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Donazione: i vantaggi Meglio la donazione o la successione? La donazione, rispetto al testamento o alla successione legale, presenta diversi vantaggi, vediamo quali

Donazione o testamento

Quando i genitori iniziano ad essere anziani capita che si chiedano se sia meglio fare un testamento per disporre dei loro beni per il momento in cui non ci saranno più o se sia meglio fare delle donazioni in favore dei loro successori. Cerchiamo di capire quale, tra i due istituti, presenta i maggiori vantaggi legali e fiscali.

Donazione e testamento: quale presenta i maggiori vantaggi fiscali

E’ bene sapere che sia la donazione che il testamento sono esenti dal pagamento dell’imposta di successione o di donazione nelle seguenti ipotesi:

  • il valore del bene non supera 1 milione di euro se l’avvicendamento nella titolarità del bene avviene tra coniugi, tra ascendenti e discendenti in linea retta, quindi tra genitori e figli, tra nonni e nipoti, ecc.;
  • il valore del bene non supera 1,5 milioni di euro e il beneficiario è un soggetto affetto da disabilità;
  • il valore del bene non supera i 100.000 euro e lo scambio si verifica tra fratelli e sorelle.

L’imposta viene invece applicata nei seguenti casi:

  • il valore del bene supera 1 milione di euro: l’aliquota del 4% viene applicata sull’importo eccedente;
  • il valore del bene che passa a un beneficiario portatore di handicap supera 1,5 milione di euro: l’aliquota del 4% viene calcolata sull’importo eccedente;
  • il valore del bene che passa tra fratelli e sorelle supera i 100.000 euro: l’aliquota del 6% viene applicata sull’importo eccedente.

L’imposta viene invece applicata senza franchigia nei seguenti casi:

  • se la successione o la donazione avvengono in favore dei parenti fino al quarto grado o agli affini fino al terzo grado l’aliquota d’imposta è le 6%;
  • se invece successione o donazione vengono effettuate in favore di altri soggetti l’aliquota sale all’8%.

Successione o donazione di un bene immobile

I beni che più di frequente sono oggetto di successione inter vivo o mortis causa sono i beni immobili. In questo caso la legge prevede il pagamento.

  • dell’imposta di registro;
  • dell’imposta ipotecaria;
  • dell’imposta catastale.

Chi riceve un bene immobile in virtù di una donazione o di una successione può beneficare del bonus prima casa. In questo caso però il soggetto che riceve l’immobile se non ha la proprietà o altro diritto reale di altri beni immobili nello stesso comune e se non beneficia già del bonus in un altro Comune, deve assumersi l’impegno di trasferire la sua residenza nello stesso Comune in cui è sito l’immobile entro il termine di 18 mesi.

Alcuni problemi possono insorgere quando l’immobile viene trasferito per causa morte a più coeredi. In questo caso essi potranno optare per una delle seguenti opzioni:

  • procedere alla divisione materiale del bene, se possibile;
  • assegnare l’intero bene a uno degli eredi, con successiva liquidazione delle quote agli altri coeredi;
  • vendere il bene e dividere il ricavato tra tutti gli eredi nel rispetto delle quote di ciascuno.

I vantaggi della donazione

Non è infrequente che quando c’è un immobile da dividere tra i coeredi si rimetta la decisione della divisione a un Tribunale. Questo però comporta una notevole perdita di tempo e di denaro. Per cui, se il testatore non abbia disposto l’assegnazione dell’immobile tramite l’istituto del legato, senza ledere le quote della legittima, la donazione rappresenta la scelta migliore.

Chi riceve un immobile per donazione infatti acquisisce la proprietà intera dell’immobile senza doversi preoccupare della comunione ereditaria e della successiva procedura di divisione.

Un vantaggio ulteriore della donazione è rappresentato dal diritto agli alimenti che viene garantito  al donante. Nel caso in cui il donante si dovesse trovare in una situazione di disagio economico il donatario ha diritto a percepire gli alimenti dal donatario.Lo stabilisce l’articolo 437 c.c, che così dispone: “Il donatario è tenuto, con precedenza su ogni altro obbligato, a prestare gli alimenti al donante, a meno che si tratti  di  donazione fatta in riguardo di un matrimonio o di una donazione rimuneratoria”.  

C’è poi un ulteriore aspetto da considerare, e che rappresenta un vantaggio notevole per chi riceve uno o più beni tramite l’istituto della donazione, ossia la possibilità di poter disporre subito del bene o dei beni senza dover attendere la morte del donante.

amministratore ad acta

Amministratore ad acta: può essere nominato lo stesso amministratore In caso di pericolo incombente può essere conferito l'incarico di amministratore ad acta all'amministratore in carica

Amministratore ad acta

Nel caso di pericolo incombente può essere  conferito all’amministratore ad acta l’incarico:

  • di eseguire anche tramite l’ausilio di un tecnico di fiducia l’analisi generale delle strutture comuni al fine di individuare con certezza le cause dei fenomeni infiltrativi;
  • elaborare un intervento strutturale immediato a soluzione dei diffusi fenomeni di degrado;
  • redigere un piano programmatico un progetto esecutivo un computo metrico di tutti gli interventi necessari per la risoluzione delle problematiche;
  • procedere all’individuazione della ditta appaltatrice e commissionare i lavori di cui al computo metrico;
  • provvedere a riscuotere il pagamento per i suddetti lavori pro quota a carico dei singoli condomini come da successivo piano di riparto.

Questo è quanto statuito dal Tribunale di Napoli nell’ambito del procedimento V.G. 4604/2023, conclusosi con il decreto di accoglimento n. 169/2023.

Incarico all’amministratore condominiale in carica

La circostanza che assume interesse primario nella vicenda che ci occupa è che il Tribunale ha deciso di affidare l’incarico per la gestione della problematica indifferibile di cui sopra proprio all’amministratore già in carica per la gestione ordinaria ritenendo che lo stesso fosse già a conoscenza della annosa questione.

Ed invero, era proprio su ricorso dell’amministratore p.t. che veniva adito il Tribunale deducendo che vi era una situazione di pericolo incombente a beni comuni quali l’area cortilizia del fabbricato (a cui era sottoposta una ampia area-garage) ed alle fondamenta dell’edificio che cagionava, a cascata, problematiche infiltrative anche alle unità immobiliari private. Entrambe le problematiche di sicurezza e stabilità erano già state sollevate dall’amministratore che opportunamente convocava più assemblee sul punto ma, nonostante il parere di due differenti tecnici strutturisti incaricati dal Condominio, l’assemblea non deliberava l’appalto delle predette opere straordinarie, probabilmente perché particolarmente costose (circa 900.000 euro di lavorazioni). Né appariva più possibile per l’amministratore procedere con interventi – tampone, atteso che proprio i tecnici incaricati relazionavano circa la necessità ed urgenza di interventi di più ampia portata.

Incarico all’amministratore pro-tempore

Il Tribunale partenopeo, contrariamente alle fattispecie in cui si richiede la nomina dell’amministratore per la gestione ordinaria, onerava comunque il ricorrente della notifica del ricorso e del decreto a tutti i condomini (quali potenziali controinteressati) ma nessuno si costituiva e veniva dunque affidato l’incarico di commissario ad acta proprio all’amministratore pro-tempore.

incidente cane randagio

Incidente con cane randagio: Asl sempre responsabile La Cassazione rammenta che l’obbligo di prevenzione del randagismo grava per legge sull’ASL e non è assolto delegando, in base ad una convenzione, i propri compiti ad altro soggetto

Responsabilità sinistro con cane randagio

Il caso in esame prendeva avvio dalla causa avviata da un automobilista nei confronti dell’ASL, nell’ambito della quale lo stesso aveva rappresentato che, per evitare l’investimento di un cane randagio che improvvisamente aveva attraversato la strada, era andato finire contro un muro di sostegno provocando danni alla vettura e riportando ferite gravi che gli avevano causato un’invalidità del 15%.

Il giudizio di merito si era concluso con la decisione della Corte d’appello di Napoli con cui la ASL ed il Comune di Vitulano, chiamato in causa dalla ASL, venivano condannati in solido al risarcimento dei danni subiti dai danneggiati.

Avverso tale provvedimento, il Comune di Vitulano aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.

L’obbligo grava per legge sulla ASL

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 15244-2024, ha rigettato il ricorso proposto dal Comune di Vitulano.

Nella specie, il Comune aveva sostenuto che “l’unica responsabile della prevenzione del randagismo e dunque della cattura degli animali randagi, deve ritenersi l’azienda sanitaria locale, con esclusione dunque di ogni responsabilità in capo ai comuni”.

Con ricorso incidentale, invece, l’ASL aveva rilevato che, poiché aveva delegato (con la sottoscrizione di una convenzione) l’attività di prevenzione del randagismo al Comune, difettasse una responsabilità a proprio carico.

In relazione alle suddette posizioni, la Corte ha affermato che “L’obbligo grava per legge regionale sulla ASL, e non si può dire che venga assolto semplicemente delegando, in base ad una convenzione, i propri compiti ad altri: la convenzione vale tra le parti che la stipulano, e non verso i terzi, nei confronti dei quali la legge istituisce come obbligata la ASL. E dunque la ASL resta il soggetto obbligato, salvi i suoi diritti contrattuali verso il soggetto che si era impegnato nei suoi confronti”.

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compensi avvocato

Compensi avvocato: vale il domicilio del cliente comunitario Per le Sezioni Unite della Cassazione, se il cliente consumatore eccepisce la carenza di giurisdizione del giudice adito, invocando il domicilio in altro Stato membro, il giudice deve esaminare la propria competenza internazionale in base agli elementi di prova

Foro per la richiesta di pagamento del compenso avvocati

Nel caso in esame, gli avvocati avevano convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Bolzano la loro cliente, una cittadina tedesca, per la richiesta di pagamento nei suoi confronti del compenso professionale agli stessi spettante in ragione dell’attività difensiva svolta in suo favore in sede civile e penale a seguito di un sinistro verificatosi su una pista da sci.

Il giudizio di merito si era concluso con l’individuazione della giurisdizione in capo al giudice italiano per la decisione della suddetta controversia.

Avverso tale decisione la cittadina tedesca aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di cassazione.

La qualità di consumatore del cliente

La Corte di cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n. 15364-2024, ha accolto, per quanto qui rileva, il ricorso proposto dalla cliente e ha cassato senza rinvio la sentenza impugnata.

In particolare, la Corte ha ripercorso la giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, affermando che “ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 206 del 2005, nei rapporti tra avvocato e cliente quest’ultimo rivesta la qualità di consumatore”; rispetto a tale previsione normativa, la Corte ha tuttavia precisato che la stessa non comporta, ai fini dell’individuazione del giudice al quale spetta la giurisdizione sulle relative controversie, l’automatica applicabilità della regola secondo cui il giudice cui rivolgersi è quello della Stato in cui è domiciliato il consumatore. Da qui deriva, pertanto, l’esigenza d’individuare, sulla base della disciplina di riferimento, il giudice dotato della giurisdizione in relazione al caso specifico.

La Suprema Corte, dopo aver ripercorso il quadro normativo di riferimento, nonché la giurisprudenza europea formatasi sull’argomento, ha affermato il seguente principio di diritto “Qualora un consumatore, convenuto in giudizio da un professionista, si sia costituito in giudizio ed abbia eccepito tempestivamente la carenza di giurisdizione del giudice adito invocando la sua qualità di consumatore ed il suo domicilio in altro Stato membro, non è necessario che egli deduca espressamente ed immediatamente nelle sue difese l’eccezione relativa al fatto “che le attività del professionista siano dirette, con qualsiasi mezzo, presso lo Stato del suo domicilio” di cui all’art. 17 comma 1 lett. c) Reg. UE 1215/2012, dovendo il giudice esaminare la propria competenza internazionale in base agli elementi di prova risultanti oggettivamente dal fascicolo, ivi incluse le prove costituende, che devono essere ammesse, onde assicurare una verifica circa la ricorrenza degli elementi che fondano la competenza in favore della giurisdizione del luogo di domicilio del consumatore”.

Ciò posto ed in relazione al caso di specie, la Corte ha proseguito il proprio esame, rilevando che dalla missiva indirizzata alla ricorrente dai professionisti, “si ricava che il loro numero di telefono risulta sempre preceduto dal prefisso internazionale, e che la sigla ‘I’ precede il codice di avviamento postale”. Quanto al contenuto della missiva, poi, “nella stessa si riferisce che i mittenti rappresentano “…. alcune migliaia di clienti in Italia, quasi tutti provenienti dalla Germania.”. Tali elementi non erano stati presi in considerazione dalla sentenza impugnata la quale si era limitata a ritenere insussistente la contestazione formulata dalla cliente sulla base di un’erronea lettura dell’art. 345 c.p.c.

Giurisdizione del cliente comunitario

Infine, la Corte ha evidenziato che “il solo contenuto della citata missiva del 7/2/2011, con il riferimento all’elevato numero di clienti provenienti dalla Germania, offre la prova tranquillamente dell’indirizzamento all’estero dell’attività dei professionisti, e consente, unitamente agli altri elementi indiziari, di affermare la giurisdizione del giudice tedesco”.

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irregolarità contributiva

Pensioni: si può sempre agire per recuperare contributi non versati Per la Cassazione, il lavoratore vanta un diritto soggettivo alla integrità contributiva e al regolare versamento dei contributi versati

Irregolarità contributiva

La Cassazione, con l’ordinanza n. 11730-2024, ha stabilito che ogni lavoratore ha sempre un interesse attuale e concreto a il conseguente diritto di agire in giudizio contro il proprio datore di lavoro per ottenere l’accertamento e la successiva regolarizzazione dei contributi non versati. Non occorre dimostrare un danno previdenziale concreto in grado di ripercuotersi sul futuro trattamento pensionistico. La decisione  rappresenta un importante passo avanti nella tutela dei diritti dei lavoratori perché con l’affermazione di questo principio viene rafforzata la protezione giuridica dei lavoratori contro le irregolarità contributive dei datori di lavoro.

Richiesta di adeguamento della posizione contributiva

La decisione della Cassazione è stata presa perché un lavoratore, socio e dipendente di una cooperativa, aveva chiesto al Tribunale il riconoscimento delle differenze retributive maturate per aver svolto ore di lavoro aggiuntive rispetto al contratto. Nel caso di specie il lavoratore, regolarizzato con un contratto part- time, aveva affermato di svolgere di fatto un’attività lavorativa a tempo pieno. La Corte d’Appello aveva rigettato la domanda, sostenendo che il lavoratore non avesse legittimazione ad agire. Non c’era infatti un pregiudizio concreto e attuale alla sua posizione previdenziale. Il lavoratore aveva quindi presentato ricorso in Cassazione.

Irregolarità contributiva: il lavoratore può agire a prescindere dal danno

La Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore e ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello. Secondo i giudici, il lavoratore ha il diritto di agire contro il proprio datore di lavoro per ottenere la regolarizzazione della sua posizione contributiva, anche in assenza di un danno concreto alla sua prestazione previdenziale.

Il diritto del lavoratore a tutelare la propria posizione contributiva è basato su un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità. Questo diritto esiste indipendentemente dal raggiungimento dell’età pensionabile e dal verificarsi di un danno concreto. La tutela della posizione contributiva è infatti un diritto costituzionale sancito dallart. 38 della Costituzione Italiana, che prevede che “i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.

La Suprema Corte ha quindi individuato due strumenti principali di tutela per il lavoratore:

  • l’azione di condanna al risarcimento del danno di cui all’art. 2116 del Codice Civile, ai sensi del quale, le prestazioni previdenziali obbligatorie sono dovute al lavoratore anche se il datore di lavoro ha omesso di versare i contributi. Se gli istituti di previdenza non possono corrispondere le prestazioni previste a causa delle irregolarità contributive, il datore di lavoro è tenuto a risarcire il danno causato dalla sua condotta omissiva;
  • l’azione di accertamento dell’omissione contributiva volta a riconoscere il comportamento irregolare e potenzialmente dannoso del datore di lavoro. Questo strumento può prevenire danni futuri e garantire la regolarizzazione dei contributi non versati.

La Cassazione, nel disporre la cassazione della decisione impugnata e il conseguente rinvio alla Corte di Appello per un nuovo esame, pronuncia il seguente principio di diritto: “Il lavoratore, a tutela del proprio diritto allintegrità della posizione contributiva, ha sempre linteresse ad agire, sul piano contrattuale, nei confronti del datore di lavoro, per laccertamento della debenza dei contributi omessi in conseguenza delleffettivo lavoro svolto, prima ancora della produzione di qualsivoglia danno sul piano della prestazione previdenziale e senza che sia necessario integrare il contraddittorio nei confronti dellINPS”.

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bonus sar sostegno reddito

Bonus SaR: cos’è il bonus di sostegno al reddito Bonus SaR (Sostegno al reddito): requisiti, importo, come fare domanda e scadenze dell'aiuto concreto per lavoratori disoccupati in Italia

Bonus SaR 2024

Il Bonus SaR, o Sostegno al Reddito, è un’indennità mensile erogata a favore di lavoratori disoccupati che hanno avuto in passato un contratto di lavoro regolare in somministrazione a tempo determinato o indeterminato, anche nella forma dell’apprendistato. Il Bonus SaR 2024 rappresenta un sostegno economico importante per lavoratori disoccupati in Italia. Rispettando i requisiti e seguendo correttamente le procedure per la domanda, è possibile ricevere un aiuto concreto durante il periodo di transizione tra un’occupazione e l’altra.

Normativa di riferimento

La norma di riferimento del bonus SaR è l’articolo 12 del decreto legislativo n. 276/2003. Il comma 1 di questa norma prevede che i soggetti autorizzati alla somministrazione del lavoro sono tenuti a versare a fondi specifici un contributo calcolato in percentuale sulla retribuzione corrisposta ai lavoratori assunti con contratto a tempo determinato o indeterminato in somministrazione per finanziare, tra le altre cose, misure previdenziali di sostegno al reddito 

A chi spetta il bonus SaR 2024

Per poter richiedere il Bonus SaR 2024 è necessario rispettare alcuni requisiti fondamentali:

  • essere disoccupati da almeno 45 giorni e avere maturato contestualmente 110 giorni di lavoro (o 440 ore di lavoro se il contratto era part-time verticale o misto o se il lavoratore era stato assunto contratti MOG, monte ore garantito) negli ultimi 12 mesi a partire dall’ultimo giorno di lavoro effettivo;
  • essere disoccupati da almeno 45 giorni e aver maturato 90 giorni di giornate lavorative o aver lavorato 360 ore (se il contratto era part time verticale, misto o prevedeva un Monte Ore garantito) negli ultimi 12 mesi, sempre decorrenti dalla data dell’ultimo giorno di lavoro in somministrazione;
  • essere disoccupati almeno da 45 giorni e aver portato a termine la procedura MOL (mancanza occasioni di lavoro).

Gli importi per il 2024

L’importo del Bonus SaR 2024 varia in base a due casistiche:

  • 000 euro spettano ai lavoratori che hanno maturato almeno 110 giorni di lavoro negli ultimi 12 mesi, oppure 360 ore se lavoratori part-time con contratto MOG;
  • 780 euro spetta invece a chi ha maturato almeno 90 giorni di lavoro negli ultimi 12 mesi, oppure 270 ore se lavoratori part-time con contratto MOG.

Come chiedere il bonus di sostegno al reddito

La domanda per il Bonus SaR 2024 può essere presentata esclusivamente online dal portale https://www.formatemp.it/ tramite i sistema FTWEB, in una delle seguenti modalità:

  • rivolgendosi agli sportelli sindacali del territorio competenti: Felsa Cisl, UilTemp, Nidil Cgil;
  • previa registrazione alla piattaforma, compilando tutti i campi necessari, allegando quanto richiesto e compilando il modulo specifico, che andrà prima sottoscritto digitalmente e poi trasmesso.

Documenti per la domanda

Per presentare la domanda per il Bonus SaR 2024 è necessario avere a portata di mano i seguenti documenti:

  • documento di identità;
  • codice fiscale;
  • IBAN del conto corrente su cui ricevere il bonifico;
  • eventuale documentazione relativa a periodi di malattia, maternità, congedi, aspettative e documenti INPS in caso di dimissioni;
  • estratto contributivo dell’INPS;
  • copia delle buste paga dell’Agenzia per il lavoro al fine di attestare le giornate lavorative svolte con contratto di somministrazione negli ultimi 12 mesi.
elezioni europee 2024

Elezioni europee 2024:  come si vota Breve guida alle elezioni europee 2024: quando si vota, come, dove, chi può votare e le regole per i fuori sede e i residenti all’estero

Elezioni europee 2024

Tra il 6 e il 9 giugno 2024, milioni di cittadini europei sono chiamati a partecipare alle elezioni europee per eleggere 720 eurodeputati, un numero aumentato di 15 unità rispetto alla precedente legislatura. In Italia, le urne saranno aperte sabato 8 e domenica 9 giugno, e i cittadini avranno la possibilità di eleggere 76 rappresentanti per il Parlamento Europeo. Vediamo nel dettaglio come e quando si vota, chi può votare e tutte le informazioni utili per partecipare a questo importante appuntamento elettorale.

Partecipare alle elezioni europee è un diritto e un dovere civico fondamentale. Informarsi sulle modalità di voto e sui candidati è essenziale per esercitare questo diritto in modo consapevole e contribuire alla costruzione del futuro dell’Unione Europea.

Come si vota

Secondo la legge elettorale europea, tutti i Paesi membri devono utilizzare un sistema elettorale proporzionale. Questo sistema garantisce che i seggi siano assegnati alle liste in proporzione ai voti ottenuti. In Italia, si utilizza il voto di preferenza, che permette agli elettori di esprimere fino a tre preferenze per i candidati della stessa lista, a condizione che siano di sesso diverso.

Per esprimere il voto è sufficiente indicare sulla scheda solo il cognome oppure il nome e il cognome del candidato prescelto. Si può votare anche tracciando un simbolo che corrisponde alla lista favorita, il voto in questo caso andrà al capolista che è stato indicato dal partito.

Orari e procedure

In Italia, le urne saranno aperte sabato 8 giugno dalle 14:00 alle 22:00 e domenica 9 giugno dalle 7:00 alle 23:00. Contemporaneamente, si terranno anche le elezioni regionali in Piemonte e le elezioni amministrative in 3.700 comuni italiani. Lo spoglio dei voti inizierà subito dopo la chiusura delle urne, alle 23:00 di domenica.

Per votare, è necessario presentarsi al seggio elettorale di appartenenza con la tessera elettorale e un documento d’identità valido. 

Le circoscrizioni elettorali

L’Italia è suddivisa in cinque circoscrizioni elettorali europee:

  • Nord Occidentale
  • Nord Orientale
  • Centrale
  • Meridionale
  • Insulare

Ogni circoscrizione riceve un numero di seggi proporzionale alla popolazione residente.

I candidati

I candidati alle elezioni europee sono cittadini italiani che abbiano compiuto 25 anni entro la data delle elezioni, oppure cittadini di altri Paesi membri residenti in Italia e iscritti nelle apposite liste aggiunte. Per poter essere eletti, i candidati devono possedere i requisiti di eleggibilità al Parlamento europeo secondo l’ordinamento italiano e non devono essere decaduti dal diritto di eleggibilità nel loro Paese di origine.

Le liste dei candidati devono essere presentate dai partiti o gruppi politici, che devono aver depositato il proprio simbolo al Ministero dell’Interno e aver presentato le liste agli uffici elettorali delle Corti d’Appello. Le liste devono superare la soglia del 4% dei voti validi espressi a livello nazionale per ottenere seggi.

Chi può votare

Hanno diritto di voto alle elezioni europee:

  • i cittadini italiani che abbiano compiuto 18 anni;
  • i cittadini dell’Unione Europea residenti in Italia;
  • I cittadini italiani residenti all’estero e iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero).

I cittadini dell’UE votanti in Italia devono essere registrati come elettori entro la scadenza stabilita.

Dove si vota

Ogni elettore deve votare nel seggio elettorale indicato sulla propria tessera elettorale. Chi non possiede la tessera deve richiederla presso il proprio Comune di residenza.

Voto fuori sede

Grazie alla legge 38/2024, gli studenti fuori sede possono votare in un comune diverso da quello di residenza se hanno presentato la domanda entro il 5 maggio al proprio Comune di residenza. A questo ente è stato affidato infatti il compito di trasferire le informazioni necessarie al Comune di domicilio o al capoluogo di Regione. Gli studenti ammessi devono rivivere un’attestazione con l’indicazione del seggio in cui votare.

Residenti all’estero: come votano

I cittadini italiani residenti in un altro Stato membro dell’Unione Europea, iscritti all’AIRE, possono votare presso i seggi allestiti dalle sedi diplomatico-consolari italiane nel Paese di residenza.

giurista risponde

Sproporzione tra retribuzione e previsioni del contratto collettivo Quando la sproporzione tra la retribuzione corrisposta e la diversa previsione del contratto collettivo determina sfruttamento del lavoro?

Quesito con risposta a cura di Annachiara Forte e Caterina Rafanelli

 

Per cogliere la sproporzione nel caso concreto il raffronto non va effettuato semplicemente tra la somma oggetto di effettiva retribuzione e quella astrattamente prevista dal contratto collettivo di lavoro, ma tra la quantità e qualità del lavoro prestato e, quindi, tenendo conto dell’attività, delle complessive condizioni di lavoro e della determinazione delle ore di lavoro prestate rispetto a quanto previsto contrattualmente. – Cass., sez. IV, 22 gennaio 2024, n. 2573 (sproporzione tra retribuzione corrisposta e previsioni del contratto collettivo).

 Nel caso di specie la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi circa la logicità dell’interpretazione, fatta dai giudici di merito, dell’art. 603bis, comma 3, n. 1 c.p. In primo e in secondo grado gli imputati erano stati condannati per il reato di sfruttamento del lavoro, ai sensi del comma 1, n. 2 della citata disposizione, per avere reiteratamente conferito a quattro lavoratori extracomunitari una paga ritenuta sproporzionata per difetto rispetto alle previsioni del CCNL. Con il primo motivo i ricorrenti lamentavano, al contrario, l’insussistenza di suddetta caratteristica, con i conseguenti vizi di erronea applicazione della legge penale e di motivazione contraddittoria: le retribuzioni erogate non erano, infatti, di molto inferiori rispetto agli importi formalmente previsti dal contratto collettivo applicabile.

La Cassazione, dopo aver specificato che l’accertamento della palese difformità e della sproporzione della retribuzione è una valutazione riservata al giudice di merito, ha verificato l’assenza di contraddizioni nelle conclusioni tratte in primo e in secondo grado. In via preliminare la Corte ha richiamato la propria precedente giurisprudenza, alla luce della quale i vari indicatori delle condizioni di sfruttamento del lavoro, elencati nei n. 1)-4) della disposizione, disegnano insieme il perimetro del concetto stesso di sfruttamento. Ciascun indicatore è in sé sufficiente ma non necessario, essendo alternativo agli altri. Tali indici, inoltre, non sono tassativi: estranei al fatto tipico, valgono come linee guida per l’interprete nell’individuazione di condotte distorsive del mercato del lavoro anche a partire da circostanze di fatto diverse rispetto a quelle elencate (così anche Cass., sez. IV, 30 novembre 2022, n. 9473; Cass., sez. IV, 22 dicembre 2021, n. 46842).

Più nello specifico, la Corte ha poi chiarito, in linea con le proprie precedenti pronunce, che per retribuzione deve intendersi tutto ciò che è dovuto per la prestazione lavorativa, comprese le indennità da riconoscere a vario titolo. In passato è stato, infatti, stabilito che, ad esempio, costituiscono spie di un abuso anche le detrazioni operate in qualunque modo sulla retribuzione del lavoratore, tra le quali quelle per remunerare il locatore dell’alloggio o l’operatore del servizio di trasporto al luogo di lavoro (Cass., sez. IV, 22 dicembre 2021, n. 46842).

Per evitare disparità di trattamento, inoltre, il parametro in esame deve essere applicato non soltanto ai lavoratori subordinati ma a qualsiasi attività lavorativa accettata in uno stato di bisogno, quale che sia la formale qualificazione giuridica della stessa. Si deve, inoltre considerare che tale retribuzione, a decorrere dall’entrata in vigore della L. 29 ottobre 2016, n. 199, deve essere reiterata e non necessariamente sistematica. Di conseguenza, sottolineano i Supremi Giudici, la paga sproporzionata può anche non essere costante, bastando una seconda retribuzione per superare la soglia della punibilità.

Per quanto concerne, più da vicino, il grado di discostamento dai contratti collettivi applicabili a ciascun settore, la disposizione statuisce che debba trattarsi di una palese difformità. Il datore di lavoro, avvantaggiandosi del bisogno altrui, impone una retribuzione al ribasso rispetto alle prescrizioni del CCNL. In merito, invece, alla seconda parte della disposizione in oggetto, essa prevede che il giudice debba, in ogni caso, verificare se la paga sia proporzionata rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro svolto. I Supremi Giudici hanno specificato, anzitutto, che si tratta di un corollario diretto dell’art. 36 Cost., stante l’obiettivo di garantire equità e dignità al lavoratore; in secondo luogo, hanno statuito che tale limite debba prevalere in ogni caso, cioè anche su una contrattazione collettiva che ipoteticamente non l’abbia rispettato. In questa evenienza, si può considerare che una parte della dottrina ha, tuttavia, sollevato dubbi circa la possibilità di provare il dolo del datore di lavoro che abbia fatto affidamento su un contratto collettivo qualificato.

In forza di queste premesse, la Cassazione ha concluso che l’inadeguatezza della paga e la sua natura abusiva non possono essere accertate ponendo l’attenzione esclusivamente sulla differenza tra somme corrisposte al lavoratore e importo astrattamente previsto dal contratto collettivo di riferimento. Bisogna, infatti, sempre completare l’indagine attraverso il vaglio della quantità e della qualità del lavoro prestato alla luce dell’attività in concreto svolta, delle complessive condizioni di lavoro e del confronto tra le ore effettivamente prestate rispetto alle previsioni contrattuali.

Con il secondo e con il terzo motivo di ricorso, invece, i ricorrenti lamentavano l’incompletezza della motivazione della sentenza in relazione alla pertinenzialità, rispetto al reato commesso, dei beni confiscati ai sensi dell’art. 603bis.2 c.p. I lavoratori sfruttati erano stati impiegati su terreni di proprietà di terzi, mentre oggetto di confisca erano stati appezzamenti diversi dai primi e di proprietà degli imputati. Al riguardo la Cassazione ha concluso nel senso che, poiché la confisca diretta ha ad oggetto tutti i beni funzionali a commettere il reato o da cui ne deriva un’utilità, il nesso di pertinenzialità non viene interrotto se i terreni oggetto di sequestro e di confisca sono diversi da quelli indicati in imputazione. Si tratta, infatti, pur sempre di fondi agricoli del medesimo compendio aziendale, nel quale e per l’utilità del quale i quattro lavoratori africani erano sfruttati.

In base alle considerazioni esposte, la Cassazione ha rigettato i ricorsi degli imputati.

*Contributo in tema di “ Sproporzione tra retribuzione corrisposta e previsioni del contratto collettivo”, a cura di Annachiara Forte e Caterina Rafanelli, estratto da Obiettivo Magistrato n. 72 / Marzo 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

decreto liste attesa

Liste d’attesa: il piano del Governo Decreto liste d’attesa e disegno di legge per la garanzia delle prestazioni sanitarie: cosa prevedono i testi approvati dal Consiglio dei ministri

Decreto liste d’attesa

Il 4 giugno il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto legge dedicato alle misure urgenti per la riduzione dei tempi di attesa delle prestazioni sanitarie. Tra i provvedimenti più importanti ci sono quelli dedicati alla piattaforma nazionale che dialoga con le piattaforme regionali delle liste di attesa, all’organismo di verifica e di controllo sull’assistenza sanitaria, alle dipendenze del Ministero della salute e il CUP unico ossia un codice unico che identifica un progetto di investimento pubblico. Questo testo di legge è integrato da un disegno di legge, anch’esso finalizzato a contrastare le liste d’attesa sanitarie e a garantire le prestazioni sanitarie.

Piattaforma nazionale per le liste d’attesa

Viene istituita presso l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali una piattaforma nazionale per le liste di attesa. Questo strumento servirà al Ministero della salute per monitorare i tempi di attesa effettivi delle prestazioni sanitarie. Attraverso la creazione di un dialogo tra piattaforma nazionale e piattaforme regionali si vogliono superare le difficoltà attuali attraverso la conoscenza specifica dell’offerta di prestazioni rispetto alla domanda.

Organismo di verifica e controllo

Viene istituito un Organismo di verifica e di controllo sull’assistenza sanitaria alle dirette dipendenze del Ministero della salute. L’organismo potrà accedere a tutte le strutture sanitarie e verificare le disfunzioni su segnalazione del cittadino, degli enti locali e delle associazioni di categoria degli utenti sanitari. Questo organismo inoltre potrà chiedere chiarimenti e acquisire documentazione. Le Regioni e le aziende sanitarie saranno tenute a fornire riscontro, anche in modalità telematica, nel termine di 15 giorni.

CUP unico di progetto

Viene istituito il codice unico di progetto regionale o infra regionale sia per le prestazioni pubbliche che per quelle fornite dal settore privato convenzionato. Il collegamento con i CUP pubblici rappresenterà requisito necessario per l’accreditamento istituzionale delle strutture autorizzate. In caso di mancata erogazione della prestazione nei tempi previsti dalle classi di priorità il cittadino potrà accedere alla prestazione ricorrendo all’intramoenia o al privato accreditato. Le aziende sanitarie ospedaliere non potranno sospendere o chiudere le attività di prenotazione. Previste nuove soluzioni digitali sia per la prenotazione che per il pagamento del ticket. Il CUP dovrà garantire al cittadino un sistema per la conferma o la cancellazione della prestazione entro il termine di due giorni prima dell’erogazione, al fine di scongiurare che le prestazioni prenotate non vengano effettuate.

Esami e visite anche il sabato e la domenica

La fascia oraria dedicata agli esami diagnostici alle visite viene estesa anche al sabato e alla domenica. Al fine di bilanciare adeguatamente le prestazioni ospedaliere e quelle libero professionali intramoenia ogni azienda sanitaria dovrà prevedere che le ore di attività libero professionale non superino quelle dedicate all’attività ordinaria.

Più personale per la sanità

Previsto un incremento del 15% del fondo sanitario per l’assunzione del personale. Dal 2025 il tetto di spesa viene abolito e al suo posto viene introdotto un meccanismo collegato alla programmazione delle aziende e al fabbisogno di personale sanitario.

Piano d’azione e flat tax

Per sette regioni del sud, a cui è dedicato il programma nazionale di equità nella salute relativa agli anni 2021 2027, viene introdotto il piano di azione per il rafforzamento dei servizi sanitari e sociosanitari. Prevista infine una flat tax del 15% da applicare alle prestazioni orarie aggiuntive dei professionisti sanitari in relazione all’attività svolta per ridurre le liste di attesa.

DDL garanzia prestazioni sanitarie

Il Disegno di legge che accompagna il decreto legge sulle liste d’attesa mira a introdurre diverse misure per migliorare l’efficienza e ridurre i tempi di attesa nel sistema sanitario italiano.

Queste misure intendono migliorare l’accessibilità e l’efficienza dei servizi sanitari, nonché supportare il personale sanitario e le strutture esistenti. Tra le misure previste, vi sono:

  • Registro nazionale per le segnalazioni dei cittadini: attivo sul portale del Ministero della Salute per segnalare disservizi.
  • Esami diagnostici di primo livello negli studi dei medici di famiglia: disponibili anche in ambulatori privati accreditati e farmacie, per ridurre le liste d’
  • Misure per il personale sanitario: aumento della tariffa oraria per prestazioni aggiuntive, indennità di disagio e incarichi per specializzandi.
  • Sistema di premi e sanzioni per incentivare il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle liste d’
  • Piano nazionale di gestione delle liste dattesa coordinato dal Ministro della Salute, con Regioni responsabili dell’attuazione e monitoraggio.
  • Rafforzamento della salute mentale grazie all’utilizzo delle risorse del programma nazionale Equità della salute 2021-2027.
  • Scuola nazionale dellalta amministrazione sanitaria per specializzare i vertici dirigenziali del Servizio sanitario nazionale (Ssn).
cognome paterno

Cognome paterno aggiunto ma non in automatico La Cassazione ha affermato che, in tema di attribuzione del cognome al figlio, occorre prescindere da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome paterno

Aggiunta del cognome paterno a quello materno

Il caso in esame prende avvio dalla decisione assunta dalla Corte d’appello di Ancona che aveva stabilito che, a seguito del riconoscimento della paternità, al nome del minore venisse aggiunto il cognome del padre da posporre a quello della madre, già attribuitogli dalla nascita.

Avverso tale decisione la madre aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di cassazione, contestando, per quanto qui rileva, l’erroneità della decisione del Giudice di secondo grado in ordine all’assunzione del cognome, da parte del figlio, del cognome del padre che aveva tardivamente riconosciuto il figlio nato fuori dal matrimonio.

L’assunzione del cognome del padre non è automatica

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 15654-2024, ha accolto la contestazione formulata dalla madre in punto di attribuzione del cognome paterno al figlio.

In particolare, la Corte ha riportato il quadro normativo e giurisprudenziale sull’argomento, soffermandosi su quanto statuito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 131 del 2002 in tema di riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio.

In tale occasione il Giudice delle leggi, ha ricordato la Corte, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 262, comma 1, c.c., nella parte in cui non prevedeva “che il figlio assume il cognome del padre, anziché prevedere che il figlio assume i cognomi dei genitori, nell’ordine dai medesimi concordato, fatto salvo l’accordo, al momento del riconoscimento, per attribuire il cognome di uno di loro soltanto”.

Ciò posto, Giudice di legittimità ha ritenuto che la Corte d’appello avesse errato nel non applicare i suddetti principi espressi dalla Consulta alla fattispecie in esame, del tutto diversa, di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 262 c.c.

Rispetto a tale fattispecie, ha proseguito la Corte “nel presupposto che il diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali di ciascun individuo (…), la individuazione del cognome che il minore va ad assumere non è connotata da automatismo, ma è rimessa al prudente apprezzamento del giudice”, prescindendo, in questo senso, “da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome paterno”.

Sulla scorta di tali argomentazioni la Corte di cassazione ha pertanto accolto il motivo d’impugnazione proposto dalla madre in tema di assegnazione del cognome al figlio.

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