Ddl concorrenza: ok del Cdm Il Governo ha approvato il ddl sulla concorrenza e il mercato che prevede novità in materia di concessioni autostradali, startup e dehors

DDL concorrenza e mercato: il Governo approva

Il CdM ha approvato il 26 luglio 2024 il ddl annuale per il mercato e la concorrenza. La legge prevede diverse misure in materia di concessioni autostradali, dehors per migliorare la ricettività e il decorso urbano, di portabilità delle scatole nere per favorire la mobilità, di trasporto pubblico non di linea per contrastare l’abusivismo, di monitoraggio e rilevazione dei prezzi, di shrinkflation a garanzia del consumatore e di start up innovative per premiare le imprese che presentano maggiore potenzialità.

Ddl concorrenza annuale

Questo disegno di legge, che rispetta la cadenza annuale in base alla previsione del 2009, è il quarto dopo quelli del 2017, 2022 e 2023.

Leggi il comunicato sul sito del Mimit

Concessioni autostrade: costi uniformi e senza aumenti

Tariffe autostradali uniformate in tutto il Paese e interventi per garantire che i lavori di manutenzione siano eseguiti puntualmente senza aumenti eccessivi di costo per gli automobilisti. Si mira a far incassare allo Stato una parte dei pedaggi, invece che alle aziende concessionarie, per redistribuire i fondi. Le concessioni autostradali saranno aggiudicate per mezzo di procedure pubbliche o con affidamenti diretti del ministero dei Trasporti a una società in house posta sotto il  controllo dal ministero dell’Economia. Si interrompe in questo modo il rinnovo automatico delle concessioni ai soliti concessionari per una gestione più trasparente e competitiva.

Dehors: più servizi ai cittadini e decoro urbano

Nuove norme sui dehors per migliorare i servizi ai cittadini, il decoro urbano, le risorse per i Comuni e lo sviluppo del Paese. Regole precise per mettere ordine nel settore, incentivando investimenti e migliorando la qualità delle aree urbane. Entro un anno, un decreto legislativo sarà emanato su proposta del Mimit e in concerto con vari ministeri, per coordinare la concessione di spazi pubblici ai locali. Particolare attenzione alle aree di interesse culturale e paesaggistico. I Comuni dovranno aggiornare i regolamenti per garantire il passaggio sicuro dei pedoni e delle persone con disabilità. Le norme legate alla pandemia rimarranno in vigore fino alla fine del 2025.

Scatole nere: nuove regole per la portabilità

Le assicurazioni non potranno inserire clausole che impediscano ai clienti di disinstallare senza costi i dispositivi di monitoraggio (scatole nere) alla scadenza del contratto. Si introduce la portabilità dei dati registrati dalle scatole nere, che i consumatori possono richiedere per mezzo della compagnia assicurativa. I dati (percorrenza totale, strade percorse, orari di guida) devono essere forniti in un formato leggibile e comune. Le nuove compagnie di assicurazione possono accedere a questi dati pagando un compenso una tantum. Istituito un sistema informativo per prevenire le frodi assicurative, sotto la vigilanza di IVASS, con costi a carico delle assicurazioni.

Trasporto pubblico non di linea: lotta all’abusivismo

Per contrastare l’abusivismo nel trasporto pubblico non di linea prestato da taxi e Ncc, sono previste sanzioni per la mancata iscrizione al registro, come la sospensione e la revoca della licenza. I Comuni possono verificare i dati nel registro e comunicare eventuali revoche al Ministero dei Trasporti, per facilitare un controllo più efficace delle licenze.

Le sanzioni per le infrazioni sono razionalizzate e uniformate per taxi e Ncc.

Monitoraggio e rilevazione prezzi più efficiente

Il monitoraggio dei prezzi e delle tariffe, attività compiuta dalle Camere di Commercio, viene reso più efficiente. Il Garante per la sorveglianza dei prezzi può infatti individuare i prodotti da controllare e adottare linee guida per uniformare le rilevazioni dei prezzi.

Shrinkflation: etichette per informare i consumatori

Per contrastare la shrinkflation, pratica che consiste nel ridurre la quantità di prodotto mantenendo lo stesso confezionamento, viene introdotto lobbligo di informare i consumatori mediante unetichetta specifica sui prodotti esposti.

Startup innovative

Ampliata la definizione di start up innovative attraverso l’introduzione di nuovi criteri per premiare le imprese con più potenziale. Le micro, piccole e medie imprese che entro 2 anni dall’iscrizione al registro speciale avranno un capitale sociale di 20.000 euro e almeno un dipendente riceveranno più attenzione, soprattutto se operano in settori strategici. Queste start up inoltre potranno rimanere nel registro speciale per 84 mesi anziché 60.

Estesi i benefici fiscali del 30% dall’Ires agli incubatori certificati, promossi gli investimenti in capitale di rischio da parte di investitori privati e istituzionali.

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avvocati condotta irreprensibile

Avvocati: come valutare la condotta irreprensibile Le Sezioni Unite della Cassazione si esprimono sulla valutazione del requisito della condotta irreprensibile dell'avvocato

Condotta irreprensibile avvocato

La valutazione del requisito della condotta irreprensibile del dottore, che fa istanza per iscriversi all’albo dei praticanti, deve essere compiuta senza tenere conto dell’esito dell’eventuale procedimento penale e della qualità di imputato del richiedente. Lo hanno chiarito le sezioni unite civili della Cassazione nella sentenza n. 19726-2024.

Iscrizione registro praticanti

Nella vicenda, un Consiglio dell’ordine degli avvocati competente per territorio respinge la richiesta di iscrizione all’albo dei praticanti avvocati di un dottore perché il  richiedente non soddisfa il requisito della condotta irreprensibile prevista dai canoni del codice deontologico forense, articolo 17, comma uno, lettera H della legge n. 247/2012.

Il dottore ha infatti riportato una condanna per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose, è sottoposto a procedimento per il reato di ricettazione e nei suoi confronti sono in corso procedimenti penali per guida in stato di ebrezza e calunnia.

Non basta valutare le condotte penalmente rilevanti

Il dottore ricorre al Consiglio Nazionale Forense (C.N.F) che però rigetta il ricorso. Il COA avrebbe infatti valutato correttamente la presenza di elementi ostativi all’accoglimento della richiesta di iscrizione. Le condotte del dottore non risultano conformi alle regole deontologiche e al diritto in generale. Questo incide negativamente sulla affidabilità soggettiva del richiedente e pone dei dubbi sulla sua capacità di svolgere correttamente la professione.

Nel caso di specie le condotte penalmente rilevanti del dottore non possono condurre a un giudizio positivo in ordine alla sussistenza del requisito della condotta irreprensibile. I comportamenti del dottore tenuti al di fuori dell’attività professionale  e nei confronti dei soggetti terzi risultano lesivi della probità e del decoro della professione perché ne ledono l’immagine  e la dignità, con ripercussioni negative dell’intera classe forense.

Condotte di rilevo penale lontane non rilevano

Detto questo, per il CNF non possono essere considerate ostative all’iscrizione nel registro dei praticanti condotte occasionali o lontane, se non sono in grado di incidere sulla affidabilità attuale del soggetto a svolgere correttamente l’attività professionale.

Le condotte devono incidere negativamente sulla reputazione

Il dottore si rivolge agli Ermellini per la cassazione della pronuncia del CNF ricordando a sua difesa che:

  • il reato per il quale era stato condannato era estinto;
  • la qualità di imputato non consentiva di ritenerlo colpevole;
  • precludergli la formazione necessaria s superare l’esame esami di Stato vanifica i sacrifici fatti e ostacola il suo diritto a un lavoro futuro.

La Cassazione accoglie il motivo sollevato dal dottore perché fondato. Gli Ermellini precisano che “L’essere di condotta irreprensibile secondo i canoni previsti dal codice deontologico forense costituisce un requisito di chiusura e di completamento: un requisito che, affidato a una formula meno enfatica e solenne, e più circostanziata, rispetto a quella previgente, prende li posto della condotta “specchiatissima ed illibata”, alla quale si riferiva, all’art. 17, la legge professionale forense del 1933.”

La condotta irreprensibile racchiude al suo interno un insieme di requisiti morali a tutela dell’interesse pubblico e dell’affidamento della clientela e della collettività. Essa è determinata dall’assenza di condotte costituenti reato in grado di menomare la reputazione del soggetto e della professione, ma non solo. La condotta irreprensibile non è compromessa solo dalle condotte che costituiscono reato e che sono collegate allo svolgimento della professione, tale requisito riguarda la condotta generale dell’iscritto. Occorre però fare una distinzione tra le condotte che rilevano ai fini della valutazione perché incidono sulla affidabilità del soggetto da quelle che riguardano la sfera privata e la libertà individuale e che quindi non rilevano.

I requisiti necessari ai fini dell’iscrizione devono essere valutati con rigore, tenendo conto del loro grado di incidenza sulla attività professionale. “A tal fine, la valutazione deve ricomprendere la natura e l’occasionalità delle condotte ostative, la distanza nel tempo e, comunque, tutti quegli elementi che consentono di poter valutare l’affidabilità del soggetto all’espletamento della professione o allo svolgimento della pratica professionale.”

L’ordine professionale, nel valutare la condotta irreprensibile, deve accertare se i fatti commessi dal candidato possano dare luogo, all’esito di un procedimento disciplinare, alla sanzione della interdizione. A tale fine rileva la gravità delle condotte e la loro capacità di rendere il soggetto inadeguato sotto il profilo della onorabilità nell’esercizio della professione.

Il principio

La rilevanza penale di una condotta quindi è in grado di incidere sulla valutazione della condotta irreprensibile?

Per la Cassazione la condizione di imputato del richiedente non rileva in via esclusiva, il CNF infatti “avrebbe dovuto considerare se le condotte, non prossime nel tempo e per le quali l’imputato si era dichiarato innocente, fossero state accertate anche dal giudice penale, ancorché con sentenza non ancora divenuta irrevocabile, e, in caso positivo, valutare se esse, per il loro concreto disvalore secondo i canoni previsti dal codice deontologico forense, fossero tali da incidere, anche considerando l’epoca della loro commissione, sulla reputazione e sull’immagine dell’aspirante a svolgere il ruolo attribuito dall’ordinamento al professionista forense”. 

 

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vietato usare femminile ddl

Vietato usare il “femminile”: ddl ritirato Il ddl sui nomi femminili del leghista Potenti che prevedeva anche multe fino a 5mila euro in caso di violazioni è stato ritirato

DDL sui nomi femminili: ritirato

Il  disegno di legge sui nomi femminili proposto in data 11 luglio 2024 dal senatore leghista Manfredi Potenti è stato ritirato.  Lo si evince alla pagina del Senato dedicata all’atto n. 1191 che riporta espressamente la dicitura: “ritirato 22 luglio 2024”.

Il senatore con questo disegno di legge intitolato “Disposizioni per la tutela della lingua italiana, rispetto alle differenze di genere” avrebbe voluto vietare per legge l’utilizzo dei nomi al femminile di alcune professioni dagli atti pubblici.

Per il proponente l’utilizzo del femminile nei documenti ufficiali sarebbe irrispettoso verso le istituzioni per cui è “necessario un intervento normativo che implichi un contenimento della creatività nelluso della lingua italiana nei documenti delle istituzioni”.

Preservare la PA da deformazioni letterali

Come previsto dall’articolo 1 del testo l’obiettivo della proposta di legge è quello di “preservare la pubblica amministrazione dalle deformazioni letterali derivanti dalla necessità di affermare la parità di genere nei testi pubblici”.

Per il ddl occorre “preservare l’integrità della lingua italiana ed in particolare, evitare l’impropria modificazione dei titoli pubblici, come “Sindaco”, “Prefetto”, “Questore”, “Avvocato” dai tentativi simbolici di adattarne la loro definizione alle diverse sensibilità del tempo”.

Vietato usare il “femminile”

Il divieto di utilizzo del femminile era previsto espressamente dall’articolo 3 della proposta di legge che così disponeva: “divieto del ricorso discrezionale al femminile o sovra esteso o a qualsiasi sperimentazione linguistica. È ammesso l’uso della doppia forma od il maschile universale, da intendersi senza neutro e senza alcuna connotazione sessista.”

Nello specifico il disegno di legge avrebbe voluto vietare l’utilizzo negli atti pubblici del “genere femminile per neologismi applicati ai titoli istituzionali dello Stato, ai gradi militari, ai titoli professionali, alle onorificenze, e dagli incarichi individuati dati aventi forza di legge”.

Fino a 5.000 euro di multa in caso di violazione

In caso di inadempimento, l’articolo 5 del testo avrebbe previsto multe salate “la violazione degli obblighi di cui la presente legge comporta l’applicazione di una sanzione pecuniaria amministrativa consistente nel pagamento di una somma da 1000 a 5000 euro”.  

Il parere dell’Accademia della Crusca

Il Professor Paolo d’Achille, Presidente dell’Accademia della Crusca, nel commentare il disegno di legge del Senatore Manfredi Potenti ricorda che da un punto di vista puramente tecnico qualunque nome declinato al maschile può essere volto al femminile e che non sempre è possibile il contrario.

In una risposta del 2023 riferita all’individuazione di regole finalizzate allo sviluppo di un linguaggio giuridico di tipo inclusivo, il professor d’Achille aveva precisato di usare la lingua italiana nel rispetto della parità di genere, ricordando la correttezza dell’uso del genere femminile per i titoli professionali che si riferiscono alle donne.

 

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omicidio lorena quaranta

Omicidio Lorena Quaranta: sentenza annullata per stress da Covid La Cassazione penale annulla la sentenza di condanna all'ergastolo del fidanzato della vittima. Per i giudici è da valutare "lo stress da lockdown e pandemia" - Il testo della sentenza in pdf

Femminicidio Lorena Quaranta: sentenza annullata

Fa scalpore, ma fa anche discutere e indignare la sentenza della prima sezione penale della Corte di Cassazione n. 27115-2024 che riguarda l’omicidio della giovane Lorena Quaranta.

La sentenza della Corte di Assise che ha disposto la condanna all’ergastolo del fidanzato per omicidio volontario aggravato dalla commissione contro una persona legata a lui da una stabile convivenza affettiva, deve essere annullata nella parte in cui nega il riconoscimento delle circostanze attenuanti.

Per la Cassazione i giudici di merito non hanno verificato compiutamente se, dato il contesto “possa ed in quale misura  ascriversi all’imputato di non avere «efficacemente tentato di contrastare» lo stato di angoscia del quale era preda e, parallelamente, se la fonte del disagio, evidentemente rappresentata dal sopraggiungere dell’emergenza pandemica; con tutto ciò che essa ha determinato sulla vita di ciascuno e, quindi, anche dei protagonisti della vicenda, e, ancor più, la contingente difficoltà di porvi rimedio costituiscano fattori incidenti sulla misura della responsabilità penale.” Lo stress che ha colpito l’omicida, come tutti durante il lockdown, potrebbe comportare una riduzione della pena.

Lockdown: marcata concitazione emotiva

Nella sentenza si legge che nei giorni che hanno preceduto l’omicidio, caratterizzati dalle restrizioni imposte dalla pandemia, il fidanzato della Quaranta ha manifestato una forte preoccupazione per l’affezione delle vie respiratorie che aveva colpito la compagna. Dalla fine del mese di marzo il disagio si sarebbe così aggravato che l’uomo, senza preoccuparsi della fidanzata bisognosa di cure, si sarebbe allontanato per recarsi dai suoi familiari, che però lo convincevano a tenere un comportamento più responsabile e a tornare a casa dalla ragazza.

L’arrivo a casa non ha portato nessun beneficio al suo stato emotivo, una vicina ha riferito di averlo visto salire e scendere le scale in modo frenetico. Dopo qualche ora di calma l’omicida tornava ad agitarsi, tanto che alle 4 di notte contattava telefonicamente il padre. Alle 6 del mattino arriva la lite con la compagna, i colpi alla fronte con un oggetto contundente, la mano sulla bocca e sul naso, la stretta al collo e infine l’arresto cardio circolatorio per asfissia della giovane donna. All’episodio segue il tentativo di suicidio dell’uomo, dapprima tramite il taglio dei polsi e poi tramite il getto del phon della vasca in cui si era immerso e che ha comportato l’attivazione del salvavita e infine il contatto delle forze dell’ordine.

Esclusione delle attenuanti

La Cassazione rileva in fatto come la Corte di Assise di Appello non abbia riconosciuto le attenuanti generiche perchè la perizia del CTU ha escluso la presenza di una patologia psichiatrica in grado di inficiare la capacità di intendere e di volere dell’imputato. Per il giudice dell’appello l’imputato, nel compiere l’omicidio, ha agito con determinazione e crudeltà, modalità espressive che non sono ricollegabili allo stato d’ansia in cui versava quando ha commesso l’omicidio e che lo stesso non ha tentato di contrastare.

Motivazione contraddittoria

Preso atto del quadro probatorio emerso nei precedenti gradi di giudizio gli Ermellini ritengono però fondato il motivo di doglianza relativo al diniego delle attenuanti generiche. Le ragioni del rigetto sono il frutto di un percorso argomentativo che per la Corte di Cassazione si caratterizza per aporie e contraddizioni non marginali. Non convincono le conclusioni della Corte dell’impugnazione, per la quale lo “stato d’ansia e di irrequietezza, comunque manifestato dall’imputato nelle ore immediatamente precedenti al delitto, non solo, come ampiamente argomentato, non ha compromesso la sua capacità di intendere e di volere, ma non ha certamente determinato, né giustificato, la furia, l’odio e l’efferatezza rivolti dal contro la povera (che non può escludersi abbiano tratto origine da un movente rimasto inesplorato).”

In un punto della sentenza infatti la Corte di merito, in contraddizione con le suddette conclusioni, afferma di rendersi conto implicitamente del fatto che “lo stato emotivo manifestato dall’imputato nei momenti antecedenti all’omicidio abbia influito concretamente sulla misura della responsabilità penale e sia, pertanto, valutabile positivamente ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche”.

L’angoscia incide sulla responsabilità penale?

L’omicida, a causa del lockdown e della pandemia ha vissuto un disagio sempre crescente, che è sfociato in angoscia, che lo ha portato a un certo punto a rifuggire alle sue responsabilità e a lasciare sola la compagna. Una scelta che probabilmente, secondo la sua visione, era l’unica possibile considerata l’impossibilità di accedere alle strutture sanitarie. Quando poi ha desistito dal suo progetto di fuga per recarsi dai familiari ha vissuto un dissidio interiore, che ha provocato le condotte altalenati successive del pomeriggio, della notte e della mattina dell’omicidio.

I giudici avrebbero omesso pertanto di verificare se, alla luce del contesto, sia possibile escludere che l’imputato non abbia tentato efficacemente di contrastare lo stato di angoscia di cui era preda e che traeva origine dall’emergenza pandemica e se la difficoltà contingente di rimediare a questa angoscia sono in grado di incidere sulla responsabilità penale.

Parola al giudice del rinvio

Da qui l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al punto concernente l’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di assise di appello di Reggio Calabria.

 

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stop mantenimento figlio

Stop mantenimento al figlio iscritto da 14 anni all’università Linea dura della Cassazione contro i figli "bamboccioni": non spetta il mantenimento al figlio ultratrentenne che in 14 anni di università ha dato solo un esame

Mantenimento figlio maggiorenne

Il figlio ultratrentenne, che ha trascorso 14 anni all’università sostenendo un solo esame, non ha più diritto all’assegno di mantenimento a carico del padre. Lo stesso non è stato in grado di dimostrare di essersi impegnato nel conseguire una qualificazione professionale o nella ricerca di un impiego per collocarsi nel mondo del lavoro e acquisire la propria indipendenza economica. Lo ha stabilito la corte di Cassazione nell’ordinanza n. 19955-2024.

Revoca mantenimento figlio

Nell’ambito di una procedura di separazione coniugale il Tribunale stabilisce a carico del padre l’obbligo di versare al figlio maggiorenne, ma non economicamente autosufficiente, il mantenimento di 500 euro mensili, oltre al pagamento del 70% delle spese straordinarie.

Alla separazione segue il divorzio e la sentenza riduce a 350 euro mensili il mantenimento dovuto dal padre al figlio maggiorenne, ma conserva il contributo nella misura del 70% delle spese straordinarie e l’assegnazione della casa familiare alla moglie, che convive con il figlio.

Il padre appella la decisione, chiedendo anche la revoca dell’assegno di mantenimento per il figlio.

Mancata ricerca di un lavoro

La Corte d’appello però respinge la richiesta, limitandosi a ridurre il mantenimento per il figlio a 200 euro mensili.

Per la Corte il mantenimento al figlio non deve essere ancorato al raggiungimento della maggiore età, ma a quello della autosufficienza economica. Per far cessare l’obbligo del mantenimento è sufficiente che il figlio percepisca delle entrate, anche derivanti da un lavoro non stabile o che lo stesso possegga un patrimonio tale da garantirgli un reddito corrispondente alla professionalità acquisita e che abbia un’appropriata collocazione nel contesto economico in cui lo stesso è inserito adeguata alle attitudini e alle aspirazioni.

Incontestato che il ragazzo ormai ultratrentenne risulti privo di un’occupazione lavorativa in grado di garantirgli la propria indipendenza economica. Lo stesso ha più volte cambiato percorso di studi e ha cercato lavoro, prestando attività presso la Croce Rossa senza però conseguire una stabilità lavorativa. In seguito ha lasciato l’università, è  tornato a vivere con la madre, ma ha avuto difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro anche a causa della sopravvenuta pandemia. Lo stesso è stato anche vittima di un infortunio, che ha comportato un intervento chirurgico e una prognosi di 60 giorni. Queste le ragioni per le quali la Corte, in considerazione dell’età del figlio, si è limitata a ridurre il mantenimento a 200 euro, lasciando invariata la misura del contributo per le spese straordinarie.

Il padre, insoddisfatto della decisione della Corte di Appello, la impugna di fronte alla Cassazione.

Onere della prova

Gli Ermellini ritengono fondato il motivo del ricorso con il quale il padre lamenta la mancata revoca del mantenimento dovuto al figlio. Per il ricorrente il fatto che il figlio abbia sostenuto un solo esame in 14 anni di università sufficiente a giustificare la revoca del mantenimento. Di fatto il figlio non ha mai dimostrato di aver messo in atto dei tentativi seri per trovare un’occupazione e collocarsi in modo stabile nel mondo del lavoro.

La Cassazione ricorda di aver affermato di recente che l’onere della prova relativa alle ragioni che fondano il mantenimento sono a carico del richiedente. Spetta infatti al figlio dimostrare di aver curato con impegno la propria preparazione professionale e tecnica o di essersi attivato nella ricerca di un lavoro. È sempre onere del richiedente inoltre provare la mancanza di indipendenza economica perché pre-condizione necessaria ai fini della richiesta del mantenimento.

L’onere della prova dei presupposti necessari per il mantenimento però è più facile quando il figlio ha da poco superato la maggiore età e negli anni successivi, soprattutto se ha iniziato un percorso di studi, perché in questo modo dimostra l’impegno di entrare a far parte del mondo degli adulti. Con l’avanzare dell’età l’onere della prova diventa più gravoso. La decisione sul mantenimento rende necessaria la valutazione del caso concreto e un’indagine sulle scelte di vita compiute e sull’impegno del figlio nell’acquisire una qualificazione professionale.

La decisione

Nel caso di specie la Corte di merito ha ritenuto conclusa la formazione universitaria del figlio anche senza il conseguimento di un risultato e ha ritenuto incontestato il fatto che lo stesso,  ultratrentenne, fosse senza lavoro e senza autonomia economica. La Corte non ha indagato se nel corso di tutti questi anni abbia comunque cercato una sua collocazione nel mondo del lavoro. La stessa si è accontentata nel considerare come esistenti e giustificate le difficoltà riscontrate negli ultimi anni e imputate al COVID, all’infortunio e alla crisi del mercato.

 

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notifica ritardo ufficiale giudiziario

Notifica in ritardo: risponde l’ufficiale giudiziario Per il ritardo nella spedizione o nel recapito della notifica a mezzo posta, risponde solo l'ufficiale giudiziario e non anche l'agente postale

Notifiche a mezzo posta

Per il ritardo nella spedizione o nel recapito dell’atto notificato a mezzo del servizio postale, ex art. 1228 c.c. risponde solo l’ufficiale giudiziario e non anche l’agente postale che è mero ausiliario. Questo quanto si ricava dall’ordinanza della terza sezione civile della Cassazione n. 17892-2024.

La vicenda

Nella vicenda, un uomo si recava all’ufficio postale per ritirare 7 avvisi di ricevimento di atti giudiziari, per i quali si vedere chiedere il costo delle raccomandate CAD che l’ufficiale giudiziario aveva emesso essendovi tenuto ex lege. L’uomo rifiutava il pagamento e non ritirava gli avvisi e chiedeva e otteneva dal Giudice di Pace di Acri decreto ingiuntivo di consegna. La questione approdava in appello, a seguito di opposizione della società, e infine in Cassazione.

Innanzi agli Ermellini, il ricorrente lamentava che “erroneamente il giudice di appello non ha considerato che in caso di notifica di atto giudiziario l’ufficiale postale è un mero ausiliario dell’ufficiale giudiziario, sicché il rapporto si instaura unicamente tra l’avvocato richiedente la notifica e l’Ufficio UNEP, che effettua il servizio di notifica e, ove non effettui la notifica a mani, può ricorrere alla notifica a mezzo posta”.

Agente postale ausiliario dell’ufficiale giudiziario

Per il Palazzaccio, il motivo è fondato e va accolto.

Come ha avuto già modo di affermare la giurisprudenza, infatti, scrivono i giudici, “l’agente postale è un ausiliario dell’ufficiale giudiziario (v. Cass., 18/2/2015, n. 3263), e pertanto, “in tema di notificazioni a mezzo posta, li relativo servizio si basa su di un mandato ex lege tra colui che richiede la notificazione e l’ufficiale giudiziario che la esegue, eventualmente avvalendosi, quale ausiliario, dell’agente postale, nell’ambito di un distinto rapporto obbligatorio, al quale il notificante rimane estraneo. Ne consegue che, in caso di ritardo nella consegna dell’avviso di ricevimento relativo alla notifica di atti giudiziari effettuati a mezzo posta, nei confronti del richiedente la notifica risponde, ai sensi dell’art. 1228 cod. civ., esclusivamente l’ufficiale giudiziario, non anche l’agente postale del quale costui si avvalga” (così Cass., 12/02/2018, n. 3292; Cass., 24/11/2021, ท. 36505).

Tale principio è stato esplicitamente confermato dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 477/2002; Corte Cost., n. 28/2004), proseguono dalla S.C. che, “nel dichiarare l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 149 c.p.c. e dell’art. 4, comma 3, legge n. 890 del 1982 (notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari), nella parte in cui prevede che la notificazione si perfeziona – per il notificante – alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario, anziché a quella, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, ha appunto affermato che gli effetti della notificazione a mezzo posta devono essere ricollegati – per quanto riguarda il notificante – al solo compimento delle formalità a lui direttamente imposte dalla legge, ossia alla consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario, essendo la successiva attività di quest’ultimo e dei suoi ausiliari – quale appunto l’agente postale – sottratta in toto al controllo ed alla sfera di disponibilità del notificante medesimo”.

In altri termini, il rapporto obbligatorio si instaura tra “il richiedente la notifica e l’ufficiale giudiziario, mentre l’agente postale è un semplice ausiliario cui può far ricorso l’ufficiale giudiziario incaricato della notificazione”.

Risulta pertanto evidente che “tra l’ufficiale giudiziario e l’agente postale intercorre un rapporto obbligatorio, sulla cui base l’agente postale, in qualità di ausiliario, adempie al suo incarico, ed è all’ufficiale giudiziario che l’agente postale deve rispondere.  L’art. 6 L. n. 890 del 1982 conferma l’indicata ricostruzione, in quanto prevede che il pagamento della indennità per lo smarrimento dei pieghi ‘è effettuato all’ufficiale giudiziario’, il quale ne corrisponde l’importo ‘alla parte che ha richiesto la notificazione dell’atto, facendosene rilasciare ricevuta’.

La decisione

Per cui, “nei confronti dei terzi (tra i quali è compreso ovviamente il richiedente la notificazione), in caso di ritardo nella spedizione o nel recapito dell’atto notificato a mezzo del servizio postale, ai sensi dell’art. 1228 del codice civile risponde pertanto solo l’ufficiale giudiziario che dell’agente postale si è avvalso quale ausiliario”.

In sostanza, la chiara dizione contenuta nelle norme di cui alla legge n. 890/1982 consente di dare questa spiegazione: “il servizio di notificazione si basa su di un mandato ex lege tra l’avvocato che richiede la notificazione e l’ufficio notifiche che presta il servizio”.

In definitiva, il ricorso è accolto.

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sospeso avvocato non paga affitto

Sospeso l’avvocato che non paga l’affitto

Illecito disciplinare avvocato

Va sospeso l’avvocato che non paga l’affitto. Commette, infatti, un illecito disciplinare l’avvocato che non adempie le obbligazioni verso terzi derivanti da un contratto di locazione, causando un debito di oltre 50.000 euro per bollette di utenze e canoni insoluti. Il Consiglio Nazionale Forense (CNF) nella sentenza n. 118/2024 ha ritenuto che tale comportamento violi l’art. 64 del Codice Deontologico Forense. Gli avvocati invero hanno il dovere di adempiere a tutte le loro obbligazioni, anche verso i terzi. La violazione di tale dovere può comportare l’applicazione di sanzioni disciplinari, come la sospensione dall’attività professionale.

Canoni e bollette non pagate: procedimento disciplinare per l’avvocato

Un avvocato viene sottoposto a un procedimento disciplinare a cui consegue la sanzione disciplinare della sospensione dall’attività professionale per 4 mesi. Il legale è stato ritenuto responsabile del mancato pagamento dei canoni di locazione dell’unità immobiliare adibita a studio, delle utenze di acqua e gas e degli oneri condominiali.

Il legale si è reso responsabile anche della violazione degli obblighi di custodia e di manutenzione degli impianti, occupando i locali in violazione della normativa sulla sicurezza, per poi abbandonarli lasciandoli in un grave stato di degrado, inagibilità e inutilizzabilità con conseguenti danni e oneri a carico del locatore.

L’avvocato impugna la decisione del Consiglio Distrettuale di Disciplina davanti al CNF invocando  la propria assenza di responsabilità, eccependo il travisamento dei fatti e il difetto di prova e contestando l’eccessività della sanzione.

L’avvocato che non paga i canoni lede l’immagine della categoria

Per il CNF però il ricorso dell’avvocato è infondato e va rigettato.

L’avvocato ha il dovere di adempiere puntualmente alle proprie obbligazioni, anche nei confronti dei terzi. Tale dovere deriva sia da norme giuridiche che deontologiche. L’articolo 64 del Codice di deontologia forense obbliga l’avvocato ad adempiere le obbligazioni che lo stesso assume in confronti dei terzi. Il mancato adempimento di detti obblighi crea un danno all’affidamento dei terzi nella capacità dell’avvocato di rispettare i propri doveri professionali. Tale condotta inoltre, danneggia l’immagine della professione forense nel suo complesso.

L’illecito risulta ancora più grave perché l’avvocato non ha adempiuto ai propri obblighi contrattuali neanche dopo aver ricevuto protesti, sentenze, atti di precetto e richieste di pignoramento.

Corretta la sanzione applicata, la violazione del solo articolo 64 del codice deontologico prevede infatti la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione da un minimo di 2 a un massimo di 6 mesi. Sulla misura della sanzione hanno inciso la durata a delle condotte, i danni economici arrecati al locatore, i precedenti disciplinari del legale e il discredito che tali condotte hanno arrecato all’immagine della categoria forense nel suo complesso.

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Autovelox: basta la segnalazione Per la Cassazione, non è necessario che il cartello segnali che l'apparecchio rilevi la velocità media del veicolo

Autovelox: è sufficiente che il cartello lo segnali

Per l’autovelox basta la segnalazione. L’obbligo è assolto, infatti, se il cartello avverte che la strada è sottoposta al controllo elettronico della velocità, senza necessità di dover specificare che l’apparecchiatura effettua il calcolo della velocità media. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 19377-2024.

Autovelox non segnalato

Una società si oppone al verbale con cui le è stata contestata, a un automezzo di sua proprietà, la violazione del superamento del limite di velocità su un tratto di strada. Il ricorso viene rigettato dal Giudice di Pace. La società appella la decisione e il tribunale annulla la sanzione. Per il giudice dell’impugnazione la violazione è stata accertata con un’apparecchiatura elettronica che misura la velocità dei veicoli in relazione alla velocità media tenuta in un determinato tratto stradale. Questa caratteristica di rilevamento però non è stata adeguatamente segnalata agli automobilisti. Il cartello riporta infatti solo la dicitura “controllo elettronico della velocità”, senza fare alcun riferimento al calcolo della velocità media. La rilevazione della velocità effettuata in questo modo quindi è illegittima perché:

  • non preceduta da idonea segnalazione, come previsto dall’articolo 142, comma 6 del codice della strada;
  • l’apparecchio ha preso in considerazione due punti del tratto stradale, uno iniziale e uno finale, di cui però solo il primo può essere visibile.

A dire della ricorrente, il controllo basato sulla velocità media non è idoneo a invitare i conducenti alla prudenza e neppure a far affidamento sul controllo elettronico, che normalmente viene eseguito su un punto fisso.

Cartello autovelox deve segnalare solo controllo velocità

Il Comune opposto contesta la decisione del Tribunale e la Cassazione accoglie il ricorso.

Per gli Ermellini il Tribunale ha errato nel considerare inadeguato il cartello di segnalazione dell’apparecchio elettronico per il rilevamento della velocità per la mancata indicazione del controllo mediante il calcolo della velocità media.

Tale ragionamento non può essere condiviso perché non è conforme alla normativa in materia.

Il codice della strada consente infatti l’utilizzo delle apparecchiature elettroniche per il controllo della velocità anche per calcolare la velocità media su determinati tratti di strada, stabilendo che le stesse debbano essere segnalate con impiego di cartelli o dispositivi luminosi.

Per la legge quindi l’uso di questi apparecchi richiede solo un’adeguata segnalazione. La normativa non prevede regole distinte per gli apparecchi che rilevano la velocità media su determinati tratti stradali e quelli che compiono il controllo su un punto fisso.

L’obbligo di segnalazione pertanto deve ritenersi soddisfatto quando è presente un cartello che avverte che quel tratto di strada è sottoposto al controllo elettronico della velocità, senza ulteriori specificazioni.

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avvocato problemi salute mandato

L’avvocato con problemi di salute deve rinunciare al mandato Per il CNF, l'avvocato che ha problemi di salute deve dismettere il mandato se non può assolvere la professione nel rispetto delle regole

Problemi di salute non scriminano gli illeciti disciplinari

Il CNF nella sentenza n. 127-2024, pubblicata il 15 luglio 2024 sul sito del Codice deontologico, precisa che l’avvocato con problemi di salute deve rinunciare al mandato; non è giustificato e quindi è comunque punibile se ha commesso plurimi illeciti disciplinari connotati da una certa gravità. I problemi personali e familiari possono rilevare al limite solo ai fini del trattamento sanzionatorio. Confermata quindi la sospensione dalla professione per 4 anni.  

Avvocato: sospensione dalla professione per 4 anni

Nella vicenda, un avvocato viene sottoposto a diversi procedimenti disciplinari per vari capi di incolpazione. I procedimenti vengono riuniti e conclusa l’istruttoria dibattimentale l’avvocato viene sanzionato con la sospensione dall’attività professionale per 4 anni  a causa del numero e della gravità delle contestazioni a sua carico, di preesistenti procedimenti disciplinari e di altri ancora aperti.

L’avvocato ricorre al CNF per eccepire la prescrizione di alcuni procedimenti, per chiedere la sospensione in relazione ad alcuni capi di incolpazione, ma soprattutto per chiedere l’assoluzione dagli addebiti che gli sono stati contestati e in subordine la riduzione della sanzione disciplinare applicata.

Problemi di salute e familiari non considerati

Il CNF fissa l’udienza pubblica per la trattazione del ricorso, ma la difesa dell’incolpato presenta istanza di rinvio per legittimo impedimento dell’interessato a causa di un ricovero ospedaliero per un intervento chirurgico.

Avviato e istruito il procedimento il CNF respinge il ricorso dell’avvocato perché infondato. Il ricorrente nel difendere la propria posizione si duole del fatto che non siano state prese in considerazione le sue condizioni di salute (problemi cardiaci) e i suoi problemi familiari (separazione dalla moglie) a giustificazione delle manchevolezze del suo operato professionale.

Problemi di salute e personali non scriminano illeciti gravi

Il CNF però dichiara di condividere il pensiero e le conclusioni del Consiglio territoriale. I problemi di salute e familiari possono infatti incidere, al limite, sul trattamento sanzionatorio da applicare, ma non sulla punibilità dell’illecito disciplinare.

Nel caso specie, inoltre, non si possono trascurare gli innumerevoli capi di incolpazione conseguenti alla contestazione di gravi inadempienze, tra le quali assumono particolare rilievo quelle che si sono tradotte in veri e propri raggiri commessi in danno dei clienti. Le condotte contestate al legale sono risultate sistematiche, ripetute e seriali, frutto di una condotta connotata dalla volontà di raggirare, che reca un danno enorme al prestigio e alla immagine della classe forense nel suo complesso.

Avvocato deve dismettere il mandato

Il CNF ribadisce quindi che i problemi di salute o personali non possono giustificare le condotte dell’avvocato. Quando l’avvocato vive situazioni così gravi da ostacolare lo svolgimento della professione e a compromettere l’adempimento di tutti i doveri che la stessa comporta, il professionista deve dismettere il mandato e rifiutare eventuali nuovi incarichi se riconosce di non poterli adempiere adeguatamente.

Atteggiamento psicologico teso al raggiro e alla menzogna

Nessun problema di salute può giustificare così tanti illeciti come quelli commessi dal ricorrente, che ha dimostrato spregiudicatezza nel mentire e ingannare i clienti con raggiri e informazioni non veritiere sui contenziosi avviati.

Nel rigettare il ricorso il CNF sottolinea infatti l’atteggiamento psicologico del legale caratterizzato dal disprezzo per la sfera giuridica altrui, per il rapporto di colleganza e per la fiducia che i clienti avevano riposto in lui.

Il CNF sottolinea infatti che “Nella presente vicenda, al di là delle contestate fattispecie tipizzate di illecito deontologico, riveste particolare importanza la gravità della violazione ai principi ed alle norme generali di correttezza, lealtà, dignità, probità, decoro oltre che al rapporto fiduciario”. 

Va quindi confermata la sospensione dall’esercizio della professione per la durata di 4 anni a causa della gravità e del numero degli illeciti commessi dall’avvocato ricorrente.

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riforma codice della strada

Riforma Codice della strada: via la patente se si guida col cellulare La riforma del Codice della Strada, all'esame del Senato, prevede alcune importanti novità in materia di guida con il cellulare e monopattini 

Riforma del Codice della Strada: a che punto siamo

La Riforma del Codice della Strada, dopo l’approvazione del testo alla Camera il 27 marzo 2024, è ferma in Senato, dove ha ricevuto i pareri non ostativi di diverse Commissioni.

Vediamo quali sono le novità più significative del ddl-1086, in attesa del secondo passaggio a Montecitorio e dell’approvazione definitiva, che potrebbe arrivare entro la fine del mese di luglio 2024.

Via la patente per chi usa il cellulare mentre guida

Per chi durante la marcia fa uso di smartphone, computer portatili, notebook, tablet e dispositivi che richiedono l’allontanamento anche solo temporaneo delle mani dal volante corre il rischio di dover pagare fino a 1000 euro di multa e a essere privato della patente per due mesi.

Pene più severe per la guida in stato di ebbrezza

Sulla patente del conducente che ha commesso il reato di guida in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a certi limiti, la riforma prevede l’apposizione dei codici unionali 68 “LIMITAZIONE DELL’USO – Niente alcool” e 69 “LIMITAZIONE DELL’USO –Limitata alla guida di veicoli dotati di un dispositivo di tipo alcolock conformemente alla norma EN 50436”.

Veicoli con alcolock

Questi codici (Allegato I della direttiva n. 2006/126/CE) indicano che quel conducente non può più bere prima di mettersi alla guida (cod. 68) o che può guidare solo veicoli muniti di alcolock, per cui il guidatore, prima di accendere la macchina, deve sottoporsi a controllo soffiando nell’apposito apparecchio.

Per chi guida in stato di ebbrezza e presenta un tasso alcolemico elevato la contravvenzione prevede l’arresto, sanzioni pecuniarie salate e la sospensione della patente.

Abbandono di animali: pene più severe se avviene su strada

Abbandonare un animale sulla strada o in una sua pertinenza costituisce una circostanza aggravante del reato di abbandono di animali, contemplato dall’art. 727 c.p e comporta anche l’applicazione della sanzione accessoria della sospensione della patente da sei mesi a un anno.

Monopattini: più obblighi e divieti

La riforma prevede alcune importanti novità anche per i conducenti di monopattini e dispositivi per la micromobilità. Previsto il contrassegno per tutti i monopattini, l’obbligo di indossare il casco indipendentemente dall’età, il divieto di utilizzo fuori dai centri urbani e l’obbligo di assicurazione per la responsabilità civile.

Più punti sulla patente per chi segue corsi extracurriculari

Per incentivare lo studio delle regole sulla circolazione stradale la riforma vuole riconoscere due punti in più sulla patente, al momento del rilascio a quei ragazzi che partecipino a corsi extracurriculari organizzati dalle scuole superiori statali o paritarie e delle autoscuole.

Nuovi limiti per i neopatentati

Si vogliono estendere da uno a tre anni i divieti previsti nei confronti dei neo-patentati con patente B per quanto riguarda la guida di autoveicoli con potenze specifiche, ossia superiori a 75 kw per tonnellata e veicoli M1 ibridi o interamente elettrici superiori a 105 kw per tonnellata.

Revisione dei veicoli: controlli sulle imprese autorizzate

I controlli sulle imprese autorizzate a effettuare la revisione periodica dei veicoli devono essere effettuati da personale debitamente abilitato dal Dipartimento competente del MIT. Il decreto che stabilirà le tariffe della revisione stabilirà anche gli importi che saranno a carico delle autofficine e che sono destinate al capitolo specifico di pertinenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la cui mancata corresponsione sarà sanzionata.

Segnalazioni acustiche per i pedoni con disabilità visive

Per aiutare i pedoni con disabilità visive ad attraversare la strada la riforma prevede, presso gli attraversamenti pedonali semaforizzati, la presenza di segnalazioni acustiche per indicare lo stato di accensione delle luci e guide tattili a pavimento per consentire l’individuazione dei pali che sostengono i semafori.

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