direttiva ue riparazione elettrodomestici

Diritto alla riparazione degli elettrodomestici La nuova direttiva europea sul diritto alla riparazione degli elettrodomestici rappresenta un passo avanti nella promozione della sostenibilità e nella tutela dei consumatori

Direttiva UE diritto alla riparazione degli elettrodomestici

Il 30 maggio, il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato una direttiva rivoluzionaria sul diritto alla riparazione degli elettrodomestici. Questa normativa rappresenta un significativo passo avanti per i consumatori, che ora avranno maggiori possibilità di riparare i propri beni rotti o difettosi, riducendo la necessità di sostituirli.

La direttiva, in vigore venti giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, dovrà essere recepita dagli Stati membri entro due anni.

Obiettivi della Direttiva

L’introduzione di questa direttiva mira a raggiungere diversi obiettivi fondamentali:

  1. facilitare la riparazione: spesso i consumatori trovano complicato accedere ai servizi di riparazione, portandoli a preferire la sostituzione degli apparecchi. La nuova direttiva rende più agevole e rapido il processo di riparazione, incentivando i consumatori a riparare piuttosto che sostituire i loro elettrodomestici;
  2. combattere l’obsolescenza programmata: la direttiva affronta la problematica dell’obsolescenza programmata, pratica scorretta adottata da alcuni produttori per rendere difficile o impossibile reperire pezzi di ricambio. Con le nuove misure, i consumatori saranno maggiormente incentivati a riparare i propri beni.
  3. ridurre l’impatto ambientale: favorendo le riparazioni, la direttiva contribuisce a ridurre l’impatto ambientale derivante dalla produzione e dallo smaltimento di elettrodomestici. Ogni anno, i cittadini europei spendono circa 12 miliardi di euro per sostituire apparecchi anziché ripararli, producendo 35 milioni di tonnellate di rifiuti.

Misure specifiche della Direttiva

La direttiva introduce diverse misure concrete per raggiungere i suoi obiettivi:

  • piattaforma europea online per le Riparazioni: verrà creata una piattaforma online che permetterà ai consumatori di trovare facilmente riparatori qualificati nella propria località;
  • proroga della garanzia legale: in caso di riparazione di un prodotto difettoso, la garanzia legale verrà prorogata di 12 mesi;
  • riconsegna rapida: i prodotti riparati dovranno essere riconsegnati entro 30 giorni e, nel frattempo, i consumatori riceveranno un prodotto sostitutivo;
  • abolizione del divieto di componenti indipendenti: sarà possibile utilizzare componenti realizzati con la stampante 3D o acquistati da terze parti, e i produttori non potranno rifiutarsi di riparare dispositivi manipolati da terzi.

Impatti e prospettive per i consumatori e per l’ambiente

Questa direttiva è destinata a rivoluzionare il mercato europeo degli elettrodomestici, promuovendo pratiche più sostenibili e responsabili. I consumatori beneficeranno di un accesso più facile e conveniente ai servizi di riparazione e l’ambiente trarrà vantaggio da una significativa riduzione dei rifiuti elettronici. Inoltre, la direttiva apre la strada a nuove opportunità per le aziende specializzate in riparazioni e per i produttori che adotteranno pratiche più trasparenti e sostenibili.

Conclusione. La direttiva europea sul diritto alla riparazione rappresenta un passo fondamentale verso un’economia più circolare e sostenibile. Con l’attuazione di queste nuove regole, l’Unione Europea dimostra il suo impegno verso un futuro più verde e responsabile e si pone all’avanguardia nella lotta contro lo spreco e l’inquinamento, promuovendo un consumo più consapevole e sostenibile. I prossimi anni saranno cruciali per vedere l’implementazione di queste misure e i loro effetti positivi sulla società e sull’ambiente.

giurista risponde

Fideiussione prestata da confidi minore È valida la fideiussione prestata da un c.d. “confidi minore”, iscritto nell’elenco di cui all’art. 155, comma 4, TUB (ratione temporis applicabile alla fattispecie), nell’interesse di un proprio associato a garanzia di un credito derivante da un contratto non bancario?

Quesito con risposta a cura di Danilo Dimatteo, Elisa Succu, Teresa Raimo

 

La fideiussione prestata da un cd. “confidi minore, come il Consorzio ricorrente, soc. coop. r.l., iscritto nell’elenco di cui all’art. 155 , comma 4, T.u.b. (ratione temporis applicabile), nell’interesse di un proprio associato a garanzia di un credito derivante da un contratto non bancario, non è nulla per violazione di norma imperativa, non essendo la nullità prevista in modo testuale, né ricavabile indirettamente dalla previsione secondo la quale detti soggetti svolgono “esclusivamente” la “attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi a essa connessi o strumentali” per favorire il finanziamento da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario. Il rilascio di fideiussioni è attività non riservata a soggetti autorizzati (come gli intermediari finanziari ex art. 107 T.u.b. ), né preclusa alle società cooperative che operino in coerenza con l’oggetto sociale. –  Cass. Sez. Un. 15 marzo 2022, n. 8472.

Alla risposta indicata nella massima, le Sezioni Unite pervengono valorizzando una serie di elementi.

Anzitutto, rilevano che il rilascio di fideiussioni, diversamente dall’attività di concessione di finanziamenti, è un’attività non riservata a soggetti autorizzati, (come gli intermediari ex art. 107 TUB); né è preclusa alle società cooperative che operino in coerenza con l’oggetto sociale.

Il contratto sub iudice è, per l’appunto, una fideiussione di diritto comune non specificamente riservata agli intermediari autorizzati dal TUB e non può quindi dirsi – in mancanza di specifici divieti – proibita a un confidi minore. È vero che quest’ultimo, in mancanza di apposita iscrizione all’albo ex art. 106 TUB, non può svolgere operazioni riservate agli intermediari finanziari, ma nella fattispecie al consorzio non sono contestate tali attività, bensì il semplice fatto di aver stipulato una fideiussione.

Questa però non è un contratto bancario, né ha una disciplina ad hoc.

Al contrario tale negozio è regolato dal codice civile ed è identico sia se rilasciato da un intermediario, sia se concesso da un soggetto diverso.

Sotto altro profilo il fatto che il confidi minore debba svolgere “esclusivamente” l’attività di garanzia collettiva dei fidi non implica necessariamente un divieto assoluto, a pena di nullità, di attività diverse.

In sostanza il fatto di svolgere attività estranea all’oggetto sociale, in forma comunque non sistematica, non comporta la nullità dei negozi e/o contratti relativi (in tal senso vengono richiamate pronunce in tema di contratti assicurativi vedi Cass. 384/2018 o di affitto di azienda vedi Cass. 8499/2018).

In secondo luogo, si ricorda che la nullità virtuale posta dall’art. 1418, comma 1, c.c. è sì fondata sulla trasgressione di una norma imperativa ma non è insensibile al tipo di norma imperativa violata.

Al riguardo, è necessario, infatti, distinguere le regole di fattispecie dalle regole di condotta, riconnettendosi alla violazione delle prime la sanzione della nullità e alla violazione delle seconde il meccanismo della responsabilità, secondo il ben noto insegnamento del giudice della nomofilachia.

Occorre, quindi, individuare di volta in volta quali siano le norme imperative la cui violazione determini la nullità del contratto, non potendosi sostenere sempre una chiara equiparazione tra norma inderogabile e norma imperativa.

A tal proposito, si rammenta che la giurisprudenza ha dapprima classificato come imperative le disposizioni relative alla struttura essenziale e al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti; ha poi progressivamente esteso il campo della nullità anche alla violazione di norme che attengono a determinate condizioni oggettive o soggettive che direttamente o indirettamente vietano la stipula stessa del contratto. Il trend ultimo che si registra è compendiato dalle Sezioni Unite, le quali rendono manifesta la tendenza attuale di ritenere imperative le norme che operano «come strumento di reazione dell’ordinamento rispetto alle forme di programmazione negoziale lesive di valori giuridici fondamentali».

Non si può dimenticare, invero, che la nullità è la negazione dell’autonomia negoziale sì da dover essere contenuta nei limiti di una sanzione residuale ed estrema.

La nullità negoziale ex art. 1418, comma 1, c.c. deve discendere, allora, dalla violazione di norme aventi contenuti specifici, precisi e individuati non potendosi in caso contrario applicare una sanzione tanto grave, pena il rischio di violare contrapposti valori e principi di rango costituzionale come la libertà negoziale e la libera iniziativa economica.

Alla luce di tali considerazioni le Sezioni Unite concludono che non sussistono le caratteristiche per considerare la disposizione citata come imperativa; non può affermarsi, quindi, alcuna nullità per la fideiussione rilasciata.

fascicolo sanitario elettronico 2.0

Fascicolo sanitario elettronico  2.0 Come funziona il Fascicolo sanitario elettronico 2.0, nuovo traguardo della sanità digitale, quali vantaggi offre e come attivarlo 

Fascicolo sanitario elettronico 2.0: cos’è

Il Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0 è un registro elettronico che contiene al suo interno tutti i dati e i documenti digitali sanitari e socio-sanitari generati da fatti clinici del paziente. I dati riguardano referti di visite mediche, esami diagnostici, ricoveri ospedalieri, prescrizioni di farmaci e tanto altro ancora.

Riferimenti normativi

Il fascicolo sanitario elettronico è stato istituito dall’articolo 12 del decreto legge n. 179/2012.

Il decreto del ministero della Salute del 7 settembre 2023 ha dato attuazione alla norma suddetta.

Contenuto del fascicolo sanitario elettronico

Per comprendere al meglio i vantaggi di questo nuovo strumento è opportuno ricordare che il fascicolo sanitario elettronico contiene tantissime informazioni di natura sanitaria:

  • dati anagrafici e amministrativi del paziente (esenzioni, contatti, soggetti delegati);
  • vaccinazioni effettuate;
  • farmaci erogati e non erogati dal SSSN;
  • verbali del pronto soccorso;
  • lettere di dimissioni ospedaliere;
  • prescrizioni di visite mediche specialistiche;
  • prescrizioni farmaceutiche;
  • cartelle cliniche ospedaliere;
  • profilo sanitario sintetico: documento socio sanitario digitale redatto e aggiornato costantemente dal medico curante o dal pediatra che contiene il riassunto della storia clinica del paziente e il suo stato di salute attuale;
  • taccuino personale: sezione riservata del fascicolo a disposizione del paziente per integrare le informazioni presenti, modificarle, inserirle ed eliminarle. In relazione a queste informazioni il cittadino può scegliere se e a chi vuole renderle visibili.

Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0: vantaggi

Con il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) 2.0 la sanità compie un ulteriore passo in avanti verso la digitalizzazione. Il fascicolo rappresenta infatti uno strumento innovativo che permette ai cittadini di accedere alla la propria storia clinica con semplicità e sicurezza e di avere una comunicazione più efficiente con il proprio medico. Il Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0 presenta infatti molteplici vantaggi, sia per i cittadini che per gli operatori del settore sanitario. Vediamoli distintamente.

Vantaggi per i cittadini:

  • i cittadini hanno la possibilità di consultare in qualsiasi momento e da qualsiasi dispositivo la propria storia clinica;
  • i dati sanitari del singolo paziente sono conservati in modo sicuro e protetto, nel pieno rispetto della privacy;
  • i cittadini possono essere più coinvolti nelle decisioni che riguardano il proprio stato di salute.

Vantaggi per i professionisti sanitari:

  • i medici, accedendo al fascicolo sanitario del paziente, possono avere un quadro completo sullo stato di salute del paziente. In questo modo sono agevolati nella diagnosi, nella cura e nella presa in carico;
  • grazie al monitoraggio di visite ed esami i medici evitano di prescrivere controlli medici e diagnostici già effettuati in passato, ottimizzando in questo modo le risorse del Sistema Sanitario Nazionale ed evitando gli sprechi;
  • l’accesso rapido alle informazioni del paziente evita ai medici di dover fare richiesta alle varie strutture sanitarie che ne sono in possesso;
  • l’accesso alle informazioni complete del paziente riduce notevolmente il rischio di errore medico.

FSE 2.0: come si attiva

La procedura di attivazione del Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0 è molto semplice e completamente gratuita. Ci sono tre modalità distinte di attivazione:

E’ necessario però essere in possesso dello SPID o della CIE.

Come opporsi

In considerazione della natura dei dati contenuti nel fascicolo sanitario si ricorda infine che da lunedì 22 aprile 2024 fino al 30 giugno 2024 il cittadino può opporsi, come chiarito nel sito del Ministero della Salute “allinserimento automatico nel fascicolo dei dati e documenti sanitari generati da eventi clinici riferiti alle prestazioni erogate dal Servizio sanitario nazionale prima del 19 maggio 2020”. 

Tutti i dettagli della procedura da seguire sono presenti sul sito “Sistema Tessera sanitaria”.

concorso 400 notai

Concorso notai: 400 posti Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il nuovo bando di concorso per 400 posti di notaio. Domande entro 30 giorni

Concorso notai 2024

E’ disponibile sul sito del Ministero l’avviso relativo al nuovo bando di concorso per 400 posti di notaio di cui al provvedimento del 12 giugno 2024, pubblicato in Gazzetta ufficiale n. 50, 4a serie speciale, Concorsi ed esami, il 21 giugno scorso.

Le domande vanno inviate esclusivamente per via telematica entro trenta giorni, a  decorrere dalla pubblicazione in GU, e redatte compilando l’apposito form,

Le prove

Previste prove scritte ed orali.

Esame scritto

In particolare, l’esame scritto consta di tre distinte prove teorico-pratiche, riguardanti un atto di ultima volontà e due atti tra vivi, di cui uno di diritto commerciale. In ciascun tema sono richiesti la compilazione dell’atto e lo svolgimento dei principi attinenti agli istituti giuridici relativi all’atto stesso.

Esame orale

L’esame orale consta invece di tre distinte prove sui seguenti gruppi di materie:

  • diritto civile, commerciale e volontaria giurisdizione, con particolare riguardo agli istituti giuridici in rapporto ai quali si esplica l’ufficio di notaio;
  • disposizioni sull’ordinamento del notariato e degli archivi notarili;
  • disposizioni concernenti i tributi sugli affari.

Diario d’esame

I candidati ai quali non sia stata comunicata l’esclusione dal concorso, sono tenuti a presentarsi per sostenere le prove scritte, a pena di decadenza, nel luogo, giorno ed ora indicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica – 4a serie speciale – “Concorsi ed Esami” del 13 settembre 2024.

Maggiori info sono disponibili anche sul sito del ministero della giustizia.

luogo aperto al pubblico

Luogo aperto al pubblico: cosa si intende La Cassazione spiega quando un luogo è da ritenersi "aperto al pubblico" e quando invece di "privata dimora"

Luogo aperto al pubblico

Per luogo aperto al pubblico deve intendersi quello frequentabile da un’intera categoria di persone o da un numero indeterminato di soggetti che abbiano la possibilità di accedervi. Così la prima sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 24119-2024.

La vicenda

Nella vicenda, un imputato veniva assolto dal Gip di Pesaro per la contravvenzione di cui all’art. 4 legge n. 10/1975 per aver portato fuori dalla stanza dell’albergo una forchetta da cucina occultandola nella tasca dei propri pantaloni. Il fatto veniva ritenuto insussistente, non essendo l’imputato mai uscito dalla hall dell’hotel, ma il procuratore adiva la Cassazione eccependo violazione di legge.

Luogo di privata dimora

Deduceva in particolare che il giudice di merito avesse errato nel qualificare la sala di ricevimento dell’albergo come “luogo di privata dimora”, trattandosi, invece, di un luogo aperto al pubblico nel quale non si svolgono atti della vita privata. A supporto del motivo, richiamava la distinzione tra «privata dimora» e «luogo aperto al pubblico» operata dalla giurisprudenza di legittimità in punto di delitto di cui all’art. 624bis cod. pen. Per cui, a suo dire, l’imputato era nella disponibilità dell’oggetto mentre si trovava all’interno della hall, ossia locale adibito a ricevimento del pubblico nella struttura ricettiva e, dunque, luogo aperto al pubblico.

Luogo privata dimora e luogo aperto al pubblico

Per gli Ermellini, il ricorso è fondato, in quanto, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale e conformemente a quanto ritenuto dal procuratore, la hall dell’albergo non è luogo di privata dimora ma luogo aperto al pubblico.
In tal senso, la Corte richiama l’orientamento secondo cui «ai fini della configurabilità del delitto di porto illegale di arma da fuoco, per “luogo aperto al pubblico” deve intendersi quello al quale chiunque può accedere a determinate condizioni, oppure quello frequentabile da un’intera categoria di persone o comunque da un numero indeterminato di soggetti che abbiano la possibilità giuridica e pratica di accedervi senza legittima opposizione di chi sul luogo esercita un potere di fatto o di diritto» (cfr. Cass. n. 22890/2013).

Con riguardo specifico alla nozione più generale di «luogo di privata dimora», ricorda inoltre la Corte, l’insegnamento del massimo organo nomofilattico afferma che «ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624 bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale» (cfr. SS.UU. n. 31345/2017).

Sono stati qualificati, ricorda ancora la S.C., come luoghi di privata dimora il locale adibito a spogliatoio di uno ‘stand’ fieristico, lo studio legale, il motopeschereccio dotato di cabine e bagni, mentre sono stati qualificati come luoghi aperti al pubblico: il circolo sportivo, la sala d’attesa di uno studio medico e proprio la hall di un albergo (cfr. Cass. n. 34454/2018), “luogo per definizione aperto al pubblico”.

Sentenza annullata con rinvio

Per cui dando continuità alla giurisprudenza consolidato, i giudici hanno ritenuto che il taglierino fosse stato portato dall’imputato in luogo aperto al pubblico e, dunque, il ricorso del procuratore va accolto e la sentenza di assoluzione annullata.

La parola passa al giudice del rinvio.

Allegati

giurista risponde

Continuazione tra reati e non punibilità La continuazione tra i reati è di per sé sola ostativa all’applicazione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, ovvero lo è solo in presenza di determinate condizioni?

Quesito con risposta a cura di Alessia Bruna Aloi, Beatrice Doretto, Antonino Ripepi, Serena Suma e Chiara Tapino

 

La pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione non è di per sé ostativa alla configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131bis c.p., salve le ipotesi in cui il giudice la ritenga idonea in concreto ad integrare una o più delle condizioni tassativamente previste dalla suddetta disposizione per escludere la particolare tenuità dell’offesa o per qualificare il comportamento come abituale. – Cass. Sez. Un. 12 maggio 2022, n. 18891.

Nel caso di specie, la Suprema Corte, riunita in Sezioni Unite, è stata chiamata a valutare se ad escludere l’operatività della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131bis c.p., sia sufficiente il solo riconoscimento del vincolo di continuazione tra i reati, ovvero sia a tal proposito altresì necessaria la sussistenza di ulteriori condizioni previste dalla predetta disposizione normativa.

Nel rimettere la questione alle Sezioni Unite, la Quinta Sezione Penale della Suprema Corte ha evidenziato che l’utilizzo del termine “abituale” e non “occasionale” da parte del legislatore, nel disposto di cui all’art. 131bis c.p., ha sollevato un contrasto tra due opposti orientamenti della giurisprudenza di legittimità circa l’applicabilità in concreto della causa di esclusione della punibilità al reato continuato.

Secondo il primo indirizzo interpretativo, inizialmente prevalente, la causa di non punibilità non troverebbe applicazione nel caso di più reati esecutivi del medesimo disegno criminoso, in quanto tale vincolo, rispondendo alla medesima ratio del comportamento abituale, non supererebbe lo sbarramento posto dalla predetta disposizione normativa. Pur comportando un trattamento sanzionatorio più favorevole per il reo, invero, il vincolo della continuazione consisterebbe in un’oggettiva reiterazione di condotte rilevanti, sintomatiche di una devianza non occasionale, pertanto espressive di un comportamento abituale che giustificherebbe l’esclusione dal suddetto beneficio (Cass., sez. III, 28 maggio 2015, n. 29897).

Il secondo indirizzo interpretativo, attualmente prevalente, ritiene configurabile la particolare tenuità del fatto nell’ipotesi di reato continuato, purché lo stesso non sia espressivo di una tendenza o inclinazione al crimine (Cass., sez. V, 15 gennaio 2018, n. 5358).

L’esclusione dell’abitualità anche rispetto ad un reato continuato, invero, dovrebbe avvenire valorizzando elementi ulteriori desumibili dall’art. 131bis c.p., in presenza dei quali, pertanto, il vincolo di continuazione non sarebbe indicativo del carattere seriale dell’attività criminosa o dell’abitudine del soggetto a violare la legge, ostativi all’operatività della predetta disposizione normativa.

Tuttavia, tale indirizzo distinguerebbe tra continuazione diacronica, sussistente in caso di una pluralità di reati avvinti dal vincolo della continuazione, ma commessi in contesti spaziali e temporali diversi, e continuazione sincronica, sussistente in caso di una pluralità di condotte espressive di un medesimo disegno criminoso, ma commesse in un unico contesto spaziale e temporale.

La violazione criminosa in caso di continuazione sincronica sarebbe invero unica, stante la contemporanea esecuzione temporale e spaziale delle distinte azioni delittuose e sarebbe pertanto compatibile con il concetto di estemporaneità dell’azione illecita rispetto alla personalità positiva del reo, da cui si desumerebbero i presupposti finalizzati alla valutazione dell’operatività dell’art. 131bis c.p. (Cass., sez. V, 13 luglio 2020, n. 30434).

Sul punto, gli Ermellini hanno richiamato quanto stabilito dalle Sezioni Unite in una precedente pronuncia, che ha analizzato le tre ipotesi tassative di comportamento abituale di cui all’art. 131bis, comma 3, c.p.

Il primo di tale triplice criterio risulta non suscitare problemi di interpretazione, essendo già definita dal legislatore la qualificazione di delinquente abituale, professionale o per tendenza attraverso gli artt. 105 e ss. c.p.

In relazione al secondo criterio, vale a dire più reati della stessa indole, il dato normativo parla di “reati” e non di “condanne”; pertanto, la pluralità di reati, da intendere partendo da almeno due rispetto a quello in sede di accertamento, è configurata non solo in presenza di condanne irrevocabili, ma anche a fronte di accertamenti di reato non ancora definitivi o di reati da giudicare nel medesimo procedimento.

In relazione al terzo criterio, vale a dire condotte abituali e reiterate, la sentenza richiamata chiarisce che il legislatore richiami fattispecie che prevedono l’elemento tipico della condotta abituale, come nel caso del reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p., nonché delle condotte reiterate, come nel caso del reato di atti persecutori di cui all’art. 612bis c.p.

Le condotte plurime, lungi dall’essere una ripetizione delle condotte abituali e reiterate, si riferiscono a fattispecie concrete connotate da distinte condotte implicate nello sviluppo degli accadimenti. Non è desumibile, pertanto, alcun riferimento preclusivo al reato continuato (Cass. Sez. Un. 25 febbraio 2016, n. 13681).

Le Sezioni Unite aderiscono alle conclusioni della predetta pronuncia e condividono l’impostazione del secondo orientamento giurisprudenziale.

Il Supremo Collegio muove, in prim’ordine, dalla premessa che il concorso formale di reati è caratterizzato dall’unicità dell’azione o dell’omissione, escludendone pertanto sia la collocazione tra i reati della stessa indole o tra le condotte plurime, abituali e reiterate, sia la natura di condotta abituale.

Il reato continuato, parimenti, consiste in una particolare ipotesi di concorso di reati, essendo tuttavia considerato unitario ai soli fini della determinazione della pena o della garanzia di un eventuale risultato favorevole al reo (Cass. Sez. Un. 17 dicembre 2009, n. 18775; Cass. Sez. Un. 27 novembre 2008, n. 3286).

Di conseguenza, annoverare il concorso formale di reati tra i presupposti per la particolare tenuità del fatto a discapito del reato continuato, comporterebbe un trattamento discriminatorio e una violazione del canone di ragionevolezza.

Chiarito che i reati avvinti dal vincolo della continuazione possono essere suscettibili di applicazione dell’art. 131bis c.p., le Sezioni Unite hanno altresì stabilito che gli stessi devono essere oggetto di un complessivo apprezzamento discrezionale del giudice, che deve soppesarli con la sussistenza di ulteriori criteri al fine di valutare l’operatività dell’art. 131bis c.p., tra cui la natura e la gravità dei reati unificati, dei beni giuridici lesi o posti in pericolo, l’entità delle disposizioni di legge violate, le finalità e le modalità esecutive della condotta, le motivazioni e le conseguenze derivatene, l’arco temporale e il contesto in cui le violazioni medesime si collocano, l’intensità del dolo e la rilevanza dei comportamenti successivi ai fatti.

La natura dei reati in continuazione e il bene giuridico dagli stessi leso, tuttavia, sollevano la possibilità di integrare più reati della stessa indole, che definiscono un comportamento abituale tale, dunque, da escludere il reato continuato dall’operatività dell’art. 131bis c.p.

La soluzione cui perviene il Supremo Collegio consiste invero nella valutazione del dato numerico dei reati della stessa indole, posto che l’art. 131bis c.p. parla di più reati, che pertanto devono essere almeno due e a cui deve aggiungersi il reato oggetto di accertamento giudiziario. Ne consegue che, solo se inferiori a tre, i reati della stessa indole uniti dal vincolo della continuazione non incorrono nel comportamento abituale preclusivo dell’applicabilità della causa di esclusione della punibilità.

Tuttavia, nella nozione di “stessa indole” vi rientra la sola continuazione omogenea, caratterizzata dalla plurima violazione della medesima disposizione di legge.

Le Sezioni Unite infine escludono dall’ambito dell’operatività della causa di non punibilità di cui all’art. 131bis c.p., la sola continuazione diacronica, dal momento che comporta la reiterazione di condotte delittuose in contesti spaziali e temporali distanti, sintomatiche di una pervicacia criminale che non consente di qualificare il fatto come occasionale.

Pertanto, le Sezioni Unite hanno stabilito che la pluralità di reati uniti dal vincolo della continuazione non è ostativa all’applicabilità della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131bis c.p., salvo che il giudice la ritenga idonea ad integrare una o più delle condizioni previste dalla medesima disposizione normativa per escludere la particolare tenuità dell’offesa o per qualificare il comportamento come abituale.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cass., sez. V, 15 gennaio 2018, n. 5358; Cass., sez. V, 13 luglio 2020, n. 30434;
Cass. Sez. Un. 25 febbraio 2016, n. 13681;  Cass. Sez. Un. 17 dicembre 2009, n. 18775;
Cass. Sez. Un. 27 novembre 2008, n. 3286
Difformi:      Cass., sez. III, 28 maggio 2015, n. 29897
proroga concessioni balneari bolkestein

Concessioni balneari: la proroga viola la Bolkestein La Consulta dichiara illegittima costituzionalmente la proroga delle concessioni balneari nella regione siciliana, in quanto in violazione della direttiva Bolkestein

Proroga concessioni balneari

La proroga delle concessioni balneari nella regione siciliana è illegittima per violazione della direttiva Bolkestein. La Consulta, con la sentenza n. 109-2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme di cui all’art. 36 della legge della Regione Siciliana n. 2 del 2023 (Legge di stabilità regionale 2023-2025), che hanno previsto la proroga al 30 aprile 2023 del termine per la presentazione delle domande di rinnovo delle concessioni demaniali marittime a scopo turistico-ricreativo (cosiddette concessioni balneari), nonché la proroga alla stessa data del termine per la conferma, in forma telematica, dell’interesse alla utilizzazione del demanio marittimo.

La questione di legittimità costituzionale

La questione era stata promossa dal Governo, che rimproverava al legislatore siciliano di aver ecceduto dalle competenze ad esso riservate dagli artt. 14 e 17 dello statuto di autonomia e violato l’art. 117, primo comma, Cost., che vincola anche il legislatore regionale all’osservanza degli obblighi derivanti dall’Unione europea assunti dall’Italia.

Nel ricorso si lamentava, in particolare, la violazione delle previsioni dell’art. 12 della direttiva Bolkestein n. 2006/123/CE, nota anche come “direttiva servizi”, che impone agli Stati membri dell’UE, con efficacia diretta, di mettere a gara le concessioni demaniali in scadenza, vietando il ricorso alle proroghe automatiche ex lege. Il differimento al 30 aprile 2023 del termine, secondo il Governo, “corrobora la proroga delle concessioni demaniali marittime fino al 31 dicembre 2033”, pur avendo la legge statale n. 118/2022 abrogato, per incompatibilità con l’ordinamento unionale, i commi 682 e 683 dell’art. 1 della legge n. 145 del 2018, che prolungavano la proroga fino a quella data, e nonostante le sentenze dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 17 e n. 18 del 2021, nonché quella della Corte di giustizia dell’Unione europea 20 marzo 2023, in causa C-348/22, Autorità Garante della concorrenza e del mercato, che ha ribadito la contrarietà al diritto UE dei rinnovi automatici delle concessioni aventi ad oggetto l’occupazione del demanio marittimo italiano.

La decisione della Corte Costituzionale

In motivazione, il giudice delle leggi ha sottolineato che le norme siciliane impugnate perpetuano, limitatamente al territorio della Regione Siciliana, il sistema delle proroghe automatiche delle concessioni, più volte giudicato illegittimo dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea e oggetto di disapplicazione da parte della giurisprudenza amministrativa.

In questo modo, ha precisato la Corte, “le norme in questione si pongono in contrasto con l’art. 12 della direttiva Bolkestein, e quindi con l’art. 117, primo comma, Cost.”. Nel sottolineare che “il differimento dei termini previsto nelle norme impugnate dal Governo non si riferisce alla vera e propria proroga delle concessioni demaniali fino al 2033, che trova origine nella legge regionale n. 24 del 2019, ma solo alla presentazione delle domande di proroga – la Consulta ha altresì rilevato – in linea con le censure governative, che la rinnovazione anche della possibilità di presentazione delle domande ‘finisce con l’incidere sul regime di durata dei rapporti in corso, perpetuandone il mantenimento e quindi rafforza, in contrasto con i principi del diritto UE sulla concorrenza, la barriera in entrata per nuovi operatori economici potenzialmente interessati alla utilizzazione, a fini imprenditoriali, delle aree del demanio marittimo’”.

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Il cliente può accedere agli atti che riguardano l’avvocato L’accesso “difensivo” costituisce una fattispecie ostensiva connotata dall’onere di dimostrare la necessità della conoscenza dell’atto rispetto alla tutela della propria posizione

Rigetto istanza di accesso agli atti

Nel caso in esame, il Coniglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma aveva dichiarato inammissibile l’istanza di accesso agli atti avanzata da una cliente, nell’ambito del procedimento disciplinare a carico del proprio avvocato. In particolare. l’accesso era stato chiesto poiché il cliente aveva dei dubbi sulla legittimità dei compensi professionali richiesti.

La richiesta di accesso agli atti veniva nella specie respinta in quanto la stessa era stata ritenuta esplorativa, non essendo specificato il rapporto tra i documenti oggetto di accesso agli atti e le ragioni di difensive, ponendosi pertanto in contrasto con il diritto alla tutela della riservatezza di soggetti terzi.

La cliente aveva impugnato la decisione del CdO di Roma, chiedendo l’annullamento del rigetto.

L’interesse conoscitivo di carattere “difensivo”

Il Tar Lazio, con sentenza n. 9314/2024, ha ritenuto che, nel caso di specie, venisse in rilievo un’ipotesi di accesso difensivo, come tale ammissibile.

In particolare, il Tar, ripercorrendo la giurisprudenza amministrativa formatasi sul punto, ha affermato che “l’accesso “difensivo” costituisce una fattispecie ostensiva idonea a superare le ordinarie preclusioni che si frappongono alla conoscenza degli atti amministrativi, ma al contempo è connotata dall’onere stringente di dovere dimostrare la ‘necessità’ della conoscenza dell’atto o la sua ‘stretta indispensabilità’, nei casi in cui l’accesso riguarda dati sensibili o giudiziari”.

Inoltre “la necessità (…) della conoscenza del documento determina il nesso di strumentalità tra il diritto all’accesso e la situazione giuridica ‘finale’, nel senso che l’ostensione del documento amministrativo deve essere valutata, sulla base di un giudizio prognostico ex ante, come il tramite per acquisire gli elementi di prova in ordine ai fatti integranti la fattispecie costitutiva della situazione giuridica ‘finale’ controversa e delle correlative pretese astrattamente azionabili in giudizio”.

Valutazione ammissibilità

In relazione a quanto sopra, il Tar ha altresì specificato che la Pubblica Amministrazione detentrice del documento e il giudice amministrativo adìto in sede d’impugnazione non devono svolgere ex ante alcuna valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto, poiché un simile apprezzamento compete solo all’autorità giudiziaria investita della questione, salvo il caso di un’evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990. Resta in ogni caso fermo l’obbligo di puntuale motivazione a carico del richiedente, anche al fine di dimostrare il suddetto nesso cauale.

Applicando i suddetti principi giurisprudenziali al caso di specie, il Tar ha ritenuto che la richiesta di accesso agli atti formulata dalla cliente e volta ad ottenere copia di tutti gli atti, le delibere e i verbali relativi ai procedimenti disciplinari a carico dell’avvocato doveva essere (parzialmente) accolta.

Interesse diretto e concreto

Rispetto a tali documenti, ha proseguito il Tar, “la ricorrente ha rappresentato di avere un interesse diretto, concreto e attuale alla loro ostensione, connesso alla controversia (…) in merito alla debenza di taluni compensi professionali, sfociata in due procedimenti contenziosi allo stato pendenti”; per tali documenti sussiste dunque un nesso di strumentalità con la situazione finale che l’istante intende tutelare.

Per quanto infine attiene alla tutela della riservatezza dell’avvocato, deve ritenersi che, nel bilanciamento di interessi contrapposti, prevalga nel caso di specie il diritto dell’istante all’ostensione dei documenti richiesti per la tutela della propria posizione giuridica.

false notifiche fisco agenzia

False notifiche fisco: alert delle Entrate L'Agenzia delle Entrate avvisa che è in corso una nuova ondata di false notifiche amministrative, invitando i cittadini a prestare massima attenzione

False notifiche amministrative

È in corso una nuova ondata di false comunicazioni a nome dell’Agenzia delle Entrate riguardanti notifiche e avvisi amministrativi, con lo scopo di carpire alle vittime le credenziali d’accesso del portale istituzionale. E’ quanto comunica l’amministrazione invitando i cittadini a prestare la massima attenzione ia link presenti, a non scaricare, aprire e compilare allegati, nè tanto meno a fornire credenziali d’accesso e dati personali, in quanto “disconosce questa tipologia di comunicazioni, rispetto alle quali si dichiara totalmente estranea”.

Non è la prima volta che l’Agenzia torna su tale tematica, già ampiamente segnalata a febbraio e a marzo.

Le comunicazioni false

Le comunicazioni email relative a questa campagna malevola, ma molto simili alle precedenti, presentano i seguenti tratti distintivi:

  • Mittente indirizzo estraneo all’Agenzia delle Entrate
  • Oggetto Avviso Raccomandata #ARXXXXXXX (il numero di raccomandata è variabile)
  • Riferimenti nel corpo del messaggio ad “Agenzia delle Entrate-Riscossione” e “Agenzia delle Entrate – ufficio territoriale” come ente incaricato
  • Riferimenti ad un fantomatico “Codice atto” nel formato ARXXXXXXX (il numero dell’atto è casuale)
  • Presenza di un link per consultare la notifica amministrativa, che conduce in realtà ad una pagina web contraffatta con il logo dell’Agenzia delle Entrate ed una finta schermata di login, progettata per sottrarre alle vittime le credenziali d’accesso al portale istituzionale.

Massima attenzione

Se la vittima ci casca e inserisce le proprie credenziali, cliccando sul pulsante “accedi” le viene mostrano un documento a firma Agenzia Entrate-Riscossione, ma ribadisce il fisco, si tratta di “un documento manipolato ad arte”.

Da qui la raccomandazione ai cittadini di “prestare la massima attenzione e, qualora ricevessero e-mail analoghe, di non cliccare sui link in esse presenti, di non scaricare, aprire e compilare eventuali allegati, di non fornire credenziali d’accesso, dati personali e le coordinate bancarie in occasione di eventuali telefonate legate a questo tipo di fenomeni e di non ricontattare assolutamente il mittente di eventuali comunicazioni”.

In caso di dubbi rivolgersi Agenzia

In caso di dubbi sulla veridicità di una comunicazione ricevuta dall’Agenzia, in ogni caso avvisano le Entrate, “è sempre preferibile verificare preliminarmente consultando la pagina “Focus sul phishing”, rivolgersi ai contatti reperibili sul portale istituzionale www.agenziaentrate.gov.it o direttamente all’Ufficio territorialmente competente”.

danno ambientale inquinamento

Danno ambientale: l’ignoranza non salva L’ignoranza delle condizioni oggettive di inquinamento in cui versa il bene non esclude la responsabilità di chi ne è successivamente divenuto proprietario

Interventi di messa in sicurezza

Il caso in esame prende avvio dalla richiesta avanzata al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio con cui il ricorrente aveva domandato l’annullamento di un decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, con cui venivano prescritti alcuni interventi di messa in sicurezza di un sito di interesse nazionale. In particolare, il Ministero aveva intimato la realizzazione di alcuni interventi di messa in sicurezza delle acque di falda contaminata, oltre che la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti che erano presenti in precedenza sul piazzale oggetto dell’intervento di impermeabilizzazione.

Il TAR aveva concluso il proprio esame dichiarando il ricorso ed i motivi aggiunti improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse.

Il privato interessato aveva impugnato tale decisione dinanzi al Consiglio di Stato.

Il principio “chi inquina paga”

Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 4298/2024, ha accolto l’appello proposto e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a., ha accertato l’illegittimità degli atti gravati con il ricorso di primo grado ed i motivi aggiunti.

Il Giudice amministrativo si è anzitutto soffermato sull’asserita insussistenza, affermata dal privato, dell’obbligo della società a partecipare alla bonifica dell’area da lei acquistata.

Rispetto a tale contestazione, il Consiglio di Stato ha ricordato il principio generale, di derivazione europea, in tema di responsabilità per danno ambientale, secondo cui “chi inquina paga”.

Nella specie, il Consiglio ha descritto gli elementi sulla base dei quali è possibile, a livello europeo, attribuire una responsabilità per danno ambientale al proprietario dell’area inquinata.

La giurisprudenza a tutela dell’ambiente

A tal proposito il Consiglio di Stato ha ricordato la giurisprudenza amministrativa che, in applicazione del diritto europeo, si è formata sul punto e ha incentrato la tutela dell’ambiente “intorno al fondamentale cardine della responsabilità del proprietario in chiave dinamica, ossia nel senso di ritenere responsabile degli oneri di bonifica e di riduzione in pristino anche il soggetto non direttamente responsabile della produzione del rifiuto, il quale sia tuttavia divenuto proprietario e detentore dell’area o del sito in cui è presente, per esservi stato in precedenza depositato, stoccato o anche semplicemente abbandonato, il rifiuto in questione. La responsabilità del proprietario del sito, in tal caso, non rinviene necessariamente la propria causa nel cd. fattore della produzione, bensì anche, eventualmente, in quello della detenzione o del possesso (..) dell’area sulla quale è oggettivamente presente il rifiuto”.

Ad ogni modo, ha spiegato il Giudice amministrativo, la responsabilità è ascrivibile al proprietario secondo i canoni, di derivazione nazionale, della responsabilità per il proprio fatto personale colpevole.

L’ignoranza non esclude la responsabilità

Nella medesima ottica di ricostruzione della responsabilità per danno ambientale, il Consiglio di Stato ha altresì rilevato che “l’ignoranza delle condizioni oggettive di inquinamento in cui versa il bene non esclude la responsabilità di chi ne è successivamente divenuto proprietario”.

In particolare, per quanto qui rileva, il Giudice amministrativo ha spiegato che la responsabilità alla rimozione è connessa alla qualifica di detentore non dei rifiuti inquinanti ma del bene immobile inquinato.

Per le finalità perseguite dal diritto comunitario, quindi, è sufficiente distinguere il soggetto che ha prodotto i rifiuti dal soggetto che ne abbia materialmente acquisito la detenzione o la disponibilità giuridica senza necessità di indagare sulla natura del titolo giuridico sottostante. Per la disciplina comunitaria, infatti, i costi “della gestione dei rifiuti sono sostenuti dal produttore iniziale o dai detentori del momento o ancora dai detentori precedenti dei rifiuti”.