al 31 dicembre 2025, come previsto dall’articolo 24 del Disegno di legge di bilancio 2024, già approvato dalla Camera e in via di definizione al Senato.

Per approfondimenti leggi anche la nostra guida all’Ape Social

addio pensione di reversibilità

Addio pensione di reversibilità per il figlio non a carico La Cassazione rammenta che la reversibilità della pensione sussiste solo se c'è l'elemento della "vivenza a carico"

Pensione di reversibilità e vivenza a carico

Addio pensione di reversibilità per il figlio non a carico. Ai fini del diritto, infatti, deve sussistere cioè l’elemento della vivenza a carico. Lo ricorda la Cassazione con l’ordinanza n. 19485/2024.

Pensione di reversibilità negata

Nella vicenda, la Corte d’Appello di Torino accoglieva il gravame proposto da un uomo, avverso la sentenza del Tribunale di Asti che aveva respinto la domanda proposta da quest’ultimo nei confronti dell’Inps, volta a chiedere il pagamento in suo favore della pensione di reversibilità, quale figlio maggiorenne inabile e convivente a carico della madre a far tempo dalla data del decesso, oltre agli arretrati di legge, interessi e rivalutazione monetaria.

Il Tribunale aveva respinto la domanda ritenendo non sufficientemente provato il requisito della vivenza a carico, alla luce del trattamento pensionistico di assistenza che già percepiva (pensione di invalidità e reddito di cittadinanza) che aveva indotto il primo giudice ad escludere che l’uomo dipendesse economicamente dalla madre.

La Corte d’Appello, per quanto d’interesse, ha ritenuto sussistente sia il requisito della “vivenza a carico” della madre da parte del ricorrente, anche per l’assenza di reddito imponibile, che il requisito sanitario.

Il ricorso dell’Inps

Avverso la sentenza della Corte d’Appello, l’Inps ricorre per cassazione, lamentando violazione di legge per avere il giudice del gravame riconosciuto il diritto alla prestazione di reversibilità, ritenendo sussistente il requisito sanitario, nonostante l’espressa eccezione sollevata sul punto dall’Istituto, non sussistendo alcuna presunzione di inabilità lavorativa in capo a chi è stato accertato invalido civile al 100%. Inoltre, l’Inps deduceva l’errore in cui era incorsa la corte territoriale nell’aver riconosciuto il diritto del richiedente alla prestazione di reversibilità, ritenendo sussistente il requisito della vivenza a carico della madre, benché fosse decaduto dall’onere della prova, senza che il giudice potesse procedere d’ufficio alla acquisizione dei documenti offerti dalla difesa.

La vivenza a carico

Per la Cassazione, il primo motivo è infondato; infatti, la Corte d’Appello motiva sulla sussistenza dell’inabilità lavorativa, quand’anche prendendo spunto dal certificato attestante l’invalidità civile al 100% e l’Istituto previdenziale non censura efficacemente tale accertamento di fatto.

Il secondo e il terzo motivo, invece, che possono essere oggetto di un esame congiunto, sono fondati.

Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità, il requisito della “vivenza a carico”, se non si identifica indissolubilmente con lo stato di convivenza né con una situazione di totale soggezione finanziaria del soggetto inabile, “va considerato con particolare rigore, essendo necessario dimostrare che il genitore provvedeva, in via continuativa e in misura quanto meno prevalente, al mantenimento del figlio inabile e tale accertamento di fatto è rimesso al giudice di merito (cfr. Cass. n. 9237/2018)”.

La decisione

Nel caso di specie, il dato valorizzato dalla Corte territoriale del reddito imponibile del ricorrente pari a zero è inconferente a fronte della percezione, da parte dello stesso, dell’importo di euro 800,00 mensili a titolo di pensione di invalidità e di reddito di cittadinanza; in buona sostanza, la Corte d’Appello doveva chiarire perché non erano da considerare sufficienti tali redditi a fronte delle reali esigenze di vita del ricorrente e perché l’intervento di sostegno economico della madre del ricorrente doveva considerarsi effettuato in misura prevalente, a fronte dei sussidi economici che lo stesso già percepiva.

Per cui, in accoglimento del secondo e terzo motivo, la sentenza va cassata e la causa va rinviata alla Corte d’Appello di Torino, affinché, alla luce di quanto sopra esposto, riesamini il merito della controversia.

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modello red precompilato

Modello Red Precompilato online L'INPS informa che è online il nuovo servizio RED Precompilato per confermare, integrare e o rettificare la dichiarazione reddituale

Modello RED

E’ online il nuovo servizio RED Precompilato. Lo rammenta l’INPS sul canale WhatsApp Inps per tutti.

Sul Portale INPS, informa l’istituto, “è disponibile per i pensionati la nuova Campagna RED ordinaria 2024 per la dichiarazione dei redditi percepiti nel 2023”.

Il modello RED, si ricorda, è il documento telematico che i percettori di pensione devono compilare per dichiarare quei redditi che risultano rilevanti ai fini del riconoscimento di alcune prestazioni economiche.

Come accedere al servizio

Il nuovo servizio, accessibile tramite la pagina “La dichiarazione della situazione reddituale (RED)”, permette ai pensionati la precompilazione dei dati reddituali già conosciuti dall’INPS che possono essere confermati, integrati e rettificati.

La scadenza per la presentazione della dichiarazione dei redditi, ricorda infine, l’INPS, è il 28 febbraio 2025.

Per approfondimenti collegarsi all’apposita sezione sul sito INPS

pensioni le misure

Pensioni: le misure più importanti della manovra Pensioni: la manovra conferma Ape Social, Opzione donna e Quota 103, novità invece per pensioni minime e per quelle dei residenti all’estero

Pensioni: le novità della manovra 2025

Pensioni le misure più importanti contenute nella manovra di bilancio 2025 che, nella sua versione iniziale, prima dell’esame parlamentare, prevede diverse novità in materia ma anche alcune conferme. 

Quota 103

Confermata quota 103 per chi è nel regime contributivo, ha raggiunto 62 anni di età e 41 anni di contributi. Più lunghi invece i tempi di attesa. I dipendenti privati dovranno attendere 7 mesi dalla presentazione della richiesta, i dipendenti pubblici 9 mesi.

Ape social

La manovra proroga Ape social per chi ha almeno 63 anni e 5 mesi di età e 30 anni minimi di contributi. I beneficiari dovranno essere:

  • disoccupati anche a causa di un licenziamento collettivo;
  • caregiver;
  • soggetti con provata riduzione della capacità lavorativa minima del 74%;
  • lavoratori impiegati in attività gravose.

Opzione donna

L’altra proroga riguarda opzione donna, di cui potranno beneficiare le donne che abbiano compiuto almeno 61 anni di età con 35 anni di contributi versati entro il 31 dicembre 2024. Le richiedenti devono però rientrare in determinate categorie:

  • disoccupate anche a causa di un licenziamento collettivo;
  • dedite all’assistenza del coniuge o di un parente di primo grado affetti da handicap grave da almeno 6 mesi;
  • con riduzione della capacità lavorativa in misura pari o superiore al 74%;
  • lavoratrici licenziate o alle dipendenze di imprese in cui è attivo il tavolo di confronto presso l’ex Mise per gestire le crisi aziendali.

Pensioni minime: misure antinflazione

L’articolo 25 della manovra è dedicato alle pensioni minime. Esso interviene per completare gli interventi transitori finalizzati al contrasto dell’inflazione registrata negli anni 2022 e 2023.

A tal fine la manovra va a modificare il comma 310 dell’art. 1 della legge di bilancio per il 2023 n. 197 del 17 dicembre 2022.

Comma 310 art. 1 legge di bilancio 2025

Questo il testo di risulta in seguito alle modifiche previste: Al fine di contrastare gli effetti negativi delle tensioni inflazionistiche registrate e attese per gli anni 2022 e 2023, per le pensioni di importo pari o inferiore al trattamento minimo INPS, in via eccezionale con decorrenza 1° gennaio 2023, con riferimento al trattamento pensionistico lordo complessivo in pagamento per ciascuna delle mensilità da gennaio 2023 a dicembre 2026, ivi compresa la tredicesima mensilità spettante, è riconosciuto in via transitoria un incremento, limitatamente alle predette mensilità e rispetto al trattamento mensile determinato sulla base della normativa vigente prima della data di entrata in vigore della presente legge, di 1,5 punti percentuali per l’anno 2023, elevati a 6,4 punti percentuali per i soggetti di età pari o superiore a settantacinque anni, e di 2,7 punti percentuali per l’anno 2024, di 2,2 punti percentuali per lanno 2025 e di 1,3 punti percentuali per lanno 2026.  L’incremento di cui al presente comma non rileva, per gli anni 2023 e 2024, 2025 e 2026 ai fini del superamento dei limiti reddituali previsti nel medesimo anno per il riconoscimento di tutte le prestazioni collegate al reddito. (…) Resta fermo che, ai fini della rivalutazione delle pensioni per gli anni 2023 e 2024, 2025 e 2026 il trattamento pensionistico complessivo di riferimento è da considerare al netto dell’incremento transitorio di cui al presente comma, il quale non rileva a tali fini e i cui effetti cessano in ogni caso, rispettivamente, al 31 dicembre 2023 e al 31 dicembre 2024, al 31 dicembre 2025 e al 31 dicembre 2026.” 

Pensione di vecchiaia: per lavoratrici con 4 o più figli

L’articolo 26 interviene sulle pensioni di vecchiaia delle lavoratrici attraverso la modifica dell’articolo 1, comma 40, lettera c) della legge n. 335/1995 La norma acquisisce così il seguente tenore letterale: Per i trattamenti pensionistici determinati esclusivamente secondo il sistema contributivo, sono riconosciuti i seguenti periodi di accredito figurativo: lett c) a prescindere dall’assenza o meno dal lavoro al momento del verificarsi dell’evento maternità, è riconosciuto alla lavoratrice un anticipo di età rispetto al requisito di accesso alla pensione di vecchiaia di cui al comma 19 pari a quattro mesi per ogni figlio e pari a sedici mesi complessivi nei casi di quattro o più figli.” 

Pensioni all’estero: stop perequazione automatica

L’ art. 27 della manovra prevede che, in via del tutto eccezionale, per il 2025, la rivalutazione automatica delle pensioni (art. 34 comma 1 legge n. 448/1998) non sarà riconosciuta ai pensionati che risiedono allestero e che percepiscono una pensione superiore al trattamento minimo INPS con riferimento all’importo complessivo di questi trattamenti. Qualora il trattamento pensionistico complessivo sia superiore al predetto importo e inferiore a tale limite aumentato dell’incremento disciplinato dal presente comma l’incremento è comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato.” 

Previdenza complementare

L’art. 28 modifica l’art. 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, prevedendo che a partire dal 1° gennaio 2025, solo per raggiungere l’importo soglia mensile, in caso di opzione per la rendita, su richiesta dell’assicurato, possa essere computato insieme all’ammontare mensile della prima rata di pensione base, anche il valore teorico di una o più prestazioni di rendita delle forme pensionistiche di previdenza complementare richieste dall’assicurato.

 

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bonus maroni busta paga

Bonus Maroni: in busta paga a novembre Bonus Maroni: a novembre l'ultima tranche di pagamento della misura rinnovata dalla legge di bilancio 2024 in busta paga

Bonus Maroni: cos’è

Il Bonus Maroni è una misura economica che prende il nome dall’ex ministro della Lega Roberto Maroni. Il trattamento è riservato ai lavoratori dipendenti che decidono di posticipare il pensionamento, anche se hanno raggiunto i requisiti per la pensione quota 103. Questo bonus si caratterizza per la previsione di un esonero dal pagamento dei contributi previdenziali  che sono a carico del lavoratore nella misura del 9,19% della retribuzione imponibile.

Riferimenti normativi

Il bonus Maroni, ossia l’incentivo a posticipare il momento della pensione, è stato previsto dall’articolo 1, comma 286 della legge n. 197/2022 e poi è stato rinnovato con l’ultima legge di bilancio 2024. La sua attuazione è avvenuta con il decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il ministero dell’economia del 21 marzo 2023, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 110 – 12 maggio 2023.

Pensione Quota 103

Il Bonus Maroni, come anticipato, riguarda quei lavoratori che hanno maturato i requisiti per andare in pensione anticipatamente con Quota 103, ovvero quando la somma della loro età e degli anni di contributi versati raggiunge il numero 103. I requisiti, nello specifico, sono i seguenti::

  • aver compiuto 62 anni di età.
  • aver maturato almeno 41 anni di contributi versati.

Bonus Maroni: effetti sulla busta paga

Il Bonus Maroni produce un aumento della busta paga dei lavoratori che scelgono di continuare a lavorare  anche se di fatto hanno raggiunto i requisiti di legge necessari per la pensione quota 103. L’importo che corrisponde allo sgravio contributivo del 9,19% previsto dalla misura comporta l’incremento dello stipendio perché aumenta la retribuzione  netta.

Come fare domanda per il bonus Maroni

Per beneficiare del bonus  Maroni ci può fare domanda direttamente all’INPS, rispettando i seguenti passaggi:

  • il lavoratore deve comunicare all’INPS la volontà espressa di accedere alla misura;
  • l’INPS procede quindi con la certificazione del raggiungimento dei requisiti pensionistici e informa il datore di lavoro entro il termine di 30 giorni dalla richiesta;
  • il datore di lavoro, una volta acquisita la certificazione, si attiva per il recupero degli sgravi contributivi maturati.

Per fare domanda in modalità telematica tramite il sito dell’INPS il richiedente deve essere in possesso dello SPID, almeno di secondo livello, della Carta Nazionale dei. Servizi o della Carta di Identità elettronica 3.0.

La domanda può essere presentata nelle seguenti diverse modalità:

  • tramite il sito web ufficiale INPS: inps.it;
  • avvalendosi dei servizi messi a disposizione dai Patronati;
  • telefonando al Contact Center Integrato: al numero verde 803164 (da rete fissa) o al numero 06164164 (da rete mobile).

Per maggiori dettagli sulla modalità di presentazione della domanda consultare il messaggio INPS n. 2426 del 28 giugno 2023

Bonus Maroni: decorrenza

Il Bonus Maroni prevede diverse date di decorrenza diversificate per i lavoratori del settore privato e del settore pubblico e a seconda della gestione, AGO o diversa:

  • 2 agosto 2024: per i lavoratori del settore privato con pensione a carico della Gestione esclusiva AGO;
  • 1° settembre 2024: per i lavoratori del settore privato con pensione a carico di una Gestione diversa dall’AGO;
  • 2 ottobre 2024: per i dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni con pensione a carico della Gestione esclusiva AGO;
  • novembre 2024: per i dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni con pensione a carico di una Gestione diversa.

Queste date corrispondono alle finestre temporali per accedere alla pensione Quota 103.

Bonus Maroni: vantaggi e svantaggi

La misura presenta degli evidenti aspetti negativi e positivi. I vantaggi sono rappresentati dall’aumento del salario netto del lavoratore nella misura di circa  il 10% e dall’incentivo a restare nel mondo del lavoro. Il principale svantaggio invece consiste nel calcolo della pensione sulla base dell’anzianità contributiva fino al momento in cui si è raggiunta la Quota 103 senza considerare quindi i contributi versati in seguito.

 

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