processo esecutivo

Processo esecutivo: i cambiamenti alla luce del correttivo Cartabia Le principali modifiche al processo esecutivo apportate dal decreto legislativo n. 164/2024 (cd. Correttivo Cartabia)

Le novità del correttivo Cartabia sul processo esecutivo

Processo esecutivo: sulla Gazzetta Ufficiale n. 264 datata 11.11.2024 è stato pubblicato il decreto legislativo n. 164/2024 che contiene il correttivo al decreto legislativo n. 149/2022 che ha attuato la legge n. 206/2021 per la revisione del processo civile, compreso quello di esecuzione. Le novità sono in vigore dal 26 novembre 2024 e quelle più significative del processo esecutivo sono finalizzate a una maggiore digitalizzazione del processo, con lo scopo di renderlo più rapido ed efficiente.

Titolo esecutivo: duplicato informatico vale come l’originale

In base al nuovo primo comma dell’articolo 475 c.p.c il titolo esecutivo può essere rilasciato sia in copia attestata conforme all’originale che come duplicato informatico.

Il Codice dell’Amministrazione Digitale stabilisce infatti che il duplicato informatico è il documento informatico che si ottiene con la memorizzazione della stessa sequenza di valori binari del documento originario e che, se prodotto nel rispetto delle linee guida stabilite dall’Agenzia per l’Italia digitale ha lo stesso valore giuridico del documento informatico da cui è ricavato. Questo documento quindi è identico all’originale, per cui una volta che il creditore ne è in possesso non è necessaria la richiesta di copia conforme.

La modifica dell’art. 475 ha comportato intervento anche sull’art. 479 c.p.c, il quale prevede ora che ai fini della notifica del titolo esecutivo è sufficiente la consegna del duplicato informatico o, in alternativa, la copia attestata conforme all’originale.

La modifica dell’art. 475 c.p.c ha richiesto anche l’innovazione del comma 2 dell’art. 488 c.p.c. La disposizione ora prevede che il creditore  debba presentare al giudice, su richiesta di questo, l’originale del titolo esecutivo, il duplicato informatico o la copia attestata conforme all’originale.

Precetto: dichiarazione di residenza o pec

Il nuovo art. 480 c.p.c prevede ora che nell’atto di precetto, contenente l’indicazione del giudice competente, se sottoscritto dalla parte personalmente, si possa indicare, la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio o un indirizzo di posta elettronica certificata o lelezione di un domicilio digitale speciale. In assenza di queste indicazioni le notificazioni all’istante verranno effettuate presso la cancelleria, a meno che il destinatario non sia obbligato per legge a possedere una pec o un domicilio digitale.

Stop al deposito in cancelleria di domande e istanze

Le domande e le istanze rivolte al giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 486 c.p.c non devono  essere più depositate in cancelleria, ma presentate al giudice dell’esecuzione in forma orale in udienza, con ricorso se proposte fuori udienza, sempre che la legge non disponga diversamente.

Comunicazioni e notificazioni al procuratore costituito

Il nuovo art. 489 c.p.c prevede che le notificazioni e le comunicazioni di cancelleria ai creditori pignoranti e a quelli intervenuti si facciano presso il procuratore dopo la costituzione in giudizio, in base a quanto previsto  articolo 170 c.p.c. Poiché il creditore è rappresentato da un avvocato è infatti superfluo che dichiari la residenza o elegga il domicilio nell’atto di precetto.

Cambia il contenuto dell’atto di pignoramento

Il base al nuovo articolo 492 c.p.c l’atto di pignoramento deve contenere l’invito al debitore, in aggiunta alla dichiarazione di residenza o all’elezione di domicilio, di indicare anche un indirizzo di posta elettronica certificata o un domicilio digitale speciale ai quali ricevere notificazioni e comunicazioni.

In mancanza di queste indicazioni le notificazioni e le comunicazioni successive verranno effettuate presso la cancelleria, fatto salvo quanto previsto dall’art. 149 bis c.p.c.

Il correttivo ha poi sanato un difetto di coordinamento con l’art. 495 c.p.c, attraverso la  modifica del comma 3 dell’art. 492 c.p.c Ora entrambe le norme, ai fini della conversione del pignoramento, prevedono che la somma da depositare sia pari a 1/6 del credito.

Gli articoli  492-bis, 499, 518, 521-bis, 524, 543, 557 e 582 vengono modificati solo per ragioni di coordinamento con le altre norme.

Cambia l’art 587 c.p.c. per contrastare il riciclaggio

Il nuovo comma 1 dell’articolo 587 c.p.c  prevede la decadenza dell’aggiudicatario, l’incameramento della cauzione e un nuovo incanto anche quando, nel termine stabilito, questo soggetto non rende le informazioni necessarie e aggiornate per  dare modo ai soggetti obbligati di adempiere agli obblighi di adeguata verifica antiriciclaggio o non provvede al deposito del prezzo.

Opposizioni esecutive più rapide

Le modifiche apportate infine agli articoli 616 e 618 c.p.c vogliono garantire la rapida trattazione delle opposizioni esecutive. Il legislatore ha infatti previsto che, quando il giudizio di merito sull’opposizione viene introdotto nelle forme del rito ordinario di cognizione, siano dimezzati i termini previsti dagli articoli 165, 166, 171-bis e 171-ter, per la costituzione dell’attore,  del convenuto, per le verifiche preliminari da parte e per il deposito delle memorie integrative.

 

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giurista risponde

Tasso di interesse e usura Secondo quali parametri il giudice deve qualificare le operazioni di finanziamento intercorrenti tra privati ai fini della valutazione del tasso di interesse come usurario?

Quesito con risposta a cura di Manuel Mazzamurro e Davide Venturi

 

Il giudice del merito deve rinvenire i profili di omogeneità tra le categorie individuate dai decreti ministeriali e il rapporto in causa, rispetto ai quali assumono rilievo soprattutto: la natura del prestito, ossia se si tratta di un negozio tra privati, non tra professionisti quali banche o intermediari non bancari, rispetto al quale dovrebbe essere chiarita l’eventuale funzione di scopo del finanziamento tale da integrare la struttura tipica del negozio, ampliandone la causa, nonché, con riferimento ai rischi assunti dai creditori, la corresponsione annuale di interessi convenzionali e il pagamento della quota capitale per intero, oltre alla dazione di garanzie personali (Cass., sez. II, 5 settembre 2024, n. 23866).

Nel caso di specie la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla qualificazione giuridica di un contratto di finanziamento al fine di valutare se gli interessi applicati allo stesso fossero o meno usurari.

In primo grado il Giudice qualificava il contratto intercorrente tra le parti come operazione di mutuo, sulla base delle categorie individuate dal Ministero del Tesoro per l’individuazione del tasso-soglia, ritenendo pertanto come usurario il tasso di interesse del 10% applicato.

Il Giudice d’appello, viceversa, riteneva valida la clausola di previsione degli interessi convenzionali contenuta all’interno della scrittura privata intercorrente tra le parti; in particolare, il rapporto dedotto in giudizio veniva qualificato come “altro finanziamento a breve, medio/lungo termine”, sulla base dell’assunto che le operazioni di finanziamento chirografario non possono essere qualificate come mutui.

Viene proposto ricorso per Cassazione, contestando l’erronea qualificazione della scrittura privata nella categoria “altri finanziamenti” anziché in quella dei contratti di mutuo, con conseguente applicazione di un diverso tasso di riferimento per la determinazione dell’usura.

La Suprema Corte, nella decisione de qua, delinea i criteri sulla base dei quali deve essere effettuata l’operazione di qualificazione del contratto di finanziamento oggetto di causa. In particolare, in caso di dubbio circa la riconducibilità di un’operazione finanziaria all’una o all’altra delle categorie, identificate con Decreto Ministeriale cui si riferisce la rilevazione dei tassi globali medi, l’interprete deve procedere ad individuare i profili di omogeneità che l’operazione stessa presenti rispetto alle diverse tipologie ivi contemplate, attribuendo rilievo, a tal fine, ai richiamati parametri normativi individuati dall’art. 2, comma 2, L. 108/1996, apprezzando, in particolare, quelli, tra essi, che, sul piano logico, meglio giustifichino l’inclusione del prestito preso in esame in questa o in quella classe di operazioni. Pertanto, i parametri da valorizzare sono la natura del prestito nonché, con riferimento ai rischi assunti dai creditori, la corresponsione annuale di interessi convenzionali e il pagamento della quota capitale per intero, oltre alla dazione di garanzie personali.

Per tali ragioni, la Corte di cassazione ha ritenuto di accogliere il motivo proposto e di rinviare il giudizio rinviato alla medesima Corte d’Appello che, in applicazione dei principi sopra riportati, provvederà alla corretta qualificazione del rapporto negoziale di cui è causa ai fini dell’individuazione del tasso di interesse soglia di riferimento.

 

(*Contributo in tema di “Tasso di interesse e usura”, a cura di Manuel Mazzamurro e Davide Venturi, estratto da Obiettivo Magistrato n. 79 / Novembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

Avvocato in ritardo: il giudice non è tenuto ad aspettare Si tratta infatti, afferma la Cassazione, di una mera prassi che risponde al buon senso e al rispetto del ceto forense ma che non è imposta da alcuna norma

Ritardo avvocato in udienza

Avvocato in ritardo? Non c’è alcun obbligo per il giudice di attendere il legale che si presenti anche se soltanto dopo pochi minuti in udienza. Questo quanto affermato dalla quarta sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 2779/2025, respingendo il ricorso di un uomo condannato in appello per furto aggravato.

Breve ritardo

L’avvocato sosteneva di avere tardato soltanto qualche minuto in quanto impegnato in altra aula, ma il giudice, previa nomina di difensore d’ufficio, aveva chiuso il verbale.

Mera prassi attendere l’avvocato

La Cassazione, nel ritenere la risposta della Corte territoriale “logica ed adeguata”, ha spiegato che “la prassi di attendere il difensore di fiducia, anche per qualche tempo dopo che è decorso l’orario fissato per l’udienza, risponde alle regole di buon senso e rispetto del ceto forense ma non è imposto da alcuna norma e dunque la sua violazione non determina alcuna nullità processuale”.

Da qui il rigetto del ricorso.

 

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bollette luce

Bollette luce: tutele graduali per i vulnerabili fino a giugno Pubblicate dall'ARERA le modalità operative per l’accesso al Servizio a Tutele Graduali (STG), in attuazione della Legge Concorrenza 2024

Servizio a tutele graduali per i clienti vulnerabili

Bollette luce: a partire dal 22 gennaio 2025 sono disponibili le modalità attuative che permettono ai clienti domestici vulnerabili di accedere al Servizio a Tutele Graduali (STG). Tale possibilità è prevista dall’articolo 24 della Legge n. 193/2024 (Legge Concorrenza 2024).

I clienti vulnerabili, attualmente serviti nel mercato libero o nel regime di maggior tutela, possono richiedere il passaggio al STG entro il 30 giugno 2025, rivolgendosi all’esercente competente nella loro area territoriale.

Inoltre, anche i clienti già forniti nel STG che diventeranno vulnerabili entro il 30 giugno 2025 possono richiedere di mantenere questo servizio fino alla stessa data. Lo ha comunicato l’ARERA con una nota ufficiale sul proprio sito.

Obblighi per gli esercenti del Servizio a Tutele Graduali

La delibera 10/2025/R/EEL stabilisce che gli esercenti del STG devono pubblicare sui loro siti web, entro 30 giorni, le seguenti informazioni:

  • I canali disponibili (telefono, piattaforma digitale e sportelli fisici, ove presenti) per richiedere informazioni e presentare la domanda di accesso al servizio.
  • La documentazione necessaria, inclusi i moduli di autocertificazione predisposti dall’Autorità per attestare i requisiti di vulnerabilità.
  • I riferimenti al numero verde dello Sportello per il Consumatore Energia e Ambiente (800 166 654) e alla sezione dedicata sul sito ufficiale di ARERA.

Scadenze e limitazioni

È importante sottolineare che i clienti vulnerabili che non richiederanno l’accesso al STG entro il 30 giugno 2025, così come quelli che acquisiranno i requisiti di vulnerabilità successivamente a tale data, non potranno più accedere a questo servizio.

Maggiori informazioni

La delibera 10/2025/R/EEL è disponibile sul sito ufficiale di ARERA (www.arera.it).

pensioni 2025

Pensioni 2025: tutte le opzioni   Pensioni 2025: tutte le formule di accesso alla pensione nel 2025, regole e requisiti particolari per i dipendenti pubblici

Pensioni 2025: le novità

Il 2025 introduce nuove regole per accedere alla pensione: le opzioni per le pensioni 2025 includono requisiti ordinari, flessibilità in uscita e agevolazioni specifiche.

Pensione 2025 di vecchiaia

La pensione di vecchiaia richiede 67 anni di età e 20 anni di contributi.

Pensione 2025 anticipata

Per la pensione anticipata Fornero:

Uomini: 42 anni e 10 mesi di contributi.

Donne: 41 anni e 10 mesi di contributi.

Dipendenti Pubblica Amministrazione: pensione 2025

Come per il privato, dal 1 gennaio 2025 il limite è stato portato a 67 anni. Possibilità di trattenimento in servizio fino a 70 anni nel limite del 10% delle nuove assunzioni.

Personale scolastico: il limite dei 65 resta valido per il 2025, per cessazioni e prosecuzioni decorrenti dal 1° settembre 2025 si attendono le circolari del Ministero competente.

Dipendenti ex INPDAP: la legge di bilancio 2024 ha modificato le regole per la pensione anticipata.

Regole particolari sono previste per il personale sanitario.

Per i dipendenti pubblici la finestra mobile è di 6 mesi per la pensione anticipata, di 9 mesi invece per la Quota 103.

Uscite flessibili 2025

Queste le regole per le uscite flessibili 2025.

Quota 103

  • 62 anni di età, 41 anni di contributi.
  • Tetto assegno: 5 volte il minimo INPS.
  • Valida solo per il 2025, con una finestra di 7 mesi (privati) e 9 mesi (pubblici).

Opzione Donna

  • Età minima: 61 anni (ridotta per madri con uno o due o più figli a 60 e 59 ).
  • Contributi: 35 anni.
  • Riservata a lavoratrici con invalidità o dipendenti ddi datori in crisi.
  • Calcolo interamente contributivo.

APE Sociale

  • Età minima: 63 anni.
  • Contributi: 30-36 anni, secondo la categoria.
  • Riservata a disoccupati, caregiver, invalidi superiori al 74% e lavoratori di attività gravose.

RITA

  • Anticipo tramite fondi pensione.
  • Età: 57 anni (disoccupati da un minimo di 24 mesi) o 62 anni.
  • Contributi minimi: 20 anni.

Lavoratori precoci (Quota 41)

  • 41 anni di contributi per chi ha versato 12 mesi di contributi effettivi prima del 19° anno di età. L’accesso è riservato ai disoccupati involontari, a chi cura familiari disabili. A chi ha un’invalidità superiore al 74% e a chi svolge attività gravose o usuranti.
  • Nel 2025 la finestra mobile per il settore privato è di 3 mesi decorrenti dalla maturazione dei requisiti, mentre per il settore pubblico la finestra mobile è di 6 mesi.

Pensione disabili

Chi ha un’invalidità pari o superiore all’ accede alla pensione se ha 61 anni (uomini) e 56 anni (donne) con contributi minimi di 20 anni. I titolari di questo trattamento possono cullare la pensione con i redditi da lavoro autonomo occasionale fino a 5000,00 euro.

Isopensione

Prepensionamento fino a 7 anni prima, a carico del datore di lavoro.

Contratto di espansione

Pensione anticipata con 62 anni e 20 anni di contributi.

64 anni con la pensione complementare

Dal 2025 può andare in pensione anticipata chi compie almeno 64 anni entro il 31.12.2025, ha versato 20 anni di contributi nel regime obbligatorio. In caso di mancato raggiungimento della soglia per la pensione pubblica si può sommare la rendita periodica vitalizia o temporanea del fondo pensione complementare.

 

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processo penale telematico sospeso

Processo penale telematico: sospeso l’applicativo Processo penale telematico: i Tribunali di mezza Italia sospendono l’applicativo e prorogano il deposito analogico. Intervengono anche gli Ordini forensi

Ppt: tempi e strategie da rivedere

Il Processo Penale Telematico si sta scontrando con gravi problemi organizzativi e tecnici. La frettolosa introduzione dell’APP senza un’adeguata sperimentazione e infrastruttura ha causato in questi giorni disfunzioni che rallentano i procedimenti e mettono a rischio i diritti processuali.

La sospensione temporanea del sistema nei principali tribunali italiani rappresenta un segnale chiaro della necessità di rivedere strategie e tempi per una digitalizzazione efficace e sostenibile.

App sospesa nei Tribunali di Milano e Roma

Si susseguono i tribunali che hanno deciso di sospendere l’applicativo del ministero a causa dei problemi tecnici. Capofila il Tribunale di Milano che ha sospeso l’uso dell’APP del ministero della Giustizia, previsto per il PPT.

Prorogata fino al 31 marzo 2025 la possibilità di depositare atti anche in modalità analogica. La decisione, firmata dal presidente Fabio Roia, si basa su criticità legate a malfunzionamenti e incompatibilità del sistema con le esigenze del processo penale. Risulta impossibile infatti firmare digitalmente i verbali d’udienza e mancano modelli adeguati.

A seguire Roma dove il presidente f.f. Lorenzo Pontecorvo ha sospeso temporaneamente l’applicativo, reintroducendo il sistema cartaceo. I giudici hanno segnalato problemi significativi, come l’impossibilità di accedere ai fascicoli migrati, il rallentamento delle udienze e il rischio di paralisi dell’attività processuale.

Gli altri tribunali

Alla procura capitolina, la più grande d’Italia, che ha imposto lo stop fino al 31 gennaio e a Milano, si aggiungono i tribunali di mezzo paese gettati nel caos dai “problemi tecnici”.

Così Napoli, Torino, Frosinone, Trento, Aosta e tanti altri si sono aggiunti alla decisione di sospendere temporaneamente l’uso dell’applicativo tornando al sistema analogico.

Critiche magistratura e avvocatura

L’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) ha definito il progetto del Processo Penale Telematico un “fallimento annunciato”. La giunta dell’ANM critica l’avvio del sistema senza un’adeguata sperimentazione e denuncia la mancanza di risorse tecnologiche e formazione per il personale amministrativo e giudiziario. Tali elementi, uniti ai malfunzionamenti riscontrati, compromettono l’efficienza del sistema giudiziario e rischiano di ledere, affermano i magistrati, i diritti di imputati e vittime.

Penalizzati gli avvocati

L’Unione Camere Penali Italiane (UCPI) ha evidenziato che la sospensione dell’APP riguarda solo magistrati e cancellieri, creando una disparità rispetto agli avvocati, che restano vincolati al deposito telematico. I penalisti denunciano l’uso improprio dell’art. 175-bis del Codice di Procedura Penale per giustificare il provvedimento e chiedono una revisione dei tempi di attuazione del processo telematico per garantire la parità tra le parti e l’effettività del diritto di difesa.

L’Ordine degli Avvocati di Roma ha appoggiato la decisione del Tribunale di Roma di sospendere l’APP, definendola una scelta pragmatica per evitare il collasso del sistema.

Gli avvocati romani chiedono maggiore attenzione alla formazione del personale e un approccio più graduale nell’implementazione delle tecnologie digitali.

Il Consiglio dell’Ordine di Milano con la delibera del 16 gennaio 2025 chiede invece al Ministro della Giustizia:

  • di prorogare l’obbligo del deposito telematico, fino a quando non saranno risolte le problematiche tecniche;
  • di risolvere con urgenza le problematiche tecniche del Portale;
  • di formare adeguatamente magistrati e personale amministrativo;
  • di chiedere al CNF e all’OCF di vigilare per scongiurare la lesione del diritto di difesa e il rispetto del principio di parità delle parti.

Le rassicurazioni del ministro Nordio

Dal canto suo, il ministro della Giustizia Nordio nell’incontro con le forze di maggioranza a palazzo Chigi sui problemi legati all’applicativo APP Giustizia, ha difeso il progetto, definendo i problemi tecnici “normali difficoltà legate all’evoluzione tecnologica” ma per magistrati e addetti ai lavori a quanto pare il giudizio è meno edulcorato e il bilancio “disastroso”.

A pagare come sempre, ad ogni modo, sono i cittadini.

La circolare “pezza” della DGSIA

La DGSIA, consapevole delle problematiche che stanno caratterizzando i depositi telematici del processo penale cerca di trovare una soluzione sollecitando la diramazione della Circolare dell’8 gennaio 2025.

Le principali problematiche sollevate riguardano la firma dei verbali d’udienza e l’apposizione del visto da parte del presidente (art. 483 comma 1 bis c.p.p). In attesa della possibilità di apporre il visto digitale la circolare consente all’ausiliario del magistrato di trasformare il verbale d’udienza redatto in formato digitale in un documento analogico tramite la sua stampa, per consentire al cancelliere di sottoscriverlo con firma autografa e al magistrato di apporre il visto, per procedere poi alla sua scansione per il successivo deposito tramite APP.

Quanto alle modalità di acquisizione di atti, memorie o comunque documenti prodotti dalle parti processuali nel corso delle medesime udienze in camera di consiglio e dibattimentali” la circolare ritiene necessario “procedere nello stesso modo al deposito telematico (previa acquisizione tramite la scansione del documento originale analogico) del documento richiamato nel verbale (…) salvo che si tratti di documenti che per loro natura o per specifiche esigenze processuali non possano essere acquisiti o convertiti in copia informatica.”

 

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disabili

Disabili: ok alla firma digitale per sottoscrivere le liste elettorali La Consulta ha sancito l'illegittimità della preclusione all'uso della firma digitale per le persone con disabilità

Disabili e preclusione uso firma digitale

Disabili e preclusione uso firma digitale: con la sentenza n. 3 del 2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità degli articoli 9, comma 3, della legge 17 febbraio 1968, n. 108, e 2, comma 6, del Codice dell’amministrazione digitale. Queste disposizioni, infatti, non prevedono la possibilità per l’elettore con disabilità di utilizzare la firma digitale per sottoscrivere una lista di candidati alle elezioni, qualora si trovi in condizioni di impossibilità di apporre una firma autografa.

Un sistema non più adeguato ai tempi

La Corte ha evidenziato che la procedura attualmente prevista dall’ordinamento, risalente a un periodo in cui la firma digitale non esisteva, è ormai superata. In queste situazioni, l’elettore impossibilitato a firmare deve rilasciare una dichiarazione verbale davanti a due testimoni e a un pubblico ufficiale, come un notaio o un segretario comunale, presso il proprio domicilio. Questo sistema comporta oneri significativi per la persona interessata, inclusi costi economici, difficoltà organizzative e l’invasione della sfera privata.

Il diritto alla dignità umana

Secondo la Corte, il sistema attuale viola la dignità della persona, trasformandola in “inabile e bisognosa di assistenza” nonostante le capacità tecniche che la tecnologia offre oggi per permettere una sottoscrizione autonoma. Tale approccio è contrario all’obbligo costituzionale di rimuovere gli ostacoli che limitano il pieno sviluppo della persona umana e la sua partecipazione alla vita politica del Paese.

Una preclusione ingiustificata

La Corte ha inoltre rilevato come la preclusione all’uso della firma digitale per le persone con disabilità introduca un aggravio non necessario rispetto all’obiettivo di garantire l’autenticità delle sottoscrizioni. Questo risultato può essere ugualmente raggiunto consentendo l’utilizzo della firma digitale, che rappresenta una modalità sicura e rispettosa della privacy.

 

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bonus nuove assunzioni

Bonus nuove assunzioni: i chiarimenti del fisco L’Agenzia delle Entrate ha emanato apposita circolare per dettare chiarimenti sul bonus nuove assunzioni per imprese e professionisti

Bonus nuove assunzioni

Arrivano le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate in seguito alla proroga del bonus nuove assunzioni, misura di favore per i contribuenti titolari di reddito d’impresa e di lavoro autonomo che assumono a tempo indeterminato.

In cosa consiste il bonus nuove assunzioni

Il beneficio fiscale, introdotto dal Dlgs n. 216/2023 ed esteso al 2027 dall’ultima legge di Bilancio, ricorda il fisco, consiste in una maggiorazione del 20% del costo ammesso in deduzione per l’incremento del personale, che sale al 30% per i dipendenti meritevoli di maggior tutela.

Con la circolare n. 1/E del 20 gennaio 2025, l’Agenzia delle Entrate ricorda i presupposti soggettivi dell’incentivo, le regole per determinare l’incremento occupazionale e l’ammontare della maggiore deduzione spettante e illustra anche alcuni casi particolari.

A chi è rivolto il bonus nuove assunzioni

Il beneficio è rivolto ai titolari di reddito d’impresa e agli esercenti arti e professioni, anche in forma associata, “a condizione che il reddito sia determinato analiticamente e che l’attività, antecedentemente all’inizio del periodo d’imposta agevolato, sia stata effettivamente avviata da almeno un anno”.

La maggiorazione spetta soltanto se, al termine del periodo d’imposta agevolato, l’incremento del numero dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato è accompagnato dall’incremento del numero complessivo dei lavoratori dipendenti, inclusi quelli a tempo determinato.

Maxideduzione per assunzioni a tempo indeterminato

L’incentivo consente agli operatori economici di incrementare il costo ammesso in deduzione per assunzioni di dipendenti a tempo indeterminato. La maggiorazione è pari al 20% e aumenta di un ulteriore 10% in caso di assunzione di persone meritevoli di maggior tutela, come ad esempio le persone con disabilità, le donne con almeno due figli minorenni, le donne vittime di violenza inserite nei percorsi di protezione e i giovani ammessi agli incentivi all’occupazione giovanile.

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capacità di stare in giudizio

Capacità di stare in giudizio: salute mentale e psicofisica equiparabili Capacità di stare in giudizio: l’autodeterminazione può essere pregiudicata da problemi psicofisici, la compromissione va provata

Capacità di stare in giudizio: il pregiudizio fisico rileva?

Sulla capacità  di stare in giudizio rileva anche il pregiudizio fisico se compromette la percezione e la coscienza. Queste alterazioni  però devono essere debitamente provate. Questo in breve il principio espresso dalla Cassazione n. 47299/2024.

Compromissione della capacità di stare in giudizio

La Corte d’appello ha confermato la condanna emessa dal Tribunale e ha ritenuto l’imputato responsabile di molteplici reati fiscali ai sensi del d.lgs. n. 74/2000. Tra questi figurano l’occultamento di scritture contabili e la dichiarazione fraudolenta mediante fatture per operazioni inesistenti. La pena inflitta è stata di cinque anni e quattro mesi di reclusione.

Un aspetto rilevante del procedimento è la questione della capacità di stare in giudizio, sollevata dalla difesa dell’imputato. Questo tema, connesso all’autodeterminazione dell’imputato durante il processo, ha suscitato particolare interesse alla luce di una recente pronuncia della Corte costituzionale.

La difesa dell’imputato ha infatti presentato ricorso per cassazione sollevando dubbi sulla capacità del suo assistito di agire consapevolmente nel processo.

La difesa ha contestato il mancato esperimento di una perizia volta a verificare se l’imputato, successivamente al 19 gennaio 2011, fosse in grado di comprendere e valutare le proprie azioni. Tale data coincide con un grave evento traumatico subito dall’imputato. Lo stesso ha anche sostenuto che le condizioni psicofisiche dell’imputato abbiano compromesso la sua capacità di autodeterminarsi e partecipare consapevolmente al procedimento. La Corte d’appello però aveva ritenuto irrilevanti i certificati medici prodotti dalla difesa.

Condizioni psicofisiche pregiudicano le facoltà cognitive

Per la difesa è necessario considerare che la Corte costituzionale, con sentenza n. 65/2023, ha ampliato il concetto di incapacità di stare in giudizio. La stessa ha infatti dichiarato illegittimi gli articoli del codice di procedura penale che limitano tale incapacità al solo stato mentale, escludendo altre condizioni psicofisiche. La Corte ha sottolineato che anche situazioni di disabilità fisica possono compromettere facoltà essenziali quali coscienza, pensiero, percezione ed espressione, analogamente alle disabilità mentali.

I certificati medici prodotti dalla difesa però non hanno dimostrato una compromissione significativa delle facoltà cognitive o decisionali dell’imputato. Questo per due motivi. I certificati attestavano una “lesione ischemica acuta ed epilessia secondaria”, ma non indicavano problemi specifici relativi alla coscienza o alla percezione. L’imputato inoltre, seppur colpito da problemi di salute, aveva continuato a operare, anche con l’aiuto della moglie.

Capacità di stare in giudizio: l’alterazione va dimostrata

La Corte di Cassazione ha dichiarato quindi manifestamente infondati i motivi relativi alla capacità di intendere e di volere e alla capacità di stare in giudizio. Secondo la giurisprudenza consolidata, la richiesta di perizia è ammissibile solo se supportata da concreti elementi di dubbio sull’imputabilità. Nel caso specifico, tali elementi non sono emersi. La documentazione prodotta attestava patologie fisiche, ma non dimostrava che queste avessero compromesso la capacità dell’imputato di partecipare consapevolmente al processo. Inoltre, i problemi di salute citati si erano manifestati ben oltre la data della sentenza di secondo grado e non erano riconducibili al periodo rilevante per il giudizio.

La capacità di stare in giudizio rappresenta un principio fondamentale nel diritto processuale penale. La partecipazione consapevole dell’imputato garantisce il rispetto del diritto di difesa e la legittimità del processo. La sentenza della Corte costituzionale ha introdotto una visione più inclusiva, riconoscendo l’incidenza delle condizioni psicofisiche. Tuttavia, resta fondamentale che tali condizioni siano adeguatamente documentate e rilevanti per il periodo processuale in esame. Sebbene la difesa abbia tentato di dimostrare l’incapacità dell’imputato, le evidenze fornite nel caso di specie non sono state ritenute sufficienti. Dalla sentenza emerge quindi l’importanza di un quadro probatorio solido e puntuale per sollevare dubbi concreti sull’idoneità dell’imputato a partecipare al processo.

 

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assegno divorzile

Assegno divorzile: quando si può chiedere la riduzione Assegno divorzile: la riduzione della misura non può essere accolta se il coniuge obbligato non prova il peggioramento delle sue condizioni

Assegno divorzile: riduzione respinta

Il Tribunale di Matera, con la sentenza n. 875 del 6 dicembre 2024, ha respinto la richiesta di riduzione dell’assegno divorzile avanzata da un ex coniuge. La domanda riduzione dell’assegno divorzile infatti può essere accolta solo in presenza di un effettivo peggioramento delle condizioni economiche del coniuge obbligato. Tale peggioramento però deve essere dimostrato in modo chiaro e documentato.

Domanda di riduzione dell’assegno di divorzio

Un pensionato ricorre in giudizio per chiedere la riduzione dell’assegno divorzile corrisposto all’ex moglie. L’uomo sostiene il peggioramento della sua situazione economica, a causa di una pensione insufficiente, finanziamenti da rimborsare e il pagamento dell’affitto. Per sopravvivere, ha iniziato a lavorare saltuariamente presso un fruttivendolo. Il ricorrente tuttavia dichiara di avere a disposizione solo poche centinaia di euro al mese.

L’ex moglie però contesta tali affermazioni. Ella sostiene che le difficoltà economiche del ricorrente sono in realtà conseguenza delle sue scelte personali. In ogni caso anche lei è gravata da un finanziamento mensile.

Riduzione assegno: serve prova peggioramento condizioni

Il Tribunale di Matera analizza dapprima la situazione patrimoniale di entrambe le parti e in decisione richiama i principi sanciti dalla giurisprudenza. La riduzione dell’assegno divorzile può avvenire solo se il richiedente dimostra un effettivo peggioramento delle proprie condizioni economiche, tale da richiedere una nuova valutazione del rapporto economico tra gli ex coniugi.

Nel caso specifico, però, il Tribunale ha rilevato che il ricorrente non ha subito un reale impoverimento. Dai documenti presentati, infatti, emerge che i suoi redditi mensili sono in realtà  superiori a quanto dichiarato. Il ricorrente, oltre alla pensione, percepisce ulteriori somme derivanti dal lavoro presso il fruttivendolo, pari a circa 1.200 euro mensili. L’uomo inoltre riceve un contributo dal Comune per coprire parte delle spese di affitto.

L’ex moglie, invece, dispone di una pensione netta di 614 euro al mese, ma deve rimborsare un finanziamento mensile di circa 168 euro. Alla luce di queste considerazioni, il tribunale ritiene ingiustificata la riduzione dell’assegno divorzile.

L’impegno lavorativo del pensionato migliora situazione

La sentenza sottolinea che l’impegno lavorativo del ricorrente, sebbene apprezzabile, non costituisce un obbligo giuridico. Vero però che i redditi derivanti dal lavoro contribuiscono a migliorare la sua situazione economica. Di conseguenza, l’assegno divorzile, stabilito in precedenza, resta adeguato a garantire l’equilibrio tra gli ex coniugi.

 

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