lotta alla violenza genere

Lotta alla violenza di genere: diventa materia scolastica Il ddl 1813 all'esame della Camera prevede l'introduzione dell'educazione al contrasto della violenza nei confronti delle donne tra le materie scolastiche

Educazione contrasto alla violenza di genere a scuola

La lotta alla violenza di genere entra a scuola. Il ddl-1813 all’esame della commissione cultura della Camera prevede infatti “l’introduzione dell’educazione al contrasto della violenza nei confronti delle donne” quale materia scolastica, attraverso la modifica dell’art. 3 della legge n. 92/2019.

Iter proposta di legge

La pdl Semenzato ed Altri, recante “modifiche all’art. 3 della legge n. 92/2019, concernenti l’introduzione dell’educazione al contrasto della violenza nei confronti delle donne nonché l’insegnamento dell’educazione finanziaria nell’ambito dell’insegnamento dell’educazione civica”, è stata presentata nell’aprile scorso e assegnata alla VII Commissione Cultura in sede referente di Montecitorio, avendo ricevuto già il parere delle altre commissioni.

Violenza di genere e educazione finanziaria nell’educazione civica: le motivazioni

La pdl n. 1813 reca quale obiettivo quello di continuare nel “percorso intrapreso all’interno degli istituti scolastici, prevedendo che l’insegnamento scolastico dell’educazione civica assuma come riferimento il tema dell’educazione al contrasto di ogni forma di violenza nei confronti delle donne, quello dell’educazione finanziaria, l’autonomia economica del singolo familiare o convivente, con l’adozione di provvedimenti che incidano profondamente nella cultura delle nuove generazioni, attraverso un’azione positiva volta a sviluppare nella formazione degli studenti il rispetto dei princìpi di eguaglianza, pari opportunità e dignità nei rapporti di coppia”.
La violenza di genere, infatti, si legge ancora nella relazione alla proposta, passa anche per “la violenza economica – che – affonda le proprie radici in un terreno di pregiudizi patriarcali e culto dei ruoli di genere che in una società equa, moderna e civile non possono essere tollerati”. La scuola rappresenta “l’ambiente privilegiato per lo sviluppo della consapevolezza di quanto sia importante raggiungere e mantenere una autonomia economica, rompendo gli schemi della famiglia tradizionale, ed è il punto di riferimento prioritario attraverso cui far veicolare i messaggi chiave e avvicinare i futuri adulti al tema della indipendenza economica da assicurare al singolo nel nucleo familiare o nelle convivenze di fatto”.

Per quanto concerne, invece, l’educazione all’autonomia finanziaria, il principale obiettivo “è quello di attivare un processo virtuoso al fine di avere cittadini informati, attivi, responsabili e consapevoli che la libertà di scelta, in presenza di crisi familiari, presuppone una indipendenza economica”.

Il testo della proposta di legge

la pdl si compone di un unico articolo, il quale dispone che:

“1. All’articolo 3 della legge 20 agosto 2019, n. 92, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, lettera f), dopo le parole: «contrasto delle mafie» sono aggiunte le seguenti: «e di ogni forma di violenza nei confronti delle donne»;

b) al comma 2, dopo le parole: «e l’educazione finanziaria» sono inserite le seguenti: «, anche nel rispetto dell’indipendenza economica del singolo familiare o convivente»”.

conto corrente condominiale

Conto corrente condominiale: diritto di accesso garantito L'ABF chiarisce che se l'amministratore rifiuta la richiesta di ottenere copia dell'estratto conto, il condomino può rivolgersi direttamente alla banca

Conto corrente condominiale

Conto corrente condominiale: se l’amministratore di condominio oppone rifiuto alla richiesta di ottenere copia dell’estratto conto, il condomino si può rivolgere direttamente alla banca. Lo ha chiarito l’ABF, in una decisione del collegio di Palermo n. 74/2024 facendo il punto sulla gestione del conto corrente condominiale e sul relativo diritto di accesso dei condomini.

I fatti

Nella vicenda, il ricorrente rileva di aver richiesto alla banca i conti correnti del condominio dopo il rifiuto dell’amministratore. L’intermediario negava l’accesso alla documentazione motivando che l’amministratore aveva espresso formale diniego, in quanto la consegna stessa era già avvenuta quando il ricorrente risultava ancora condomino.

Quest’ultimo chiedeva allora la condanna dell’intermediario al rilascio degli estratti conto richiesti.

L’ABF gli dà ragione.

Diritto del condomino alla documentazione bancaria

Premette il collegio che “la richiesta di copia della documentazione periodica relativa al conto corrente del condominio trova un espresso riferimento nell’art.1129 del codice civile, comma 7, secondo cui ‘L’amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio; ciascun condomino, per il tramite dell’amministratore, può chiedere di prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica'”.

In plurimi precedenti, inoltre osserva l’ABF, come i collegi “sulla base del combinato disposto dell’art. 1129, comma 7, c.c., e dell’art. 119, comma 4, TUB abbiano ritenuto che il diritto del singolo condomino a ottenere copia della documentazione bancaria relativa al conto corrente condominiale sia esercitabile non solo per il tramite dell’amministratore, ma anche mediante richiesta diretta nei confronti dell’intermediario bancario, purché vi sia stata una preventiva richiesta di accesso rivolta all’amministratore rimasta priva di esito (Cfr. Collegio di Roma, decisione n. 7960/16; Collegio di Milano, decisione n. 3914/18; Collegio di Milano, decisione n. 4284/23; Collegio di Milano, decisione n. 1194/23)”.

Qualità di condomino

Fatte queste premesse, l’ABF si concentra sulla doglianza della banca, la quale evidenziava che il diniego alla produzione dei documenti era basato in primo luogo sulla circostanza che il ricorrente aveva perso la qualità di condomino (in virtù della cessione dell’immobile) con conseguente difetto di legittimazione attiva.

In ordine all’eccezione proposta dalla resistente, il collegio tuttavia evidenzia come il ricorrente avesse depositato agli atti una certificazione del notaio dalla quale emergeva che la cessione dell’immobile era avvenuta in data successiva alla richiesta della documentazione, la quale era limitata al periodo in cui lo stesso rivestiva ancora la qualità di condomino.

Conto corrente condominiale e diniego dell’amministratore

In ordine, invece, all’eccezione fondata sul rifiuto opposto dall’amministratore alla consegna della documentazione richiesta, l’ABF, rinvia a quanto osservato dal Collegio di Napoli (decisione n. 87/2022), secondo cui l’onere di preventiva richiesta all’amministratore “non può mai determinare una preclusione del diritto del singolo condomino di agire per ottenerla direttamente dall’intermediario quando l’amministratore non vi abbia provveduto”.

Richiamando, inoltre, la decisione del Collegio di Napoli n. 87/2023 e tenuto conto che l’art. 1129 c.c. legittima il condomino a presentare e chiedere copia della documentazione bancaria del condominio, “la relativa istanza deve ritenersi sottoposta alla disciplina dall’art. 119 tub: norma che consente di ottenere la documentazione bancaria pregressa anche dopo la perdita della qualità di cliente. Pertanto anche al condomino, sebbene lo stesso non sia direttamente parte contraente della banca, deve essere riconosciuto il diritto ad avere dall’intermediario la documentazione relativa al tempo in cui lo stesso era parte del condominio titolare del rapporto”.

Alla luce di quanto argomentato, l’ABF accoglie il ricorso e condanna la banca a pagare le spese della procedura al condomino.

 

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avvocati pubblici e badge

Avvocati pubblici: il badge non lede l’autonomia Il Consiglio di Stato chiarisce che l'obbligo di utilizzo del badge da parte degli avvocati degli enti pubblici non ne lede l'autonomia professionale

Avvocati pubblici e badge

Avvocati pubblici e badge: il rapporto di lavoro subordinato tra gli avvocati e la Regione permette che gli stessi siano assoggettati al meccanismo di rilevazione automatica delle presenze, senza che ne venga intaccata l’indipendenza. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato con la sentenza n. 5878/2024.

La vicenda

Nella vicenda, il Tar accoglieva il ricorso di alcuni avvocati in servizio presso l’ufficio legale della Regione. Gli stessi avevano fatto ricorso contro la circolare che aveva esteso il meccanismo della rilevazione automatica delle presenze indistintamente a tutto il personale dipendente.
Gli avvocati ritenevano che l’obbligo di utilizzo del badge fosse incompatibile con l’indipendenza e l’autonomia professionale proprie della qualifica di avvocato della Regione.

La Regione Campania impugnava la sentenza innanzi a Palazzo Spada ritenendo che “l’autonomia professionale degli avvocati non è intaccata dalla rilevazione delle presenze che non incide sulle modalità con cui svolgono il proprio lavoro professionale”.

Il badge non lede l’autonomia degli avvocati

Il Consiglio di Stato ritene l’appello fondato.

“Non vi è dubbio che l’avvocatura degli enti pubblici costituisce un’entità organica autonoma nell’ambito della struttura disegnata dalla sua pianta organica a salvaguardia delle prerogative di libertà nel patrocinio dell’amministrazione che si caratterizza per l’assenza di ingerenza nelle modalità di esercizio della professione – affermano infatti i giudici amministrativi – ma resta pur sempre un dato normativo ineludibile cioè l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato nel caso di specie con la Regione”.

Ed allora, “fermo restando che tutte le attività esterne presso uffici giudiziari saranno riscontrate dall’Amministrazione attraverso le autodichiarazioni che gli avvocati presenteranno a tempo debito, in occasione della loro presenza presso gli uffici comunali non vi è alcuna ragione per cui non timbrino all’ingresso ed all’uscita. Tale modalità di controllo non lede in alcun modo la libertà di patrocinio ma è la conseguenza che, seppur con la particolarità prima ricordata, sono comunque dipendenti pubblici, e come tali soggetti al controllo del datore di lavoro”.

La giurisprudenza del CDS

Del resto, medesima conclusione era stata già affermata dal Consiglio di Stato con alcune sentenze, come la n. 5538/2018 e la n. 2434/2026. Quest’ultima sul punto afferma “con tali provvedimenti non si realizza un’ingerenza gerarchica nell’esercizio intrinseco della prestazione d’opera intellettuale propria della professione forense, e cioè «nella trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell’ente», ai sensi dell’art. 23 l. n. 247 del 2012, ma si sottopone l’attività a forme di controllo estrinseco, doverose e coerenti con la partecipazione dell’ufficio dell’avvocato dell’ente pubblico all’organizzazione amministrativa dell’ente stesso. L’art. 23 riferisce «la piena indipendenza ed autonomia» soltanto a questa «trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell’ente» e non trasforma affatto, ex lege, l’inerente ufficio in un organo distinto e comunque autonomo dal resto dell’ente locale. Non si ravvisa qui dunque alcuna incompatibilità con le caratteristiche di autonomia nella conduzione professionale dell’ufficio di avvocatura”.

La decisione

Da qui l’accoglimento dell’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, il respingimento del ricorso di primo grado.

detenuto farsi sopracciglia

Il detenuto non può farsi le sopracciglia Il presunto diritto all'estetica è mero interesse di fatto privo di tutela vista la pericolosità dello strumento vietato in tutti gli istituti

Carcere duro

Non lede il diritto alla cura della persona negare al detenuto al carcere duro la possibilità di tenere delle pinzette per sopracciglia in metallo anzichè di plastica. Così la prima sezione penale della Cassazione con sentenza n. 22967/2024.

La vicenda

Nella vicenda, un detenuto presso la Casa Circondariale di Spoleto in regime di sorveglianza speciale ex art. 41 bis ord. pen., presentava reclamo avverso il diniego oppostogli per ragioni di sicurezza dal D.A.P. alla richiesta di acquistare una pinzetta per ciglia in metallo, in luogo di quella in plastica che gli era consentito di detenere.
Il magistrato di sorveglianza rigettava il reclamo «trattandosi di oggetto non consentito per ragioni di sicurezza e preso atto che non viene in evidenza la violazione di diritti».
Il difensore dell’uomo presentava reclamo ex art. 35 bis ord. pen., evidenziando che la giurisprudenza di merito aveva in più occasioni valutato positivamente la possibilità di consegnare ai soggetti ristretti in regime ex art. 41 bis ord. pen. pinzette in metallo.
Il Tribunale di Sorveglianza di Perugia, tuttavia, rigettava il reclamo, rilevando che l’art. 6 della circolare D.A.P. .n 3676/1626 autorizzava l’uso di pinzette esclusivamente in plastica, ritenendo potenzialmente pericolose quelle in metallo, e ritenendo altresì che non venissero in rilievo né concreti pregiudizi al diritto alla salute nè irragionevoli disparità di trattamento, poiché le pinzette in metallo erano state ritirate a tutti i detenuti.

Il ricorso

La questione approdava innanzi al Palazzaccio, dove l’uomo, per il tramite del proprio difensore, si doleva della carenza di motivazione del provvedimento, “non essendo stata fornita risposta alle doglianze articolate in sede di reclamo, relative all’inefficacia dello strumento in plastica fornito dal’Amministrazione penitenziaria, «ritenuto insufficiente a sopperire alle esigenze di igiene personale», all’assenza di pericolosità dello strumento in metallo, soprattutto ove si consideri che ai detenuti è consentito detenere rasoi e forbicine, ed alla circostanza che in più occasioni la giurisprudenza di merito ha valutato positivamente la possibilità di consegnare ai soggetti ristretti al 41 bis pinzette in metallo”.

Diritto all’estetica privo di tutela

Per gli Ermellini, il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi. Intanto, premettono i giudici la circolare 2017 del DAP citata prevede espressamente che ai detenuti possono essere consegnate esclusivamente pinzette in plastica. Inoltre, la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di statuire che “non è configurabile la lamentata violazione di legge per la lesione del diritto alla salute derivante dalla impossibilità di attendere ala cura della persona, mancando li potere dell’Amministrazione di limitare l’uso di tali strumenti non diversi da altri, parimenti pericolosi, ma pur tuttavia ammessi (cfr. Cass. n. 32947/2022).

Il provvedimento impugnato, proseguono da piazza Cavour, “non ha confuso il diritto alla salute con un presunto diritto alla estetica della persona. Si tratta, infatti, di un mero interesse di fatto, privo di tutela; invero, con l’impugnazione non si contesta che l’introduzione di tali strumenti è vietata, per ragioni di sicurezza, in tutti gli istituti; si tratta di una legittima misura precauzionale da cui non deriva alcuna lesione di diritti soggettivi”.

La decisione

Appare, quindi, evidente che, nel caso di specie, concludono dalla S.C., “non sussiste una situazione soggettiva tutelabile, né una concreta lesione di un diritto soggettivo e che quindi avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza non poteva essere proposto reclamo al Tribunale di sorveglianza e neppure ricorso per cassazione”.
Per cui il ricorso è inammissibile con conseguente onere per il ricorrente di sostenere le spese del procedimento oltre a versare 3mila euro in favore della Cassa delle ammende.

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truffa contrattuale

Truffa contrattuale per chi riduce i chilometri dell’auto venduta Per la Cassazione, integra truffa contrattuale il ridurre i km reali presenti sul cruscotto dell'auto usata venduta, anche se non viene modificato il prezzo

Truffa contrattuale

Scatta la truffa contrattuale per chi riduce i chilometri dell’auto venduta, anche se la circostanza non modifica il prezzo dell’auto sul mercato dell’usato. Ciò perchè, se l’acquirente avesse conosciuto il reale chilometraggio, non avrebbe proceduto all’acquisto. E’ quanto statuito dalla seconda sezione penale della Cassazione, con sentenza n. 25283/2024.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d’appello di Bologna confermava la decisione emessa dal Tribunale di Ferrara che aveva riconosciuto la responsabilità dell’imputato per il reato di truffa contrattuale a lui ascritto, condannandolo alla sanzione penale ritenuta di giustizia ed al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso l’imputato, lamentando tra l’altro vizio esiziale di motivazione (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.), non avendo la Corte argomentato sul motivo di gravame con il quale si era dedotta l’inconsistenza del profitto del reato di truffa, atteso che il prezzo pagato dall’acquirente (euro 5.800) per un’auto non recente, cui l’imputato avrebbe ridotto il numero dei chilometri percorsi, era comunque di gran lunga inferiore a quello medio indicato dalle riviste di settore per autovetture di quell’anno con quelle particolari caratteristiche.

Truffa contrattuale: quando ricorre

Per la S.C., i motivi di ricorso sono inammissibili per loro manifesta infondatezza ed assoluta aspecificità.
Dalla lettura del testo della sentenza impugnata si evince che la Corte territoriale ha espressamente motivato circa la consistenza e l’univocità delle evidenze documentali che hanno condotto ad affermare la responsabilità dell’alienante in relazione all’indicazione contraffatta del numero di chilometri percorsi dalla vettura oggetto di alienazione. I motivi di ricorso relativi si risolvono, pertanto, nella mera riproposizione delle argomentazioni già prospettate al giudice della revisione nel merito e da questi motivatamente respinte, senza svolgere alcun ragionato confronto con le specifiche argomentazioni spese in motivazione.

Del resto, la Corte di merito aveva già precisato che, “al di là del diminuito valore commerciale del veicolo alienato, la natura contrattuale della truffa contestata era stata dimostrata dalla circostanza che l’acquirente, ove avesse conosciuto le reali condizioni di uso della vettura alienanda non avrebbe acquistato il bene registrato. Il che integra il tipo contestato, senza che possano rilevare altri argomenti.

“La cosiddetta truffa contrattuale ricorre – aggiungono infatti gli Ermellini – in tutti i casi nei quali l’agente ponga in essere artifici e raggiri, aventi ad oggetto anche aspetti negoziali collaterali, accessori o esecutivi del contratto risultati rilevanti al fine della conclusione del negozio giuridico, e per ciò tragga in inganno il soggetto passivo che è indotto a prestare un consenso che altrimenti non avrebbe prestato, a nulla rilevando lo squilibrio oggettivo delle controprestazioni) relativi alla effettività della deminutio patrimonii (cfr. Cass. n. 18778/2014).

La decisione

Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di 3mila euro in favore della Cassa delle ammende.

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rottamazione quater ufficiale rinvio

Rottamazione quater: ufficiale il rinvio al 15 settembre Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto 108/2024 correttivo della riforma fiscale che rinvia ufficialmente la scadenza del 31 luglio al 15 settembre 2024

Rottamazione quater ufficiale il rinvio

E’ ufficiale l’atteso rinvio della quinta rata della rottamazione quater in scadenza al 31 luglio 2024.
Ieri erano scaduti anche i cinque giorni di tolleranza e ancora stamattina ci si domandava se e quando sarebbe arrivata l’ufficialità della proroga. La proroga è arrivata oggi con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto n. 108/2024, correttivo della riforma fiscale.

Non si tratta quindi di una riapertura dei termini ma di un differimento.

Art. 6 decreto 108/2024

Nell’art. 6 del decreto, recante “Disposizioni integrative e correttive in materia di regime di adempimento collaborativo, razionalizzazione e semplificazione degli adempimenti tributari e concordato preventivo biennale” e in vigore da oggi 6 agosto viene stabilito infatti il “differimento al 15 settembre 2024 del termine di pagamento della rata della Rottamazione-quater scadente il 31 luglio 2024”.

“Il mancato, insufficiente o tardivo versamento della rata di cui all’articolo 1, comma 232, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, in scadenza il 31 luglio 2024, non determina l’inefficacia della definizione prevista dall’articolo 1, comma 231, della citata legge n. 197 del 2022 se il debitore effettua l’integrale pagamento di tale rata entro il 15 settembre 2024. Si applicano le disposizioni dell’articolo 1, comma 244, della predetta legge n.  197 del 2022”.

 

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condominio amministratore revocato rieletto

Condominio: l’amministratore revocato può essere rieletto Il tribunale di Tempio Pausania ricorda che il divieto di rieleggere l'amministratore revocato dal giudice è solo temporaneo

Amministratore revocato dal giudice

Il divieto di nomina dell’amministratore di condominio revocato dal giudice ha carattere temporaneo e non comprime in via definitiva il diritto dello stesso di ricevere nuovamente l’incarico. E’ quanto precisato dal tribunale di Tempio Pausania, con la sentenza n. 126/2024.

La vicenda

Nella vicenda, alcuni condomini impugnavano la delibera assembleare avente ad oggetto la rielezione del precedente amministratore, revocato con sentenza della Corte d’appello, in quanto adottata in violazione del comma 13 dell’art. 1129 del codice civile.

Il condominio, dal canto suo, si costituiva e contestava quanto dedotto dagli attori, chiedendo il rigetto del ricorso.

Amministratore revocato divieto di nomina temporaneo

Il giudice pronunciandosi sull’eccezione di parte attrice concernente la violazione del co. 13 dell’art. 1129 c.c., ha affermato preliminarmente che “la giurisprudenza è ormai consolidata nell’affermare che il divieto di nomina dell’amministratore revocato dal tribunale è temporaneo e non comprime definitivamente il diritto dello stesso di ricevere l’incarico, rilevando soltanto per la designazione assembleare immediatamente successiva al decreto di rimozione”.

Il divieto di nomina, posto dal riformato art. 1129 co. 13 c.c., “funziona, in realtà, nei confronti dell’assemblea – ha proseguito il tribunale – precludendole di eludere la revoca giudiziale con una delibera che riconfermi l’amministratore rimosso dal tribunale, e ciò pure se siano ormai venute meno le ragioni che avevano determinato la sua revoca (cfr. Cass. 23743/2020)”.

La decisione

Nel caso di specie, a seguito della revoca, la funzione di amministratore è stata esercitata per due annualità da un altro soggetto, con la conseguenza che la rielezione avvenuta con la delibera impugnata appare perfettamente legittima. Del resto, conclude il giudicante rigettando il ricorso, l’operato dell’amministratore “rimane inevitabilmente soggetto al giudizio dell’assemblea condominiale, unico vero controllore dell’attività dell’amministratore, la quale potrà decidere di non rinnovare alla scadenza il mandato affidatogli, o anche prima di tale data potrà deliberare la sua revoca”.

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luogo aperto al pubblico

Luogo aperto al pubblico: cosa si intende La Cassazione spiega quando un luogo è da ritenersi "aperto al pubblico" e quando invece di "privata dimora"

Luogo aperto al pubblico

Per luogo aperto al pubblico deve intendersi quello frequentabile da un’intera categoria di persone o da un numero indeterminato di soggetti che abbiano la possibilità di accedervi. Così la prima sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 24119-2024.

La vicenda

Nella vicenda, un imputato veniva assolto dal Gip di Pesaro per la contravvenzione di cui all’art. 4 legge n. 10/1975 per aver portato fuori dalla stanza dell’albergo una forchetta da cucina occultandola nella tasca dei propri pantaloni. Il fatto veniva ritenuto insussistente, non essendo l’imputato mai uscito dalla hall dell’hotel, ma il procuratore adiva la Cassazione eccependo violazione di legge.

Luogo di privata dimora

Deduceva in particolare che il giudice di merito avesse errato nel qualificare la sala di ricevimento dell’albergo come “luogo di privata dimora”, trattandosi, invece, di un luogo aperto al pubblico nel quale non si svolgono atti della vita privata. A supporto del motivo, richiamava la distinzione tra «privata dimora» e «luogo aperto al pubblico» operata dalla giurisprudenza di legittimità in punto di delitto di cui all’art. 624bis cod. pen. Per cui, a suo dire, l’imputato era nella disponibilità dell’oggetto mentre si trovava all’interno della hall, ossia locale adibito a ricevimento del pubblico nella struttura ricettiva e, dunque, luogo aperto al pubblico.

Luogo privata dimora e luogo aperto al pubblico

Per gli Ermellini, il ricorso è fondato, in quanto, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale e conformemente a quanto ritenuto dal procuratore, la hall dell’albergo non è luogo di privata dimora ma luogo aperto al pubblico.
In tal senso, la Corte richiama l’orientamento secondo cui «ai fini della configurabilità del delitto di porto illegale di arma da fuoco, per “luogo aperto al pubblico” deve intendersi quello al quale chiunque può accedere a determinate condizioni, oppure quello frequentabile da un’intera categoria di persone o comunque da un numero indeterminato di soggetti che abbiano la possibilità giuridica e pratica di accedervi senza legittima opposizione di chi sul luogo esercita un potere di fatto o di diritto» (cfr. Cass. n. 22890/2013).

Con riguardo specifico alla nozione più generale di «luogo di privata dimora», ricorda inoltre la Corte, l’insegnamento del massimo organo nomofilattico afferma che «ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624 bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale» (cfr. SS.UU. n. 31345/2017).

Sono stati qualificati, ricorda ancora la S.C., come luoghi di privata dimora il locale adibito a spogliatoio di uno ‘stand’ fieristico, lo studio legale, il motopeschereccio dotato di cabine e bagni, mentre sono stati qualificati come luoghi aperti al pubblico: il circolo sportivo, la sala d’attesa di uno studio medico e proprio la hall di un albergo (cfr. Cass. n. 34454/2018), “luogo per definizione aperto al pubblico”.

Sentenza annullata con rinvio

Per cui dando continuità alla giurisprudenza consolidato, i giudici hanno ritenuto che il taglierino fosse stato portato dall’imputato in luogo aperto al pubblico e, dunque, il ricorso del procuratore va accolto e la sentenza di assoluzione annullata.

La parola passa al giudice del rinvio.

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danni terrazzo livello spese

Danni al terrazzo condominiale: ripartizione ex art. 1126 c.c. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere precisa che i danni e le manutenzioni al terrazzo a livello di condominio si ripartiscono con l'art. 1126 c.c.

Danni al terrazzo condominiale

La terrazza a livello è paragonabile da un punto di vista giuridico, ad un lastrico solare, ed è quindi soggetta, in tema di ripartizione delle spese per la sua manutenzione, alle disposizioni di cui all’art. 1126 c.c. E’ quanto ha precisato il tribunale di Santa Maria Capua Vetere con la sentenza n. 1400-2024.

La vicenda

La vicenda ha per protagonista un condomino, proprietario di locali commerciali siti al pianterreno, che trascinava in giudizio i proprietari del terrazzo a livello sovrastante per sentirli condannare al suo rifacimento e al risarcimento dei danni arrecati ai locali di sua proprietà a causa delle infiltrazioni provenienti proprio dal terrazzo.

I convenuti si costituivano, eccependo l’improcedibilità della domanda per difetto di mediazione e contestandone la fondatezza nel merito. Inoltre, chiedevano di essere autorizzati a chiamare in garanzia la società assicurativa con cui avevano stipulato apposita polizza, ed agivano con domanda riconvenzionale per l’accertamento del debito maturato dall’attore nei loro confronti, per non aver mai contribuito alle spese di manutenzione della terrazza.

La causa, istruita attraverso l’espletamento di Ctu, celebrata in modalità cartolare, veniva trattenuta in decisione.

Mediazione non obbligatoria

In via preliminare, il tribunale disattende l’eccezione all’improcedibilità sollevata da parte convenuta e dalla terza chiamata, per mancato esperimento della mediazione, ossia perché la causa verte in materia accertativa e risarcitoria e dunque la mediazione non è obbligatoria “quando la domanda, come nel caso in esame, è riconducibile al risarcimento da fatto illecito ai sensi dell’art. 2051 c.c.”.

Ripartizione spese terrazza a livello

Nel merito, il giudice premette innanzitutto che la fattispecie in esame rientra nel c.d. condominio minimo. Per cui, “in riferimento alla qualifica della terrazza di proprietà esclusiva dei convenuti, va osservato che la stessa è paragonabile, da un punto di vista giuridico, ad un lastrico solare, trattandosi di una terrazza a livello e quindi soggetta, in tema di ripartizione delle spese per la sua manutenzione, a quanto disposto dall’art. 1126 c.c.”.

Per definizione, prosegue il giudicante, “la terrazza a livello è quella parte dell’edificio di cui gode esclusivamente un condomino, in quanto la struttura è accessibile solo dalla sua unità immobiliare, e che contemporaneamente funge anche da copertura a una o più unità immobiliari. Di norma, la terrazza si presenta come un ripiano scoperto, costruito per lo più a copertura dell’edificio stesso e recintato da un parapetto, così da consentire l’affaccio”, La terrazza a livello, “quindi, ha una doppia anima: da un lato, rappresenta un’estensione della singola proprietà privata e, dall’altro, funge da copertura per i piani sottostanti dell’edificio. Per queste sue caratteristiche, la terrazza a livello non deve necessariamente trovarsi sulla sommità dell’intero edificio, potendo sovrastare anche solo una parte del fabbricato. Poiché la terrazza a livello, anche quando è di proprietà esclusiva, conserva un’essenziale funzione di copertura dell’edificio, la manutenzione della stessa, in tema di ripartizione delle spese, è soggetta alla disciplina di cui all’art. 1126 c.c.: tanto nel caso di manutenzione e conservazione che in quello di risarcimento dei danni da infiltrazioni, le spese della terrazza a livello (o lastrico solare) che è causa del danno andranno così divise: 1/3 il proprietario o usuario esclusivo; 2/3 i restanti condòmini, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno”. Ciò in conformità anche a quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità richiamata dallo stesso giudicante (cfr. Cass. n. 35316/2021; n. 20287/2017).

La decisione

Nel caso di specie, la consulenza in atti, ha confermato sia l’esistenza dei danni lamentati dall’attore alle unità immobiliari di sua proprietà sia la loro riconducibilità alla terrazza de qua. Inoltre, ha confermato che i vizi denunciati dal ricorrente risultavano definitivamente accertati e provocati, tra l’altro, dalla “scarsa e/o non adeguata manutenzione del lastrico solare”, da “errori costruttivi” mentre “non sono imputabili ad un cattivo utilizzo” da parte dei convenuti, ovvero che “le infiltrazioni non sono attribuibili ad interventi specifici realizzati dai proprietari che avrebbero potuto recare danno all’integrità della struttura”, il che esclude, a dire del giudice, “la possibilità di applicare la deroga al principio di ripartizione delle spese ex art. 1126 c.c.”. Per cui, afferma il tribunale, “pur ritenendo provati i danni lamentati dall’attore e la loro riconducibilità alla terrazza, tuttavia non potrà riconoscersi la responsabilità esclusiva dei proprietari della stessa, dovendo applicarsi il criterio di riparto ex art. 1126 c.c. delle spese relative ai lavori da eseguirsi all’interno dei locali”, solo 1/3 potrà addebitarsi ai convenuti, così come per i lavori da eseguire sul terrazzo.

Da qui l’accoglimento parziale della domanda e la compensazione delle spese di lite.

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Premierato: primo sì alla riforma Il Senato ha approvato la riforma del premierato per l'elezione diretta del presidente del Consiglio. Serviranno altri 3 passaggi in Parlamento per l'approvazione definitiva della riforma costituzionale

Riforma Premierato, sì del Senato

Primo via libera dal Senato alla riforma Meloni per l’elezione diretta del presidente del Consiglio: il ddl “premierato“, infatti, ha ricevuto il sì di palazzo Madama, in prima lettura, con 109 voti a favore, 77 contrari e un’astensione. Compatta la protesta delle opposizioni che scendono in piazza e promettono battaglia anche nei successivi passaggi parlamentari.

Iter del ddl

Il ddl di riforma, trattandosi di riforma costituzionale, necessita ora di altre passaggi parlamentari per l’approvazione definitiva.

Il provvedimento passa, intanto, all’esame della Camera.

I punti chiave della riforma del premierato

Tra i punti chiave della riforma, il rafforzamento della stabilità del governo e l’abolizione della nomina dei senatori a vita, ma soprattutto l’elezione diretta del premier, a suffragio universale e per cinque anni, per non più di due legislature consecutive (elevabili a tre laddove nelle precedenti abbia ricoperto l’incarico per un periodo inferiore a sette anni e sei mesi).

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