cartella clinica

Cartella clinica Cartella clinica: cos'è, che cosa contiene, come richiederla, aspetti legati alla privacy e alla responsabilità medica

Cos’è la cartella clinica?

La cartella clinica è un documento sanitario ufficiale in cui vengono registrate tutte le informazioni relative al percorso di diagnosi, cura e trattamento di un paziente in una struttura ospedaliera.

Essa rappresenta una fonte di dati essenziale sia per il paziente che per il personale medico, ed è utilizzata per garantire la continuità assistenziale, la trasparenza e la tracciabilità delle cure.

Quali dati contiene

La cartella clinica include una serie di informazioni obbligatorie, tra cui:

  • Dati anagrafici del paziente;
  • Diagnosi iniziale e successive;
  • Referti di esami diagnostici e strumentali (es. TAC, risonanza magnetica, analisi del sangue);
  • Trattamenti terapeutici effettuati;
  • Prescrizioni farmacologiche;
  • Interventi chirurgici e relative procedure;
  • Diario clinico (annotazioni giornaliere del personale medico);
  • Consensi informati firmati dal paziente per specifici trattamenti;
  • Eventuali complicanze e note di dimissione.

Come richiedere la cartella clinica

Il paziente ha diritto a richiedere una copia della propria cartella clinica ai sensi della normativa vigente (Legge 241/1990 sulla trasparenza amministrativa e Regolamento UE 2016/679 – GDPR).

Procedura di richiesta

  • Domanda scritta da presentare all’ospedale o alla struttura sanitaria di riferimento;
  • Documenti richiesti:
    • Documento di identità valido del richiedente;
    • Eventuale delega firmata, se richiesta da terzi (con allegata copia del documento del delegante e del delegato);
  • Modalità di invio: la richiesta può essere effettuata di persona presso gli sportelli dedicati “Cartelle cliniche”, via PEC, via fax, o tramite raccomandata A/R;
  • Tempi di rilascio: generalmente entro il termine massimo di 30 giorni dalla richiesta;
  • Costi: alcune strutture sanitarie prevedono il pagamento di una quota per la riproduzione e l’invio del documento. In genere il costo è rappresentato infatti dai diritti di copia che variano anche in base al numero delle pagine della cartella e dalle spese di spedizione, se inviata a mezzo posta.

Privacy e protezione dei dati

Questo documento contiene dati sensibili soggetti a specifiche tutele ai sensi del GDPR (Regolamento UE 2016/679) e del Codice della Privacy (D.Lgs. 196/2003). Il Garante per la Protezione dei Dati Personali ha stabilito che:

  • l’accesso alla stessa è riservato esclusivamente al paziente o a soggetti terzi autorizzati;
  • le strutture sanitarie devono garantire la riservatezza e la sicurezza dei dati;
  • la conservazione delle cartelle cliniche è obbligatoria per 10 anni dalla dimissione del paziente ( 121 D.Lgs. 42/2004).

Per maggiori dettagli leggi le Faq al Garante Privacy in materia di accesso alle cartelle cliniche ai sensi del GDRP.

Responsabilità sanitaria e cartella clinica

La cartella clinica ha una funzione determinante in caso di contenziosi per responsabilità medica.

Essa rappresenta unimportante prova documentale. In caso di errore medico, la cartella clinica è la principale fonte di prova.

Completezza e correttezza: ogni omissione o inesattezza nella compilazione può costituire elemento di responsabilità per il medico o la struttura sanitaria.

Giurisprudenza su cartella clinica

La giurisprudenza sul collegamento tra cartella clinica e responsabilità medica si è espressa in diverse occasioni.

Cassazione n. 11224/2024: L’assenza parziale o totale della documentazione sanitaria non può ricadere a discapito del paziente e, in certi casi, può indurre il giudice a riconoscere la responsabilità del medico.

Cassazione n. 16737/2024:  In materia di responsabilità medica, un’inadeguata compilazione della cartella clinica da parte dei sanitari non può penalizzare il paziente sul piano probatorio. In base al principio di vicinanza della prova, se la dimostrazione diretta di un fatto risulta impossibile a causa della condotta della controparte, il paziente può avvalersi di presunzioni per sostenerne l’esistenza.

Cassazione civile n. 14261/2020:  Le omissioni nella compilazione della cartella clinica da parte del medico possono consentire al paziente di ricorrere alla prova presuntiva, poiché un’incompleta documentazione non deve penalizzare chi ha diritto alla prestazione sanitaria. Tuttavia, la Cassazione chiarisce che questo principio non si applica automaticamente: la carenza della cartella clinica può provare il nesso di causalità solo se ne rende impossibile l’accertamento e se il medico ha comunque tenuto una condotta potenzialmente lesiva.

 

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danno tanatologico

Il danno tanatologico Cos’è il danno tanatologico, come si calcola e quando viene risarcito: la normativa e la giurisprudenza in materia

Cos’è il danno tanatologico

Il danno tanatologico rappresenta il pregiudizio subito dalla vittima di un atto illecito durante l’intervallo di tempo tra l’evento lesivo e il decesso. Questo danno, di natura non patrimoniale, è strettamente legato alla sofferenza e al patimento che l’individuo sperimenta consapevolmente nel periodo antecedente la morte.

Normativa di riferimento

Nel sistema giuridico italiano, il danno tanatologico non trova una definizione esplicita all’interno del Codice Civile. Tuttavia, la sua risarcibilità è stata oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali che ne hanno delineato i contorni e le condizioni. In particolare, la Corte di Cassazione ha più volte affrontato la questione, stabilendo criteri e limiti per il riconoscimento di tale danno.

Calcolo e risarcimento del danno tanatologico

La quantificazione del danno tanatologico è strettamente connessa alla durata e all’intensità della sofferenza patita dalla vittima. Pertanto, maggiore è l’intervallo di tempo tra l’evento lesivo e il decesso, più elevato sarà il risarcimento riconosciuto. Inoltre, la consapevolezza della propria condizione e l’angoscia derivante dalla percezione imminente della morte rappresentano elementi fondamentali nella determinazione dell’entità del danno.

Trasmissibilità agli eredi

Un aspetto cruciale riguarda la possibilità per gli eredi di subentrare nella richiesta di risarcimento del danno tanatologico. La giurisprudenza ha chiarito che, affinché il diritto al risarcimento sia trasmissibile, è necessario che la vittima abbia acquisito tale diritto in vita, ossia che vi sia stato un apprezzabile lasso di tempo tra l’evento lesivo e la morte, durante il quale la persona offesa abbia avuto coscienza della propria sofferenza. In caso di decesso immediato o di perdita immediata della coscienza, il diritto al risarcimento non sorge e, di conseguenza, non può essere trasmesso agli eredi.

Giurisprudenza rilevante sul danno tanatologico

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1361 del 23 gennaio 2014, ha affermato che il danno tanatologico è risarcibile e trasmissibile agli eredi solo se la vittima ha conservato la coscienza per un periodo apprezzabile tra l’evento lesivo e la morte.

Inoltre, la sentenza a SU della Cassazione n. 15350 del 22 luglio 2015 ha ribadito che, in assenza di un intervallo temporale significativo e di consapevolezza da parte della vittima, non sussiste il diritto al risarcimento del danno tanatologico. Nella motivazione gli Ermellini ricordano infatti che un orientamento risalente al 1925 affermava che: “se è alla lesione che si rapportano i danni, questi entrano e possono logicamente entrare nel patrimonio del lesionato solo in quanto e fin quando il medesimo sia in vita. Questo spentosi, cessa anche la capacità di acquistare, che presuppone appunto e necessariamente l’esistenza di un subbietto di diritto.”

 

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responsabilità medica

Responsabilità medica: niente risarcimento per il nato “non sano” Responsabilità medica: il nato con malformazioni non ha diritto al risarcimento, non esiste il diritto a “non nascere” se non sano

Nessun risarcimento per il nato disabile

In materia di responsabilità medica la Cassazione, nell’ordinanza n. 3502/2025 ribadisce un principio già sancito dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 25767/2015. Non è possibile riconoscere un pregiudizio di tipo biologico o alla vita di relazione al figlio nato con delle malformazioni. L’ordinamento non contempla “il diritto a non nascere se non sano” né la vita del nato può essere considerata un danno conseguenza della condotta illecita del medico.

Risarcimento del danno da nascita indesiderata

Due genitori agiscono in giudizio per conto del figlio minorenne contro una Azienda Sanitaria Locale, il medico e le sue eredi e una Compagnia di assicurazione per la manleva. I ricorrenti chiedono il risarcimento dei danni causati dal condotta negligente e inadeguata del medico. Il sanitario infatti, non rilevando le gravi malformazioni congenite del nascituro presentava, non ha consentito alla madre, se adeguatamente informata, di valutare l’interruzione di gravidanza. Il medico con la sua condotta ha cagionato al neonato il danno da nascita indesiderata e  la lesione del diritto a nascere sano.

Diritto del nascituro a una vita senza limitazioni

Il giudice di prime cure ritiene il sanitario responsabile nei confronti dei genitori del nato, ma ritiene insussistente un danno da nascita indesiderata in capo al figlio. La Corte di appello conferma la decisione. Da qui il ricorso in Cassazione, per contestare il riconoscimento ai soli genitori del diritto al risarcimento per il danno causato dal mancato rilievo delle gravi malformazioni. Il nascituro infatti ha il diritto di godere di una vita senza limitazioni. Da questa considerazione la richiesta risarcitoria del figlio in considerazione delle precarie condizioni di vita che è costretto a vivere e tanto, non solo in riferimento alla situazione lavorativa, ma anche in riferimento al normale andamento dei rapporti familiari e sociali”. 

Responsabilità medica: diritto a non nascere se non sano

Per la Cassazione però il ricorso è inammissibile in quanto “è stata esclusa in via generale la possibilità di riconoscere un pregiudizio biologico e relazionale in capo al figlio, essendo per lui l’alternativa quella di non nascere, inconfigurabile come diritto in sé, neppure sotto il profilo dell’interesse ad avere un ambiente familiare preparato ad accoglierlo.”

La giurisprudenza di legittimità ha già sancito che “il nato disabile non può agire per il risarcimento del danno consistente nella sua stessa condizione, giacché lordinamento non conosce il diritto a non nascere se non sano”, né la vita del nato può integrare un danno-conseguenza dellillecito del medico.” Di recente la Cassazione ha osservato che: la ragione di danno da valutare sotto il profilo dell’inserimento del nato in un ambiente familiare nella migliore delle ipotesi non preparato ad accoglierlo» rivela sostanzialmente quale mero «mimetismo verbale del c.d. diritto a non nascere se non sani», andando pertanto «incontro alla . . . obiezione dell’incomparabilità della sofferenza, anche da mancanza di amore familiare, con lunica alternativa ipotizzabile, rappresentata dall’interruzione della gravidanza» non essendo d’altro canto possibile stabilire un «nesso causale» tra la condotta colposa del medico e le «sofferenze psicofisiche cui il figlio è destinato nel corso della sua vita.”

 

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autovelox mobile

Autovelox mobile segnalato da cartello “fisso”: multa valida Autovelox mobile: legittima la multa anche se l'apparecchio di rilevazione della velocità è segnalato la un cartello fisso

Autovelox mobile segnalato da cartello fisso

È legittima la multa elevata tramite una postazione autovelox mobile segnalata unicamente con un cartello “fisso”. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2857/2025.

La legge non richiede l’uso di cartelli mobili per segnalare le postazioni mobili di controllo della velocità. È sufficiente che la postazione sia segnalata in modo chiaro e visibile. Non importa che il cartello sia fisso o mobile.

Superamento limiti velocità: multa contestata

Un conducente riceve un verbale di contestazione per il superamento dei limiti di velocità. Per questa violazione gli viene   irrogata una multa di 1.658,00 euro, decurtati 10 punti dalla patente con sospensione della stessa per sei mesi.

Tra le ragioni del ricorso per la contestazione del verbale figura la segnalazione non adeguata dell’apparecchio con cartelli mobili, nel rispetto del Dm 13 giugno 2017. Dal verbale inoltre non risultano la tipologia del dispositivo utilizzato (fisso o mobile), i dati dell’omologazione ministeriale, i riferimenti alla taratura e alle prescritte verifiche periodiche per accertare la funzionalità dell’apparecchio. La Prefettura nel resistere al ricorso afferma il corretto allestimento della postazione di controllo e la regolarità dei risultati degli apparecchi di rilevazione della velocità.

Legittima la segnalazione permanente

Il Giudice di pace rigetta il ricorso del conducente precisando che “la presegnalazione del dispositivo di rilevazione della velocità poteva legittimamente essere effettuata alternativamente con segnaletica temporanea o permanente.”

Il conducente impugna la decisione davanti al Tribunale competente. Questa autorità giudiziaria, nella sua qualità di giudice dell’appello conferma la sentenza impugnata e la conseguente legittimità della rilevazione e della multa irrogata. Il conducente però non si arrende e ricorre in Cassazione.

Autovelox mobile: con cartello fisso la multa è legittima

La Suprema Corte però boccia tutti i motivi del ricorse. Per quanto riguarda poi nello specifico la  contestazione sulla validità della postazione mobile di controllo della velocità con cartello fisso gli Ermellini precisano che la legge italiana non impone che la postazione mobile per il rilevamento della velocità debba essere obbligatoriamente segnalata tramite cartelli mobili. L’importante è che gli automobilisti siano avvisati della possibilità di controlli della velocità in un determinato tratto di strada.

Questa funzione di avviso può essere svolta da qualsiasi tipo di cartello, sia fisso che mobile, senza alcuna distinzione. Questo significa che per legge, non è obbligatorio l’utilizzo di un cartello mobile per segnalare la presenza di una postazione di controllo della velocità.La funzione di avviso può essere assolta da qualsiasi cartello, sia fisso che mobile. L’importante è che il cartello sia ben visibile e che avvisi gli automobilisti della possibilità di controlli della velocità indipendentemente dal tipo di postazione (fissa o mobile), è fondamentale che sia adeguatamente segnalata e ben visibile.

 

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danno da nascita indesiderata

Danno da nascita indesiderata: i chiarimenti della Cassazione Danno da nascita indesiderata: il diritto della donna ad autodeterminarsi e abortire può essere provato con presunzioni semplici

Danno da nascita indesiderata e risarcimento

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1903/2025 chiarisce che il danno da nascita indesiderata non implica automaticamente il risarcimento alla madre. La violazione del diritto all’autodeterminazione, comprensivo della possibilità di abortire, deve essere dimostrata con elementi concreti. La questione si complica se la gravidanza dura da più di 90 giorni. In questi casi infatti la legge consente l’aborto solo se sussiste un grave pericolo per la salute della donna.

Nascita indesiderata: richiesta risarcitoria

Due coniugi agiscono nei confronti di una ASL perché la ritengono responsabile della colposa mancata rilevazione e informazione, successiva alla morfologica effettuata dopo 90 giorni di gravidanza, della grave patologia del nascituro. Questo errore medico ha impedito alla donna di optare per l’interruzione di gravidanza. L’Azienda contesta la versione dei fatti fornita dagli attori e la domanda risarcitoria avanzata e chiede la chiamata in causa della casa di cura in cui il bambino è venuto alla luce.

Il Tribunale di primo grado rigetta le domande degli attori. I coniugi hanno omesso di allegare la sussistenza di un grave pericolo per la salute fisica o psichica (sintomi depressivi) della neo mamma. Tale presupposto per il Tribunale è del tutto generico e non dimostrato.

Il Giudice dell’appello invece, ribaltando la decisione di primo grado, riconosce un danno alla donna per la violazione del diritto all’autodeterminazione. La Corte ritiene provato per presunzioni il pericolo per la salute della donna e l’inadempimento colposo dei medici. Il referto dell’ecografia rivelava la visualizzazione della vescica, a questo esame però non è seguito alcun approfondimento. La decisione viene quindi impugnata dalla ASL.

Danno da nascita indesiderata: servono prove

La Cassazione accoglie il ricorso dell’azienda sanitaria, annullando la condanna al risarcimento emessa in secondo grado, dopo aver richiamato alcuni importanti principi delle SU in materia di risarcimento del danno da nascita indesiderata.

Il ricorso viene accolto e deciso sulla base di rilevanti principi giuridici.

  • Per la Cassazione la mancata diagnosi di una malformazione fetale non comporta automaticamente la responsabilità medica. L’interruzione volontaria della gravidanza è consentita solo in casi eccezionali, previsti dall’ 6 della legge 194/1978. Per ottenere il risarcimento, la madre deve dimostrare che, se adeguatamente informata, avrebbe scelto di abortire. La prova di questi elementi può basarsi su presunzioni, purché supportate da elementi concreti.
  • Il ragionamento presuntivo del giudice deve rispettare i criteri di gravità, precisione e concordanza stabiliti dall’ 2729 c.c. Se il giudice applica erroneamente questi principi a fatti che non li soddisfano, il suo ragionamento è censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c.
  • L’errata applicazione delle presunzioni semplici costituisce un vizio di diritto. Se il giudice basa una presunzione su fatti privi di gravità, precisione o concordanza, si configura una falsa applicazione dell’ 2729 c.c. La Cassazione può intervenire per correggere questa distorsione interpretativa e garantire una corretta applicazione delle norme sulla responsabilità medica e sul risarcimento del danno.

 

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omologazione e approvazione autovelox

Omologazione e approvazione autovelox: il ministero fa marcia indietro Omologazione e approvazione autovelox: la circolare del 23 gennaio 2025 equipara le due procedure suscitando non poche polemiche

Ministero dell’Interno: la circolare delle polemiche

La circolare del 23 gennaio 2025 su omologazione e approvazione autovelox del Ministero dell’interno, sta suscitando parecchie polemiche.

Il documento del Viminale parte dall’esame delle recenti pronunce della Cassazione n. 10505, n. 20492 e n. 20913, che sanciscono la differenza tra omologazione e approvazione e precisano che solo l’omologazione rende legittimi gli accertamenti effettuati con l’autovelox. 

Omologazione e approvazione autovelox: chiarimenti

Dopo queste pronunce il dicastero ha avviato un dialogo con l’Avvocatura di Stato e il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per avere delucidazioni sul significato dei due termini dal punto di vista operativo.

L’Avvocatura Generale ha concluso per la omogeneità delle due procedure di omologazione e di approvazione per tutta una serie di motivi.

  • I due procedimenti sono finalizzati a verificare l’utilità dell’apparecchio allo scopo a cui è destinato e la sua conformità alle necessità di misurazione.
  • Omologazione e approvazione riguardano il prototipo dell’apparecchio e non quello singolo che poi viene affettivamente impiegato per le rilevazioni su strada.
  • La materia in entrambi i casi è di competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  • Per l’omologazione, così come per l’approvazione, vengono svolte istruttorie tecniche e amministrative finalizzate a valutare requisiti e caratteristiche dell’apparecchio per la funzione che deve svolgere e per la conformità alle regole nazionali e comunitarie.
  • Sul dispositivo si esprime infine il Consiglio Superiore dei lavori pubblici, per verificare l’efficienza e l’idoneità.
  • L’esito positivo di questo controllo è seguito dal decreto dirigenziale di autorizzazione alla commercializzazione dei singoli apparecchi in conformità al prototipo depositato.

L’Avvocatura precisa tuttavia che in giudizio, per non incorrere in giudizi di inammissibilità, occorre depositare il decreto di approvazione dello strumento di rilevazione indicato nel verbale che ha accertato la violazione ed eventuali decreti di omologazione di strumenti diversi da quelli finalizzati a verificare la violazione del limite di velocità.

Tavolo tecnico per omologazione e approvazione autovelox

Per garantire l’uniformità interpretativa è stato istituito anche un tavolo tecnico  presso il Ministero delle Infrastrutture di cui fanno parte i rappresentanti del Ministero dell’Interno, dell’ANCI e del Ministero delle imprese e del made in Italy.

Lo scopo è di definire in modo uniforme le procedure per l’omologazione del prototipo la fase di taratura e il controllo di funzionalità dei dispositivi e anche delle apparecchiature e dei mezzi tecnici indicati nell’articolo 201 comma 1 bis lett. e) e f) del Codice della Strada.

 

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consenso informato

Consenso informato: la guida Consenso informato: cos’è, la legge di riferimento, come e quando viene acquisito, problemi di privacy e mancata acquisizione

Cos’è il consenso informato?

Il consenso informato è il diritto di ogni paziente di ricevere informazioni chiare, esaustive e comprensibili sulle proprie condizioni di salute e sui trattamenti proposti. Il tutto per poter decidere in modo consapevole se accettarli o meno. Dal punto di vista giuridico si tratta di un atto essenziale che tutela la dignità e l’autonomia della persona. Esso sancisce infatti il diritto all’autodeterminazione in ambito sanitario. Nessun trattamento infatti può essere iniziato o proseguito, salvo eccezioni, se prima non si ottiene il consenso libero e informato del soggetto interessato.

Qual è la normativa di riferimento

La legge n. 219/2017, conosciuta anche come “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, rappresenta la base normativa principale in Italia. Questo provvedimento integra i principi costituzionali, le disposizioni del codice civile e penale, e la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Essa riconosce il diritto del paziente a essere adeguatamente informato e a esprimere il proprio consenso o dissenso a qualsiasi trattamento sanitario, incluso quello salvavita.

Quando è obbligatorio?

Il consenso informato è obbligatorio in tutte le situazioni che comportano un trattamento sanitario, come interventi chirurgici, terapie farmacologiche o esami diagnostici invasivi. Esso deve essere richiesto prima di ogni intervento, a meno che non ci siano situazioni di emergenza che rendano impossibile raccoglierlo e che richiedano interventi immediati per salvaguardare la vita del paziente.

Nei casi in cui il paziente non sia in grado di esprimere la propria volontà, perché minore di età, interdetto, inabilitato o assistito da un amministratore di sostegno, il consenso deve essere richiesto al rappresentante legale o al fiduciario designato, secondo le disposizioni anticipate di trattamento (DAT).

Come viene acquisito il consenso informato

Il consenso informato viene acquisito, in genere, nei modi e con gli strumenti che risultano più adatti alle condizioni del paziente. Dal punto di vista prettamente pratico è documentato in forma scritta o mediante una video registrazione o attraverso strumenti che consentano al disabile di poter comunicare la propria volontà. Una volta acquisito, il consenso viene inserito nella cartella clinica del paziente e all’interno del fascio unitario elettronico.

Consenso informato e privacy: cosa dice la legge?

La raccolta del consenso è strettamente legata alla tutela della privacy. Il trattamento dei dati personali del paziente deve avvenire nel rispetto del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) e del Codice della Privacy (d.lgs. 196/2003). Le informazioni sanitarie raccolte devono essere quindi gestite con la massima riservatezza e utilizzate esclusivamente per le finalità indicate, con il consenso esplicito del paziente.

Cosa succede se non viene rispettato?

La mancata acquisizione del consenso informato comporta gravi conseguenze sia sotto il profilo civile che penale. Da un punto di vista civile, il medico o la struttura sanitaria possono essere chiamati a risarcire i danni subiti dal paziente, anche se il trattamento ha avuto esito positivo. Penalmente invece, l’assenza del consenso può configurare i reati di lesioni personali o violenza privata.

 

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guida in stato di ebbrezza

Guida in stato di ebbrezza: tolleranza zero Guida in stato di ebbrezza: come cambiano le regole del Codice della Strada dal 14 dicembre 2024, quando entra in vigore la riforma

Guida in stato di ebbrezza: nuove regole dal 14 dicembre

Cambiano le regole per chi guida in stato di ebbrezza. Il 14 dicembre 2024 entrerà in vigore la legge 25 novembre 2024, n. 177, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 29 novembre. Questa legge introduce misure incisive per migliorare la sicurezza stradale e assegna al Governo una delega per la revisione completa del Codice della Strada (D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285).

Le nuove norme facilitano anche la sospensione della patente per chi guida sotto l’effetto di alcol, una punizione che si aggiunge a un quadro sanzionatorio già severo per infrazioni legate alla distrazione. L’obiettivo è ridurre l’incidentalità stradale e uniformare il sistema normativo alle esigenze moderne.

Tolleranza zero per chi guida in stato di ebbrezza

Tra le principali modifiche spicca l’inasprimento delle sanzioni per la guida in stato di ebbrezza. Le conseguenze legali diventano più severe.

Le nuove disposizioni prevedono le seguenti sanzioni, graduate in base al tasso alcolemico rilevato:

  • tasso alcolemico 0,5-0,8 g/l: sanzione amministrativa tra 573 e 2.170 euro e sospensione della patente da 3 a 6 mesi;
  • tasso alcolemico 0,8-1,5 g/l: arresto fino a 6 mesi, pecuniaria (800-3.200 euro) e sospensione della patente da 6 mesi a 1 anno;
  • tasso alcolemico oltre 1,5 g/l: arresto da 6 mesi a 1 anno, ammenda tra 1.500 e 6.000 euro e sospensione della patente da 1 a 2 anni.

Ogni violazione comporta anche la decurtazione, fino a 10, dei punti dalla patente di guida.

Introduzione dell’alcolock

La riforma introduce nel Codice della strada l’alcolock, un sistema che impedisce l’avviamento del motore se rileva un tasso alcolemico superiore a zero. Il conducente deve soffiare in un dispositivo collegato alla centralina del veicolo: se il tasso è superiore al limite infatti l’auto non parte. Questo strumento è pensato come deterrente per ridurre la recidiva nella guida in stato di ebbrezza.

Secondo il nuovo art. 186 del Codice della Strada, i giudici, quando la violazione consiste nella guida con tassi di 0,8-1,5 g/l e oltre 1,5 g/l, possono applicare i codici unionali 68 (“Niente alcool”) e 69 (“Solo veicoli con alcolock”) sulla patente dei condannati:

  • Codice 68: vieta completamente l’uso di alcol;
  • Codice 69: permette la guida solo su veicoli dotati di alcolock.

Questi obblighi permangono per due anni in caso di infrazioni moderate (tasso alcolemico 0,8-1,5 g/l) e per tre anni in caso di violazioni gravi (oltre 1,5 g/l). La commissione medica, competente per i rinnovi della patente, può comunque prolungare questo periodo. Per chi tenta di manomettere l’alcolock, le sanzioni si inasprisco o ulteriormente.

Problemi applicativi e criticità

L’alcolock solleva tuttavia alcune questioni operative perché non è chiaro come è possibile gestire i trasgressori che non possiedono un veicolo. La norma prevede infatti l’installazione dell’alcolock solo sui mezzi intestati ai conducenti condannati. Questo lascia scoperti casi in cui il trasgressore utilizzi veicoli aziendali, in leasing o appartenenti a terzi.

Inoltre, l’obbligo di installazione dell’alcolock scatta solo dopo la sentenza definitiva. Considerando i tempi della giustizia, potrebbero passare anni prima che il dispositivo venga effettivamente applicato. Nel frattempo, il trasgressore potrebbe dimostrare un comportamento virtuoso, rendendo meno efficace la misura punitiva.

Un decreto ministeriale, da emanare entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, definirà le specifiche tecniche del dispositivo, le modalità di installazione e le officine autorizzate.

Revisione complessiva del Codice della Strada

Oltre alle misure immediatamente operative, la legge delega il Governo a una revisione globale del Codice della Strada. Entro 12 mesi dovranno essere emanati i decreti legislativi necessari per adeguare la normativa alle esigenze attuali. Questo processo punta a semplificare il quadro normativo e a rendere più efficaci le misure di sicurezza stradale.

La Legge 177/2024 segna un passo avanti nella lotta contro la guida in stato di ebbrezza e l’incidentalità stradale. L’introduzione dell’alcolock rappresenta una svolta significativa, anche se permangono alcune criticità applicative. La revisione complessiva del Codice della Strada, affidata al Governo, costituirà un ulteriore banco di prova per modernizzare il sistema e garantire maggiore sicurezza sulle strade.

 

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monopattini elettrici

Monopattini elettrici: targa e assicurazione obbligatorie Monopattini elettrici: cosa cambia dal 14 dicembre 2024 dopo la riforma del Codice della Strada per questi mezzi di mobilità eco-sostenibili

Monopattini elettrici: cosa cambia dal 14 dicembre 2024

Dal 14 dicembre 2024 entreranno in vigore le nuove norme sui monopattini elettrici previste dalla recente riforma del Codice della Strada, contenuta nella legge n. 177/2024. L’obiettivo principale delle modifiche apportate è quello di garantire una maggiore sicurezza per utenti e pedoni, regolamentando l’uso di questi mezzi. L’introduzione delle nuove regole rappresenta un passo avanti verso una mobilità più sicura. Gli obblighi di targa, casco e assicurazione responsabilizzeranno gli utenti. I limiti di circolazione e i requisiti tecnici miglioreranno invece la sicurezza stradale. Resta da vedere come le norme verranno implementate e accolte dai cittadini e dai gestori dei servizi di sharing. Vediamo nel dettaglio le principali novità introdotte.

Obbligo di targa, assicurazione e casco

Tutti i monopattini elettrici dovranno essere dotati di una targa adesiva e plastificata, fornita dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. La targa sarà composta da tre lettere e tre numeri.

Anche l’assicurazione di Responsabilità Civile (RC) diventa obbligatoria, con l’obiettivo di coprire eventuali danni a terzi. Chi non rispetta queste disposizioni rischia sanzioni tra 100 e 400 euro, anche nel caso in cui il contrassegno, pur presente, non sia visibile o risulti alterato o contraffatto.

Il casco sarà obbligatorio per tutti i conducenti, indipendentemente dall’età. Questa misura si applicherà sia ai monopattini privati sia a quelli in sharing. I gestori del servizio di noleggio dovranno affrontare le sfide di distribuzione e sanificazione dei caschi.

Requisiti tecnici e limiti di sosta e circolazione

I monopattini dovranno essere equipaggiati con indicatori luminosi per la svolta e freni su entrambe le ruote. Chi circolerà senza queste dotazioni rischierà multe tra 200 e 800 euro.

Saranno vietati i mezzi che non rispetteranno i requisiti tecnici definiti da un decreto ministeriale attuativo.

La circolazione sarà consentita solo su strade urbane con un limite di velocità di 50 km/h. Saranno esclusi dalle piste ciclabili, dalle aree pedonali e dalle strade con limiti di velocità superiori. I monopattini in sharing dovranno essere dotati inoltre di un dispositivo che ne blocchi l’uso al di fuori delle aree consentite.

Regole per la sosta dei monopattini

I monopattini non potranno sostare sui marciapiedi a meno che il marciapiede, per dimensioni e caratteristiche, lo consenta, previa individuazione dell’area di sosta con ordinanza comunale. In questo caso sarà necessario garantire anche la circolazione di pedoni e ciclisti. In ogni caso ai monopattini sarà consentita la sosta negli stalli previsti per velocipedi, ciclomotori e motoveicoli.

Norme per un uso responsabile dei monopattini elettrici

Secondo l’Osservatorio Nazionale sulla Mobilità Sostenibile, in Italia ci sono circa 100.000 monopattini in uso tra proprietà private e sharing. L’uso crescente ha portato a un aumento degli incidenti. Nel 2022, l’ACI-ISTAT ha registrato 2.929 incidenti con monopattini, con 16 decessi e 3.195 feriti. Le nuove norme mirano a ridurre questi numeri, aumentando la consapevolezza e promuovendo un uso responsabile dei mezzi. Tuttavia, l’effettiva applicazione delle regole dipenderà dai decreti attuativi, attesi nei prossimi mesi.

 

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sospensione breve della patente

Sospensione breve della patente: quando scatta Sospensione breve della patente: la novità della Riforma del Codice della Strada per chi ha meno di 20 o di 10 punti sulla patente

Riforma Codice della Strada e sospensione patente

Sospensione breve della patente di 7 o 15 giorni per chi commette determinate infrazioni e ha meno di 20 o 10 punti sulla patente. Lo prevede il nuovo art. 218 ter del Codice della Strada, in base alle modifiche previste dalla legge n. 177/2024, recante “Interventi in materia di sicurezza stradale e delega al Governo per la revisione del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285”, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 29 novembre per entrare in vigore il 14 dicembre 2024.

Sospensione breve della patente per chi ha meno di 20 punti

Il comma 1 del nuovo articolo 218 ter, dedicato alla sospensione della patente in relazione al punteggio del documento di guida prevede la sospensione, in aggiunta all’applicazione della sanzione pecuniaria, nella misura stabilita dai commi 2 e 3 di 7 o 15 giorni se risulta che il punteggio presente sulla patente è inferiore rispettivamente a 20 punti o 10 a causa di precedenti decurtazioni.

Violazioni del Codice della Strada interessate

La sospensione breve è prevista per tutta una serie di infrazioni:

  • circolazione contro mano;
  • violazione del divieto di sorpasso;
  • mancato rispetto della precedenza,
  • passaggio con semaforo giallo o rosso;
  • mancato rispetto del segnale di alt intimato da un agente;
  • mancato rispetto delle regole di attraversamento dei passaggi a livello;
  • sorpasso sulla destra;
  • sorpasso vietato o eseguito in violazione delle norme;
  • mancato rispetto della distanza di sicurezza se causa di sinistro con danno grave ai veicoli e comportante l’obbligo di revisione;
  • divieto di inversione di marcia in casi specifici;
  • utilizzo irregolare o mancante del casco per conducenti e passeggeri di ciclomotori e motoveicoli;
  • uso mancato o irregolare delle cinture di sicurezza, dei seggiolini per i bambini e dei dispositivi anti abbandono;
  • uso dello smartphone o di altri apparecchi durante la guida;
  • retromarcia su autostrade o strade extraurbane principali, compresa la corsia di emergenza;
  • mancato rispetto della corsia di accelerazione;
  • mancata precedenza sulle autostrade o strade extraurbane principali;
  • violazione del divieto di sosta o fermata su autostrade o strade extraurbane principali;
  • mancato utilizzo delle luci durante la sosta su autostrade o strade extraurbane principali;
  • omesso posizionamento del triangolo se il veicolo è fermo su autostrade o strade extraurbane principali;
  • guida dopo il consumo di bevande alcoliche, con tasso inferiore a 0,5 g/l per neopatentati e autisti professionisti;
  • mancata concessione della precedenza ai pedoni;
  • superamento del periodo di guida giornaliero massimo del 20% o del tempo minimo di riposo, per i conducenti di autoveicoli che effettuino il trasporto di persone o cose;
  • superamento del periodo di guida settimanale massimo o del tempo minimo di riposo, oltre il 20% per i conducenti di autoveicoli che effettuino il trasporto di persone o cose;
  • circolazione nel periodo in cui al conducente è stato intimato di non proseguire il viaggio per violazione dei periodi di guida o di riposo, giornalieri e settimanali.

Sospensione breve della patente: durata e condizioni

La sospensione breve viene disposta per la durata di 7 giorni quando il trasgressore, al momento dell’accertamento, risulti in possesso di almeno 10 punti sulla patente.

La durata della sospensione sale a 15 giorni se il trasgressore, al momento dell’accertamento, risulti in possesso di un punteggio inferiore ai 10 punti.

La sospensione della patente viene annotata nell’anagrafe nazionale dei soggetti abilitati alla guida a cura dell’ufficio o del comando da cui dipende l’agente che ha proceduto all’accertamento della violazione.

Chi circola abusivamente durante il periodo della sospensione della patente o avvalendosi del permesso di guida di cui all’art. 218 comma 2, è punito ai sensi dell’art. 218  comma 6 (sanzione amministrativa da 2.046 a 8.186).

Infine, se un soggetto commette una delle violazioni per le quali è prevista la sospensione breve della patente più volte nell’arco di due anni la sospensione breve si applica solo se la pena della sospensione della patente non è già prevista per le stesse violazioni.

Sospensione raddoppiata in presenza di un sinistro

Il comma 3 dell’art. 218 ter prevede che, fatta salva l’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie da disporre dopo l’accertamento del reato e il ritiro della patente nelle ipotesi di illecito penale, la durata della sospensione breve di 7 o 15 giorni viene raddoppiata se il conducente abbia provocato un incidente stradale, compresa l’ipotesi in cui sia uscito di strada senza coinvolgere altri soggetti o cose diverse dalla sua persona e dal suo veicolo.

Sospensione breve: a chi si applica

Le disposizioni che regolano la sospensione della patente si applicano:

  • anche ai conducenti titolari di patenti rilasciate all’estero che commettono alcuna delle violazioni elencate nel comma 1;
  • ai conducenti che sono stati identificati nel momento in cui è stata commessa la violazione.

 

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