bonus mamme

Bonus mamme: la guida Bonus mamme: fino al 2026 esonero totale dei contributi per mamme con tre figli, stop per mamme con due figli

Bonus mamme: esonero contributivo totale

Il bonus mamma è un beneficio contributivo che la legge di bilancio 2024 n. 213/2023  ha previsto per favorire la natalità e il lavoro femminile.

Il comma 180 dell’articolo 1 prevede che per i periodi di paga compresi tra il 1° gennaio 2024 fino al 31 dicembre 2026, alle lavoratrici madri di tre o più figli, che hanno un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato (escluso quello domestico) spetti un esonero contributivo del 100%.

L’esonero riguarda la quota dei contributi dovuti per invalidità, vecchiaia e superstiti, che sono a carico del lavoratore fino al compimento del 18° anno di età del figlio più piccolo.

Limite annuo dell’esonero contributivo

Il limite annuo dell’esonero è fissato in 3000 euro. L’importo va comunque riparametrato su base mensile.

Facendo un rapido calcolo, e quindi dividendo l’importo annuo di 3000 euro per 12 mensilità l’importo mensile massimo di esonero contributivo è di 250,00 euro.

Esonero in via sperimentale per le mamme con due figli

Il comma 181 dell’art. 1 della legge di bilancio 2024 prevede inoltre, in via sperimentale, in relazione ai periodi di paga compresi tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2024, l’esonero contributivo totale anche per le lavoratrici madri di due figli e con un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato fino al compimento del 10° anno di vita dei figlio più piccolo. Da questo esonero sono esclusi però i rapporti di lavoro domestico.

Esonero contributivo: come fare?

Con la circolare n. 27 del 31 gennaio 2024 l’INPS ha fornito le istruzioni sugli aspetti pratici della misura. Il documento dispone che le lavoratrici in possesso dei requisiti richiesti per ottenere l’esonero possano comunicare al loro datore di lavoro la volontà di avvalersene. A tal fine devono comunicare il numero dei figli e per ciascuno di essi il codice fiscale. I datori di lavoro possono quindi esporre nelle denunce retributive l’esonero spettante alla lavoratrice.

In alternativa, la lavoratrice potrà comunicare direttamente all’INPS il numero dei figli e i codici fiscali di ciascuno, compilando un applicativo dedicato.

Il messaggio INPS del 6 maggio 2024 n. 1702 ha infatti comunicato il rilascio dell’applicazione denominata “Utility esonero lavoratrici madri” il cui utilizzo è limitato alle lavoratrici fruitrici del bonus i cui figli non abbiano i codici fiscali inseriti nel flusso Uniemens.

Bonus mamme: compatibilità esoneri a carico datore

Poiché il bonus mamme va a sgravare la lavoratrice dal pagamento dei contributi dovuti per la sua quota, esso è compatibile con gli esoneri contributivi previsti per i datori di lavoro.

Il bonus mamme è alternativo però all’esonero sulla quota dei contributi previdenziali dovuti per invalidità, vecchiaia e superstiti, ossia sulla quota IVS, che sono sempre a carico del lavoratore, come previsto dal comma 15 dell’art. 1 della legge di bilancio 2024.

Bonus mamme 2025: precisazioni INPS

Come precisato dal messaggio INPS n. 401 del 31 gennaio 2025 la legge di bilancio non ha confermato il bonus mamme previsto dal comma 181 della legge di bilancio 2024. Le mamme con due figli e con contratto a tempo indeterminato dal 1° gennaio 2025 infatti non beneficeranno più di questo bonus.

Continuano invece a beneficiare del bonus le mamme lavoratrici con tre figli perché la misura è stata confermata fino al 2026 “anche nelle ipotesi in cui la nascita (o laffido/adozione) del terzo figlio (o successivo) si verifichi nel corso delle annualità 2025-2026″. 

L’INPS chiarisce infine che la legge di bilancio 2025, dal 1° gennaio 2025, ha previsto in favore delle lavoratrici dipendenti (escluso il settore del lavoro domestico) e autonome con retribuzione o reddito imponibile ai fini previdenziali non superiore a 40.000 euro su base annua un esonero contributivo parziale “della quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico del lavoratore.” Queste donne devono essere mamme di due o più figli e l’esonero spetta fino al compimento del 10° anno del figlio più piccolo.

 

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sfratto per finita locazione

Sfratto per finita locazione Sfratto per finita locazione: normativa, procedimento, differenze rispetto alla intimazione di licenza e giurisprudenza

Cos’è lo sfratto per finita locazione

Lo sfratto per finita locazione è un procedimento giudiziario disciplinato dagli articoli 657 e seguenti del Codice di procedura civile, che consente al locatore di ottenere la riconsegna dell’immobile alla scadenza del contratto di locazione. Questo strumento è utilizzato quando l’inquilino, pur essendo giunto a termine il contratto, non rilascia spontaneamente l’immobile.

Lo scopo della procedura è quello di tutelare il proprietario, consentendogli di recuperare rapidamente la disponibilità del bene senza dover avviare una lunga causa ordinaria.

Procedimento di sfratto per finita locazione

Il procedimento di sfratto per finita locazione segue precise fasi

  1. Intimazione di sfratto: per prima cosa il locatore, con l’assistenza di un avvocato, deve notificare all’inquilino un atto di intimazione di sfratto per finita locazione, accompagnato dalla citazione per la convalida dinanzi al Tribunale competente.
  2. Udienza di convalida: il giudice fissa quindi un’udienza, alla quale l’inquilino può:
  • non presentarsi: in questo caso, il giudice convalida lo sfratto e dispone l’ordine di rilascio dell’immobile;
  • opporsi: in presenza di motivi validi. In questo caso il giudice fissa un’udienza di discussione.
  1. Esecuzione dello sfratto: se l’inquilino non libera spontaneamente l’immobile dopo che il giudice ha convalidato lo sfratto e disposto il rilascio entro un preciso termine, il locatore può procedere con l’esecuzione forzata tramite ufficiale giudiziario.

Opposizione dell’intimato

L’inquilino può opporsi all’intimazione di sfratto presentando delle eccezioni valide, tra cui:

  • la nullità della notifica dell’intimazione di sfratto;
  • la proroga legale del contratto;
  • vizi del contratto di locazione;
  • il pagamento di somme arretrate prima dell’udienza (nel caso di cumulo con lo sfratto per morosità). Se il giudice ritiene fondate le motivazioni dell’opposizione, può disporre il rigetto della domanda di sfratto o la concessione di un termine di grazia all’inquilino.

Differenza tra sfratto e intimazione di licenza

Lo sfratto per finita locazione e l’intimazione di licenza per finita locazione sono due istituti simili, ma con una differenza sostanziale.

  • Lo sfratto per finita locazione si attiva dopo la scadenza del contratto, quando l’inquilino rifiuta di lasciare l’
  • L’intimazione di licenza per finita locazione invece viene notificata prima della scadenza del contratto, avvertendo l’inquilino dell’obbligo di lasciare l’immobile alla fine del contratto.

Giurisprudenza sullo sfratto per finita locazione

La giurisprudenza ha più volte chiarito gli aspetti fondamentali dello sfratto per finita locazione.

  • Tribunale di Brescia 18.03.2024: a seguito della riforma Cartabia, la procedura di convalida di sfratto ex art. 657 c.p.c. si applica anche ai contratti di comodato di immobili e di affitto d’ Il giudice ha chiarito che tale procedura non è limitata ai soli contratti di comodato con durata predefinita, ma vale anche per quelli senza termine (precari), in cui la scadenza coincide con la richiesta di restituzione ex art. 1810 c.c. Di conseguenza, è stata respinta l’opposizione del comodatario, che sosteneva l’inapplicabilità dell’art. 657 c.p.c. al suo caso e chiedeva l’applicazione del rito del lavoro ex art. 447-bis c.p.c.
  • Cassazione n. 5955/2023: nel procedimento di convalida di sfratto, l’opposizione dell’intimato ai sensi dell’art. 665 c.p.c. pone fine alla fase sommaria e avvia un nuovo giudizio ordinario. In questo contesto, il locatore può modificare la causa della domanda, mentre il conduttore può sollevare nuove eccezioni e presentare domanda riconvenzionale.
  • Cassazione n. 14624/2017: Un provvedimento di convalida di licenza o di sfratto, emesso senza i presupposti di legge, deve essere impugnato con appello, poiché ha natura decisoria e valore sostanziale di sentenza. La rimessione al giudice di primo grado è possibile solo nei casi previsti dagli artt. 353 e 354 c.p.c. Questo principio vale anche quando la citazione iniziale è nulla per mancato rispetto del termine di comparizione e il giudizio si è svolto in contumacia. In tale ipotesi, non si configura né la nullità della notifica né altre cause di rimessione. Il giudice d’appello deve quindi decidere nel merito, rinnovando gli accertamenti e consentendo al convenuto di esercitare le facoltà processuali precluse in primo grado.

 

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codice rosso

Codice Rosso: l’allontanamento richiede il contraddittorio La Cassazione chiarisce che la misura dell'allontanamento dalla casa familiare del nuovo Codice Rosso è un provvedimento di natura giudiziaria che il giudice deve compiere dopo il contraddittorio tra le parti

Nuovo Codice Rosso

La sesta sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3892/2025, ha affrontato un tema centrale nell’applicazione del Codice Rosso: la natura del provvedimento di allontanamento dalla casa familiare adottato dal Pubblico Ministero ex 384-bis comma 2-bis c.p.p. introdotto dall’art. 11 comma 1 l. n. 168/2023 (nuovo Codice Rosso) e la necessità del contraddittorio nel procedimento di convalida.

Il caso esaminato dalla Cassazione

La pronuncia trae origine da un caso in cui il Pubblico Ministero aveva disposto l’allontanamento urgente di un soggetto dalla casa familiare, a seguito di gravi indizi di maltrattamenti in ambito domestico. Il provvedimento era stato adottato in via d’urgenza ai sensi del Nuovo Codice Rosso, al fine di tutelare la vittima da un pericolo imminente.

I principi affermati dalla Suprema Corte

La Cassazione ha chiarito che il provvedimento adottato dal Pubblico Ministero si configura come un atto di natura giudiziaria che incide significativamente sulla libertà personale dell’indagato. Di conseguenza, “la misura precauzionale adottata dal Pm dell’allontanamento dalla casa familiare è un provvedimento di natura giudiziaria che il giudice della convalida deve compiere dopo il contraddittorio tra le parti sulla base dei gravi indizi di colpevolezza e di reiterazione che mettono in grave pericolo la vita o l’integrità della persona offesa”, ha affermato la Suprema Corte nella sentenza.

Il ricorso del PM è rigettato.

 

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sequestro conservativo

Sequestro conservativo: una guida pratica Il sequestro conservativo nel codice di procedura civile: disciplina, presupposti, effetti,  cauzione, revoca e conversione

Cos’è il sequestro conservativo e come funziona

Il sequestro conservativo è una misura cautelare disciplinata dall’art. 671 del codice di procedura civile. Esso ha la finalità di garantire la soddisfazione del credito del ricorrente, impedendo che il debitore possa sottrarre o disperdere i propri beni, rendendo inefficace un’eventuale futura esecuzione forzata. Questa misura cautelare può riguardare beni mobili, immobili o crediti, e viene disposto dal giudice su richiesta del creditore, quando vi sia il fondato timore che il debitore possa compiere atti di disposizione pregiudizievoli per il soddisfacimento del credito.

Sequestro conservativo su beni mobili e su beni immobili

Il sequestro conservativo sui beni mobili e sui crediti si realizza ai sensi dell’art. 678 c.p.c in base alle norme del pignoramento presso il debitore o presso terzi. Il sequestro conservativo sugli immobili invece, in base a quanto previsto dall’art. 679 c.p.c si esegue con la trascrizione del provvedimento presso l’ufficio del conservatore dei registri immobiliari nel luogo in cui si trovano i beni.

I presupposti per il sequestro conservativo

Affinché il giudice possa concedere questa misura cautelare, devono sussistere due presupposti fondamentali:

  • fumus boni iuris: il creditore deve dimostrare l’esistenza di un credito fondato e non manifestamente infondato;
  • periculum in mora: vi deve essere il concreto rischio che il debitore possa alienare, occultare o disperdere i propri beni, pregiudicando il soddisfacimento del credito.

La richiesta deve essere presentata al giudice competente con un ricorso motivato e corredato delle prove necessarie.

Gli effetti del sequestro conservativo

Il sequestro conservativo produce effetti immediati sui beni del debitore:

  • indisponibilità dei beni: il debitore non può disporre dei beni sequestrati, ossia venderli, donarli o ipotecarli;
  • tutela del creditore: il creditore ottiene una garanzia sulla possibilità di soddisfare il proprio credito al termine del giudizio.

Esso si converte automaticamente in pignoramento nel momento in cui il creditore ottiene una sentenza di condanna nei confronti del debitore.

Cauzione art. 669 undecies c.p.c.

L’art. 669-undecies c.p.c. prevede che il giudice, con il provvedimento di accoglimento, conferma o modifica del provvedimento cautelare, possa imporre all’istante una cauzione, per l’eventuale risarcimento del danno, dopo aver valutato ogni circostanza.  La cauzione bilancia il rischio che il diritto tutelato provvisoriamente non venga poi confermato nel merito. In questo modo si garantisce l’equilibrio per eventuali danni. Il giudice, con potere discrezionale, ne decide imposizione, importo e modalità, sia al momento della concessione che in caso di modifica del provvedimento.

Revoca e conversione del sequestro conservativo

Il sequestro conservativo può essere revocato o convertito in altre misure.

La revoca può essere richiesta dal debitore se vengono meno i presupposti della misura, dimostrando che il periculum in mora non sussiste più.

La conversione invece si verifica se il creditore ottiene una sentenza di condanna nei confronti del debitore. In questo caso la misura cautelare si trasforma automaticamente in pignoramento, consentendo al creditore di procedere all’esecuzione forzata.

 

 

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falso in atto pubblico

Falso in atto pubblico falsificare la firma del padre per l’iscrizione a scuola Scatta il reato di falso in atto pubblico, commesso dal pubblico ufficiale e dal privato, per la madre che falsifica la firma del padre a sua insaputa per iscrivere la figlia in una scuola

Falso in atto pubblico falsificare la firma

Reato di falso in atto pubblico, del pubblico ufficiale e del privato ex artt. 476 e 482 c.p., per la madre che falsifica la firma del padre per iscrivere la figlia minore presso un istituto scolastico. Così ha stabilito la quinta sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 3880/2025, rigettando il ricorso di una mamma e confermandone la condanna inflitta in appello per il delitto di cui agli artt. 476 e 482 c.p.

La vicenda

La donna aveva presentato domanda ad un istituto comprensivo apponendo la falsa sottoscrizione a nome dell’altro genitore, attestandone falsamente il consenso all’iscrizione presso il medesimo istituto della figlia minore.

Il ricorso

L’imputata proponeva ricorso per cassazione deducendo, tra l’altro, l’insussistenza del falso, atteso che il modulo con la firma apocrifa non aveva determinato la formazione di alcun atto, visto che la domanda a quell’istituto scolastico non si era mai concretizzata nella relativa iscrizione.

Lamentava inoltre la violazione dell’art. 51 c.p., non essendosi considerato che la domanda proposta costituiva l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica e in particolare dalla legge 52/2003, dovendo provvedere l’imputata all’istruzione della figlia minore.

Inammissibilità

Per gli Ermellini il ricorso, inammissibile laddove mira ad una nuova valutazione delle risultanze istruttorie o solleva questioni non rilevabili d’ufficio per al prima volta in sede di legittimità, ed infondato sule questioni di diritto prospettate, va, nel complesso, rigettato.
Inammissibile è, infatti, il primo motivo, formulato per la prima volta in Cassazione. In effetti, proseguono dal Palazzaccio, “all’affermazione contenuta nella sentenza di primo grado, secondo cui la minore era stata regolarmente iscritta all’istituto scolastico, nessuna censura risulta formulata con l’atto d’appello: sicché la richiesta in questa sede di valutare un fatto (l’assenza di iscrizione al predetto istituto) smentito, in modo incontestato, in sede di merito, è del tutto inammissibile”. Inoltre, aggiungono i giudici, è del tutto irrilevante “la frequenza, di fatto, di altro istituto scolastico, da parte della minore: ciò che non pone nel nulla la detta, ove pure iniziale e poi mutata, iscrizione all’istituto in rubrica”.

Falso documentale

Opportunamente, poi, i giudici del merito hanno richiamato quella giurisprudenza secondo cui: «In tema di falso documentale rientrano nella nozione di atto pubblico anche gli atti interni, ovvero quelli destinati ad inserirsi nel procedimento amministrativo, offrendo un contributo di conoscenza o di valutazione, nonché quelli che si collocano nel contesto di una complessa sequela procedimentale ponendosi quale necessario presupposto di momenti procedurali successivi» (Sez. 5, n. 36213 del 7/4/2015).
Nel caso di specie, la falsa sottoscrizione è stata accertata in primo grado, senza contestazione alcuna con l’atto d’appello, per quanto già detto, come funzionale all’iscrizione della figlia al detto istituto scolastico e, come tale, ha certamente acquisito valore determinante per la medesima iscrizione.

Adempimento dovere senza ricorrere al falso

Nulla di fatto neanche in ordine al quarto motivo, sulla assunta violazione dell’articolo 51 cod. pen., avendo l’imputata agito per l’adempimento di un dovere, provvedere all’istruzione della figlia minore, ritenuto infondato.
È evidente, concludono dalla S.C. rigettando il ricorso, “che il falso commesso non costituisse via obbligata, ovvero non fosse affatto l’unico modo per garantire l’istruzione alla minore: laddove solo in caso di condotta vincolata a tutela di un diritto è logico che si integri la scriminante de qua (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 34501 del 21/06/2024).

 

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rifiuto rapporti sessuali

Rifiuto rapporti sessuali: addebito del divorzio contrario alla CEDU Rifiuto rapporti sessuali: contrasta con il rispetto della vita privata ritenerlo causa di addebito del divorzio

Rifiuto rapporti sessuali nel vincolo matrimoniale

Rifiuto rapporti sessuali e addebito del divorzio. La sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 23 gennaio 2025 affronta il tema del dovere coniugale di intrattenere rapporti sessuali e dei riflessi giuridici per il coniuge che non lo rispetta. La decisione a cui giunge la Corte riconosce il diritto di ogni individuo di scegliere se avere o meno rapporti sessuali, anche all’interno del matrimonio. Il consenso, ha ribadito la Corte, è un elemento imprescindibile per la libertà sessuale e qualsiasi atto sessuale non consensuale costituisce violenza. I giudici sono chiamati a interpretare le norme sui diritti e doveri coniugali in linea con il rispetto della vita privata e della libertà sessuale di ciascun coniuge.

Rifiuto rapporti sessuali: divorzio addebitato alla moglie

La sentenza pone fine a una vicenda che vede protagonista una coppia francese in crisi matrimoniale. L’autorità giudiziaria competente addebita il divorzio alla moglie, ritenuta responsabile di aver interrotto i rapporti intimi con il marito per oltre dieci anni. La Corte d’Appello di Versailles ha ritenuto questo rifiuto una violazione grave e ripetuta dei doveri matrimoniali, rendendo intollerabile la vita comune. La donna però ha impugnato la decisione fino alla Corte di Cassazione, che ha respinto il ricorso. A quel punto, la parte soccombente ha adito la Corte Edu, affermando il suo diritto al rispetto della vita privata (articolo 8 Cedu), che la sentenza avrebbe violato.

Diritto francese: i rapporti sessuali sono un dovere coniugale

Il codice civile francese, così come quello italiano, prevede una serie di diritti e doveri derivanti dal matrimonio, tra cui la “comunione di vita”, spesso interpretata come “comunità di letto”. La giurisprudenza francese include tra i doveri coniugali anche quello di intrattenere rapporti sessuali, sanzionando la prolungata astensione dalle relazioni intime.

Vita privata comprende quella sessuale, serve consenso

La Corte Edu però ha accolto il ricorso della donna, rilevando una violazione dell’articolo 8 della Cedu da parte dell’ordinamento francese. La Corte ha sottolineato come la nozione di “vita privata” includa anche la vita sessuale e che, di conseguenza, qualsiasi ingerenza in tale ambito debba essere giustificata e proporzionata. Nel caso specifico, la Corte ha criticato l’approccio del diritto francese, che sanziona il rifiuto di rapporti sessuali all’interno del matrimonio. Un tale obbligo, secondo la Corte, è sproporzionato e contrario al principio per cui solo ragioni gravi possono giustificare ingerenze nella sfera sessuale.

La Corte ha inoltre evidenziato come il dovere coniugale, previsto dall’ordinamento francese, non tenga conto del consenso ai rapporti sessuali, elemento fondamentale per la libertà sessuale di ciascun individuo. Qualsiasi atto sessuale non consensuale, ha ricordato la Corte, costituisce violenza sessuale.

Cosa prevede l’ordinamento italiano

Anche l’ordinamento italiano, pur non prevedendo espressamente un obbligo di vita sessuale, include tale aspetto tra i doveri coniugali. Il rifiuto di intrattenere rapporti sessuali può essere sanzionato con l’addebito della separazione, come confermato da diverse sentenze della Cassazione.

Attenzione però, perché la sentenza della Corte Edu impone una nuova interpretazione delle norme che regolano i rapporti coniugali. I giudici dovranno quindi considerare la vita sessuale come un elemento importante della relazione, ma mai determinante per una pronuncia sanzionatoria nei confronti del coniuge che rifiuti il proprio consenso a rapporti sessuali.

 

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dl salva casa

DL Salva Casa: le linee guida del ministero In occasione del tavolo sulla casa, pubblicate dal MIT le linee guida sull'attuazione del DL Salva Casa

DL Salva Casa: linee guida

Sono state Pubblicate le linee guida sull’attuazione del Dl Salva Casa (dl n. 69/2024 convertito dalla l. n. 105/2024). Presentate nel corso della riunione del Tavolo sulla Casa, al MIT, le linee guida sono un importante strumento a supporto degli Enti territoriali.

Semplificazione delle regole

Il MIT ha puntato sulla semplificazione delle regole a vantaggio del cittadino (per esempio, con il silenzio assenso sulle domande edilizie entro 45 giorni); sugli sportelli unici comunali che parleranno con Sovrintendenze e Regioni, evitando che il cittadino giri troppi uffici, potendo sanare anche difformità su immobili vincolati; sulla semplificazione per recupero sottotetti e cambi di destinazione d’uso.“Da oggi – ha spiegato il ministro Salvini – milioni di italiani potranno tornare pienamente proprietari dei loro immobili, comprarli o venderli, con ricadute positive sull’economia: più immobili sul mercato, affitti e prezzi meno cari”.

I punti più importanti delle linee guida DL Salva Casa

Di seguito, alcuni dei punti più significativi delle linee guida elaborate dal MIT:

1. STATO LEGITTIMO – VERIFICA TITOLI PREGRESSI

Problematica

Prima del DL Salva Casa, chiunque avesse voluto presentare una pratica edilizia al Comune, relativa, per esempio, a una ristrutturazione o persino al semplice rinnovo degli impianti esistenti, avrebbe dovuto ricostruire lo “stato legittimo” dell’immobile, ovverosia la sua storia costruttiva, a partire dal momento della sua costruzione sino all’ultimo intervento eseguito, con notevole dispendio di tempo ed energie dovuto alla necessità di controllare, e, prima ancora, di reperire, l’intera catena dei titoli.

Soluzione DL Salva Casa

Il DL Salva Casa ha notevolmente semplificato l’iter, in quanto consente al cittadino di poter dimostrare lo stato legittimo dell’immobile ricostruendo la sua storia a partire dall’ultimo intervento eseguito, sempreché risulti che il Comune abbia già verificato la regolarità della catena di titoli precedenti.

Chiarimenti Linee guida

Per chiarire come leggere questa previsione normativa, il MIT sta definendo apposite linee interpretative di ausilio all’attuazione del DL Salva Casa, di imminente pubblicazione. Nelle linee guida sarà chiarito che la verifica dei titoli pregressi da parte degli uffici comunali potrà essere presunta qualora nella modulistica relativa all’ultimo intervento il cittadino abbia debitamente indicato gli estremi dei titoli pregressi. Viene così pienamente valorizzato il legittimo affidamento del cittadino rispetto all’operato della Pubblica amministrazione che, in occasione delle verifiche pregresse, non abbia mai rilevato motivi ostativi all’ottenimento dei titoli. Tale meccanismo potrà essere applicato sia ai titoli rilasciati dalla PA (come nel caso di un permesso di costruire), sia ai titoli formatisi in virtù di un silenzio assenso (come nel caso della SCIA).

2. UTILIZZO NUOVE PROCEDURE IN SANATORIA

Novità DL Salva Casa

Una delle novità più significative introdotte con il DL Salva Casa consiste nella possibilità di avviare procedimenti “a finalità multipla”. Infatti, la riforma, come noto, consente al cittadino di risparmiare tempo ed energie presentando al Comune un’unica istanza sia per effettuare il cambio d’uso, sia per effettuare le opere edilizie funzionali alla nuova destinazione dell’immobile. In tal caso, gli uffici comunali avvieranno, appunto, un procedimento a “finalità multipla”, all’interno del quale, per ragioni di economia procedurale, verrà contestualmente vagliata sia la legittimità dell’intervento da eseguire che del cambio d’uso richiesto. All’esito, verrà rilasciato un unico titolo abilitativo.

Chiarimenti Linee guida

Sebbene questa innovazione sia stata prevista espressamente soltanto nel quadro delle agevolazioni ai cambi di destinazione d’uso, le linee guida MIT chiariscono che è possibile attivare un procedimento “a finalità multipla” per tutti gli obiettivi di trasformazione edilizia previsti dal DL Salva Casa. A titolo esemplificativo, un cittadino potrà presentare un’unica istanza in cui, contestualmente, chiede la sanatoria di una difformità del passato e il cambio d’uso dell’immobile condizionato alla sanatoria.

3. SANATORIA PICCOLE DIFFORMITÀ

Problematica

Prima del DL Salva Casa, in moltissimi casi non sarebbe stato possibile ottenere la sanatoria di interventi realizzati su immobili sottoposti a vincolo, in ragione dei rigidi presupposti richiesti per l’accertamento della compatibilità paesaggistica regolata dal Codice dei beni culturali e del paesaggio. In particolare, non sarebbe stato possibile in nessun caso sanare difformità, anche di lieve o minima entità, nel caso in cui queste avessero comportato un aumento di volumi o di superfici.

Soluzione DL Salva Casa

Il DL Salva Casa ha posto rimedio a questa eccessiva rigidità del sistema, consentendo ai cittadini di presentare agli uffici comunali un’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica anche nell’ipotesi di aumento di volumi o superfici. In tal caso, senza che operi alcuna preclusione, verrà infatti attivato un sub-procedimento volto ad acquisire entro tempi certi (con clausola del silenzio-assenso) apposito parere sia da parte della Regione (o dall’ente delegato) che della Soprintendenza ai fini della positiva conclusione del procedimento principale di sanatoria ordinaria.

Chiarimenti Linee guida

A fronte delle segnalazioni raccolte da numerose amministrazioni comunali, che segnalano la resistenza di alcune Soprintendenze nell’attuazione delle novità del DL Salva Casa, le linee guida MIT specificano la piena operatività del meccanismo in sanatoria disciplinato nel nuovo articolo 36-bis, comma 4 del testo unico edilizia. La nuova procedura prevede che, per gli immobili vincolati, il proprietario o l’avente titolo presenti una unica istanza di sanatoria allo sportello unico edilizia del Comune, che provvederà ad inoltrare la richiesta di accertamento di compatibilità paesaggistica in sanatoria alle amministrazioni preposte anche nel caso in cui la difformità abbia determinato aumenti di volumi e superfici. Ogni fase procedimentale è scandita da tempi chiaramente individuati dalla legge e dalla regola del silenzio-assenso.

4. REGOLARIZZAZIONE VARIANTI ANTE ‘77

Problematica

Prima del DL Salva Casa era difficile, se non impossibile, sanare le difformità, realizzate nella costruzione degli immobili realizzati prima del 30 gennaio 1977, anche se di modesta entità. La disciplina applicabile prima del 30 gennaio 1977 – data di entrata in vigore della cd. legge Bucalossi, che ha subordinato il diritto a costruire ad un titolo edilizio rilasciato dall’amministrazione comunale a fronte del pagamento di un corrispettivo – non prevedeva, infatti, alcuna procedura per l’approvazione delle varianti in corso d’opera. Si ricorda che gli immobili ante ‘77 coprono una percentuale significativa del patrimonio edilizio nazionale.

Novità DL Salva Casa

Il DL Salva Casa consente al cittadino di accedere a una speciale procedura di regolarizzazione delle parziali difformità compiute nel corso dei lavori attinenti a un titolo rilasciato prima del 30 gennaio 1977. Il cittadino viene così posto nelle condizioni di riportare in maniera agevole nell’alveo della legalità interventi risalenti, per i quali era prassi non presentare varianti in corso d’opera, non essendo prevista una procedura per effettuarle. Basterà, infatti, presentare una SCIA in sanatoria e provvedere al pagamento della relativa sanzione.

Chiarimenti Linee guida

Per chiarire quali sono i casi per i quali è possibile accedere a questa procedura, le linee guida del MIT specificano che è sufficiente che le varianti da regolarizzare siano state eseguite nell’ambito dei lavori riconducibili ad un titolo rilasciato prima del 30 gennaio 1977, anche se le stesse siano state realizzate in data successiva.

Le citate linee guida intervengono poi sugli aspetti di maggiore semplificazione, ravvisabili sia dal lato dei controlli, sia dal lato del trattamento sanzionatorio: per quanto riguarda il primo aspetto, viene definitamente chiarito che gli uffici comunali, diversamente da quanto accade nelle ordinarie pratiche di sanatoria, non sono chiamati ad effettuare alcuna verifica in ordine alla conformità della variante rispetto alla disciplina urbanistica ed edilizia; per quanto riguarda, invece, il secondo aspetto, viene chiarito che il cittadino sarà soggetto a una sanzione compresa tra i 1.032 e i 10.328 euro e, quindi, al trattamento sanzionatorio di maggior favore già previsto per l’accertamento di conformità degli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla SCIA edilizia.

5. TOLLERANZE E IMMOBILI

Novità DL Salva Casa

Il DL Salva Casa, con l’intento di ricondurre nell’alveo della legalità irregolarità di minima entità esclusivamente dovute ai limiti insiti nelle tecniche costruttive utilizzate in passato, ha ampliato il perimetro delle tolleranze costruttive ante 24 maggio 2024, stabilendo che, a determinate condizioni, scostamenti superiori al 2% rispetto alle misure progettuali non costituiscono violazione edilizia né, in caso di immobile sottoposto a vincolo, necessitano di autorizzazione paesaggistica.

Chiarimenti Linee guida

Le linee guida MIT precisano – come esplicitamente previsto dal DL Salva casa – che le tolleranze calcolate sulle nuove soglie (dal 2 al 6%, a seconda della superficie dell’unità immobiliare) possono essere fatte valere anche su immobili vincolati.

6. SANZIONI APPLICABILI PROCEDURE IN SANATORIA

Novità DL Salva Casa

Il DL Salva Casa subordina l’efficacia della SCIA in sanatoria per la regolarizzazione delle parziali difformità e delle variazioni essenziali al pagamento di un importo pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile valutato dall’Agenzia delle entrate e comunque compreso tra i 1.032 e i 10.328 euro se l’intervento risponde alla doppia conformità “attenuata” e tra i 516 e i 5.164 euro se l’intervento risponde invece alla doppia conformità “tradizionale”.

Chiarimenti Linee guida

Le linee guida MIT forniscono criteri metodologici orientativi a favore dei Comuni per la corretta determinazione delle sanzioni in esame, invitandoli a fare riferimento alle prassi applicative già in uso prima dell’entrata in vigore del DL Salva Casa.

Nel caso in cui il Comune ritenga che l’intervento non abbia determinato un aumento del valore venale dell’immobile, potrà essere applicata direttamente una sanzione pari alle soglie minime edittali, senza la necessità di coinvolgere gli uffici dell’Agenzia delle entrate.

Negli altri casi, viceversa, si specifica che le sanzioni – secondo quanto previsto dalla nuova modulistica in corso di adozione – saranno corrisposte in due fasi: una prima parte della sanzione al momento della presentazione dell’istanza di SCIA in sanatoria; il conguaglio all’esito della quantificazione dell’incremento del valore venale da parte dell’Agenzia delle entrate.

7. MUTAMENTO DELLA DESTINAZIONE D’USO

Problematica

Prima del DL Salva Casa, chiunque avesse voluto usare, per qualsiasi ragione, il proprio immobile per scopi diversi da quelli fino ad allora prescelti, per esempio passando da una destinazione residenziale a una turistico-ricettiva, avrebbe dovuto fronteggiare tutte le difficoltà che, come noto, contraddistinguono un contesto normativo frammentato. Il cittadino avrebbe dovuto orientarsi, quindi, nei meandri di una disciplina urbanistico-edilizia stratificatasi nel tempo, attenzionando con la dovuta cautela le condizioni, le limitazioni e i divieti di volta in volta eventualmente previsti dalle normative regionali e dagli strumenti di pianificazione urbanistica comunale.

Soluzione DL Salva Casa

Il DL Salva Casa ha notevolmente semplificato queste verifiche, introducendo disposizioni di principio volte a ritenere sempre ammissibile il mutamento di destinazione d’uso tra le categorie funzionali più affini (residenziale, turistico-ricettiva, produttiva-direzionale e commerciale), ferma restando la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni

Chiarimenti Linee guida

Per chiarire come dare attuazione a questa previsione, le linee interpretative di ausilio all’attuazione del DL Salva Casa predisposte dal MIT chiariscono che queste condizioni devono essere specificamente individuate dai Comuni, tenuto conto anche di quanto già previsto negli strumenti urbanistici comunali, mediante apposite determinazioni adottate dopo l’entrata in vigore del DL Salva Casa. L’obiettivo è evitare qualsiasi margine di ambiguità in merito alle condizioni richieste dai Comuni per i mutamenti di destinazione d’uso, evitando che tali condizioni possano essere derivate implicitamente da strumenti urbanistici approvati prima del DL Salva Casa, come tali non coerenti con la semplificazione operata dalla riforma.

8. MUTAMENTO DESTINAZIONE D’USO – ONERI URBANISTICI

Problematica

Prima del DL Salva Casa, il cittadino che avesse voluto modificare in maniera incisiva l’uso fatto del proprio immobile, passando, per esempio, da una destinazione residenziale a una commerciale, avrebbe dovuto pagare un importo, anche rilevante, a titolo di contributo per gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria. Non solo. Il Comune avrebbe anche potuto chiedere di cedere o di reperire, acquistandole a prezzo di mercato, aree per la realizzazione di opere pubbliche, da destinare per esempio a parcheggi, o, in alternativa, di pagare un’ulteriore somma di denaro (cd. “monetizzazione”), sempreché tale ultima possibilità fosse prevista dalla legge regionale.

Soluzione DL Salva Casa

Il DL Salva Casa, venendo incontro a coloro i quali intendano usare il proprio immobile in modo diverso rispetto al passato nell’ambito delle categorie funzionali più affini (residenziale, turistico-ricettiva, produttiva-direzionale e commerciale), ha escluso l’obbligo di reperire aree da cedere al Comune per la realizzazione di servizi di interesse generale o di parcheggi, confermando invece l’obbligo di corrispondere, se previsto, il contributo per gli oneri di urbanizzazione secondaria.

Chiarimenti Linee guida

Per chiarire ulteriormente cosa al cittadino spetti o non spetti pagare, le linee guida di prossima pubblicazione specificano che nemmeno è dovuto il contributo per gli oneri di urbanizzazione primaria, il cui pagamento, in un contesto già urbanizzato e quindi già dotato, per esempio, di strade residenziali, illuminazione e fognature, si  risolverebbe in una mera duplicazione di costi a carico del richiedente, senza alcun vantaggio correlato. Come ulteriore ausilio, il cittadino viene informato che l’esonero dal reperimento delle aree e dal pagamento degli oneri di urbanizzazione primaria opera anche in presenza di disposizioni comunali contrarie.

9. SOTTOTETTI

Problematica

Già prima dell’entrata in vigore del DL Salva Casa, molte Regioni si sono dotate di normative finalizzate a consentire il recupero dei sottotetti a fini abitativi. Tenuto conto degli effetti positivi registratisi in termini di ampliamento dell’offerta abitativa e di contrasto al consumo di nuovo suolo, si è ritenuto opportuno incentivare il ricorso allo strumento, mediante misure di semplificazione.

Soluzione DL Salva Casa

Sul punto, il DL Salva Casa ha introdotto una deroga in materia di distanze, consentendo l’intervento di recupero del sottotetto anche in quei casi in cui non sia possibile rispettare le distanze minime tra gli edifici e dai confini, come accade, ad esempio, all’interno di contesti già totalmente urbanizzati. Il cittadino, per avvalersi di questa semplificazione, dovrà tuttavia mantenere inalterata la distanza preesistente e non potrà né alterare la forma e la superficie del sottotetto, né sopraelevare, fatto salvo il caso in cui sia autorizzato ad apportare tali modifiche dalla legge regionale.

Pertanto, a titolo esemplificativo, ci si potrà avvalere della deroga in materia di distanze nel caso in cui l’intervento di recupero consista in un mero cambio d’uso con opere interne al sottotetto ovvero in una ristrutturazione della copertura comportante esclusivamente una rotazione delle falde, ma non nel caso in cui l’intervento comporti anche la sopraelevazione della gronda.

Chiarimenti Linee guida

Le linee guida MIT rimarcano come le semplificazioni introdotte dalla riforma potranno operare in tutte quelle regioni che sono già intervenute o interverranno in futuro con proprie disposizioni a regolare gli interventi di recupero dei sottotetti, anche se la disciplina regionale prevede solo una regolazione parziale degli interventi in esame.

sfratto per morosità

Sfratto per morosità: guida e modello Cos’è lo sfratto per morosità, come è disciplinato qual è la procedura che consente al locatore di recuperare l’immobile e modello di sfratto

Cos’è lo sfratto per morosità

Lo sfratto per morosità, disciplinato dall’articolo 658 del codice di procedura civile (c.p.c), è una procedura legale che consente al locatore di recuperare l’immobile concesso in locazione qualora il conduttore non paghi i canoni pattuiti. Si tratta di uno strumento rapido e diretto, pensato per tutelare i proprietari di immobili.

Lo sfratto per morosità è un procedimento giudiziario che il locatore può avviare nei confronti del conduttore inadempiente. La morosità si verifica quando l’inquilino non paga il canone di locazione o le spese accessorie previste dal contratto, rendendo possibile il ricorso a questo rimedio per ottenere il rilascio dell’immobile.

Quando si può sfrattare l’inquilino moroso?

Il locatore può richiedere lo sfratto per morosità quando:

  • l’inquilino non paga uno o più canoni di locazione: il ritardo o l’omissione dei pagamenti costituisce morosità, salvo diverse previsioni contrattuali;
  • non vengono versate le spese condominiali o accessorie se specificatamente previste nel contratto.

In genere, il contratto di locazione stabilisce un termine massimo di ritardo tollerabile prima di considerare il conduttore inadempiente.

Chi può agire per lo sfratto?

Lo sfratto per morosità può essere richiesto:

  • dal proprietario dell’immobile;
  • dall’usufruttuario o titolare di altri diritti reali di godimento;
  • dal procuratore legale autorizzato ad agire in nome e per conto del locatore.

Cosa può fare l’inquilino intimato?

Il conduttore che riceve l’intimazione di sfratto ha diverse possibilità.

  • Contestare il provvedimento dimostrando, ad esempio, di aver pagato i canoni richiesti o sollevando altre eccezioni.
  • Sanare la morosità, ossia pagare tutte le somme dovute (canoni arretrati, interessi e spese legali) prima dell’udienza, evitando lo sfratto.
  • Rilasciare spontaneamente limmobile per evitare di dover sostenere ulteriori costi giudiziari e procedurali.

La convalida dello sfratto

L’articolo 658 CPC prevede che, in assenza di opposizione da parte del conduttore, il giudice possa emettere un provvedimento di convalida dello sfratto.

Questo provvedimento ha la stessa efficacia di una sentenza e consente al locatore di avviare l’esecuzione forzata per ottenere il rilascio dell’immobile.

Esecuzione dello sfratto

Se il conduttore non lascia spontaneamente l’immobile, il locatore può procedere con l’esecuzione forzata, che prevede determinati passaggi

Prima di tutto il locatore deve chiedere al giudice un titolo esecutivo per la liberazione dell’immobile.

In seguito interviene  l’ufficiale giudiziario, per notificare al conduttore l’avviso di rilascio.

Per ottenere infine il rilascio dell’immobile da parte del conduttore, l’ufficiale giudiziario può avvalersi della forza pubblica, se il conduttore non collabora e si oppone al provvedimento.

Giurisprudenza sullo sfratto per morosità

Di seguito alcune massime della Cassazione sullo sfratto per morosità:

  • Cassazione civile n. 17582/2015: nel procedimento di sfratto per morosità, la conferma da parte del locatore della persistenza della morosità è requisito essenziale per la convalida.
  • Cassazione civile n. 3629/2018: dopo la convalida di sfratto, l’assenza dell’intimato o del suo difensore per forza maggiore può derivare da un malore, se improvviso e imprevedibile. Il giudice, con valutazione di fatto insindacabile se motivata, deve accertare il nesso tra la malattia e la mancata comparizione.
  • Cassazione civile sez. un. n. 25478/2021: se un’esecuzione forzata si basa su un titolo giudiziale non definitivo poi annullato, l’opposizione va dichiarata con provvedimento di cessata materia del contendere. Le spese sono assegnate secondo la soccombenza virtuale, valutata sui motivi iniziali dell’opposizione.

Modello di intimazione di sfratto per morosità

Ecco un esempio pratico di atto di intimazione:

Tribunale di [Luogo]
Atto di intimazione di sfratto per morosità e contestuale citazione per convalida

Il Sig./La Sig.ra [Nome e Cognome del Locatore], residente in [Indirizzo], rappresentato/a e difeso/a dall’Avv. [Nome e Cognome], con studio in [Indirizzo], espone quanto segue:

Premesso che:

  1. In data [data], le parti hanno stipulato un contratto di locazione per l’immobile sito in [indirizzo], registrato presso [Ufficio].
  2. Il conduttore, Sig./Sig.ra [Nome e Cognome], ha omesso il pagamento dei canoni di locazione per i mesi di [elenco mesi] per un importo complessivo di € [importo], oltre alle spese accessorie pari a € [importo].

Chiede:

  1. Di intimare al Sig./Sig.ra [Nome del Conduttore] di rilasciare l’immobile entro [data].
  2. Di fissare udienza per la convalida dello sfratto.
  3. Di condannare il conduttore al pagamento delle somme arretrate, oltre interessi e spese legali.

Data e luogo,
Il Locatore
[Firma]

 

 

Leggi anche: Morosità incolpevole: cos’è e come funziona il fondo

reato di minaccia

Reato di minaccia (612 c.p.) Il reato di minaccia (612 c.p.) si configura qualora un soggetto minacci un altro di un danno ingiusto, se aggravato è punito con la reclusione

Reato di minaccia: cos’è

Il reato di minaccia è contemplato dall’art. 612 del codice penale. Esso si configura quando un soggetto minaccia un altro soggetto di cagionargli un danno ingiusto. La norma tutela la libertà morale e psichica contro ogni tipo di condotta in grado di creare un turbamento derivante dal prospettare un male ingiusto alla vittima. Il danno minacciato può consistere in una lesione o nella sola messa in pericolo di un interesse che ha rilievo giuridico. L’ingiustizia del danno si riferisce ai danni che vengono cagionati da condotte illecite.

Il reato di minaccia è definito “di pericolo” perché non richiede il verificarsi di un evento, è sufficiente che il male venga  prospettato e che questo induca nella vittima il timore che il danno minacciato si potrebbe effettivamente verificare.

Procedibilità del reato di minaccia

Il reato di minaccia è punibile a querela della persona offesa.

Si procede d’ufficio se:

  • la minaccia si realizza in uno dei modi contemplati dall’articolo 339 del codice penale;
  • la minaccia è grave e ricorrono circostanze aggravanti con effetto speciale diverse dalla recidiva;
  • la persona offesa è incapace per età o per infermità.

Minaccia aggravata: art. 339 c.p.

La minaccia è aggravata se il soggetto agente la commette:

  • durante manifestazioni che si svolgono in un luogo pubblico o aperto al pubblico;
  • con l’uso delle armi;
  • da un soggetto dal volto coperto;
  • da più soggetti riuniti;
  • con uno scritto anonimo;
  • ricorrendo alla forza intimidatorie di associazioni segrete, esistenti o anche solo supposte;
  • lanciando o utilizzando corpi contundenti o altri oggetti idonei a offendere come i fuochi d’artificio, tutti oggetti che creano situazioni di pericolo per le persone.

Elemento soggettivo

Per integrare il delitto di minaccia la legge richiede che il soggetto agisca con dolo generico ossia con la coscienza e la volontà di minacciare un altro soggetto di un danno ingiusto.

Come è punito il reato di minaccia

Il reato di minaccia viene punito con una multa che può arrivare fino a 1.032,00 euro.

Se la minaccia è grave o è commessa nei modi previsti dall’articolo 339 c.p il reato è punito con la pena della reclusione fino a un anno.

Minaccia: rapporto con altri reati

Il reato di minaccia può essere confuso con altri reati contro la persona, ma può anche rappresentare una componente di altre condotte illecite complesse. La Cassazione nel tempo ha fornito importanti chiarimenti al riguardo.

Minaccia in concorso con violenza privata

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 50702/2019 ha chiarito che: “il reato di violenza privata si distingue dal reato di minaccia per la coartata attuazione da parte del soggetto passivo di un contegno (commissivo od omissivo) che egli non avrebbe assunto, ovvero per la coartata sopportazione di una altrui condotta che egli non avrebbe tollerato. Ne consegue che i due reati, pur promossi da un comune atteggiamento minatorio, dando luogo ad eventi giuridici di diversa natura e valenza, concorrono tra loro.”

Minacce assorbite dal reato di maltrattamenti in famiglia

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 17599/2021 ha precisato che il reato di maltrattamenti in famiglia assorbe il delitto di minaccia previsto dall’art. 612 c.p. purché le minacce rivolte alla persona offesa non siano il risultato di una condotta criminosa autonoma e indipendente, ma costituiscano una delle condotte per mezzo delle quali si mette in atto il reato di maltrattamenti.

Minacce assorbite o in concorso con il reato di stalking

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 12720/2020 ha sancito che il delitto di minaccia contemplato dall’art. 612 c.p. è assorbito da quello di atti persecutori disciplinato dall’art. 612 bis c.p a condizione che le minacce vengano poste in essere nello stesso contesto temporale e fattuale che integrano lo stalking. Qualora invece le minacce risalgano a un periodo anteriore all’inizio degli atti persecutori allora le minacce concorrono con il reato di stalking.

 

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apprendistato duale

Apprendistato duale: i chiarimenti Inps Apprendistato duale: regime contributivo e retributivo della trasformazione dell’apprendistato di primo livello in alta formazione e ricerca

Apprendistato duale: le novità del Collegato Lavoro

Il messaggio INPS n. 285 del 24 gennaio 2025 illustra le nuove disposizioni sull’apprendistato duale. La legge n. 203/2024, meglio nota come “Collegato Lavoro”  ha infatti modificato l’articolo 43 del decreto legislativo n. 81/2015, permettendo la trasformazione dell’apprendistato di primo livello in apprendistato di alta formazione e ricerca.

Come precisato nel messaggio il contratto di apprendistato di alta formazione è valido per tutti i settori, pubblici e privati. Possono accedervi giovani tra i 18 e i 29 anni con diploma di istruzione secondaria superiore o diploma professionale integrato da una specializzazione tecnica superiore.

La trasformazione del contratto consente di proseguire la formazione per ottenere titoli di studio avanzati. Tra questi, figurano lauree, dottorati, diplomi ITS e praticantati per l’accesso alle professioni ordinistiche. Il contratto resta in continuità con il precedente rapporto di apprendistato.

Sottoscrizione protocollo con ente di formazione

Il datore di lavoro deve sottoscrivere un protocollo con l’ente formativo o di ricerca. Questo accordo definisce durata e modalità della formazione, anche quella a carico dell’azienda. La formazione esterna deve avvenire presso l’istituto di istruzione tecnica superiore frequentato dall’apprendista e non deve superare il 60% dell’orario previsto.

La retribuzione dell’apprendista segue le stesse regole previste per l’apprendistato di primo livello. La regolamentazione della formazione e la durata del periodo di apprendistato dipendono dalle Regioni e dalle Province autonome. In caso di assenza di regolamenti regionali, si applicano le disposizioni nazionali.

Apprendistato duale: trattamento contributivo

Dal punto di vista contributivo se il contratto  di apprendistato viene trasformato in apprendistato di apprendistato di alata formazione e ricerca, il datore di lavoro deve versare un’aliquota del 10% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali. Deve inoltre pagare la contribuzione NASpI (1,31%) e il contributo per la formazione continua (0,30%).

Le aziende soggette a CIGO/CIGS e ai Fondi di solidarietà bilaterali devono versare ulteriori contributi previsti per questi regimi.

 

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