rimborsi adozioni internazionali

Rimborsi adozioni internazionali: come fare domanda Rimborsi adozioni internazionali: dal 7 gennaio al 6 aprile 2025 è possibile presentare le istanze per il recupero delle spese

Rimborsi adozioni internazionali: le novità

Il decreto del Ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità del 6 agosto 2024 ha introdotto importanti disposizioni per i rimborsi delle spese relative alle adozioni internazionali. Il provvedimento, registrato dalla Corte dei Conti il 12 settembre 2024, prevede:

  • le modalità per richiedere i rimborsi delle spese sostenute per le adozioni concluse nel 2023;
  • la riapertura dei termini per le richieste relative alle adozioni concluse nel 2022.

Termini di presentazione della domanda di rimborso

Le domande di rimborso possono essere inviate dalle ore 00:01 del 7 gennaio 2025 fino alle ore 23:59 del 6 aprile 2025. Le domande presentate oltre questa scadenza saranno considerate irricevibili.

Modalità di invio delle istanze

Per le procedure che si cono concluse tra il 1° gennaio e il 31 dicembre sia del 2022 sia del 2023, le istanze devono essere inviate tramite il portale “Adozione Trasparente” della Commissione per le Adozioni Internazionali (CAI). L’accesso al portale richiede l’autenticazione con SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) o CIE (Carta d’Identità Elettronica).

Per alcune situazioni specifiche, come previsto dall’art. 36, comma 4, della legge n. 184/1983, o per chi ha adottato senza l’ausilio di un Ente autorizzato, le istanze possono essere inviate:

  • con raccomandata con avviso di ricevimento;
  • Per Posta Elettronica Certificata (PEC) all’indirizzo segreteria@pec.governo.it

Documentazione richiesta

Per garantire l’ammissibilità della domanda, è indispensabile presentare tutti i documenti richiesti, tra cui:

  • la certificazione delle spese sostenute rilasciata dall’Ente autorizzato;
  • l’attestazione ISEE in corso di validità;
  • la copia dei documenti d’identità dei coniugi.

In caso di adozione pronunciata all’estero e riconosciuta in Italia, è necessario allegare anche:

  • il provvedimento del Tribunale per i minorenni che riconosce l’adozione;
  • l’autocertificazione )Modello B DPR 445/2000) e la documentazione contabile delle spese sostenute.

Per le adozioni di minori “special needs”, è obbligatorio includere una dichiarazione attestante questa condizione.

Rimborsi adozioni internazionali importi

Il rimborso massimo è determinato in base alla fascia di reddito ISEE:

  • fino a 25.000 euro: rimborso massimo di 11.400 euro;
  • tra 25.001 e 40.000 euro: rimborso massimo di 9.000 euro;
  • oltre 40.000 euro: rimborso massimo di 6.600 euro.

In assenza dell’attestazione ISEE, il rimborso massimo è di 6.600 euro. Le spese rimborsabili includono i costi documentati per assistenza, traduzione, legalizzazione di documenti, trasferimenti e soggiorni all’estero.

Ai fini della quantificazione del rimborso sono esclusi gli importi erogati a titolo di contributo da parte degli enti territoriali con finalità analoghe a quelle di sostegno del percorso preadottivo.

Per i genitori di minori “special needs”, è previsto un contributo aggiuntivo proporzionato alla fascia ISEE, fino a un massimo di 3.420 euro.

Erogazione dei rimborsi adozioni internazionali

Entro 60 giorni, decorrenti dalla scadenza dei termini di presentazione delle istanze la segreteria tecnica della Commissione per le adozioni internazionali conclude la fase di valutazione della ammissibilità delle domande.

La liquidazione del rimborso si verifica una volta conclusa positivamente l’istruttoria della singola istanza.

Ogni rimborso erogato, completo dei dati identificativi del beneficiario, dovrà essere comunicato all’Agenzia delle Entrate per l’elaborazione della dichiarazione precompilata e per l’applicazione di eventuali deduzioni.

Istanze incomplete e assistenza

Le domande incomplete o prive della documentazione richiesta saranno dichiarate inammissibili. Per chiarimenti, è possibile inviare quesiti via email all’indirizzo rimborsi.cai@governo.it, specificando nell’oggetto “quesito DM rimborsi”. Le richieste di assistenza devono pervenire entro 10 giorni dalla scadenza per l’invio delle istanze.

Per maggiori dettagli e per le modalità operative, si invita a consultare il sito della Commissione per le Adozioni Internazionali: www.commissioneadozioni.it.

avvocato del genitore

L’avvocato del genitore tutela anche i figli Nei procedimenti in materia di famiglia, l'avvocato del genitore tutela in automatico anche i figli

Procedimenti in materia di famiglia: difesa estesa

Il ruolo dell’avvocato del genitore, nell’ambito dei procedimenti in materia di famiglia, non si limita alla difesa del rappresentato. Il legale deve tutelare anche gli interessi del minore coinvolto. Lo afferma il Consiglio Nazionale Forense, in un recente caso disciplinare che si è concluso con l’emanazione della sentenza n. 291/2024.

Diritto di visita: omessa informazione legale controparte

Una avvocata viene sottoposta a un giudizio disciplinare per presunta violazione dell’articolo 46, comma 7, del Codice Deontologico Forense. Secondo l’accusa, la professionista avrebbe omesso di informare il legale della controparte del deposito di un ricorso giudiziale durante le trattative stragiudiziali avviate. La questione riguarda in particolare la regolamentazione del diritto di visita e l’assegno di mantenimento di un figlio minore.

L’avvocato di controparte sostiene che l’avvocata abbia omesso di comunicargli l’avvenuto deposito del ricorso prima di un incontro, avvenuto il 6 novembre 2017. L’incontro era finalizzato a trovare un accordo stragiudiziale, ma il ricorso era già stato depositato il 3 novembre 2017.

Obbligo di informazione della controparte

Per il Consiglio Distrettuale di Disciplina (CDD) di Trento l’avvocata ha violato l’obbligo deontologico di informare il collega avversario dell’interruzione delle trattative e dell’inizio di un procedimento giudiziario. La ricorrente, a sua difesa, sostiene di aver preannunciato in realtà il deposito del ricorso. Le prove documentali e le testimonianze raccolte non hanno però confermato questa comunicazione con sufficiente chiarezza.

Per il CDD anche in caso di mancata interruzione formale delle trattative, il comportamento dell’avvocata è comunque contrario ai principi di colleganza e trasparenza richiesti dal Codice Deontologico. Considerata tuttavia la gravità ridotta della violazione, il CDD irroga la sanzione dell’avvertimento.

Procedimenti in materia di famiglia: ruolo dell’avvocato

Il caso mette in evidenza un principio fondamentale nei procedimenti familiari: lavvocato del genitore rappresenta anche, indirettamente, gli interessi del minore. La giurisprudenza sottolinea che il legale non deve limitarsi infatti a tutelare il diritto di difesa del cliente, ma deve agire per ridurre il conflitto tra le parti, proteggendo il benessere del minore.

Nel caso in questione, il deposito del ricorso senza una chiara comunicazione alla controparte ha alimentato il contenzioso, anziché contenerlo. L’avvocata, accettando di partecipare all’incontro del 6 novembre, ha implicitamente riconosciuto l’esistenza di trattative. Il ricorso già depositato tuttavia ha reso queste trattative solo apparenti.

Obbligo di trasparenza e comunicazione

L’articolo 46, comma 7, CDF impone all’avvocato di comunicare tempestivamente al collega avversario l’interruzione delle trattative stragiudiziali. Questo obbligo mira a garantire chiarezza nei rapporti professionali, evitando malintesi che possano compromettere il dialogo tra le parti.

Nel caso di specie, la mancanza di una comunicazione esplicita ha pregiudicato la fiducia tra i legali, con ripercussioni dirette sul procedimento. Il CDD ha sottolineato che l’avvocata avrebbe dovuto informare tempestivamente la controparte del deposito del ricorso, anche per garantire un quadro chiaro della situazione processuale.

L’interesse superiore dei minori

Nei procedimenti familiari, l’interesse superiore del minore deve prevalere su ogni altra considerazione. L’avvocato, in qualità di rappresentante legale di un genitore, assume un ruolo di responsabilità nei confronti del minore. La funzione del legale non si limita quindi a rappresentare il cliente, ma include un dovere di protezione nei confronti dei minori coinvolti.

Il CNF, dinnanzi al quale è giunta la questione disciplinare, ribadisce che l’avvocato deve adottare un approccio collaborativo e trasparente, mirato a ridurre il conflitto e a favorire soluzioni condivise. Questo principio assume un rilievo ancora maggiore nei casi di diritto di famiglia, dove le decisioni prese dai genitori e dai loro rappresentanti legali hanno un impatto diretto sul benessere dei figli.

 

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Divorzio guida legale

Divorzio: guida legale Il divorzio in Italia: disciplina ed evoluzione di un istituto segnato da profondi cambiamenti sociali che hanno inciso soprattutto sui tempi della procedura

Legge 898/1970: normativa divorzio in Italia

Il divorzio in Italia è regolato dalla Legge n. 898 del 1970, una delle pietre miliari del diritto di famiglia italiano. In virtù di questa legge il giudice può pronunciare lo scioglimento del matrimonio civile quando verifica che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita, previa verifica di una causa specifica prevista dall’art. 3 e dopo un tentativo fallito di conciliazione. Per i matrimoni celebrati con rito religioso e trascritti civilmente, il giudice può dichiarare la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione, seguendo il medesimo iter.

Divorzio giudiziale

La legge n. 898/1970 stabilisce che lo scioglimento o la cessazione possano essere richiesti da un coniuge nei seguenti casi principali:

  • Condanne penali del coniuge:
    • ergastolo o pene superiori a 15 anni per delitti non colposi, escluse specifiche eccezioni;
    • pene per reati gravi come incesto, sfruttamento della prostituzione, omicidio volontario o tentato omicidio del coniuge o figli;
    • condanne per violenze domestiche o abusi sui familiari.
    • Assoluzioni per vizio totale di mente in reati che compromettono la convivenza.
    • Separazioni giudiziali o consensuali protratte per almeno 12 mesi (6 mesi per separazioni consensuali). Questi tempi, ridotti in virtù delle Legge n. 55/2015, in passato erano decisamente più lunghi. Si poteva infatti divorziare dopo tre anni di separazione decorrenti dall’udienza di comparizione dei coniugi in Tribunale.
    • Mancata consumazione del matrimonio, annullamento o scioglimento del matrimonio all’estero da parte di un coniuge straniero, o rettificazione di attribuzione di sesso.

Il Tribunale, accertata la sussistenza di una delle cause suddette, emette una sentenza che ordina la cessazione del matrimonio, obbligando l’ufficiale di stato civile ad annotare tale sentenza.

Effetti del divorzio

Per effetto del divorzio in Italia la donna perde il cognome aggiunto per matrimonio, salvo autorizzazione a conservarlo per motivi di interesse personale o dei figli. Trattasi di una decisione che può essere modificata per gravi motivi. La sentenza di divorzio può prevedere un assegno di mantenimento per il coniuge privo di mezzi adeguati, calcolato in base al contributo alla famiglia, ai redditi e alla durata del matrimonio. L’importo può essere adeguato automaticamente secondo l’inflazione. Su accordo, è possibile una corresponsione in unica soluzione, precludendo future richieste economiche. L’abitazione nella casa familiare viene assegnata prioritariamente al genitore affidatario dei figli o con cui essi convivono dopo la maggiore età. Il giudice considera le condizioni economiche di entrambi i coniugi, favorendo il coniuge più debole. L’assegnazione, se trascritta, è opponibile a terzi acquirenti, come stabilito dall’articolo 1599 del codice civile. Il tribunale disciplina l’amministrazione dei beni dei figli e, nel caso di responsabilità genitoriale condivisa, regola il contributo dei genitori al godimento dell’usufrutto legale.

Divorzio congiunto: alternativa rapida ed economica

Il divorzio a domanda congiunta rappresenta l’alternativa più rapida ed economica al divorzio giudiziale, grazie all’accordo tra i coniugi. La domanda deve essere presentata tramite ricorso al tribunale competente, ossia quello del luogo di residenza o domicilio di uno dei coniugi. Il ricorso deve contenere:

  • i motivi di fatto e diritto per lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili (se concordatario);
  • le informazioni sull’esistenza di figli comuni;
  • le condizioni concordate per i figli e i rapporti economici;
  • le ultime dichiarazioni dei redditi di entrambi;
  • i documenti essenziali come l’atto di matrimonio, lo stato di famiglia, il certificato di residenza e la copia della separazione consensuale o giudiziale.

Divorzio congiunto con negoziazione assistita

La negoziazione assistita, introdotta con il d.l. n. 132/2014 (convertito nella legge n. 162/2014) consiste in una convenzione tra le parti, assistite dai rispettivi avvocati, per raggiungere un accordo consensuale in buona fede e lealtà.

In materia di separazione e divorzio, l’art. 6 del dl consente ai coniugi di risolvere consensualmente questioni di separazione, cessazione degli effetti civili o modifica delle condizioni di divorzio. La procedura è applicabile sia in assenza che in presenza di figli. Senza figli, l’accordo necessita del nullaosta del Procuratore della Repubblica. In presenza di figli minori o non autosufficienti, il Pubblico Ministero valuta l’interesse della prole. Se necessario, il Tribunale interviene per tutelare i diritti dei figli. L’accordo autorizzato è equiparato ai provvedimenti giudiziali e deve essere trasmesso all’ufficiale di stato civile per gli adempimenti di trascrizione e annotazione.

Il divorzio davanti al sindaco

Il dl n. 132/2014 ha previsto anche il divorzio davanti al Sindaco, a cui non si può ricorrere in presenza di figli minori o maggiore di età non autosufficienti o portatori di handicap grave. L’articolo 12 prevede la possibilità per i coniugi di concludere davanti al sindaco (nella sua qualità di  ufficiale dello stato civile) del comune di residenza di uno di loro o del comune presso cui è iscritto o trascritto l’atto di matrimonio e con l’assistenza facoltativa di un avvocato un accordo di di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché di modifica delle condizioni di divorzio. L’accordo tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono il procedimento di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di divorzio. Anche questa procedura è più rapida rispetto a quella contemplata dalla legge storica sul divorzio n. 898/1970.

Il divorzio nella Riforma Cartabia

La Riforma Cartabia è intervenuta sull’istituto del divorzio in Italia modificando le regole dei procedimenti in materia di persone, minorenni e famiglie (art. 473 bis c.p.c – art- 473 ter).

Di queste norme, quelle contenute nella sezione II del capo III del Titolo IV bis del Libro II, si occupano anche dello scioglimento del matrimonio.

La norma di maggiore interesse da segnalare è l’art. 473 bis. 49 c.p.c che disciplina il cumulo delle domande di separazione e scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Divorzio: l’importanza della giurisprudenza

Sebbene siano trascorsi più di cinquant’anni dalla sua introduzione, il divorzio in Italia è in continua evoluzione. Questo perché si tratta di un istituto con una serie di implicazioni legali che richiedono una comprensione approfondita delle normative in vigore, ma anche delle più recenti sentenze della Corte di Cassazione. Sebbene il quadro normativo sia consolidato, la giurisprudenza continua infatti ad aggiornarsi, fornendo indicazioni preziose su come applicare le leggi in modo equo e giusto. Le nuove sfide sociali ed economiche e l’attenzione crescente per i diritti dei figli e il trattamento equo dei coniugi, continuano a plasmare l’evoluzione del diritto di famiglia italiano.

Nel corso degli anni, la Corte di Cassazione ha emesso numerose sentenze che hanno contribuito a chiarire e a far evolvere l’interpretazione dei vari interventi legislativi sul divorzio soprattutto per quanto riguarda i diritti e i doveri dei coniugi e l’efficacia delle separazioni. Le sue pronunce sono fondamentali per comprendere l’applicazione concreta delle leggi in contesti complessi. Vediamo che cosa dicono alcune delle sentenze  più significative degli Ermellini.

La separazione come condizione per il divorzio

Una delle tematiche più dibattute in Cassazione riguarda la durata della separazione prima di chiedere il divorzio. In particolare, la Corte ha chiarito che la separazione deve essere “effettiva” e non meramente formale. I coniugi devono cioè dimostrare di vivere in modo separato e di non avere più rapporti di vita comune. Nella sentenza Cass. Civ. n. 19174/2021, la Corte ha ribadito che la separazione deve comportare una “cessazione del progetto coniugale”, e non basta la semplice separazione di fatto.  

Affido dei figli: tema cruciale

Un altro aspetto rilevante delle recenti decisioni della Corte di Cassazione riguarda l’affido dei figli in caso di divorzio. La legge stabilisce che l’affido debba essere condiviso tra i genitori, salvo casi eccezionali in cui uno dei due non possa garantire un ambiente adatto alla crescita del minore. Tuttavia, la Cassazione ha più volte ribadito, come nella sentenza Cass. Civ. n. 15587/2022, che l’affidamento esclusivo di uno dei genitori è una misura estrema, da adottare solo quando il comportamento dell’altro genitore è pregiudizievole per il benessere del bambino. Nel caso in cui i genitori non raggiungano un accordo, la decisione finale spetta al giudice, il quale deve tenere conto dell’interesse del minore come principio fondamentale.

Il mantenimento dell’ex coniuge

Un altro punto centrale nelle dispute del divorzio riguarda il mantenimento. La Corte di Cassazione ha chiarito, con una serie di sentenze, che l’obbligo di mantenimento per il coniuge in difficoltà economiche non è automatico e dipende anche da una valutazione delle risorse economiche di ciascun coniuge. Nella sentenza Cass. Civ. n. 23448/2020, la Corte ha evidenziato che, qualora uno dei coniugi non abbia bisogno di un sostegno economico, non sussiste l’obbligo di versare un mantenimento. Inoltre, è stato affermato che la durata del mantenimento deve essere limitata nel tempo, soprattutto in caso di scioglimento di matrimoni da cui non siano nati figli o in presenza di un’indipendenza economica del coniuge richiedente.

 

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divorzio breve

Divorzio breve: la guida Divorzio breve: la legge n. 55/2015 ha ridotto i tempi del divorzio riducendo il tempo   di attesa dalla separazione consensuale o giudiziale

Divorzio breve: la legge n. 55/2015

Il divorzio breve, introdotto in Italia dalla Legge n. 55 del 2015, ha segnato un’importante evoluzione nel diritto di famiglia italiano. Questa legge ha ridotto significativamente il tempo necessario per ottenere la dissoluzione legale del matrimonio, migliorando così l’efficienza del sistema giuridico e rispondendo alle esigenze di una società sempre più dinamica. In questo articolo, esploreremo l’istituto alla luce della Legge n. 55/2015, analizzando i suoi effetti pratici e le implicazioni per i coniugi coinvolti.

Cos’è il divorzio breve?

Il divorzio breve è un’innovazione legislativa che ha ridotto i tempi necessari per ottenere il divorzio in Italia, abbattendo i periodi del divorzio successivi alla separazione previsti dalla Legge n. 898 del 1970. Questa normativa stabiliva infatti che i coniugi dovessero essere separati per almeno tre anni prima di poter chiedere il divorzio. Con l’introduzione della Legge n. 55/2015, queste tempistiche sono state ridotte. Questo cambiamento ha rappresentato una semplificazione per molte coppie, rendendo più rapida la conclusione di un matrimonio che, per vari motivi, è giunto al capolinea. L’obiettivo della riforma è stato quello di alleggerire il carico di lavoro dei tribunali e rispondere alle necessità di una società in rapido cambiamento, in cui i legami coniugali si deteriorano più velocemente.

Legge n. 55/2015: modificati i tempi

La Legge n. 55/2015, approvata il 6 maggio 2015, ha modificato l’art. 3 della Legge n. 898 del 1970 (Legge sul Divorzio), che disciplinava i tempi del divorzio. Prima di tale riforma, come anticipato, i coniugi dovevano essere separati legalmente da almeno tre anni per poter ottenere il divorzio. Con l’introduzione del nuovo istituto, i tempi di separazione sono stati drasticamente ridotti, con l’intento di rendere più rapido e accessibile il processo di dissoluzione del matrimonio

La legge ha stabilito infatti che:

  • in presenza di una separazione consensuale, ossia quando i coniugi sono d’accordo sulla separazione e sugli effetti accessori (come l’affidamento dei figli e il mantenimento), il tempo di separazione necessario per chiedere il divorzio è ridotto a 12 mesi.
  • Nell’ipotesi invece di una separazione giudiziale, che viene avviata quando i coniugi non riescono a trovare un accordo e devono ricorrere al tribunale per risolvere le questioni relative alla separazione, il termine per chiedere il divorzio è ridotto a 6 mesi.  

Questa modifica ha reso il processo di divorzio più veloce ed efficiente, contribuendo a ridurre il tempo di attesa per chi desidera mettere fine a un matrimonio.

Come funziona il divorzio breve?

Lo scioglimento del matrimonio breve non cambia le modalità di separazione, ma agisce esclusivamente sui tempi in cui è possibile chiedere il divorzio. Vediamo come funziona nei due principali scenari

  1. La procedura di divorzio breve consensuale può essere avviata dopo 12 mesi dalla separazione consensuale. Il vantaggio principale è che, in questo caso, non è necessario il passaggio in tribunale, se non sono presenti figli minorenni o non ci sono altre problematiche legali da risolvere.
  2. Il divorzio breve giudiziale invece può essere avviato dopo che la separazione legale è stata dichiarata dal giudice. In questo caso i coniugi possono chiedere il divorzio dopo soli 6 mesi. Questo significa che, in caso di separazione giudiziale, i tempi per il divorzio sono molto più rapidi rispetto a quelli previsti prima della legge n. 55/2015.

Divorzio breve quali vantaggi

La Legge n. 55/2015 ha portato numerosi vantaggi, tanto per i coniugi quanto che per il sistema giuridico.

Maggiore rapidità

Il principale vantaggio è rappresentato dalla riduzione dei tempi. Le coppie che hanno già intrapreso un processo di separazione, ma che non sono ancora riuscite a ottenere il divorzio, possono finalmente porre fine al loro matrimonio con maggiore tempestività. Questo è particolarmente importante in un contesto in cui le persone cercano di risolvere rapidamente le difficoltà familiari per poter ricominciare una nuova vita.

Minore conflittualità

La possibilità di concludere rapidamente la procedura consente alle parti di evitare prolungamenti inutili e tensioni prolungate. I tempi più brevi incoraggiano infatti i soggetti coinvolti a trovare una soluzione pacifica.

Semplificazione delle procedure giudiziarie

La legge ha prodotto anche l’effetto di ridurre il carico di lavoro dei tribunali, perché la procedura è meno complessa. Con l’abbattimento dei tempi di separazione, il numero di casi pendenti in tribunale si è ridotto con conseguente alleggerimento del sistema giudiziario.

Maggiore tutela per i minori

Questo modo di procedere più rapido è senza dubbio positivo anche per i figli minorenni. La procedura accelerata riduce il periodo di conflitto e di incertezza familiare e i minori riescono ad adattarsi più velocemente alla nuova situazione.

Divorzio breve: svantaggi

Nonostante i numerosi vantaggi, l’istituto non è privo di criticità. Alcuni esperti ritengono che i tempi ridotti non permettono una riflessione adeguata sui danni emotivi della separazione per i coniugi e i figli minori. La rapidità della procedura potrebbe ridurre inoltre il tempo disponibile per una negoziazione accurata degli accordi, soprattutto per quanto riguarda la custodia dei figli e la divisione equa  dei beni.

 

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assegno di divorzio

Assegno di divorzio: vale anche il sacrificio della moglie straniera Assegno di divorzio: nel riconoscerlo e quantificarlo non si può ignorare il sacrificio della moglie che ha lasciato paese e carriera

Assegno di divorzio

L’assegno di divorzio deve tenere conto del sacrificio compiuto dalla moglie che ha lasciato il suo Paese d’origine per seguire il marito. Questo sacrificio assume un ruolo di rilievo nella valutazione dell’assegno divorzile, confermando il principio perequativo-compensativo. Lo ha sancito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 31709/2024.

Valorizzato il contributo della moglie alla carriera del marito

Il Giudice di primo grado, in una causa di divorzio, riconosce alla ex moglie un assegno divorzile di 750 euro mensili, annualmente rivalutabile. Il Tribunale nella decisione valorizza la situazione economica delle parti e altri elementi cruciali. Tra questi emerge il sacrificio della donna, che ha lasciato il Turkmenistan, rinunciando a un incarico presso il Ministero dell’Economia, per trasferirsi in Italia e dedicarsi alla famiglia.

Il marito, professionista affermato con una carriera di lunga durata, nel tempo ha accumulato notevoli risorse economiche anche grazie al supporto della moglie. Il giudice ha infatti sottolineato che le conoscenze linguistiche della donna hanno senza dubbio favorito le attività professionali del coniuge. Il giudice dell’impugnazione conferma la decisione del Tribunale. Entrambi i coniugi però impugnano la sentenza: il marito contesta l’esistenza dei presupposti per l’assegno, mentre la moglie chiede un importo maggiore, pari a 5.000 euro mensili.

Il ruolo compensativo dell’assegno divorzile

La Cassazione rigetta il ricorso del marito, riconoscendo ancora una volta la funzione perequativa-compensativa dell’assegno divorzile. L’assegno spetta in presenza di uno squilibrio reddituale tra le parti e quando il coniuge richiedente dimostra l’impossibilità di procurarsi mezzi adeguati per ragioni oggettive. Nel caso di specie la moglie ha dimostrato di non avere un’occupazione stabile e di trovarsi in una fase avanzata della vita, con difficoltà di reinserimento lavorativo. La rinuncia al proprio lavoro nel Paese d’origine rappresenta un sacrificio significativo, adottato per condividere un progetto familiare comune.

Il sacrificio della moglie: un elemento determinante

Secondo la Corte di Cassazione, il sacrificio compiuto dalla moglie assume in effetti un peso decisivo nella valutazione dell’assegno divorzile. Abbandonare il proprio Paese d’origine e un’occupazione stabile per seguire il marito rappresenta una scelta che ha influenzato profondamente la vita della donna. Tale scelta, condivisa da entrambi i coniugi, non può essere ignorata al momento della quantificazione dell’assegno. La decisione si colloca nel solco dei principi espressi dalle Sezioni Unite nel 2018 (sentenza n. 18287), secondo cui l’assegno di divorzio ha una duplice funzione: assistenziale e compensativa. Quest’ultima serve a riequilibrare i sacrifici fatti dal coniuge economicamente più debole durante la vita matrimoniale.

Criteri di valutazione ed equilibrio patrimoniale

La Corte d’Appello aveva comunque già valutato con attenzione lo squilibrio reddituale esistente tra le parti. Pur considerando i prelievi della moglie dal conto cointestato per un totale di 160.000 euro, aveva ritenuto che tale somma non fosse sufficiente a compensare lo squilibrio patrimoniale. L’importanza della valutazione globale della situazione economica dei coniugi al fine di determinare l’assegno di divorzio emerge chiaramente dalla sentenza.

mantenimento figlio maggiorenne

Mantenimento figlio maggiorenne: addio se 7 anni fuori corso Mantenimento figlio maggiorenne: addio se è 7 anni fuori corso e non dimostra interesse a raggiungere l'indipendenza

Mantenimento del figlio maggiorenne

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 31564/2024 ha ribadito un principio fondamentale: il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne non è automatico e perpetuo. I genitori non sono obbligati a garantire un sostegno economico indefinito se il figlio non dimostra di perseguire con impegno l’obiettivo dell’autosufficienza economica.

Revocato il mantenimento del figlio maggiorenne

La Corte ha respinto il ricorso di una madre e di suo figlio, un uomo ultratrentenne, contro l’ex marito. Il padre, infatti, aveva ottenuto la revoca giudiziale dell’obbligo di mantenimento a seguito della prolungata inattività accademica del figlio, che si trovava sette anni fuori corso senza aver completato neanche un corso di laurea triennale.

Il punto cruciale della decisione è stato l’onere probatorio. Per i giudici di merito il figlio non aveva saputo dimostrare le presunte difficoltà personali o oggettive che avrebbero giustificato il ritardo nel completamento degli studi e la mancata indipendenza economica. L’inerzia e la mancanza di iniziativa personale sono state decisive per la revoca del mantenimento.

Figlio responsabile nel raggiungimento dell’autonomia

L’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne non può perdurare se emergono chiari segnali di negligenza o mancanza di impegno. Il figlio deve dimostrare di aver incontrato ostacoli concreti, come problemi di salute o difficoltà oggettive nel mercato del lavoro, che gli impediscano di raggiungere l’indipendenza economica.

Il mantenimento genitoriale rappresenta uno strumento di sostegno temporaneo e non una soluzione permanente. L’obiettivo è fornire al figlio gli strumenti necessari per rendersi autosufficiente. Tuttavia, è responsabilità del beneficiario impegnarsi attivamente nel percorso di studi o professionale.

Inadempimento paterno: inerzia ingiustificata

Nel caso specifico, la madre e il figlio avevano sostenuto che il mancato pagamento delle tasse universitarie da parte del padre fosse la causa principale del ritardo accademico. Questa giustificazione, però, è stata rigettata. I giudici hanno evidenziato che il figlio si trovava già fuori corso da sette anni prima dell’interruzione del pagamento delle tasse. Pertanto, il parziale inadempimento del padre non poteva giustificare l’inerzia dello studente. Inoltre, l’obbligo del padre non era stato interamente disatteso: egli aveva continuato a versare un assegno mensile di mantenimento pari a 600 euro.

Mantenimento figlio maggiorenne: proporzionalità non abuso

Un altro elemento chiave della sentenza riguarda la proporzionalità degli obblighi genitoriali. La Suprema Corte ha chiarito che il genitore obbligato al mantenimento ha il diritto di richiedere la revoca dell’onere quando emergono comportamenti di colpevole inerzia da parte del figlio.

Questo principio si fonda su un equilibrio tra i diritti e i doveri delle parti coinvolte. I genitori devono fornire un supporto concreto per lo sviluppo del figlio, ma quest’ultimo deve dimostrare serietà, impegno e determinazione nel raggiungere l’autonomia economica.

Il diritto al mantenimento non può trasformarsi in un abuso. I figli maggiorenni devono dimostrare di meritare il supporto economico dei genitori, impegnandosi attivamente negli studi o nella ricerca di un lavoro.

Un percorso di vita segnato da inerzia e mancanza di iniziativa non può gravare indefinitamente sui genitori. La responsabilità individuale è fondamentale per l’equilibrio familiare e sociale.

 

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bonus asilo nido

Bonus asilo nido Il bonus asilo nido, da richiedere entro il 31 dicembre, è un contributo per pagare le rette degli asili e avere un supporto per l'assistenza di minori affetti da patologie croniche certificate

Bonus asilo nido: cos’è

Il bonus asilo nido è una misura di sostegno al reddito che si traduce nell’erogazione di un contributo da parte dell’INPS in favore dei genitori che sostengono il costo della retta dell’asilo.

Riferimenti normativi

Il bonus asilo nido è stato introdotto dalla legge di bilancio per il 2017 n. 232/2016, che ne contiene la disciplina base nel comma 355. L’INPS nel tempo ha chiarito il funzionamento della misura con le seguenti circolari e messaggi:

Vai alla scheda Bonus asilo nido sul sito INPS

A chi spetta il bonus asilo nido

Il bonus silo nido spetta alle famiglie che hanno figli:

  • che non abbiano ancora compiuto i tre anni di età o che li devono compiere nell’anno solare;
  • che frequentano un asilo nido pubblico o privato o che siano affetti da una patologia cronica purché certificata e che necessitano quindi di cure presso la residenza.

Per la concessione del bonus sono richieste inoltre le seguenti condizioni:

  • il genitore richiedente deve essere quello che paga la retta dell’assolo nido.
  • chi richiede invece l’assistenza domiciliare per il figlio deve essere il genitore convivente.

Per i soggetti che abbiano adottato un minore o lo abbiano in affido temporaneo viene presa in considerazione la data più favorevole tra quella del provvedimento di adozione e quella in cui il minore ha fatto ingresso in famiglia.

Requisiti soggettivi per fare domanda

Possono presentare domanda per il bonus quindi anche i genitori adottivi o affidatari di minori in affido temporaneo che siano residenti in Italia e che siano:

  • apolidi, rifugiati politici o soggetti a protezione internazionale equiparati ai cittadini italiani;
  • titolari della Carta blu in quanto “lavoratori altamente qualificati”;
  • lavoratori ordinari del Marocco, Algeria e Tunisia che in virtù di accordi tra l’UE e i paesi mediterranei abbiano diritto alla parità di trattamento con i cittadini UE;
  • lavoratori autonomi titolari di permesso perché non discriminati rispetto ai lavoratori subordinati.

A questi soggetti si sommano i titolari dei seguenti permessi di soggiorno:

  • per lavoro subordinato o stagionale per almeno 6 mesi;
  • per assistere minori presenti sul territorio italiano per motivi legati al loro sviluppo psicofisico;
  • per protezione speciale dettata da motivi di persecuzione o tortura;
  • per la tutela di soggetti che siano vittime accertate di situazioni di violenza o grave sfruttamento.

Requisiti ISEE e importo del bonus

L’entità della misura varia al variare del valore dell’ISEE minorenni:

  • 3.000 euro all’anno per chi presenta un ISEE minorenni fino a 25.000,00 euro (per 10 mesi l’importo mensile è di Euro 272,73, per l’undicesima mensilità è di Euro 272,70);
  • 2.500 euro all’anno per chi presenta un ISEE minorenni compreso tra i 25.0001,00 e i 40.000,00 (per 10 mesi l’importo mensile è di 227,27 euro, per l’undicesima mensilità è 227,20 euro);
  • 1.500 euro all’anno per chi presenta un ISEE minorenni che parte da 40.0001,00 euro (per 10 mensilità l’importo è di 136,70 euro, per l’undicesima è di 136,30 euro).

La legge di bilancio per il  2024 n. 213/2023 ha previsto che per i nati a partire dal 1° gennaio 2024, i cui nuclei familiari siano titolari di una valore ISEE minorenni fino a 40.000 euro e in cui sia presente almeno un figlio minore che non abbia ancora compiuto 10 anni, l’incremento della misura sale di 2.100 euro. 

In base a questa novità i soggetti che sono in possesso di questi ultimi requisiti familiari e reddituali hanno diritto ai seguenti importi:

  • 3.600 euro (10 mensilità da 327,27 euro 1 una da 327,30 euro) per i nuclei con ISEE minorenni in corso di validità fino a 40.000,00 euro;
  • 1.500 euro (10 mensilità da 136,37 e una da 136,30 euro) per chi ha un ISEE minorenni in corso di validità superiore a 40.000,00 euro.

Bonus per le forme di supporto presso l’abitazione

Per i nuclei familiari che hanno bambini affetti da una patologia cronica certificata attestante l’impossibilità di frequentare un asilo nido, gli importi sono diversi e vengono erogati in una soluzione unica in base ai seguenti ISEE minorenni:

  • 3.000 euro per i titolari di ISEE minorenni fino a 25.000,00 euro;
  • 2.500 euro per chi ha un ISEE minorenni fino a 40.000,00 euro;
  • 1.500 euro per chi ha un ISEE minorenni a partire da 40.001,00 euro.

Se l’ISEE non è valido l’importo massimo erogabile è di 1.500 euro.

I bonus sono soggetti a due limiti: gli importi stanziati dalla legge di bilancio e l’ordine di presentazione delle domande. La presentazione della domanda quindi non comporta il riconoscimento automatico del bonus asilo nido.

Quando e come presentare domanda

Il termine ultimo per fare domanda è il 31 dicembre 2024. Per presentarla è possibile provvedere in autonomia tramite il servizio dedicato presente sul sito INPS o rivolgendosi ai patronati che offrono i loro servizi telematici ai cittadini.

La domanda deve contenere tutta una serie di requisiti:

  • la precisazione del tipo di domanda: “Contributo asilo nido per il pagamento di rette di frequenza di asili nido pubblici e privati autorizzati o “Contributo per introduzione di forme di supporto presso la propria abitazione, per il pagamento delle forme assistenza domiciliare per i bambini di età inferiore a tre anni affetti da gravi patologie croniche”;
  • l’asilo nido frequentato dal figlio, specificando se è pubblico o privato e indicando la denominazione, il codice fiscale, gli estremi del provvedimento di autorizzazione se si tratta di una struttura privata; le mensilità dei periodi di frequenza per le quali si chiede il beneficio (gennaio 2024- dicembre 2024);
  • l’avvenuta iscrizione del bambino o l’inserimento nella graduatoria se il nido è pubblico;
  • la ricevuta di pagamento di almeno una retta per un mese di frequenza o delle rette relative ai mesi di frequenza non oltre il 31 luglio 2025.

Il termine ordinario di lavorazione della richiesta è di 30 giorni, ma l’istituto con regolamento ha stabilito termini superiori.

Pagamento del bonus asilo nido

Il riconoscimento della misura comporta la sua erogazione nei modi che il richiedente ha indicato di preferire nella domanda: a mezzo bonifico domiciliato, con accredito su conto corrente bancario; su conto corrente postale, sul libretto postale, su carta prepagata con IBAN o su conto corrente estero Area SEPA (in questo caso è necessario allegare il documento di identità del beneficiario e il modulo per l ‘identificazione finanziaria).

addebito separazione

Addebito separazione anche per una sola violenza Addebito separazione: la Cassazione ribadisce che è sufficiente un episodio violenza, perché viola gravemente i doveri coniugali

Addebito separazione: la violenza è grave e prevale

Quando un matrimonio entra in crisi, le cause alla base della separazione possono essere le più svariate. Tra queste, la violenza, anche limitata a un singolo episodio, può essere determinante per laddebito della separazione. La recente ordinanza n. 30721/2024 della Corte di Cassazione, in linea con precedenti pronunce, ha ribadito questo principio, sottolineando che i comportamenti violenti, per la loro gravità, possono prevalere su altre circostanze di conflittualità tra i coniugi.

Violenza: violazione grave dei doveri matrimoniali

La legge italiana prevede che il matrimonio imponga doveri reciproci, tra cui il rispetto e l’assistenza morale e materiale. La violenza fisica o psicologica rappresenta una violazione grave di questi obblighi, tale da poter giustificare l’addebito della separazione. Secondo la giurisprudenza, anche un singolo episodio di violenza è sufficiente, se la sua gravità è tale da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza.

Addebito separazione: onere della prova

Chi richiede l’addebito della separazione per violenza deve però fornire due prove:

  • esistenza della violenza: deve dimostrare cioè che l’episodio o gli episodi contestati al coniuge siano realmente avvenuti;
  • nesso causale: deve provare che proprio la violenza abbia reso impossibile la prosecuzione del matrimonio.

La Corte di Cassazione ha chiarito che l’accertamento di un episodio di violenza, per la sua gravità, può bastare per l’addebito. Non è necessario dimostrare che l’episodio sia stato l’unico motivo della crisi matrimoniale, purché vi abbia contribuito in modo determinante.

Il caso affrontato dalla Cassazione ha riaffermato questi principi. Una donna aveva chiesto l’addebito della separazione al marito, accusandolo di violenze fisiche e psicologiche, anche durante la gravidanza. Tuttavia, sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano respinto la richiesta. I giudici di merito hanno ritenuto insufficienti le prove e hanno osservato che i fatti denunciati risalivano a diversi anni prima della domanda di separazione.

Condotte violente: rilevano anche se datate

La Cassazione, investita del caso ha però accolto il ricorso della donna. Per gli Ermellini i giudici di merito hanno errato perché:

  • non hanno adeguatamente valutato l’autonoma sufficienza della violenza per l’addebito;
  • hanno escluso il nesso causale solo per il decorso del tempo tra gli episodi e la separazione, senza considerare l’impatto duraturo delle violenze.

Secondo la Cassazione, le condotte violente, anche se datate, non perdono la loro rilevanza se hanno contribuito alla crisi matrimoniale. Inoltre, l’onere probatorio per l’addebito, in caso di violenza, può essere mitigato. La gravità del comportamento violento giustifica un’attenzione particolare alla tutela della vittima. La necessità di dimostrare il nesso diretto tra la violenza e l’intollerabilità della convivenza è meno stringente.

Ammissione prove testimoniali e documentali

La Cassazione ha anche evidenziato l’importanza di ammettere prove testimoniali e documentali per accertare episodi di violenza. Nel caso analizzato, la donna aveva richiesto l’escussione di testimoni, tra cui il medico che aveva redatto un referto medico con prognosi di 20 giorni per lesioni subite. Tuttavia, tali richieste erano state rigettate dai giudici di merito, compromettendo l’accertamento dei fatti.

Con questa decisione la Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: la violenza, anche se limitata a un unico episodio, costituisce una violazione gravissima dei doveri matrimoniali. Questo comportamento può essere sufficiente per ottenere l’addebito della separazione. Occorre però dimostrare la sua gravità e il suo impatto sulla relazione coniugale.

 

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foto di minori

Foto di minori sui social: serve il consenso di entrambi i genitori Il Garante Privacy ammonisce un padre che aveva pubblicato la foto del figlio minore di 14 anni sui social senza il consenso della madre

Foto dei minori sui social

No alle foto di minori sui social senza il consenso di entrambi i genitori. Per postare sui social network immagini che ritraggono minori di 14 anni è necessario il preventivo consenso di entrambi i genitori. Invece se il minore ha compiuto quattordici anni la normativa italiana gli riconosce la facoltà di decidere autonomamente sulla pubblicazione. Questo è ciò che ha ribadito il Garante Privacy intervenuto a seguito del reclamo di una madre, che lamentava la pubblicazione di una foto del figlio, minore di quattordici anni, da parte del padre sul proprio profilo Facebook.

Immagine lesiva riservatezza del figlio

La donna aveva già chiesto all’uomo, senza alcun risultato, la rimozione dell’immagine, ritenendola lesiva della riservatezza e della reputazione del figlio.

Il bambino era ritratto insieme al fratello, anch’egli minore e la foto era accompagnata da un commento del padre sulla loro somiglianza pur essendo nati da madri diverse.

Necessario consenso di entrambi i genitori

Nel provvedimento l’Autorità ha precisato che il consenso di entrambi i genitori alla pubblicazione di immagini di minori di quattordici anni è richiesto anche se al padre e alla madre, benché non più conviventi, sia stato riconosciuto l’affidamento condiviso dei figli. Per cui, ha concluso il Garante, “la pubblicazione della foto del minore sulla ‘piazza virtuale’ dei social è da considerarsi illecita”.

L’Autorità perciò ha ammonito il padre, tenendo conto del fatto che non avesse precedenti analoghi, ed ha disposto il divieto di pubblicazione dell’immagine del figlio senza il consenso di entrambi i genitori. L’uomo dovrà anche comunicare (entro 30 giorni dalla data di ricezione del provvedimento) le iniziative intraprese per adempiere alle prescrizioni del Garante.

assegno di mantenimento

Assegno di mantenimento: rileva il dovere di assistenza materiale Assegno di mantenimento: se dovuto in caso di separazione non si può trascurare l’assistenza materiale prestata dal coniuge richiedente

Mantenimento e dovere di assistenza materiale

Nel determinare l’assegno di mantenimento occorre considerare anche il dovere di assistenza materiale. Lo ha precisato la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 30119/2024, in cui sottolinea che il principio di assistenza materiale tutela il coniuge economicamente più debole e garantisce che le scelte prese durante il matrimonio, come la divisione dei ruoli e delle responsabilità, non penalizzino una parte in modo sproporzionato in caso di separazione.

Separazione e assegno di mantenimento per la moglie

Il caso, originato da una richiesta di separazione legale, vede il marito contestare l’obbligo di versare l’assegno di mantenimento mensile di 300 euro stabilito in primo grado. L’uomo sottolinea l’autosufficienza economica della moglie, che ha sempre lavorato, e lamenta l’errata valutazione patrimoniale delle parti, nonché l’utilizzo di un criterio prognostico basato sulle aspettative pensionistiche future della controparte. La Corte d’Appello conferma la sentenza di primo grado, motivando la decisione con una valutazione complessiva delle condizioni economiche e reddituali delle parti e ribadendo il dovere di assistenza materiale tra coniugi.

Dovere di assistenza morale permane durante la separazione

Il ricorso del marito giunge infine in Cassazione. Gli Ermellini rigettano le istanze, sottolineando alcuni principi chiave. La Corte ribadisce in particolare che l’assegno di mantenimento conseguente alla separazione personale si basa sulla necessità di garantire al coniuge economicamente più debole un tenore di vita comparabile a quello goduto durante il matrimonio, nel rispetto del dovere di assistenza materiale, che permane anche durante la separazione.

L’art. 156 c.c disciplina l’assegno di mantenimento e stabilisce che esso non è legato alla solidarietà post-coniugale, tipica dei procedimenti di divorzio, ma a un vincolo coniugale ancora in essere. Il giudizio non può quindi prescindere dall’analisi del contributo materiale ed economico offerto da ciascun coniuge durante la vita matrimoniale.

Assistenza materiale: ruolo nella determinazione dell’assegno

L’aspetto cruciale evidenziato nel caso  di specie riguarda il ruolo dell’assistenza materiale fornita da un coniuge all’altro, sia in termini economici che di supporto concreto nella gestione familiare. La Corte chiarisce che questa assistenza è un elemento fondamentale da considerare per stabilire l’ammontare dell’assegno. Anche se entrambi i coniugi hanno capacità lavorative, la disparità patrimoniale e reddituale deve essere bilanciata per evitare ingiuste sperequazioni. Nel caso specifico, il marito ha evidenziato il basso tenore di vita mantenuto durante il matrimonio e l’assenza di contributo economico diretto della moglie al ménage familiare. La Corte però ha riconosciuto il diritto all’assegno sulla base di una disparità patrimoniale accertata e sul contributo non economico offerto dalla moglie.

 

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