catasto

Catasto: cos’è e a cosa serve Catasto: cos’è, a cosa serve, normativa di riferimento, categoria e classe catastale, rendita catastale e visura catastale

Catasto: che cos’è?

Il catasto è un archivio in cui sono registrate tutte le proprietà immobiliari presenti in un Comune o in una provincia, con l’indicazione dei rispettivi proprietari. Il Catasto nasce per accertare la proprietà immobiliare, evidenziarne le mutazioni e determinare le imposte.

Esso si divide in due sezioni complementari:

  • il Catasto dei Terreni, che include i terreni agricoli e inedificati;
  • il Catasto dei Fabbricati (o Catasto Edilizio Urbano), che contiene le costruzioni civili, industriali e commerciali.

Normativa di riferimento

  • Legge n. 3682/1886: istituzione del catasto terreni (abrogato dal dl n. 200/2008 convertito dalla legge n. 9/2009)
  • Regio decreto n. 652/1939: formazione catasto edilizio urbano
  • DPR n. 1142/1949: regolamento di attuazione catasto edilizio urbano
  • Decreto Legge n. 557 /1993: istituzione del catasto fabbricati
  • Dlgs n. 300/1999: istituzione Agenzia del Territorio a cui è stata affidata la gestione dei dati catastali e i servizi connessi
  • Legge n. 135/2012: incorporazione dell’Agenzia del Territorio nell’Agenzia delle Entrate

Catasto: a cosa serve?

La finalità principale del Catasto è quella censire le proprietà immobiliari, aggiornarne i cambiamenti e fornire la base per l’imposizione fiscale. La gestione di queste banche dati è affidata all’Agenzia delle Entrate (ex Agenzia del Territorio). Nel Catasto Edilizio Urbano sono registrati i dati più rilevanti per ogni unità immobiliare:

  • l’identificazione catastale (Comune, sezione, numero di mappa, particella, subalterno);
  • l’indirizzo;
  • la classe di redditività;
  • la consistenza (vani o superficie netta);
  • la rendita catastale;
  • le categorie.

Il catasto e i documenti collegati allo stesso sono inoltre fondamentali per chi è interessato ad investire nel mercato immobiliare.

Categoria catastale

La categoria catastale definisce la tipologia di un’unità immobiliare all’interno di una zona censuaria, un’area omogenea in termini di redditività e caratteristiche socio-economiche. Le categorie, codificate con lettere da A a F, differiscono per la destinazione d’uso ordinaria e permanente dell’immobile, influenzandone la rendita.

I principali gruppi di categorie sono:

  • Gruppo A: abitazioni di vario tipo (signorile, civile, economica, popolare, ville, castelli, ecc.) e uffici/studi privati.
  • Gruppo B: edifici pubblici o ad uso collettivo (collegi, ospedali, prigioni, uffici pubblici, scuole, musei).
  • Gruppo C: immobili a destinazione commerciale e magazzini (negozi, laboratori, depositi, rimesse, stabilimenti balneari).

Le categorie catastali sono fondamentali per la tassazione immobiliare, in particolare per l’IMU. Ad esempio, l’IMU sull’abitazione principale è dovuta solo se l’immobile rientra nelle categorie considerate di lusso o di pregio (A1, A8 e A9).

Classe catastale

La classe catastale, invece, esprime il grado di redditività di un immobile all’interno della stessa categoria. È un indicatore che considera vari criteri come il livello delle finiture, i servizi in dotazione, la dimensione e la posizione dei vani, la luminosità e la funzionalità degli ambienti. Una classe catastale più elevata comporta una maggiore rendita catastale. L’attribuzione della classe avviene da parte dell’Agenzia delle Entrate in seguito alla domanda di accatastamento o alla dichiarazione di nuova costruzione/variazione urbana.

Rendita Catastale

La rendita catastale è il valore economico attribuito a ciascun immobile, sia esso fabbricato o terreno, calcolato dall’Agenzia delle Entrate. Essa rappresenta il reddito annuo “potenziale” che l’immobile può generare. È un dato essenziale per il calcolo di imposte come l’IMU. Per le categorie comprese nei gruppi A, B e C, la rendita viene calcolata moltiplicando la consistenza per la tariffa unitaria specifica per Comune, zona censuaria, categoria e classe. Per le categorie D ed E, la rendita è determinata tramite stima diretta.

Catasto: la visura catastale

La visura catastale è il documento chiave che fornisce tutte le informazioni relative a un edificio o unità immobiliare. Essa consente di consultare gli atti e i documenti catastali e di acquisire dati identificativi e reddituali dei beni immobili, i dati anagrafici dei proprietari, i dati grafici (mappa catastale, planimetrie) e gli atti di aggiornamento catastale. Per le unità immobiliari urbane a destinazione ordinaria, la visura include anche la superficie catastale dell’immobile.

 

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procura alle liti

Procura alle liti in lingua straniera: valida senza traduzione Le Sezioni Unite civili hanno stabilito che la procura speciale alle liti redatta in lingua straniera è valida anche senza traduzione, poiché l’obbligo dell’italiano riguarda solo gli atti processuali

La procura alle liti in lingua straniera non è nulla

Le Sezioni Unite civili della Cassazione, con la sentenza n. 17876 del 2025, hanno chiarito un principio di grande rilievo per la tutela del diritto di difesa: la procura speciale alle liti redatta in lingua straniera e rilasciata all’estero è pienamente valida, anche se priva di traduzione in italiano e di certificazione traduttiva.

Secondo la Corte, l’obbligo di utilizzare la lingua italiana si applica esclusivamente agli atti processuali in senso stretto e non a quelli prodromici, come la procura con cui si conferiscono i poteri al difensore.

L’ambito di applicazione dell’art. 122 c.p.c.

La Cassazione ha ricordato che l’art. 122, comma 1, c.p.c., impone l’uso della lingua italiana “in tutto il processo”. Tale prescrizione riguarda però solo gli atti che si formano nel processo e per il processo: atti processuali veri e propri, come le comparse, le memorie, i ricorsi e le sentenze.

La procura alle liti, pur strettamente collegata al processo, ha natura meramente strumentale e preparatoria. Per questo motivo, non è soggetta alla regola della redazione obbligatoria in italiano.

La traduzione non è requisito di validità

Imporre la traduzione della procura come condizione di validità integrerebbe un vincolo non previsto dalla legge. La Corte ha evidenziato che un simile obbligo costituirebbe un ostacolo sproporzionato al diritto di azione in giudizio, privo di adeguata giustificazione in termini di interesse pubblico.

In linea con il principio di tassatività delle nullità, sancito dall’art. 156 c.p.c., non è possibile estendere per analogia il requisito della lingua italiana a documenti che non siano atti processuali.

Il ruolo del giudice e l’art. 123 c.p.c.

La Suprema Corte ha chiarito che, se il documento prodotto in giudizio è in lingua straniera, il giudice può applicare l’art. 123 c.p.c.: è dunque sua facoltà, e non un obbligo, disporre la nomina di un traduttore.

Il giudice può decidere di non avvalersi del traduttore se comprende il contenuto dell’atto o se non esistono contestazioni sulla traduzione eventualmente allegata.

Il caso concreto e i principi di diritto affermati

La decisione nasce da un procedimento ereditario in cui una delle parti aveva eccepito la nullità della procura speciale rilasciata negli Stati Uniti e autenticata da un notaio della Florida, proprio per l’assenza della traduzione in italiano.

La Corte di Cassazione ha respinto l’eccezione, stabilendo due principi di diritto fondamentali:

  1. La procura speciale alle liti redatta in lingua straniera e rilasciata all’estero è valida anche senza traduzione né certificazione, perché la disciplina della lingua italiana si riferisce ai soli atti processuali.

  2. Il giudice può eventualmente nominare un traduttore se necessario per comprendere il contenuto dell’atto, ma non è tenuto a farlo in assenza di contestazioni o difficoltà interpretative.

pegno

Pegno: cos’è, come funziona e differenze con l’ipoteca Pegno: cos’è, come si costituisce, tipologie, effetti giuridici, differenze con l’ipoteca e giurisprudenza recente della Cassazione

Che cos’è il pegno

Il pegno è un diritto reale di garanzia che si costituisce su un bene mobile, su un’ universalità di beni mobili, su diritti aventi ad oggetto beni mobili e su crediti, a garanzia dell’adempimento di un’obbligazione. La funzione principale di questo diritto di garanzia è di attribuire al creditore la possibilità di soddisfarsi sul bene che ne costituisce l’oggetto in caso di inadempimento del debitore, con prelazione rispetto agli altri creditori.

Normativa di riferimento

La disciplina di questo diritto di garanzia si trova principalmente nel Codice Civile, agli articoli 2784-2807 c.c. Tali norme ne definiscono la modalità di costituzione, i diritti e gli obblighi delle parti, l’estinzione della garanzia e gli effetti nei confronti di terzi.

Come si costituisce il pegno

Il pegno si perfeziona mediante:

  • un contratto scritto, che individua il credito garantito e il bene oggetto di garanzia;
  • la consegna materiale della cosa al creditore o a un terzo designato (cosiddetto depositario), oppure notifica al debitore ceduto in caso di pegno su crediti.

La mancanza di consegna impedisce la costituzione del diritto.

Caratteristiche principali

I principali tratti distintivi di questo istituto sono:

  • è una garanzia reale, cioè grava direttamente sul bene;
  • ha carattere accessorio rispetto al credito garantito (se viene meno il credito, si estingue anche il pegno);
  • conferisce al creditore la priorità di soddisfazione sul bene in caso di esecuzione;
  • il creditore ha il diritto di ritenzione, in quanto può trattenere il bene fino al pagamento.

Tipologie di pegno

Questo diritto di garanzia può riguardare:

  • beni mobili materiali (es. gioielli, merci, titoli al portatore);
  • diritti che hanno ad oggetto beni mobili;
  • crediti (es. somme di denaro che un terzo deve al debitore);
  • universalità di mobili, come un insieme di cose determinate (ad esempio le scorte di magazzino).

Effetti del pegno

Gli effetti principali di questa garanzia per il creditore sono i seguenti:

  • ha il diritto di espropriare il bene oggetto di pegno in caso di inadempimento, seguendo le procedure di vendita previste dalla legge;
  • può percepire eventuali frutti, imputandoli in conto interessi o capitale;
  • ha diritto di essere soddisfatto prima di eventuali altri creditori.

Estinzione del pegno

Questo diritto di garanzia si estingue nei casi previsti dalla legge, tra i quali figurano i seguenti:

  • pagamento del debito garantito;
  • rinuncia del creditore;
  • restituzione volontaria del bene;
  • perimento del bene oggetto di garanzia.

In caso di estinzione, il creditore deve restituire immediatamente il bene al debitore.

Differenze con l’ipoteca

Il pegno si distingue dall’ipoteca per diversi aspetti:

Pegno Ipoteca
Grava su beni mobili o crediti Grava su beni immobili o mobili registrati
Richiede consegna del bene Non richiede consegna
Si costituisce con contratto e traditio Si costituisce con iscrizione nei registri
Immediata apprensione del bene Il bene resta nel possesso del debitore

Giurisprudenza sul pegno

Di seguito massime recenti della Cassazione sul pegno:

Cassazione n. 9811/2025

Quando il pegno è costituito su beni fungibili come il denaro, si configura come pegno irregolare solo se alla banca è stata espressamente data la facoltà di disporre della somma.Se, invece, questa facoltà non è stata conferita alla banca (come accertato dalla corte d’appello nel caso specifico), si ricade nella disciplina del pegno regolare. In questo scenario, la banca garantita non acquisisce la proprietà della somma e, di conseguenza, non ha l’obbligo di restituire al debitore la stessa quantità di denaro (il tantundem).

Cassazione n. 27501/2023

Il pegno rotativo è una forma di pegno che si sviluppa progressivamente, permettendo la sostituzione dei beni dati in garanzia. Tuttavia, questa natura “progressiva” non elimina la necessità di rispettare le formalità richieste per la sostituzione dei titoli. È fondamentale che ogni sostituzione sia accompagnata dalla specifica indicazione dei beni sostituiti e da un riferimento all’accordo originario (come richiamato dalla Cassazione n. 25796 del 2015). L’unica eccezione a questa regola si verifica quando è la stessa clausola di rotatività a predeterminare in modo esplicito le modalità con cui dovranno avvenire le sostituzioni, rendendo superflua la necessità di ulteriori specificazioni ad ogni singola operazione.

 

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fine vita

Fine vita: analisi del testo base Fine vita: redatto il testo base, che contiene le disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita

Testo base sul fine vita

Sul fine vita, al Senato, è stato redatto il testo base, che riunisce diversi disegni di legge. Il testo unificato, composto da 4 articoli, contiene le disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita. Analizziamo uno a uno gli articoli del testo, che hanno suscitato critiche e polemiche.

Diritto alla vita: inviolabile e indisponibile

Il comma 1 del primo articolo contiene una disposizione di principio che sancisce il diritto alla vita in quanto presupposto fondamentale di tutti i diritti della persona. Segue poi la disposizione che attribuisce alla Repubblica il compito di tutelare la vita di ogni individuo indiscriminatamente. Non rilevano, infatti, l’età, il sesso, la condizione di salute, personale o sociale. Il comma 2 sanziona, infine, con la nullità tutti gli atti di natura civile o amministrativa che dovessero contrastare con questi principi.

Fine vita: novità per il reato di istigazione o aiuto al suicidio

L’articolo 2 interviene sul secondo comma dell’articolo 580 c.p., che al comma 1 punisce con la reclusione fino a 12 anni la condotta di chi determina altri al suicidio, ne rafforza il proposito o ne agevola l’esecuzione in qualsiasi modo, se il suicidio avviene.

Il nuovo comma 2 della norma, in base al testo base, prevede la non punibilità del soggetto agente, in presenza di circostanze specifiche:

  • il proposito del fine vita deve essersi formato in modo libero, autonomo e consapevole;
  • il soggetto che intende porre fine alla propria vita deve essere maggiorenne e pienamente capace di intendere e di volere;
  • lo stesso deve essere stato inserito in un percorso di cure palliative e tenuto in vita da trattamenti sostitutivi di funzioni vitali;
  • il soggetto deve essere affetto da una malattia irreversibile che gli causa sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili;
  • le sue condizioni devono essere state accertate da un apposito Comitato.

Cure palliative: piani di potenziamento

L’articolo 3 si occupa delle cure palliative, modificando il comma 4-bis dell’articolo 5 della legge n. 38/2010. Questa la formulazione potenziale della norma (modifiche in grassetto): “Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano presentano, entro il 30 gennaio di ciascun anno, un piano di potenziamento delle cure palliative al fine di raggiungere, entro l’anno 2028, il 90 per cento della popolazione interessata e di garantire l’integrale utilizzo, per le finalità di cui alla presente legge, delle somme di cui all’articolo 12, comma 2. Il monitoraggio dell’attuazione del piano è affidato all’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS) che lo realizza a cadenza semestrale. La presentazione del piano e la relativa attuazione costituiscono adempimento regionale ai fini dell’accesso al finanziamento integrativo del Servizio sanitario nazionale a carico dello Stato. Eventuali residui delle somme di cui all’articolo 12, comma 2, non utilizzati per le finalità di cui alla presente legge, sono in ogni caso restituiti allo Stato e non possono essere utilizzati per finalità diverse da quelle previste dalla presente legge”.

AGENAS: analisi dei piani

Dopo questo comma è previsto l’inserimento di altri tre commi.

Il comma 4-ter prevede che l’AGENAS istituisca un osservatorio per analizzare i piani regionali di potenziamento delle cure palliative (domiciliari e pediatriche). Ogni anno, inoltre, l’AGENAS dovrà inviare una relazione a diverse autorità (Presidente del Consiglio, Ministro della Salute, Presidenti di Senato e Camera) indicando le regioni che non hanno presentato tali piani o non hanno raggiunto gli obiettivi prefissati l’anno precedente.

Il comma 4-quater, invece, dispone che in caso di mancata presentazione del piano da parte di una regione entro 30 giorni dalla relazione AGENAS, il Governo nomini un commissario ad acta fino al raggiungimento dello standard. Se poi la regione non dovesse raggiungere gli obiettivi di potenziamento delle cure palliative dell’anno precedente, il Ministro della Salute è tenuto a concedere un termine di massimo sei mesi; se l’inadempimento dovesse persistere, è prevista la nomina governativa di un Commissario.

Il comma 4-quinques chiarisce, infine, che alle novità contenute nei due commi precedenti si debba provvedere senza nuovi o maggiori oneri.

Comitato nazionale di valutazione fine vita

L’articolo 4 del testo base interviene sulla legge n. 833/1978, che ha istituito il Servizio sanitario nazionale, aggiungendo l’art. 9-bis, che disciplina il Comitato nazionale di valutazione, un organo cruciale che fornisce un parere obbligatorio sulla presenza dei requisiti per l’esclusione della punibilità in casi specifici (riferiti all’articolo 580, terzo comma, del codice penale).

Composizione del comitato

La composizione del Comitato prevede la presenza di sette membri esperti: un giurista, un bioeticista, un medico anestesista-rianimatore specializzato in terapia del dolore, un medico specialista in cure palliative, uno psichiatra, uno psicologo e un infermiere. Questi professionisti sono nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che designa anche presidente, vicepresidente e segretario. La durata in carica dei membri è di cinque anni, con la possibilità di due rinnovi. L’incarico è gratuito.

Fine vita: verifica requisiti di non punibilità

Qualora un cittadino maggiorenne e capace di intendere e di volere presenti una richiesta di verifica dei requisiti di non punibilità, il Comitato deve acquisire il parere non vincolante di uno specialista della patologia del richiedente. Se la richiesta include l’uso di farmaci “off label”, è necessario anche il parere non vincolante del Centro di coordinamento nazionale. Il Comitato ha sessanta giorni di tempo dalla richiesta per esprimersi, potendo disporre possibili proroghe in caso di necessità o di acquisizione dei pareri. Le norme generali sul procedimento amministrativo non si applicano in questo contesto e per svolgere le sue funzioni, il Comitato si avvale delle strutture del Ministero della Salute, senza oneri aggiuntivi. La richiesta presentata al Comitato potrà essere ritirata in qualsiasi momento dall’interessato. Se il Comitato dovesse accertare l’assenza dei requisiti, una nuova richiesta potrebbe essere presentata solo se si dimostra la successiva sussistenza degli stessi, e comunque non prima di centottanta giorni. Il parere rilasciato dal Comitato sarà valutato dall’autorità giudiziaria ai fini dell’applicazione della non punibilità.

Pur riconoscendo le competenze del Comitato, il personale, le strumentazioni e i farmaci del Servizio Sanitario Nazionale non potranno essere impiegati per facilitare l’esecuzione di quanto previsto dall’articolo 580 del codice penale.

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tribunale online

Tribunale online: come funziona Attivo dal 1° marzo 2024 il tribunale online. La sperimentazione coinvolge sette sedi: Catania, Catanzaro, L'Aquila, Marsala, Napoli Nord, Trento e Verona. Dal 1° luglio 2025 anche Roma

Tribunale online

Tribunali più smart per una giustizia più vicina ai bisogni dei cittadini. E’ questo l’obiettivo della sperimentazione del progetto “Tribunale online” attivo in sette sedi (Catania, Catanzaro, L’Aquila, Marsala, Napoli Nord, Trento e Verona) dal 1° marzo 2024.

Dal 1° luglio 2025 si entra nella seconda fase di sperimentazione con l’ampliamento dell’offerta di servizi con nuove tipologie di istanze disponibili online, tra cui la nomina del cancelliere o del notaio incaricato dell’inventario, l’autorizzazione alla vendita dei beni ereditari, l’istanza di proroga per l’inventario e le autorizzazioni del giudice tutelare per gli atti di straordinaria amministrazione.
Contestualmente, cresce anche la rete dei Tribunali coinvolti nella sperimentazione: alle sette sedi giudiziarie già attive – Catania, Catanzaro, L’Aquila, Marsala, Napoli Nord, Trento e Verona – si aggiunge il Tribunale di Roma.

L’iniziativa, realizzata dalla Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati del Dipartimento per la transizione digitale della giustizia, è stata finanziata nell’ambito del Pon Governance 2014-2020, in coerenza con le priorità indicate dal Pnrr.

Caratteristiche

Il portale, fruibile da qualsiasi dispositivo, è costituito da una sezione pubblica accessibile a tutti, di natura informativa, e da una sezione riservata, in cui i cittadini dotati di identità digitale (SPID, CIE o CNS) possono depositare autonomamente alcune istanze nei procedimenti di volontaria giurisdizione e monitorarne lo stato di avanzamento.

Il portale Tribunale Online è disponibile all’indirizzo https://smart.giustizia.it/to e raggiungibile dal portale dei Servizi Telematici del Ministero della giustizia https://pst.giustizia.it.

All’interno dell’area pubblica, liberamente accessibile, sono contenute informazioni su iter procedurali, attori, tempi e costi dei servizi, modulistica completa e istruzioni sul deposito presso i Tribunali, oltre a una sezione dedicata alle domande frequenti.

La sperimentazione del Tribunale Online ha reso possibile ad oggi, il deposito telematico delle istanze in alcuni procedimenti di volontaria giurisdizione, come l’amministrazione di sostegno, la gestione di eredità giacente e la nomina del curatore. Dal 1° luglio 2025, l’offerta di servizi si amplia ulteriormente. Con la seconda fase, infatti, la piattaforma si arricchisce di nuove funzionalità, offrendo ai cittadini la possibilità di svolgere un numero crescente di attività in modo sempre più semplice, rapido e digitale.

Nei prossimi mesi, il Tribunale Online continuerà ad evolversi con l’introduzione di ulteriori servizi e strumenti pensati per migliorare e ampliare l’esperienza d’uso, con l’obiettivo di estenderlo progressivamente a tutti i Tribunali sul territorio nazionale, per una giustizia sempre più accessibile e vicina alle persone.

Procedimenti ammessi

I procedimenti ammessi al deposito telematico attraverso la piattaforma sono: amministrazione di sostegno (art.473-bis.58 c.p.c.); gestione dell’eredità giacente e nomina del curatore (art.782 c.p.c.); richiesta di autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione in favore di minori (art. 320, 374 c.p.c.); autorizzazione al rilascio di passaporto o documento valido per l’espatrio per figli minori (art 3, lett.a) della legge 21 novembre 1967, n. 1185).

La piattaforma è predisposta altresì per la consultazione di molteplici procedimenti nell’ambito della volontaria giurisdizione. Nei casi in cui il procedimento, o il Tribunale di riferimento, non sia tra quelli coinvolti nella sperimentazione, l’utente avrà la possibilità di recepire informazioni utili all’avvio dell’iter per l’atto di interesse, con indicazione e riferimenti dell’ufficio giudiziario di competenza territoriale.

Il deposito per l’utenza non qualificata sarà possibile attraverso la compilazione online con procedura guidata e l’invio della domanda direttamente dalla piattaforma.

Le notifiche cartacee da parte dell’ufficio giudiziario, spedite tramite raccomandata postale, saranno sostituite dalle notifiche di avvenuta consegna visualizzabili nell’area riservata del portale.

La modulistica eterogenea tra uffici giudiziari sarà sostituita da una modulistica standard, disponibile nell’Area pubblica del portale.

bagaglio a mano

Bagaglio a mano: nuove regole dall’UE per chi vola Bagaglio a mano senza costi aggiuntivi: questa una delle novità della proposta approvata dalla Commissione trasporti UE

Novità dall’UE: niente costi aggiuntivi per il bagaglio a mano

Per il bagaglio a mano in aereo niente costi aggiuntivi. Questa è solo una delle novità contenute nella proposta di riforma della normativa UE approvata dalla Commissione trasporti del Parlamento UE il 24 giugno 2025. La proposta deve essere ancora sottoposta all’esame della plenaria della Eurocamera per essere infine concordata con il Consiglio Europeo. Tra il 7 e il 10 luglio la proposta potrebbe ricevere l’approvazione del Parlamento UE.

Le nuove regole si pongono l’obiettivo, dietro la spinta delle associazioni dei consumatori, di tutelare i passeggeri dalla previsione di inutili costi aggiuntivi, con un occhio di riguardo per i soggetti più fragili e di garantire una maggiore trasparenza in fase di acquisto e di rimborso del biglietto aereo.

Vediamo quali sono le altre novità in arrivo per i passeggeri.

Nuovi servizi gratuiti per i passeggeri: bagaglio a mano gratis

Prevista la possibilità di prenotare gratuitamente un posto accanto ai minori di anni 12. Nessun costo aggiuntivo neppure per chi porta a bordo un piccolo bagaglio a mano (peso inferiore a 7 kg e dimensione complessiva di 100 cm) e un oggetto personale di piccole dimensioni (40x30x15 cm).

Gratuito anche l’accompagnatore del passeggero con mobilità ridotta. Previsto inoltre il risarcimento del danno qualora l’animale che assiste il disabile o la sedia a rotelle subiscano danni.

Prezzi più trasparenti e rimborsi più semplici

La proposta approvata prevede anche che gli intermediari indichino in modo trasparente e completo il costo di acquisto complessivo del biglietto, indicando eventuali commissioni aggiuntive e modalità per la richiesta di rimborso.

Per il rimborso è prevista l’introduzione di un modulo unico, anche in modalità precompilata, che deve essere inviato nel termine di 48 ore dal disservizio subito.

Gli intermediari che hanno venduto il biglietto hanno a disposizione 14 giorni di tempo per procedere al rimborso.

Viaggi con diversi mezzi di trasporto, coincidenze e ritardi

Per i viaggi che prevedono l’impiego di diversi mezzi di trasporti è previsto l’obbligo di informare l’utente sulla tipologia di biglietto da acquistare (unico, combinato, separato).

Qualora il biglietto sia unico il  cambio da un mezzo di trasporto a un altro non deve comportare la perdita del diritto all’assistenza in caso di mancata coincidenza.

In presenza di un ritardo minimo di 60 minuti causato dalla mancata coincidenza il passeggero dovrebbe avere diritto a bevande, pasto e alloggio gratuito in caso di necessità.

Risarcimento in caso di informazioni errate

In presenza di problemi provocati dal mancato rispetto dell’obbligo di informativa corretto da parte del venditore del biglietto, il passeggero potrebbe essere destinatario di un rimborso e di un risarcimento pari al 75%.

 

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associazioni non riconosciute

Associazioni non riconosciute: stop prescrizione per azioni contro amministratori La Corte costituzionale estende la sospensione della prescrizione delle azioni di responsabilità anche alle associazioni non riconosciute

Sospensione prescrizione per le associazioni non riconosciute

Con la sentenza n. 86 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità parziale dell’articolo 2941, primo comma, numero 7) del Codice civile. La norma, nella sua formulazione originaria, non prevedeva la sospensione del termine di prescrizione per le azioni di responsabilità promosse dalle associazioni non riconosciute contro i propri amministratori finché questi ultimi restano in carica.

Secondo i giudici costituzionali, questa esclusione si traduce in una disparità di trattamento irragionevole rispetto alle associazioni riconosciute e alle società di persone, per le quali la sospensione è già prevista.

La disparità rispetto ad associazioni riconosciute e società di persone

La Corte ha richiamato due precedenti pronunce: la sentenza n. 322 del 1998, che aveva riguardato le società in nome collettivo, e la sentenza n. 262 del 2015, relativa alle società in accomandita semplice. In entrambe le occasioni, era stata riconosciuta la necessità di sospendere la prescrizione delle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori durante il periodo in cui questi esercitano la carica.

La ragione è la medesima anche nel caso delle associazioni non riconosciute: mentre gli amministratori sono in carica, risulta difficile per l’ente accertare eventuali illeciti gestori e promuovere tempestivamente le azioni per tutelare il proprio patrimonio.

La personalità giuridica non incide sui rapporti interni

La Consulta ha sottolineato che il riconoscimento della personalità giuridica non modifica la natura del rapporto interno fra l’ente associativo e i suoi amministratori.

Di conseguenza, non si giustifica una disciplina differente che svantaggi le associazioni prive di riconoscimento rispetto a quelle dotate di personalità giuridica, né tantomeno rispetto alle società di persone, per le quali il legislatore ha già previsto strumenti di controllo e la sospensione del termine prescrizionale.

Effetti della sentenza e tutela dell’ente

La decisione adegua la normativa ai principi di uguaglianza e ragionevolezza sanciti dall’articolo 3 della Costituzione. D’ora in avanti, anche le associazioni non riconosciute potranno beneficiare della sospensione della prescrizione delle azioni di responsabilità contro gli amministratori, finché questi restano in carica.

Questa pronuncia offre agli enti associativi un’effettiva tutela dei propri interessi patrimoniali e garantisce che la durata dell’incarico degli amministratori non diventi un ostacolo all’esercizio dei diritti di difesa e di controllo.

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giurista risponde

L’azione revocatoria e la dolosa preordinazione In tema di azione revocatoria, quando l’atto di disposizione è anteriore al sorgere del credito, ad integrare la “dolosa preordinazione” richiesta dallo art. 2901, comma 1, c.c. è sufficiente il dolo generico?

Quesito con risposta a cura di Caterina D’Alessandro, Giulia Fanelli e Mariella Pascazio

 

In tema di azione revocatoria, quando l’atto di disposizione è anteriore al sorgere del credito, ad integrare la “dolosa preordinazione” richiesta dall’art. 2901, comma 1, c.c. non è sufficiente la mera consapevolezza, da parte del debitore, del pregiudizio che l’atto arreca alle ragioni dei creditori (c.d. dolo generico), ma è necessario che l’atto sia stato posto in essere dal debitore in funzione del sorgere dell’obbligazione, al fine d’impedire o rendere più difficile l’azione esecutiva o comunque di pregiudicare il soddisfacimento del credito, attraverso una modificazione della consistenza o della composizione del proprio patrimonio (c.d. dolo specifico), e che, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse a conoscenza dell’intento specificamente perseguito dal debitore rispetto al debito futuro (Cass., Sez. Un., 27 gennaio 2025, n. 1898).

Con la sentenza in commento, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, investite dalla questione dalla Terza Sezione Civile, sono intervenute per dirimere un contrasto giurisprudenziale riguardante la natura generica o specifica del dolo del debitore richiesto dall’art. 2901, comma 1, c.c. ai fini della revocatoria degli atti di disposizione patrimoniale anteriori al sorgere del credito.

Sul punto, infatti, coesistevano nella giurisprudenza di legittimità di due diversi orientamenti, che individuavano il consilium fraudis rispettivamente nella dolosa preordinazione dell’atto alla compromissione del soddisfacimento del credito e nella mera previsione del pregiudizio che l’atto arreca alle ragioni dei creditori.

Secondo le Sezioni Unite, ai fini della risoluzione della questione posta dall’ordinanza interlocutoria, occorre muovere dalla lettura del testo dell’art. 2901, comma 1, c.c., il quale subordina la dichiarazione di inefficacia degli atti di disposizione patrimoniale compiuti dal debitore in pregiudizio alle ragioni del creditore alle seguenti condizioni: 1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento; 2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione.

La tesi del dolo generico attribuisce portata non decisiva alla differente formulazione delle due parti di cui si compone il n. 1 della norma in esame, osservando che la stessa non richiede, ai fini della configurabilità della dolosa preordinazione, che il debitore abbia agito con la specifica intenzione di danneggiare i creditori, ma solo che abbia posto in essere l’atto nella consapevolezza di pregiudicarne le ragioni, ed escludendo quindi, in entrambe le ipotesi da essa contemplate, la necessità sia dell’animus nocendi, ovverosia di “una callida volontà dell’obbligato di danneggiare il creditore”, sia, nel caso di atto a titolo oneroso, della conoscenza da parte del terzo dello specifico credito di cui l’atto dispositivo è volto a pregiudicare la soddisfazione.

In realtà, la mera considerazione del significato letterale delle espressioni utilizzate nell’art. 2901, comma 1, c.c. risulta di per sé sufficiente ad evidenziare l’intento del legislatore di subordinare l’accoglimento della revocatoria a presupposti soggettivi diversi, a seconda che la stessa abbia ad oggetto un atto posto in essere in epoca anteriore o successiva al sorgere del credito allegato a sostegno della domanda: mentre il verbo “conoscere” significa avere notizia o cognizione di una cosa o del suo modo di essere, per averne fatto direttamente o indirettamente esperienza o per averla appresa da altri, il sostantivo “preordinazione” fa riferimento alla predisposizione di un mezzo in funzione del raggiungimento di un risultato.

La seconda espressione implica, pertanto, una finalizzazione teleologica della condotta del debitore, il cui disvalore trova una particolare sottolineatura nell’aggiunta dell’aggettivo “dolosa”, che allude al carattere fraudolento o quanto meno intenzionale dell’azione, indirizzata ad impedire od ostacolare l’azione esecutiva del creditore o comunque il soddisfacimento del credito; tale finalizzazione è del tutto assente nella prima espressione, che fa invece riferimento alla mera coscienza del pregiudizio che l’atto oggettivamente arreca o può arrecare alle ragioni dei creditori, per la riduzione della garanzia patrimoniale che ne consegue, indipendentemente dalle finalità concretamente perseguite dal debitore attraverso il compimento dello stesso.

L’utilizzazione di due espressioni aventi un significato completamente differente nell’ambito della medesima disposizione appare tutt’altro che casuale, se solo si tiene conto del dibattito dottrinale e giurisprudenziale sviluppatosi, proprio con riguardo all’azione revocatoria, precedentemente all’entrata in vigore del Codice civile del 1942.

Nel Codice civile del 1865, la medesima azione era infatti disciplinata dall’art. 1235, il quale, oltre a prevedere (almeno secondo l’opinione prevalente) soltanto la revocabilità degli atti dispositivi posti in essere dal debitore in epoca successiva al sorgere del credito, la subordinava alla condizione che gli stessi fossero stati “fatti in frode” delle ragioni dei creditori.

Il significato di tale espressione era controverso, ritenendosi da parte di alcuni autori che con la stessa il legislatore avesse inteso fare riferimento all’intenzione di recare danno ai creditori (c.d. animus nocendi), e da parte di altri che avesse voluto invece richiedere, ai fini dell’accoglimento della domanda, la mera coscienza del pregiudizio arrecato ai creditori, attraverso la creazione o l’aggravamento di una situazione d’insolvibilità (c.d. scientia damni). Alla fine prevalse la seconda tesi, in virtù della considerazione che l’individuazione del presupposto soggettivo della revocatoria nell’animus nocendi avrebbe comportato un eccessivo restringimento dei limiti di operatività dell’azione, impedendo alla stessa di svolgere efficacemente la propria funzione di mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale.

Tale indirizzo trovò accoglimento anche in sede di redazione del Codice vigente, il quale, tuttavia, ha ampliato l’ambito applicativo dell’azione, ammettendone l’esercizio anche nei confronti degli atti dispositivi posti in essere anteriormente al sorgere del credito, ma differenziandone il presupposto soggettivo da quello richiesto ai fini della revocatoria degli atti posti in essere successivamente, nel senso che, mentre per la dichiarazione d’inefficacia di questi ultimi è necessaria soltanto la prova della “conoscenza del pregiudizio” arrecato alle ragioni dei creditori, per quella dei primi occorre la prova della “dolosa preordinazione” al fine di pregiudicare il soddisfacimento del credito. In quanto adottata nella piena consapevolezza dei contrasti insorti in ordine all’interpretazione della disciplina previgente, la formulazione letterale dell’art. 2901, comma 1, c.c. non può dar luogo ad equivoci, testimoniando chiaramente la volontà del legislatore di regolare in maniera diversa il profilo soggettivo delle due fattispecie da esso contemplate, attraverso l’introduzione di una disciplina più restrittiva per la revocatoria degli atti compiuti in epoca anteriore al sorgere del credito: diversamente, infatti, la norma si sarebbe limitata a chiarire che l’azione era proponibile anche contro gli atti dispositivi compiuti in epoca anteriore al sorgere del credito, richiedendo per entrambe le ipotesi la prova della consapevolezza da parte del debitore della dell’incidenza dell’atto sulla consistenza quantitativa o qualitativa del proprio patrimonio, e quindi sulla garanzia generica dei creditori, senza fare alcun riferimento alla necessità di un disegno fraudolento, volto a sottrarre il bene alienato o vincolato all’azione esecutiva del creditore o a rendere più difficile il soddisfacimento del suo credito.

La differenza esistente tra la pura e semplice consapevolezza del pregiudizio arrecato ai creditori e la volontà di danneggiarli mediante il compimento dell’atto dispositivo era stata d’altronde già colta dalla dottrina in epoca anteriore all’entrata in vigore del Codice civile del 1942, anche se ne era stata sminuita la portata concreta: premesso infatti che il consilium fraudis presuppone ad un tempo la rappresentazione dell’effetto dannoso dell’atto e la volontà di porlo ugualmente in essere, si era osservato che nella gestione del proprio patrimonio il debitore non tiene normalmente conto dell’interesse del creditore, ma agisce come se lo stesso non esistesse, e si era pertanto concluso che, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo della revocatoria, non era necessaria una specifica intenzione di danneggiare il creditore o determinati creditori, ma era sufficiente la coscienza, da parte del debitore, di determinare o accrescere la propria insolvenza, attraverso il compimento dell’atto dispositivo, mettendo quindi il proprio patrimonio in condizione di non poter offrire ai creditori la garanzia dell’adempimento delle obbligazioni contratte .

La necessità di un quid pluris, sotto il profilo soggettivo, era invece emersa in giurisprudenza, proprio nell’ambito di un orientamento volto a ricondurre nell’ambito applicativo dell’azione revocatoria anche gli atti dispositivi anteriori al sorgere del credito: nel dichiarare ammissibile la domanda proposta dal primo acquirente di un immobile a tutela del credito risarcitorio vantato nei confronti del venditore, il quale aveva successivamente alienato il medesimo bene ad un terzo, che aveva reso inattaccabile il proprio acquisto mediante la tempestiva trascrizione, la giurisprudenza di legittimità aveva infatti ritenuto che l’azione potesse essere esercitata anche nel caso in cui l’atto anteriore alla frode fosse stato compiuto “con l’obliquo intento di rendere vano il credito che stava per sorgere”, non essendovi ragione di negare tutela al soggetto rimasto danneggiato da questo più raffinato consilium fraudis. (cfr. Cass., Sez. Un., 22 dicembre 1930, n. 3669).

Al di là dei profili collegati all’interpretazione letterale e storico-sistematica della norma in esame, la scelta tra l’una e l’altra tesi impone peraltro d’interrogarsi anche in ordine alle conseguenze che l’accoglimento di una concezione più o meno restrittiva del consilium fraudis può produrre nei rapporti tra le parti dell’obbligazione ed in quelli con i terzi che siano entrati in contatto con le stesse, nonché, più in generale, sul piano della certezza e della rapidità dei traffici giuridici.

L’identificazione dell’elemento soggettivo della revocatoria nella mera consapevolezza da parte del debitore del pregiudizio arrecato i creditori comporta, infatti, un’indubbia dilatazione dei margini di operatività dell’istituto, già alquanto estesi per effetto dell’opinione comune, che ritiene configurabile il presupposto dell’eventus damni non solo in presenza di una compromissione totale della consistenza del patrimonio del debitore, ma anche a fronte di una variazione quantitativa o qualitativa dello stesso tale da rendere più incerta o difficile la soddisfazione del credito.

Tale dilatazione, che si traduce naturalmente in un rafforzamento della tutela dei diritti dei creditori, si pone, tuttavia, in contrasto con la natura eccezionale che l’azione revocatoria viene ad assumere nell’ipotesi in cui abbia ad oggetto atti dispositivi posti in essere in epoca anteriore al sorgere del credito: in quanto avente la funzione di consentire al creditore di soddisfarsi su beni che hanno cessato di far parte del patrimonio del debitore prima dell’insorgenza dell’obbligazione, essa costituisce una deroga al principio generale, sancito dall’art. 2740, comma 1, c.c., secondo cui il debitore risponde dell’adempimento “con tutti suoi beni presenti e futuri”, cioè con quelli esistenti nel suo patrimonio alla data in cui è sorta l’obbligazione e con quelli che abbia acquistato in epoca successiva, e non anche con quelli di cui alla predetta data avesse già cessato di essere titolare.

Questa esclusione trova giustificazione nella considerazione che, nel momento in cui entra in contatto con il debitore, il creditore è perfettamente in grado di rendersi conto dell’attuale consistenza e composizione del suo patrimonio, nonché di apprezzarne l’idoneità a garantire il soddisfacimento del credito in caso d’inadempimento: può quindi ritenersi ragionevole che l’esercizio dell’azione revocatoria resti limitato all’ipotesi, avente carattere ordinario, in cui il debitore abbia disposto dei propri beni in epoca successiva, nella consapevolezza del pregiudizio in tal modo arrecato al creditore, nonché a quella, eccezionale, in cui l’atto dispositivo, pur essendo stato posto in essere in epoca anteriore, costituisca attuazione di un disegno volto a disfarsi dei propri beni, proprio in vista dell’assunzione di quello specifico debito.

 

(*Contributo in tema di “L’azione revocatoria e la dolosa preordinazione”, a cura di Caterina D’Alessandro, Giulia Fanelli e Mariella Pascazio, estratto da Obiettivo Magistrato n. 85 / Maggio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

società semplice

Società semplice: la Corte Costituzionale sul fallimento in estensione dei soci La Consulta chiarisce che il fallimento di una società semplice non è opponibile ai soci se non sono stati convocati nella procedura. Ecco cosa prevede la sentenza n. 87/2025

Società semplice e rischio di fallimento in estensione

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 87 del 2025, ha precisato i limiti del cosiddetto fallimento in estensione dei soci illimitatamente responsabili di una società semplice.

In linea generale, la società semplice non è soggetta a fallimento. Tuttavia, quando si accerta che ha esercitato attività commerciale, può essere dichiarata fallita, con la conseguenza che anche i soci rispondono patrimonialmente e possono subire il fallimento in estensione.

La legge fallimentare (articolo 147 del regio decreto n. 267/1942) consente che il procedimento di fallimento dei soci sia separato da quello della società.

Il diritto di difesa dei soci e la convocazione nella procedura

La questione esaminata dalla Corte riguardava un caso in cui i soci non erano stati convocati nel giudizio che aveva dichiarato il fallimento della società semplice. La normativa vigente, secondo l’interpretazione consolidata, riteneva sufficiente garantire ai soci il diritto di proporre reclamo entro trenta giorni dalla trascrizione della sentenza nel registro delle imprese.

Tuttavia, i giudici costituzionali hanno osservato che questa garanzia non è adeguata nel caso di una società semplice, che normalmente non è soggetta a fallimento e i cui soci non hanno motivo di monitorare costantemente il registro delle imprese.

L’onere di verifica e i limiti dell’affidamento

La Consulta ha affermato che, per garantire l’effettività del diritto di difesa, non può gravare sui soci l’onere di controllare autonomamente l’eventuale fallimento della società.

Secondo la sentenza, su basi così deboli non si può fondare un accertamento che condiziona la possibilità di dichiarare il fallimento del socio, con pesanti ripercussioni anche sul piano personale.

Di conseguenza, i soci devono essere convocati non solo nel giudizio che decide sul loro fallimento in estensione, ma anche nel procedimento che accerta la fallibilità dell’ente.

Fallimento società semplice non è automaticamente opponibile ai soci

La Corte costituzionale ha stabilito che, se la convocazione manca, la sentenza dichiarativa del fallimento della società non è opponibile ai soci illimitatamente responsabili.

Nel giudizio sul fallimento in estensione, sarà quindi possibile discutere nuovamente la fallibilità dell’ente, a meno che non sia dimostrato che i soci hanno partecipato alla procedura oppure che abbiano esercitato il diritto di difesa mediante reclamo.

Questa interpretazione assicura un bilanciamento tra esigenze di tutela del ceto creditorio e diritti fondamentali dei soci.

amministratori di società

Amministratori di società: pec obbligatoria Gli amministratori di società costituite a partire dal 1° gennaio 2025 dovranno munirsi di una pec personale. Il MIMIT ha prorogato la scadenza al 31 dicembre 2025, ecco per chi

PEC obbligatoria per gli amministratori di società

Dal 1° gennaio 2025, una novità importante è entrata in vigore per le aziende italiane: tutti gli amministratori di società dovranno avere una casella di posta elettronica certificata (PEC) personale. Lo stabilisce la legge di bilancio 2025.

La PEC è come una raccomandata digitale: garantisce che un messaggio sia stato inviato e ricevuto, e funge da prova legale. L’obiettivo di questa nuova norma è rendere la comunicazione tra aziende e amministrazione pubblica più sicura e tracciabile.

Il MIMIT proroga al 31 dicembre 2025 l’obbligo per gli amministratori di società già costituite di comunicare la PEC al Registro Imprese. Vediamo per quali motivi e cosa cambia.

Proroga dell’obbligo PEC per gli amministratori di società

Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT), con una nuova comunicazione diffusa il 25 giugno 2025, ha ufficialmente prorogato il termine entro il quale gli amministratori delle imprese costituite in forma societaria dovranno comunicare il proprio domicilio digitale (PEC) al Registro delle Imprese. La nuova scadenza è fissata al 31 dicembre 2025.

La proroga si è resa necessaria dopo i numerosi dubbi interpretativi sorti in merito alla tempistica dell’adempimento, generando incertezze tra imprese, professionisti e Camere di Commercio.

L’obbligo introdotto dalla Legge di Bilancio

La Legge di Bilancio ha esteso agli amministratori delle società l’obbligo di possedere un domicilio digitale e di comunicarlo al Registro delle Imprese, al fine di garantire maggiore trasparenza e semplificazione dei rapporti con la Pubblica Amministrazione.

Per le società costituite dal 1° gennaio 2025 in poi, resta confermato che la comunicazione del domicilio digitale deve avvenire contestualmente alla domanda di iscrizione al Registro delle Imprese.

Il caos sulle scadenze e l’intervento di Unioncamere

In un primo momento, con la nota prot. n. 43836 del 12 marzo 2025, il MIMIT aveva fissato la scadenza per le imprese già esistenti al 30 giugno 2025.

Tuttavia, questa indicazione è stata smentita da Unioncamere, che ha chiarito come il termine non derivasse da alcuna norma di legge. Secondo Unioncamere, l’obbligo per le società già costituite dovrebbe essere adempiuto solo al momento del primo rinnovo o variazione degli amministratori successivo al 1° gennaio 2025.

Le Camere di Commercio si sono divise: alcune hanno seguito la linea di Unioncamere, altre hanno mantenuto un approccio prudenziale richiamando la scadenza ministeriale, mentre alcune hanno ritenuto che il termine fosse di carattere ordinatorio e non perentorio.

Il confronto con i commercialisti e la nuova proroga

A ridosso della scadenza originaria, anche il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha avviato un dialogo con il Ministero per chiarire la corretta applicazione dell’obbligo, evidenziando il rischio di sanzioni non legittime.

Alla luce delle difficoltà interpretative, il MIMIT è intervenuto nuovamente con la nota del 25 giugno 2025, stabilendo in via ufficiale la proroga del termine al 31 dicembre 2025.

Cosa devono fare le imprese costituite dal 1° gennaio 2025

Per le nuove società costituite dal 1° gennaio 2025, l’obbligo di indicare il domicilio digitale dell’amministratore rimane invariato: la comunicazione deve avvenire già al momento della domanda di iscrizione al Registro Imprese.