bandi assistenza cassa forense

Avvocati: i nuovi bandi di assistenza 2024 Cassa Forense ha pubblicato tre nuovi bandi di assistenza 2024 destinati agli iscritti e le graduatorie di due bandi del 2023

Bandi assistenza 2024 Cassa Forense

Cassa Forense ha pubblicato tre nuovi bandi di assistenza 2024 destinati ai propri iscritti, oltre alle graduatorie del premio “Marco Ubertini” 2023 e del bando n. 12/2023 per l’assegnazione di contributi per famiglie numerose.

I nuovi bandi 2024

In particolare, i tre bandi rientranti tra le prestazioni a sostegno della famiglia e della salute sono i seguenti:

  • Bando n. 2/2024 per l’assegnazione di borse di studio per orfani, titolari di pensione di reversibilità o indiretta, con termine di scadenza per l’invio della domanda, esclusivamente tramite l’apposita procedura online, al 2/12/2024;
  • Bando n. 3/2024 per l’assegnazione di borse di studio in favore di studenti universitari, figli di iscritti alla Cassa, con termine di scadenza per l’invio della domanda, esclusivamente tramite l’apposita procedura online, al 2/12/2024;
  • Bando n. 4/2024 per l’assegnazione di contributi per spese di ospitalità in case di riposo o istituti per anziani, malati cronici o lungodegenti, con termine di scadenza per l’invio della domanda, tramite raccomandata A/R o PEC, al 20/1/2025.

Graduatorie bandi 2023

Infine, nella stessa data sul sito internet della Cassa sono state pubblicate, nell’apposita area dedicata, le graduatorie del Premio “Marco Ubertini” n. 10/2023 e del bando n. 12/2023 per l’assegnazione di contributi per famiglie numerose, approvate dalla Giunta Esecutiva nella riunione del 5 giugno.

 

Per approfondimenti vai a tutti i bandi 2024 di Cassa Forense

reato adescamento minorenni

Adescamento di minorenni L'adescamento di minorenni è un reato previsto e punito dall'art. 609undecies del codice penale con la reclusione da uno a tre anni

Reato di adescamento di minorenni: definizione e natura

Ai sensi dell’art. 609undecies c.p., introdotto dalla L. 172/2012, risponde penalmente chiunque, allo scopo di commettere i reati di cui agli artt. 600, 600bis, 600ter e 600quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’art. 600quater.1, 600quinquies, 609bis, 609quater, 609quinquies e 609octies, adesca un minore di anni sedici.

La norma ha, dunque, lo scopo di attuare i precetti della Convenzione di Lanzarote del 25-10-2007, per la tutela dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale. Nello specifico, si attua il disposto dell’art. 23 della suddetta convenzione, rubricato «Adescamento di bambini a scopi sessuali».

La fattispecie ha carattere sussidiario, essendo configurabile solo ove il fatto non costituisca più grave reato.

Tentativo o consumazione

Il reato è, dunque, configurabile solo se non siano ancora realizzati gli estremi del tentativo o della consumazione del reato-fine, in quanto, nell’ipotesi che quest’ultimo resti allo stadio della fattispecie tentata, la contestazione anche del delitto di cui all’art. 609undecies c.p. significherebbe di fatto perseguire la stessa condotta due volte, mentre, qualora il reato fine sia consumato, la condotta di adescamento precedentemente tenuta dall’agente si risolverebbe in un antefatto non punibile.

Nozione rilevante di «adescamento»

La norma tipizza la nozione di adescamento, per tale dovendosi intendere qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione.

Nel concetto di adescamento rientra quel complesso di condotte (identificate all’estero con il termine «grooming», da «to groom», «curare») impiegate per indebolire la volontà di un minore in modo da ottenerne il massimo controllo, inducendolo gradualmente a superare le resistenze attraverso tecniche di manipolazione psicologica, al fine di convincere la potenziale vittima della normalità dei rapporti sessuali tra adulti e minori. In giurisprudenza si afferma che costituisce «lusinga» idonea a «carpire la fiducia del minore» qualsiasi allettamento — fatto di frasi adulatorie, parole amiche, promesse o finte attenzioni – con cui l’agente cerchi di attrarre la persona offesa al proprio volere, onde indurla a commettere uno dei reati indicati dall’art. 609undecies c.p. (ad esempio, anche attraverso messaggistica telefonica) (Cass. 9-9-2022, n. 33257).

Circostanze aggravanti

Per effetto della cd. «Legge europea 2019-2020» (L. 238/2021), sono state introdotte talune ipotesi circostanziali aggravanti ad efficacia comune configurabili:

1) se il reato è commesso da più persone riunite;

2) se il reato è commesso da persona che fa parte di un’associazione per delinquere e al fine di agevolarne l’attività;

3) se dal fatto, a causa della reiterazione delle condotte, deriva al minore un pregiudizio grave;

4) se dal fatto deriva pericolo di vita per il minore.

Trattasi, dunque, di previsione che mira ad introdurre, anche in relazione a tale fattispecie, talune ipotesi aggravanti già esistenti o, a loro volta, neointrodotte in altri reati sessuali su minori, come gli atti sessuali con minorenne o la corruzione di minorenne.

Elemento soggettivo e consumazione

Quanto all’elemento soggettivo, il delitto è punibile a titolo di dolo specifico, richiedendosi la cosciente e volontaria realizzazione della condotta adescatrice, finalizzata alla commissione di uno o più dei reati indicati dalla norma. In giurisprudenza si afferma che la sussistenza del dolo specifico, ove consistente nello scopo di commettere il reato di detenzione di materiale pornografico di cui all’art. 600quater c.p., deve essere necessariamente desunta facendo ricorso a parametri oggettivi, dai quali possa inferirsi il movente sessuale della condotta (Cass. 8-7-2022, n. 26266). Più in generale si afferma che il dolo specifico, consistente nell’intenzione di commettere i reati anzidetti, non deve necessariamente risultare manifesto da quanto esplicitato nella condotta direttamente posta in essere nei confronti del minore, ben potendo la relativa prova essere ricavata anche aliunde (Cass. 9-7-2020, n. 20427).

Quanto, invece, alla consumazione, avviene nel tempo e nel luogo in cui l’agente realizza le condotte descritte nella fattispecie incriminatrice; tuttavia, qualora l’illecito sia posto in essere tramite internet o con mezzi di comunicazione a distanza, la sua consumazione si verifica nel luogo in cui si trova il minore adescato, perché il delitto presuppone una comunicazione tra due soggetti e in tale luogo si perfeziona la dimensione offensiva del fatto (Cass. 28-8-2019, n. 36492).

Pena e procedibilità

La pena è la reclusione da uno a tre anni (aumentata fino ad un terzo nelle ipotesi aggravate). L’arresto in flagranza ed il fermo non sono consentiti.

Si procede d’ufficio e la competenza spetta al Tribunale monocratico.

affitti brevi decreto turismo

Affitti brevi: cosa cambia con il nuovo decreto Emanato il decreto del ministero del Turismo sulla interoperabilità tra banche dati turistiche e strutture ricettive

Decreto del ministero del turismo

Il 6 giugno 2024, il Ministero del Turismo ha emanato il decreto ministeriale che mette in pratica le disposizioni dell’articolo 13-ter, comma 13, del Decreto legge del 18 ottobre 2023, n. 145, trasformato in Legge con modifiche il 15 dicembre 2023, n. 191. Questo provvedimento definisce le modalità di coordinamento tra le banche dati nazionali delle strutture turistico-ricettive e delle unità immobiliari affittate per brevi periodi o scopi turistici con quelle delle regioni e delle Province autonome.

Il Decreto ministeriale del 6 giugno 2024 segna un passo significativo verso una maggiore trasparenza e coordinamento nel settore turistico italiano. La BDSR e il CIN rappresentano strumenti cruciali per garantire la correttezza e la legalità delle attività ricettive, tutelando al contempo consumatori e operatori del settore.

Dettagli del decreto: Allegati A e B

Le specifiche tecniche per l’interoperabilità tra queste banche dati sono descritte negli allegati A e B del decreto, che ne costituiscono parte integrante.

BDSR e CIN: novità 2024

La Banca Dati nazionale delle Strutture Ricettive e degli immobili per locazioni brevi o scopi turistici (BDSR), istituita dall’articolo 13-quater, comma 4, del Decreto-legge del 30 aprile 2019, n. 34, convertito con modifiche nella legge del 28 giugno 2019, n. 58, è un elemento chiave per garantire la protezione dei consumatori, la concorrenza leale e la trasparenza nel mercato turistico.

Funzionalità della BDSR

La BDSR facilita il coordinamento delle informazioni tra amministrazioni statali e locali, offrendo una mappatura dettagliata delle strutture ricettive a livello nazionale e contribuendo a combattere l’ospitalità irregolare. I dati raccolti includono:

  • la tipologia tipo di alloggio;
  • l’ubicazione;
  • la capacità di accoglienza;
  • il gestore dell’alloggio;
  • il codice identificativo regionale, se presente, o codice alfanumerico unico.

La BDSR permette anche l’emissione del Codice Identificativo Nazionale (CIN), come previsto dalla normativa sulle locazioni turistiche e brevi.

Interoperabilità banche dati nazionali, regionali e province

Il Decreto del 6 giugno 2024 definisce due fasi principali per l’attivazione e il funzionamento della BDSR.

Fase 1: Pilota

Durante la fase “Pilota”, il Ministero del Turismo, in collaborazione con le Regioni e le Province autonome, prepara la BDSR per il funzionamento completo. I dati essenziali sono trasmessi entro 15 giorni dalla pubblicazione del decreto tramite un file CSV standardizzato e il Ministero fornisce supporto tecnico per risolvere eventuali criticità. In questa fase viene assegnato un Codice Identificativo Nazionale provvisorio (CIN 1).

Fase 2: Messa in esercizio

La Fase 2 prevede la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, entro il 1° settembre 2024, di un avviso che conferma l’attivazione della BDSR e del portale telematico del Ministero del Turismo per l’assegnazione del CIN.

Procedura di integrazione dati obbligatori

Una volta attivata la BDSR, i titolari e i gestori delle strutture ricettive, nonché i locatori, devono completare e aggiornare le informazioni relative alle loro proprietà per avere il CIN. L’accesso alla piattaforma avviene tramite SPID, e il sistema riconosce automaticamente le strutture associate all’utente, permettendo l’inserimento o la correzione dei dati mancanti.

Gestione delle anomalie

Se una struttura non è presente nella BDSR o se non si riesce ad accedere al database, è necessario segnalare il problema alle Regioni e Province autonome competenti tramite una procedura telematica. Le autorità hanno 30 giorni per verificare la conformità della struttura alle normative. Se la verifica è positiva, il dato viene aggiornato e il CIN verificato rilasciato. In caso contrario, il CIN non sarà rilasciato o sarà revocato se successivamente risulta non conforme.

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assegno inclusione indicazioni inps

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registro anagrafe condominiale

Il registro di anagrafe condominiale Cos'è il registro dell’anagrafica condominiale, quali obblighi ha l'amministratore, cosa deve contenere il registro e un fac-simile di scheda da inviare ai condomini

Registro anagrafica condominiale: cos’è

Con l’entrata in vigora della Legge 220/2012, sono sorte per l’Amministratore ulteriori incombenze dovute alla tenuta e custodia di alcuni registri obbligatori per i condomini.
Il Registro dell’anagrafica condominiale è uno dei nuovi documenti che l’Amministratore deve custodire o se mancante, predisporlo (punto 6 dell’Art. 1130 del Cod. Civ.).
Per ottemperare alla costituzione del registro dell’anagrafica condominiale l’Amministratore dovrà inviare, a tutti i condomini, una scheda di richiesta/aggiornamento dati.
Deve informare gli stessi condòmini che ogni variazione dei dati deve essergli comunicata per iscritto entro 60 giorni dall’avvenuta variazione, per tenere sempre aggiornato il registro di anagrafica condominiale, fermo restando che non è tenuto ad effettuare costanti attività investigative presso i pubblici registri per mantenere aggiornata l’anagrafe condominiale (Sentenza Tribunale di Roma n° 8310/2019).
Qualora un Condòminio dovesse locare la sua unità immobiliare, ha l’obbligo di comunicare entro 30 giorni all’Amministratore i dati del conduttore e dei soggetti aventi diritti reali sulla stessa unità.
In caso di omessa o incompleta comunicazione da parte di tutti i titolari di diritti reali l’Amministratore, per ovviare alla non ottemperanza dei condòmini, deve inviare una lettera di sollecito raccomandata che gli permetta di ottenere i dati mancanti ed aggiornare il registro.

Cosa deve contenere

Decorsi 30 giorni l’Amministratore può acquisire tutte le informazioni necessarie per l’aggiornamento del registro dell’anagrafe condominiale, addebitandone il costo ai responsabili.

La scheda da inviare ai condomini per istituire o aggiornare il registro dell’anagrafica condominiale dovrà contenere:

  • le generalità di tutti i condomini, degli usufruttuari, con i relativi codici fiscali;
  • la residenza ed il domicilio dei sopraelencati soggetti;
  • tutti gli eventuali numeri telefonici, e-mail, ecc.
  • se l’unità immobiliare è locata, anche i dati del conduttore;
  • in caso di comunione, i riferimenti del rappresentante della comunione;
  • i dati catastali di ogni singola unità immobiliare, ecc.

Obblighi dell’amministratore

L’Amministratore periodicamente deve richiedere a tutti i condomini se vi sono state o meno variazioni su ogni singola unità immobiliare, in particolare ad ogni rinnovo del mandato o in caso di lavori che prevedano eventuali sgravi fiscali, ed a chi certificare la detrazione da comunicare poi, in via telematica, all’Agenzia delle Entrate.

Senza contare che l’art. 63 Disp. Att. ultimo comma c.c. prevede che : “Chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l’avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all’amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto”. Meglio sarebbe stato porre a carico del notaio rogante questo ultimo adempimento. Ma tant’è.

Mancato aggiornamento del registro

Non si può ignorare che l’articolo 1130 del Cod. Civ., con il quale si istituisce il registro di anagrafica condominiale, è un articolo derogabile, pertanto, qualora un regolamento condominiale di qualsiasi natura deroghi a tale norma, bisognerà adottare quanto previsto dallo stesso.
L’aggiornamento di detto registro è molto importante tanto che esso può essere grave motivo per la revoca dell’Amministratore (Art. 1129 Cod. Civ.), oltre al fatto che sarà particolarmente utile a gestire eventuali emergenze in occasione di calamità naturali.

Fac-simile di scheda registro anagrafe condominiale

CONDOMINIO:  DI VIA ………………………………………………..IN NAPOLI

Ai sensi dell’art. 10 comma 6 della Riforma del Condominio – Legge 11.12.2012 n°220 (G.U. 293 del 17.12.2012) Il conferimento dei dati, tranne quelli indicati con * , è obbligatorio e ogni variazione dovrà essere comunicata in forma scritta entro 30gg. all’amministratore. In caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, l’amministratore richiederà con lettera raccomandata le informazioni necessarie alla tenuta del registro di anagrafe. Decorsi trenta giorni, in caso di omessa o incompleta risposta, l’amministratore acquisirà le informazioni necessarie addebitandone il costo ai proprietari.

DATI ANAGRAFICI DICHIARANTE:

Signor/Signora/Soc.:________________________________________________nato/a________________

il_________________ e residente (o sede) in____________________Via ___________________________

n°______codice fiscale:______________________________________tel.:__________________________

cell.:__________________________________ E-mail*__________________________________________

PEC*__________________________________________________________________________________

Recapito alternativo per corrispondenza:_________________________________________________________________________

In qualità di: □ proprietario □ Comproprietario (al ……..%) □ Usufruttuario □ Nudo proprietario

□ Autorizzo l’invio di qualsiasi comunicazione anche le convocazioni di assemblea attraverso la posta elettronica agli indirizzi sopra specificati

DATI ANAGRAFICI DI ULTERIORI TITOLARI:

Signor/Signora/Soc.:________________________________________________nato/a________________

il_________________ e residente (o sede) in____________________Via ___________________________

n°______codice fiscale:______________________________________tel.:__________________________

cell.:__________________________________ E-mail*__________________________________________

PEC*__________________________________________________________________________________

Recapito alternativo per corrispondenza:_________________________________________________________________________

In qualità di: □ proprietario □ Comproprietario (al ……..%) □ Usufruttuario □ Nudo proprietario

□ Autorizzo l’invio di qualsiasi comunicazione anche le convocazioni di assemblea attraverso la posta elettronica agli indirizzi sopra specificati

UNITA’ IMMOBILIARI – DATI CATASTALI

  1. a) Unità immobiliare n°_______________________Scala_______________Piano__________________Interno_______________

Destinazione d’uso____________________________________Foglio________Partic./mappale_______________Sub.___

Condotto in locazione? □ SI □ NO

  1. b) Unità immobiliare n°_______________________Scala_______________Piano__________________Interno____________

Destinazione d’uso____________________________________Foglio________Partic./mappale_______________Sub.___

Condotto in locazione? □ SI □ NO

DATI RELATIVI AL CONTRATTO DI LOCAZIONE /COMODATO (qualora esistente):

L’unità immobiliare (a;b;c;d) ___________è stata concessa in locazione/comodato dal_________________

al sig./sig.ra/ditta_____________________________codice fiscale_________________________________

Residente a_____________________________Via________________________________________________n. _____

Telefono:_____________________________________cell:_______________________________________

Recapito alternativo per corrispondenza:___________________________________________________________________

 

TUTELA DELLA PRIVACY: Vedi informativa ai sensi degli articoli 13 e 14 del regolamento (UE) 2016/679 – GDPR- qui allegata.

 

DATA: ____________________ FIRMA DEL DICHIARANTE:______________________________

 

Oltre ai dati sopra menzionati, il registro dell’anagrafica condominiale si compone di tutti quegli atti inerenti la sicurezza del condominio e quindi, anche di tutta la documentazione riguardante le manutenzioni e verifiche periodiche degli impianti.
Appare ovvio che i dati progettuali dell’edificio e tutti gli elaborati grafici devono essere parte integrante del registro di anagrafica condominiale.

ragionevole durata procedimento amministrativo

Il principio di ragionevole durata del procedimento amministrativo Principio di ragionevole durata del procedimento amministrativo: se il procedimento è ablatorio o sanzionatorio  il termine non deve superare i 10 anni

Termini del procedimento amministrativo: legge 241/1990

Il principio di ragionevole durata del procedimento amministrativo è sancito dagli articoli 1 e 2 della legge n. 241/1990 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”. L’azione della PA deve essere infatti improntata ai criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza e ai sensi dell’articolo 2, in base alla tipologia di provvedimento da adottare,  il procedimento deve concludersi entro il termine di 30 giorni, 90 giorni, 180 giorni, che decorrono “dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte”.   

Ragionevole durata dei procedimenti ablatori e sanzionatori

Come ricordato però dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 408/2022 anche “lart. 97 Cost. contiene in sé limplicita valorizzazione (o addirittura formulazione) del principio della ragionevole durata del procedimento amministrativo; principio operante nellordinamento quale diritto vivente, soprattutto per i casi di procedimenti ablatori, sanzionatori e/o di procedimenti di controllo volti alladozione di atti di ritiro.” 

Questo perché il rispetto dei termini assicura  anche il rispetto del principio di certezza del diritto in quando il decorso eccessivo del tempo crea incertezza e incide  sulle scelte di vita delle persone e delle imprese.

Termine decennale

Sul principio di ragionevole durata del processo amministrativo in presenza di un atto di revoca della PA si è espresso di recente il TAR della Campania, nella sentenza n. 1876/2024. La decisione ha posto fine alla controversia avente ad oggetto la revoca del beneficio amministrativo, affermando che il procedimento è stato eccessivamente lungo. La concessione provvisoria del beneficio è avvenuta nel 2004, mentre la procedura di revoca è iniziata solo nel 2018, concludendosi definitivamente nel 2019. Questo lungo intervallo di tempo è stato ritenuto in violazione del principio di ragionevole durata del procedimento amministrativo.

Secondo la giurisprudenza, l’amministrazione deve rispettare la durata ragionevole del procedimento, soprattutto quando si tratta di procedimenti sanzionatori o ablatori che incidono sui diritti dei privati. La legge prevede che ogni procedimento amministrativo debba concludersi entro un termine prefissato, con conseguenze per la responsabilità dell’amministrazione in caso di ritardo.

La riforma Madia del 2014 e il Decreto Semplificazioni del 2020 hanno ulteriormente rafforzato questo principio, stabilendo termini perentori per l’adozione dei provvedimenti di secondo grado e prevedendo l’inefficacia di provvedimenti tardivi in determinate ipotesi.

In questo caso, la clausola di provvisorietà del provvedimento che aveva accordato la concessione del contributo va interpretata come una condizione risolutiva, che permette all’amministrazione di recuperare le somme erogate in caso di esito negativo del controllo. Tuttavia, tale clausola non può essere utilizzata per procrastinare sine die il potere di controllo dell’amministrazione, in quanto contraria ai principi di buona fede, correttezza e ragionevole durata del procedimento. Di conseguenza, la clausola in questione deve essere considerata illegittima nella parte in cui consente una durata indefinita del procedimento di verifica.

La giurisprudenza

Il TAR esamina varie possibili soluzioni per determinare un termine ragionevole per la conclusione del procedimento di controllo:

  1. applicare il termine generale di 30 giorni previsto dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990;
  2. applicare l’art. 21 quinquies della stessa legge, che consente la revoca dei provvedimenti senza limiti di tempo, ma con obbligo di indennizzo;
  3. applicare l’art. 21 nonies, che prevede un termine massimo di 12 mesi per l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti;
  4. applicare il termine quinquennale previsto dall’art. 28 della legge n. 689 del 1981 per i procedimenti sanzionatori.

Il Collegio ritiene che né l’art. 21 quinquies né l’art. 21 nonies siano applicabili in questo caso, poiché il provvedimento revocato non era illegittimo. Neanche il termine generale di 30 giorni è ritenuto applicabile, poiché non è perentorio.

Pertanto, la durata ragionevole del procedimento deve essere determinata considerando altri parametri, come il termine di prescrizione decennale per l’azione di ripetizione di indebito o il termine quinquennale per i procedimenti sanzionatori.

La giurisprudenza europea sottolinea che il superamento del termine ragionevole può costituire un motivo di annullamento delle decisioni amministrative solo se pregiudica i diritti della difesa.

Inoltre, la Corte Costituzionale italiana ha affermato che la durata del procedimento deve essere contenuta entro limiti temporali ragionevoli per garantire la certezza giuridica e l’effettività del diritto di difesa.

Al termine delle suddette considerazioni il Collegio stabilisce che per i procedimenti afflittivi, come quello di revoca del caso di specie, il termine ragionevole può essere il termine decennale, che corrisponde al termine di prescrizione per l’azione di ripetizione di indebito.

giurista risponde

Accesso agli atti ente di diritto privato Sono accessibili gli atti di un ente di diritto privato che svolge attività di pubblico interesse?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Sì, sono accessibili gli atti di un ente di diritto privato che svolge attività di pubblico interesse, limitatamente a tali attività. – Cons. Stato, sez. V, 20 marzo 2024, n. 2694.

Preliminarmente con riguardo alla vicenda in esame, la quinta Sezione del Consiglio di Stato ricorda che l’art. 22, comma 1, lett. e), della L. 241/1990, ammette l’accesso agli atti “limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario”.

L’interesse all’ostensione degli atti inerenti all’attività di pubblico interesse può discendere da notizie di stampa, le quali devono ritenersi idonee, in assenza di dati ed elementi conoscitivi più specifici e dettagliati, a radicare l’interesse, concreto e attuale all’accesso degli atti richiesti, potendo essere i medesimi potenzialmente idonei a consentire la violazione delle prescrizioni di legge che impongono di remunerare le prestazioni professionali con un equo compenso.

Nel caso in esame la Sezione ha ritenuto che, pur muovendo dalla natura privatistica di ASMEL (Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali – è un’associazione senza scopo di lucro costituita da comuni e altri enti pubblici, tra i cui scopi rientra, tra l’altro, quello “di implementare soluzioni per il conseguimento di obiettivi di semplificazione amministrativa e di contenimento della spesa nell’ambito dei procedimenti di acquisizione di beni e servizi”), l’attività dalla stessa posta in essere, nel sottoscrivere l’accordo quadro di cui è stata chiesta l’ostensione, sia di pubblico interesse. Ha statuito che sono ostensibili l’accordo quadro e tutti gli altri atti, nella disponibilità della stessa, richiesti dall’ordine degli avvocati di Roma, quale ente esponenziale della categoria degli avvocati.

*Contributo in tema di “Accesso agli atti”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 74 / Maggio 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

adempimento collaborativo riforma fiscale

Adempimento collaborativo: il nuovo codice di condotta In Gazzetta Ufficiale i decreti del ministero dell'economia e delle finanze che, nell'ambito della riforma fiscale, modificano il regime dell'adempimento collaborativo

Decreti adempimento collaborativo

Nella Gazzetta Ufficiale n. 132 del 7 giugno 2024 sono stati pubblicati due decreti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, incentrati sull’adempimento collaborativo:

  • il Decreto del 29 aprile 2024, intitolato “Approvazione del codice di condotta per i contribuenti aderenti al regime di adempimento collaborativo”;
  • il Decreto del 20 maggio 2024, che introduce modifiche significative al decreto del 15 giugno 2016 sull’interpello per i contribuenti che aderiscono a questo regime.

Le nuove disposizioni mirano a rafforzare la trasparenza e la collaborazione tra contribuenti e Amministrazione finanziaria, favorendo un ambiente fiscale basato sulla fiducia reciproca e sulla certezza del diritto. Questi cambiamenti rappresentano un passo significativo verso un sistema fiscale più equo e trasparente, promuovendo una cultura di compliance responsabile e proattiva.

Adempimento collaborativo e riforma fiscale

Il Decreto Legislativo n. 221/2023, in vigore dal 18 gennaio 2024, ha riformulato il Decreto Legislativo n. 128/2015, ridefinendo il regime di adempimento collaborativo (cooperative compliance). Questo regime, riservato ai contribuenti con un volume di affari o ricavi non inferiore a 750 milioni di euro per l’anno 2024, vedrà una progressiva riduzione della soglia fino a 100 milioni di euro entro il 2028.

Questi cambiamenti, introdotti dall’articolo 17 della Legge 9 agosto 2023, n. 111, mirano a consolidare un rapporto di fiducia e collaborazione tra l’Amministrazione finanziaria e i contribuenti. Il nuovo regime enfatizza un dialogo costante e preventivo con l’Agenzia delle Entrate, promuovendo un ambiente di maggiore trasparenza e certezza del diritto.

Nuovo Codice di condotta contribuenti

Il Decreto Ministeriale del 29 aprile 2024 introduce il nuovo Codice di condotta per i contribuenti aderenti al regime di adempimento collaborativo. Questo codice, conforme al Decreto Legislativo n. 221/2023, stabilisce gli impegni reciproci tra i contribuenti e l’amministrazione finanziaria. La sottoscrizione del Codice avviene al momento dell’ammissione al regime e vincola le parti dal periodo d’imposta in cui viene inviata la domanda di adesione.

I principali impegni includono:

  • cessazione delle politiche di riduzione del carico fiscale: i contribuenti devono abbandonare pratiche aziendali finalizzate principalmente alla minimizzazione delle imposte;
  • adozione di pratiche di trasparenza e cooperazione: le aziende devono promuovere una cultura di trasparenza e cooperazione con l’Amministrazione finanziaria.

Le società già aderenti al regime devono conformarsi al Codice entro il 5 ottobre 2024, come previsto dalle disposizioni transitorie del decreto.

Doveri dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate, nel contesto del regime di adempimento collaborativo, deve rispettare rigorosi obblighi di riservatezza. Le informazioni raccolte nel corso del rapporto con i contribuenti sono protette dal segreto d’ufficio e trattate con la massima cautela.

L’Agenzia si impegna a collaborare in modo trasparente, proteggere i dati acquisiti e utilizzare le informazioni sui rischi fiscali solo per le verifiche relative al regime collaborativo. Inoltre, evita di avviare controlli basati su informazioni acquisite per periodi antecedenti all’ingresso nel regime.

Impegni dei contribuenti

I contribuenti che vengono ammessi al regime di adempimento collaborativo devono aderire a standard elevati di legalità e di trasparenza, includendo:

  • trasparenza fiscale e comportamento etico: promuovere una cultura aziendale fondata sul rispetto delle regole in materia fiscale;
  • bassa propensione al rischio fiscale: rispettare le regole fiscali, della trasparenza e prevenzione della frode fiscale;
  • gestione efficace del rischio fiscale e della Tax compliance: implementare sistemi di controllo del rischio fiscale integrati nella governance aziendale;
  • rapporto trasparente con le autorità fiscali: favorire un dialogo costruttivo e trasparente con l’Amministrazione finanziaria.

Interpello: le novità

Il Decreto Ministeriale del 20 maggio 2024 apporta importanti novità al procedimento di interpello, rafforzando il contraddittorio e assicurando maggiore trasparenza.

Esso introduce ex novo l’articolo 9-bis, che prevede una procedura dettagliata per l’invito al contraddittorio in caso di risposta sfavorevole all’istanza di interpello.Prima di procedere alla notifica di una decisione sfavorevole, l’ufficio deve comunicare al contribuente una sorta di schema di risposta preliminare, concedendo al contribuente almeno 30 giorni per presentare osservazioni.

Il nuovo articolo 9-ter regola infine il contraddittorio nelle comunicazioni di rischio fiscale, garantendo al contribuente un termine di trenta giorni per le osservazioni.

tamponamento a catena responsabilità

Tamponamento a catena: chi è responsabile? La Cassazione ha chiarito che, in caso di tamponamento a catena tra veicoli in movimento, si ha presunzione “iuris tantum” di colpa, in egual misura, dei conducenti di ciascuna coppia di veicoli, tamponante e tamponato

Tamponamento a catena: il caso

Nel caso in esame il Giudice di merito si era occupato di una richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti da un incidente stradale.

In particolare, la Corte d’appello di Catania, dopo aver rivalutato le risultanze istruttorie che avevano condotto il Giudice di prime cure ad accogliere la richiesta risarcitoria avanzata dall’attore, aveva ritenuto che i fatti così come si erano svolti, integravano una fattispecie di “tamponamento a catena su autostrada di veicoli in movimento”, con la conseguenza che, in applicazione della costante giurisprudenza di legittimità formatosi sul punto, doveva trovare applicazione la presunzione iuris tantum di colpa a carico del conducente di ciascuno dei veicoli tamponanti, fondata sull’inosservanza della distanza di sicurezza rispetto al veicolo antistante.

Sulla scorta di tali regole probatorie, la Corte territoriale aveva rigettato la richiesta risarcitoria dell’originario attore e aveva accolto la domanda riconvenzionale del convenuto in primo grado.

Avverso tale decisione l’originario attore aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.

La colpa dei conducenti si presume in egual misura

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 15923-2024, ha accolto, per quanto qui rileva ed in relazione alla fattispecie di tamponamento a catena, il motivo d’impugnazione formulato dal ricorrente con cui veniva fatta valere la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 149 CdS, 1223, 2043 e 2054 c.c.

In particolare, la Corte ha rilevato che “mentre nel caso di scontri successivi tra veicoli facenti parte di una colonna in sosta, unico responsabile degli effetti delle collisioni è il conducente che le abbia determinate, tamponando da tergo l’ultimo dei veicoli della colonna stessa, nella diversa ipotesi di tamponamento a catena tra veicoli in movimento trova applicazione l’art. 2054, seconda comma, cod. civ., con conseguente presunzione “iuris tantum” di colpa in egual misura di entrambi i conducenti di ciascuna coppia di veicoli (tamponante e tamponato)”. Tale presunzione è fondata sul mancato rispetto della distanza di sicurezza rispetto al veicolo che precede.

Presunzione di colpa in egual misura tra i conducenti

Sulla scorta di quanto sopra, la Cassazione ha pertanto rilevato che, nel caso di specie, l’esclusiva responsabilità a carico del tamponante poteva ritenersi integrata solo se fosse venuto in rilievo un caso di tamponamento tra veicoli incolonnati in sosta.

Mentre, avendo la Corte territoriale ritenuto integrata la diversa fattispecie del tamponamento a catena tra veicoli in movimento, doveva, al contrario, trovare applicazione la regola della presunzione di colpa in egual misura tra i conducenti, con conseguente riduzione della somma risarcitoria posta a carico del ricorrente.

Allegati

decreto Priolo

Decreto Priolo: misure legittime solo se temporanee La Corte Costituzionale esamina la disciplina derogatoria alla luce della riforma degli artt. 9 e 41 Cost. ritenendola legittima solo se non superiore a 36 mesi

Decreto Priolo: l’intervento della Consulta

Una disciplina derogatoria rispetto alla normativa ordinaria di tutela della salute e dell’ambiente, in relazione ad attività produttive di interesse strategico nazionale, è costituzionalmente legittima solo se temporanea. E’ quanto ha affermato la Consulta, con la sentenza n. 105/2024, pronunciandosi sul decreto Priolo alla luce della riforma degli artt. 9 e 41 della Costituzione.

La questione di legittimità costituzionale

“Misure governative che impongono la prosecuzione di attività produttive di rilievo strategico per l’economia nazionale o la salvaguardia dei livelli occupazionali, nonostante il sequestro degli impianti ordinato dall’autorità giudiziaria, sono costituzionalmente legittime soltanto per il tempo strettamente necessario per portare a compimento gli indispensabili interventi di risanamento ambientale” ha specificato la Corte, esaminando la qlc sollevata dal Gip di Siracusa, nell’ambito di un procedimento relativo al sequestro degli impianti di depurazione di Priolo Gargallo, che a sua volta si iscrive in una più ampia indagine per disastro ambientale, ipotizzato a carico di varie aziende petrolchimiche operanti nella zona.

La questione concerneva una norma contenuta nel decreto-legge n. 2 del 2023, che autorizza il Governo, in caso di sequestro di impianti necessari ad assicurare la continuità produttiva di stabilimenti di interesse strategico nazionale, ad adottare “misure di bilanciamento” che consentano di salvaguardare la salute e l’ambiente senza sacrificare gli interessi economici nazionale e la salvaguardia dell’occupazione.

Per il Gip che aveva disposto il sequestro degli impianti di depurazione, “questo schema normativo non garantirebbe adeguata tutela alla vita, alla salute umana e all’ambiente, vincolandolo ad autorizzare la prosecuzione dell’attività anche quando, a suo giudizio, le misure adottate risultino insufficienti rispetto alle esigenze di tutela di questi interessi”.

Misure temporanee non oltre i 36 mesi

La Corte ha anzitutto osservato che una lettura attenta della normativa sottoposta al suo esame conferma che, “una volta che siano state adottate le misure in questione, il giudice che ha disposto il sequestro è tenuto ad autorizzare la prosecuzione dell’attività degli impianti, senza poter rimettere in discussione le scelte del Governo”. Nel vagliare la legittimità costituzionale di tale meccanismo, il giudice delle leggi ha ricordato che “la recente riforma costituzionale del 2022 ha attribuito espresso e autonomo rilievo, nel nuovo testo dell’art. 9, alla tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. Inoltre, la riforma ha esplicitamente chiarito che la tutela della salute e dell’ambiente costituisce un limite alla stessa libertà di iniziativa economica”.

Date queste indicazioni, la Corte da un lato ha ritenuto non incompatibile con la Costituzione la previsione della possibilità per il Governo di dettare direttamente, in una situazione di crisi e in via provvisoria, misure conformi alla legislazione vigente, che consentano di assicurare continuità produttiva a uno stabilimento di interesse strategico nazionale, contenendo il più possibile i rischi per l’ambiente, la salute e la sicurezza dei lavoratori. Dall’altro lato, tuttavia, tali misure dovranno comunque “tendere a realizzare un rapido risanamento della situazione di compromissione ambientale o di potenziale pregiudizio alla salute determinato dall’attività delle aziende sequestrate”, e non invece “a consentirne indefinitamente la prosecuzione attraverso un semplice abbassamento del livello di tutela di tali beni”.

La decisione

In applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto costituzionalmente illegittima la mancata previsione, nella norma esaminata, di un termine massimo di 36 mesi di operatività delle misure in questione. Entro questo termine, occorrerà in ogni caso assicurare il completo superamento delle criticità riscontrate in sede di sequestro e ripristinare gli ordinari meccanismi autorizzatori previsti dalla legislazione vigente.