tirocini cassazione

Tirocinanti in Cassazione: pubblicato il bando Al via la selezione per 40 tirocinanti presso la procura generale della Corte di Cassazione. Per partecipare presentare domanda entro l'8 luglio

Tirocinio presso la procura della Cassazione

E’ stato pubblicato il bando per la selezione di 40 tirocinanti presso la procura generale della Cassazione ex articolo 73 del Dl 69/2013.

Il tirocinio si svolgerà a partire da ottobre e durerà sino ad aprile 2026 per una durata complessiva di 18 mesi.

Sono ammessi alla selezione i laureati e i laureandi in giurisprudenza, al di sotto dei trent’anni e con una media di esami di almeno 27/30, in determinate materie indicate dal bando, ovvero con un punteggio di laurea non inferiore a 105/110.

Il tirocinio non dà diritto a compensi nè determina il sorgere di un rapporto di lavoro o di obblighi previdenziali e assicurativi. Tuttavia, i partecipanti possono avere diritto all’assegnazione della borsa di studio prevista dai commi 8bis e 8ter dell’art. 73 del dl 69/2013.

La domanda

Per partecipare alla selezione occorre presentare domanda entro l’8 luglio prossimo, esclusivamente tramite la piattaforma predisposta dal ministero della Giustizia, cui si accede tramite Spid (https://tirociniformativi.giustizia.it/tirocini-formativi/).

Entro il 20 settembre sarà pubblicata la graduatoria definitiva unitamente alla comunicazione della data di inizio del tirocinio.

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violenza donne lavoro

Violenza donne sul lavoro: cosa prevede la direttiva UE La Direttiva UE 2024/1385 mira a contrastare la violenza sulle donne anche nei luoghi di lavoro, per garantire parità, salute e sicurezza

Direttiva UE: lotta a ogni forma di violenza sulle donne

Pubblicata la Direttiva (UE) 2024/1385 sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica. Il Titolo del provvedimento tuttavia non deve trarre in inganno. La Direttiva vuole fornire infatti un quadro giuridico generale per prevenire e combattere la violenza contro le donne in ogni suo aspetto e variante.

L’articolo 1, dedicato alle definizioni ai fini della Direttiva, precisa infatti che per “violenza contro le donne” deve intendersi qualsiasi atto di violenza di genere perpetrata nei confronti di donne, ragazze o bambine solo perché donne, ragazze o bambine, o che colpisce le donne, le ragazze o le bambine in modo sproporzionato, che provochi o possa provocare danni o sofferenza fisica, sessuale, psicologica o economica, incluse le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, nella sfera pubblica come nella vita privata.” 

La Direttiva si occupa, nello specifico di mutilazioni ai genitali femminili, di matrimoni forzati, di condivisione non consensuale di materiale intimo o manipolato, di stalking online, di molestie online, di istigazione alla violenza o all’odio online contro le donne, di istigazione al favoreggiamento, al concorso e al tentativo dei reati suddetti e non solo.

Molestie sul lavoro: formazione contro la discriminazione

Di particolare interesse è la parte della normativa europea dedicata alle molestie e alla violenza sessuale sui luoghi di lavoro, nel rispetto della convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro sull’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro, che è stata firmata a Ginevra il 21 giugno 2019.

La Direttiva dispone che, per prevenire e affrontare efficacemente i casi di molestie sessuali sul lavoro, è necessario formare i soggetti con funzioni di vigilanza, se la condotta molesta  è qualificata come illecito penale dal diritto nazionale.

I soggetti con funzioni di vigilanza dovrebbero ricevere inoltre opportune informazioni sul rischio di violenza da parte di terzi, ipotesi che si realizza quando la lavoratrice subisce violenza sul posto di lavoro da un soggetto diverso da un collega (Es: infermiera molestata da un paziente).

La Direttiva chiarisce poi che le molestie sessuali perpetrate sul luogo di lavoro consistono in una forma di discriminazione fondata esclusivamente sul sesso. Questo tipo di molestie hanno conseguenze negative sia per la vittima che per il datore di lavoro. Qualora tale condotta sia contemplata come reato dal diritto nazionale dovrebbero essere forniti servizi di consulenza interna o esterna per offrire informazioni sulle modalità più adeguate per affrontare i casi di molestie sessuali sul posto di lavoro e sui mezzi più efficaci per allontanare l’autore del reato dal posto di lavoro.

Entro il 14 giugno del 2032 la Commissione deve valutare infine la necessità di prevedere misure ulteriori a livello europeo per contrastare efficacemente le molestie e le violenze sessuali sui luoghi di lavoro, tenendo conto delle convenzioni internazionali, del quadro giuridico europeo sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e di impiego e del quadro giuridico in materia di salute e di sicurezza sul posto di lavoro.

permesso necessità

Permesso di necessità: quando può essere concesso La Cassazione detta chiarimenti sulle condizioni necessarie per concedere il permesso di necessità ex art. 30 dell'ordinamento penitenziario

Permesso di necessità: il caso

No al permesso di necessità, se le condizioni di salute della madre dell’imputato non siano gravissime. Lo ha affermato la prima sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 22619-2024, cogliendo l’occasione per spiegare i presupposti necessari per ottenere il beneficio ex art. 30 dell’ordinamento penitenziario.

Nella specie, l’imputato aveva proposto ricorso innanzi al Palazzaccio avverso l’ordinanza del tribunale di Sorveglianza di Torino che aveva respinto l’istanza di permesso di necessità per fare visita alla madre in quanto gravemente ammalata.

Per il tribunale, la madre dell’uomo non si trovava in pericolo di vita considerata la cronicità delle patologie che la affliggevano per cui non sussistevano le condizioni previste dal secondo comma dell’art. 30 ord. pen.
L’imputato, invece, deduceva che detto permesso poteva essere concesso, oltre che nell’ipotesi di pericolo di vita di un familiare o convivente, anche per eventi di particolare gravità ed osservava che la genitrice versava in gravi condizioni che le impedivano di muoversi dal letto.

Quando può essere concesso il permesso di necessità

Per gli Ermellini, tuttavia, il ricorso è infondato e va respinto. Infatti, ricordano preliminarmente, “ai fini della concessione del permesso di necessità, la patologia cronica a sviluppo progressivo da cui è affetto il familiare
non costituisce ‘evento di particolare gravità’ che legittima la concessione del beneficio in quanto tale condizione, connotata da protrazione indefinita nel tempo, è inconciliabile con il carattere straordinario dell’istituto”.

I requisiti richiesti dalla norma per la concessione del permesso di necessità si individuano, tradizionalmente, rammentano quindi dalla S.C., in tre elementi: “il carattere eccezionale della concessione, la particolare gravità dell’evento giustificativo, la correlazione di questo con la vita familiare”.
In particolare, per accedere a tale tipo di permesso occorre che “sussistano particolarissime ragioni di eccezionale rilevanza, quale un evento drammatico o di rara frequenza, legato comunque alla sfera familiare e connesso ad un fatto storico precisato e ben determinato: la normativa prevede un evento e cioè un fatto singolo e non anche una situazione cronica che si prolunga nel tempo, poiché la disciplina normativa del permesso di necessità non può piegarsi ad ogni situazione di tipo familiare, altrimenti si finirebbe per connettere lo stesso a situazioni protratte a tempo indefinito, con la conseguenza di una serie irragionevole di permessi di necessità”.
Nella specie, correttamente, dunque, il tribunale di Sorveglianza ha escluso la sussistenza delle condizioni per
concedere il permesso.

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Erede e prova della simulazione La Cassazione chiarisce che affinché l’erede possa provare la simulazione per testi o per presunzioni, presupposto necessario è l’avvenuta lesione della propria quota di legittima

Prova per presunzione della simulazione

Nel caso di specie, l’erede, all’esito dei giudizi di merito, aveva adito la Corte di Cassazione, dolendosi, tra i diversi motivi d’impugnazione, della violazione degli artt. 342, 346, 359 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.

Nella vicenda, il ricorrente ha dedotto che la Corte d’appello aveva errato nel dichiarare inammissibile la richiesta di ammissione delle prove orali richieste dall’erede.

In ordine all’ammissibilità della prova per interrogatorio, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 15043-2024, ha accolto il suddetto motivo di ricorso e ha cassato la sentenza in relazione allo stesso, rinviando la causa alla Corte d’appello di L’Aquila.

Sul punto, la S.C. ha anzitutto precisato che, anche conformemente alla giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, l’erede-legittimario può provare la simulazione anche per testimoni o presunzioni, purché la domanda sia stata proposta sulla premessa dell’avvenuta lesione della propria quota di legittima.

Erede: prova della simulazione per testi o presunzioni

In questi termini, l’erede, affinché possa provare la simulazione per testi o per presunzioni ai sensi dell’articolo 1417 del c.c., senza soggiacere ai limiti fissati dagli articoli 2721 e 2729 del Codice civile, deve essere individuato come legittimario e deve aver subito una lesione della propria quota di legittima,.

La Suprema Corte ha precisato che il legittimario, al ricorrere delle condizioni sopra rappresentate, deve essere considerato terzo e come tale è ammesso a provare la simulazione di una vendita fatta dal “de cuius” per testimoni e presunzioni, purché, come detto, tale simulazione sia fatta valere per un’esigenza strumentale alla tutela della quota di riserva.

Il Giudice di merito ha pertanto errato, ha riferito la Corte, a non attribuire all’erede la veste di terzo, negando di conseguenza l’ammissibilità della prova anche per presunzione con riferimento alla simulazione relativa compiuta dal defunto.

Legittimario e ammissione prova della simulazione

In definitiva, la Corte ha affermato che il Giudice di merito in sede di rinvio dovrà conformarsi al principio secondo cui “il legittimario è ammesso a provare la simulazione di una vendita anche fatta dal de cuius nella veste di terzo, senza soggiacere ai limiti fissati dagli articoli 2721 e 2729 del Codice civile, a condizione che la simulazione sia fatta valere per un’esigenza coordinata con la tutela della quota di riserva tramite la riunione fittizia. In questo senso il legittimario deve essere considerato terzo anche quando l’accertamento della simulazione sia preordinato solamente all’inclusione del bene, oggetto della donazione dissimulata, nella massa di calcolo della legittima, in conformità a quanto dispone l’art. 553 c.c.”.

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fisco avvocati libero foro

Fisco difeso dagli avvocati del libero foro La Cassazione ha affermato che, con l’istituzione dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, si è passati dal patrocinio esclusivo dell’Avvocatura dello Stato, alla devoluzione della difesa anche ad avvocati del libero foro

Inammissibile l’appello presentato da avvocati del libero foro

Il caso in esame prende avvio dalla decisione adottata dalla Commissione tributaria della Lombardia con la quale veniva dichiarata l’inammissibilità dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate- Riscossione dinanzi alla stessa, in quanto presentato a mezzo di un difensore del libero foro.

Avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di cassazione, contestando, per quanto qui rileva, la sentenza della Commissione tributaria nella parte in cui la stessa aveva ritenuto che l’agente della riscossione non avrebbe potuto avvalersi del patrocinio di un avvocato del libero foro, stante quanto previsto dall’art. 4-nonies del d.l. n. 34/2019 e dal protocollo intercorso con l’Avvocatura generale dello Stato ove era stato stabilito che, per la difesa dinanzi alle Commissioni tributarie, l’ente avrebbe potuto stare in giudizio a mezzo di avvocati liberi professionisti.

La Cassazione ammette la possibilità di avvalersi di avvocati del libero foro

La Corte di cassazione, con ordinanza n. 15365-2024, ha accolto il ricorso proposto dall’Agente della riscossione e ha cassato la sentenza impugnata, rinviando, per un nuovo giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia.

In particolare, la Corte ha rilevato che “con l’istituzione dell’Agenzia delle Entrate- Riscossione (ADER) si è passati dalla previsione dell’integrale ed esclusiva devoluzione del suo patrocinio all’Avvocatura dello Stato (…) alla previsione di un patrocinio affidabile anche ad avvocati del libero foro; il legislatore, cioè, (…) ha delineato un sistema nel quale (…) in tutti i casi non espressamente riservati all’Avvocatura dello stato su base convenzionale, è consentito all’Agenzia delle Entrate- Riscossione di avvalersi anche di avvocati del libero Foro”.

Tale possibilità, ha precisato la Corte, avviene attraverso un meccanismo sostanzialmente automatico, posto che si deve ritenere che la costituzione in giudizio dell’ADER “a mezzo dell’Avvocatura dello Stato ovvero degli avvocati del libero Foro postuli necessariamente ed implicitamente la sussistenza dei relativi presupposti di legge, senza bisogno di allegare documenti o di fornire prove al riguardo”.

Agenzia Entrate-Riscossione difesa da avvocati del libero foro

L’interpretazione appena riferita, ha precisato il Giudice di legittimità, trova altresì conferma nel d.l. n. 34/2019, art. 4-nonies, che ha fornito nome d’interpretazione autentica in materia di difesa in giudizio dell’ADER. Inoltre, il protocollo d’intesa n. 36437/2017 tra l’Avvocatura dello Stato e l’Agenzia delle Entrate- Riscossione, ha previsto espressamente che l’ente possa stare in giudizio avvalendosi direttamente dei propri dipendenti o di avvocati del libero foro.

Alla luce del suddetto quadro normativo e giurisprudenziale, la Corte ha concluso il proprio esame ritenendo del tutto legittimo che l’Agenzia delle Entrate- Riscossione si sia avvalsa di un avvocato del libero foro nel proporre appello dinanzi alla Commissione tributaria.

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Magistratura onoraria: le nuove regole Approvato dal Cdm il disegno di legge che modifica la disciplina della magistratura onoraria: nuove disposizioni su orari di lavoro, compensi e regime contributivo

Ddl riforma magistratura onoraria

Nella seduta del 4 giugno 2024 il CdM ha approvato in esame definitivo il disegno di legge contenente le modifiche alla disciplina della magistratura onoraria. Il provvedimento, che passa ora al vaglio del Parlamento e che è stato emanato per scongiurare il deferimento alla Corte di Giustizia, introduce norme applicabili con riguardo ai giudici onorari che sono in servizio alla data di entrata in vigore del Decreto legislativo n. 116/2017.

Orario di lavoro e disciplina

Il disegno di legge disciplina in primo luogo l’impegno complessivo dei magistrati onorari confermati. La durata dell’orario di lavoro non deve superare le 36 ore per ogni settimana per i magistrati che hanno optato per il regime di esclusività e non deve superare le 16 ore per ogni settimana per i magistrati che non hanno optato per il regime di esclusività. Le ore devono essere svolte nel rispetto del programma lavorativo definito dal presidente del tribunale o dal procuratore della Repubblica presso il tribunale, in base alle indicazioni fornite dal Consiglio superiore della magistratura (CSM).

Compenso

Il disegno di legge disciplina anche il compenso spettante ai magistrati onorari confermati. Ai magistrati che svolgono le loro funzioni in via esclusiva, è corrisposto un compenso annuo di 58.840 euro, che viene corrisposto in tredici mensilità.

Ai magistrati che esercitano in via non esclusiva, è corrisposto il compenso annuo di 20.000 euro, erogato in dodici mensilità. Il compenso viene adeguato al costo della vita.

Inoltre, ai magistrati onorari è riconosciuta la spettanza dei buoni pasto nella misura spettante al personale dell’amministrazione giudiziaria, qualora venga superata la soglia delle sei ore di presenza all’interno dell’ufficio giudiziario.

Contributi e previdenza

Il disegno di legge prevede altresì specifiche disposizioni relative al regime contributivo e previdenziale. I magistrati onorari confermati che svolgono l’attività in via esclusiva sono assicurati all’INAIL contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, sono iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti dell’assicurazione generale obbligatoria dell’INPS e sono iscritti a specifiche forme di previdenza e assistenza sociale.

I magistrati onorari confermati che non esercitano in via esclusiva, invece, sono iscritti alla Gestione separata INPS e assicurati all’INAIL contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Inoltre, i magistrati onorari in regime di non esclusiva che hanno titolo per l’iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense mantengono l’iscrizione alla Cassa medesima.

Incompatibilità

Il provvedimento prevede ex novo alcune cause di incompatibilità. I magistrati onorari che vengono confermati non possono svolgere la loro attività negli uffici giudiziari dello stesso circondario in cui il coniuge, i conviventi, i parenti fino al secondo grado o gli affini fino al primo grado esercitano la professione di avvocato.

Rimessione nei termini e conferma

Prevista infine una procedura di rimessione nei termini per la richiesta di conferma nella magistratura onoraria, riservata ai magistrati onorari che non l’avevano ancora presentata. Tale procedura è applicabile quando, all’esito delle procedure di conferma già concluse, residuano risorse disponibili. Il CSM bandisce con delibera una nuova procedura di valutazione per un numero di posti corrispondente alle risorse disponibili.

I magistrati onorari non confermati potranno presentare domanda entro sessanta giorni dalla pubblicazione della delibera, sino al compimento del settantesimo anno di età. Riguardo l’opzione per l’esclusività, si prevede che i magistrati confermati possano chiedere di esercitare l’opzione entro il 31 luglio di ogni anno successivo a quello di immissione nel ruolo. Questa domanda transitoriamente può essere esercitata nel termine di trenta giorni dall’entrata in vigore del provvedimento.

giurista risponde

Clausole esonero spese condominiali Quando possono considerarsi vessatorie le clausole del costruttore di esonero dalle spese condominiali?

Quesito con risposta a cura di Danilo Dimatteo, Elisa Succu, Teresa Raimo

 

La clausola relativa al pagamento delle spese condominiali inserita nel regolamento di condominio predisposto dal costruttore o originario unico proprietario dell’edificio e richiamato nel contratto di vendita dell’unità immobiliare concluso tra il venditore professionista e il consumatore acquirente, può considerarsi vessatoria, ai sensi dell’ art. 33, comma 1, D.Lgs. 206/2005, ove sia fatta valere dal consumatore o rilevata d’ufficio dal giudice nell’ambito di un giudizio di cui siano parti i soggetti contraenti del rapporto di consumo e sempre che determini a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, e dunque se incida sulla prestazione traslativa del bene, che si estende alle parti comuni, dovuta dall’alienante, o sull’obbligo di pagamento del prezzo gravante sull’acquirente. Al contrario, resta di regola estraneo al programma negoziale sinallagmatico della compravendita del singolo appartamento l’obbligo del venditore di contribuire alle spese per le parti comuni in proporzione al valore delle restanti unità immobiliari che tuttora gli appartengano. – Cass. II, ord. 21 giugno 2022, n. 20007.

Il contratto che intercorre tra il professionista costruttore del fabbricato e il consumatore acquirente di una delle unità immobiliari in esso compreso è, di regola, una compravendita. Dal contratto di compravendita di una unità immobiliare compresa in un edificio condominiale non discende, quindi, all’evidenza, un obbligo per il venditore di contribuire alle spese per le parti comuni in proporzione al valore delle restanti unità immobiliari che tuttora gli appartengano; tale obbligo discende, piuttosto, dagli artt. 1118 e 1123 c.c. e può essere oggetto, tuttavia, di “diversa convenzione” ai sensi del comma 1 dell’art. 1123 c.c. Infatti, in base agli artt. 1118, comma 1, e 1123 c.c. posso essere derogati da una convenzione stipulata tra tutti i condomini, come anche da una deliberazione presa dagli stessi con l’unanimità dei consensi dei partecipanti. L’autonomia negoziale può anche prevedere l’esenzione totale o parziale per taluno dei condomini dall’obbligo di partecipare alle spese condominiali.

Secondo la decisione in esame, diversamente da quanto riferito nella pronuncia impugnata, l’esonero dei condòmini dagli obblighi collegati alla contitolarità del diritto di proprietà sulle cose comuni, eventualmente inserita nel contenuto contrattuale del regolamento condominiale, costituisce vicenda negoziale autonoma e distinta rispetto al contratto di vendita dell’unità immobiliare intercorsa tra costruttore proprietario originario e singolo condomino acquirente, seppure tale “diversa convenzione” ex art. 1123 c.c. sia oggetto di espresso richiamo nei titoli di compravendita di ciascun appartamento dell’edificio comune. Quindi, affinché una clausola della convenzione sulle spese condominiali sia valutata ai fini dell’art. 33 del Codice del Consumo occorre, allora, che la stessa provochi un significativo squilibrio (non ex se negli obblighi di contribuzione derivanti dagli artt. 1118 e 1123 c.c., ma) dei diritti e degli obblighi derivanti, ai sensi degli artt. 1476 e 1498 c.c., dal contratto di compravendita concluso tra il venditore professionista e il consumatore acquirente.

Al riguardo, secondo la Suprema Corte, occorre procedere a un accertamento della vessatorietà della “clausola”, la quale esonera la costruttrice dal pagamento delle spese condominiali, valutando non lo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal regolamento di Condominio, il quale non è un contratto di consumo, quanto lo squilibrio dell’intero rapporto contrattuale sinallagmatico e dunque della complessiva operazione economica intercorsi tra il singolo acquirente consumatore e il professionista venditore. L’eventuale accertamento della vessatorietà della clausola nell’ambito del rapporto di consumo “a vantaggio del consumatore” ripercuoterà la sua incidenza sulla validità della adesione alla convenzione ex art. 1123, comma 1, c.c.

Alla luce di tali premesse, la pronuncia conclude affermando il principio di diritto anticipato supra nella risposta.

vano ascensore condominio

Il vano ascensore è di proprietà del condominio Il tribunale ha ricordato che l’art. 1117 c.c. introduce una presunzione di appartenenza comune ai condomini dei beni in esso elencati, superabile solo con la produzione di un diverso titolo

Proprietà del vano ascensore nel condominio

Nel caso in esame e per quanto qui rileva, il condominio aveva adito il Tribunale di Agrigento, chiedendo l’accertamento della natura condominiale del vano ascensore.

Nel dettaglio, l’attore ha rappresentato che i condomini, durante l’assemblea straordinaria avevano deliberato di istallare un ascensore e che la ditta affidataria dell’incarico, durante il primo sopralluogo, constatava che il vano ascensore era parzialmente occupato da un impianto ad uso privato di un condomino, che collegava il piano seminterrato al piano terra.

Rispetto alla suddetta circostanza e alla richiesta avanzata dal condominio, la società condomina si è costituita in giudizio eccependo di aver acquistato l’immobile comprensivo dell’ascensore/montacarichi che collegava il piano terra con il seminterrato. In ragione di tale situazione, la società ha pertanto fatto valere la prescrizione dell’azione o comunque l’usucapione del montacarichi.

Natura condominiale del vano ascensore

Il Tribunale di Agrigento, con sentenza n. 20 dell’8 gennaio 2024, ha condannato la società condomina a liberare il vano ascensore rimuovendo il montacarichi che collega il piano terra al piano seminterrato.

Nella specie, il Tribunale, ha anzitutto esaminato gli esiti della perizia svolti dal C.T.U. incaricato, il quale, in particolare ha accertato “esiste un solo vano corsa ascensore, che collega il piano seminterrato al piano terrazzo dell’immobile, occupato attualmente dal montacarichi della ditta (…) al servizio del solo piano terra e seminterrato”, che pregiudica l’istallazione dell’ascensore ad uso condominiale.

Ciò posto, il Tribunale è passato all’esame della normativa di riferimento, con particolare riguardo all’art. 1117 c.c., ove l’ascensore è individuato tra le parti dell’edificio che si presumono di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari.

L’articolo in questione introduce pertanto “una presunzione di appartenenza comune ai condomini dei beni in esso elencati che, come tale, può essere superata solo dalle risultanze opposte di un determinato titolo (…), prova che nel caso in esame non è stata raggiunta”. Invero, ha proseguito il Tribunale “negli atti di trasferimento della proprietà degli immobili da parte dell’originario proprietario, depositati dall’attore, è dato leggersi “la compravendita concerne l’immobile nello stato di fatto in cui si trova (…) compreso tutto quanto altro per legge, uso e consuetudine è proprietà comune in un edificio in condominio”, difettando, pertanto, una valida riserva da parte dell’originario proprietario sul bene comune del vano ascensore.

Per quanto in particolare attiene alla prescrizione dell’azione e all’acquisto per usucapione del diritto della convenuta di mantenere il montacarichi, il Tribunale ha osservato che l’art. 948 c.c. dispone che “l’azione di rivendicazione non si prescrive, salvi gli effetti dell’acquisto della proprietà da parte di altri per usucapione”.

Chi agisce in rivendica deve, pertanto, provare in prima istanza di aver acquistato la titolarità del bene a titolo originario. Mentre, in punto di usucapione, la giurisprudenza formatasi sul punto ha affermato che il condomino che rivendica l’usucapione deve dimostrare una condotta diretta a rivelare in modo “inequivoco che si è verificato un mutamento di fatto nel titolo del possesso costituito da atti rivolti contro gli altri compossessori tali da palesare concretamente l’intenzione di non possedere più come compossessore”.

Il Tribunale ha in definitiva affermato che alcuna rilevanza assume, rispetto a quanto sopra indicato, la planimetria catastale prodotta dalla società convenuta atteso che “la planimetria catastale è di data antecedente al certificato di sanatoria e rappresenta uno stato dei luoghi difforme dalla condizione rilevata al piano seminterrato”.

crisi impresa banche dati convenzioni

Crisi d’impresa: accesso agli uffici giudiziari Pubblicato il provvedimento 31 maggio 2024 del Ministero della Giustizia che attesta la funzionalità del collegamento telematico con la Agenzia delle entrate, l'INPS ed il Registro delle imprese

Crisi d’impresa: le Convenzioni per l’accesso alle banche dati

È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 128 del 3.6.2024 il provvedimento adottato dal Ministero della Giustizia e recante “Convenzioni per l’accesso alle banche dati contenenti le informazioni utili per la gestione della crisi d’impresa e dell’insolvenza”

L’accesso alle banche dati in tema di crisi d’impresa

Il sopramenzionato provvedimento si occupa dell’accesso alle banche dati contenenti le informazioni utili per la gestione della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

Nel provvedimento in questione viene dato atto che lo stesso è stato adottato sulla base di quanto previsto dall’articolo 367, comma 5 del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14.

Inoltre, il provvedimento mette in luce come, allo stato attuale, “l’Agenzia delle entrate, INPS e Registro delle imprese non dispongono dei sistemi informatici per la cooperazione applicativa di cui al Codice dell’amministrazione digitale” e che, a causa di tale situazione “si è resa necessaria la stipulazione di apposite convenzioni finalizzate alla fruibilità dei dati informatici”.

Ciò posto, il provvedimento cita le convenzioni stipulate, in data 20 maggio 2024, con l’Agenzia delle entrate, in data 24 maggio 2024, con l’INPS ed in data 27 maggio 2024 con il Registro delle imprese.

Il Ministero ha riferito che il Garante per la protezione dei dati personali ha espresso parere favorevole in data 22 febbraio 2024 in ordine alle suddette convenzioni.

Parere favorevole del Garante

In particolare, il Garante della privacy ha precisato, in merito ai flussi di dati personali effettuati via PEC, di poter esprimere parere favorevole a condizione che:

1) nello schema di convenzione tra Ministero della giustizia e Agenzia delle entrate, sia previsto che i messaggi con i relativi allegati, unitamente ai relativi metadati e alle ricevute di accettazione e di consegna, siano conservati con modalità adeguate a garantire integrità e riservatezza, nonché per un periodo massimo (da individuarsi nello schema) proporzionato rispetto alle finalità per le quali tali dati personali debbano essere trattati;

2) nello schema di convenzione tra Ministero della giustizia e Agenzia delle entrate sia previsto che l’accesso alle informazioni sia effettuato da responsabili del trattamento e da persone autorizzate specificamente designate e destinatarie di apposite istruzioni;

3) nello schema di convenzione tra Ministero della giustizia e INPS, sia previsto che gli allegati al messaggio PEC inviato dall’INPS siano sottoposti a cifratura;

4) nello schema di convenzione tra Ministero della giustizia e INPS, sia previsto che i messaggi siano conservati, unitamente ai relativi metadati e alle ricevute di accettazione e di consegna, con modalità adeguate a garantire integrità e riservatezza, nonché per un periodo massimo (da individuarsi nello schema) proporzionato rispetto alle finalità per le quali tali dati personali debbano essere trattati.

 

 

 

IMU

IMU: guida breve all’Imposta Municipale Unica IMU, imposta municipale unica: cos’è, chi sono i soggetti tenuti al pagamento, in quali casi è prevista l’esenzione, quando e come si paga

IMU: cos’è

L’IMU, o Imposta Municipale Unica, è un tributo locale italiano istituito nel 2012, che colpisce il possesso di immobili situati nel territorio dello Stato. L’IMU sostituisce in gran parte l’ICI (Imposta Comunale sugli Immobili) ed è parte delle misure di riforma fiscale introdotte per migliorare il bilancio pubblico. Il presupposto dell’imposta è rappresentato dal possesso dell’immobile che sia detenuto a titolo di proprietà o di altro diritto reale.

Chi deve pagare l’IMU

Sono quindi tenuti al pagamento dell’IMU i proprietari di immobili, i titolari di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi e superficie sugli stessi, i concessionari in caso di concessione di aree demaniali, i locatari di immobili in virtù di un contratto di leasing, il genitore assegnatario della casa familiare.

Qualora l’immobile sia detenuto in comproprietà, ogni comproprietario è responsabile singolarmente del pagamento dell’imposta sulla propria quota.

Gli immobili soggetti a IMU

L’IMU si applica a diverse categorie di immobili, tra cui:

  • le abitazioni principali di lusso (categorie catastali A/1, A/8, A/9);
  • le seconde case;
  • gli immobili commerciali;
  • i terreni agricoli e le aree edificabili;
  • gli immobili produttivi (cat. D)

Esenzioni e riduzioni

La legge prevede forme di esenzione in ragione della tipologia di immobile o in ragione di particolari requisiti dei contribuenti.

Non sono infatti soggetti all’IMU:

  • le abitazioni principali non di lusso e le relative pertinenze (civili abitazioni nelle categorie catastali A/2, A/3, A/4, A/5, A/6 e A/7);
  • i fabbricati rurali ad uso strumentale;
  • gli immobili posseduti da anziani o disabili ricoverati in modo permanente in case di riposo, a condizione che non siano locati;
  • i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati (beni merce).

Per l’anno 2024 valgono ancora le riduzioni relative alle seconde case e alle abitazioni concesse in comodato d’uso gratuito dai genitori ai figli. Oltre a queste agevolazioni sono previste riduzioni particolari per gli immobili di interesse storico artistico, per gli immobili inagibili o inabitabili non utilizzati, per le abitazioni concesse in locazione a canone concordato, per le proprietà di pensionati che risiedono in uno Stato diverso da quello italiano e che siano titolari di pensioni in virtù di convenzioni internazionali con l’Italia.

IMU: come si calcola

Il calcolo dell’IMU si basa sulla rendita catastale dell’immobile, rivalutata del 5% e moltiplicata per un coefficiente variabile a seconda della categoria catastale dell’immobile. L’importo così ottenuto viene moltiplicato per l’aliquota IMU stabilita dal comune, che può variare entro certi limiti fissati dalla legge.

Aliquote IMU

Le aliquote base sono stabilite dal governo, ma i comuni possono deliberare variazioni, entro limiti prefissati. Per il 2024, le aliquote e gli incrementi comunali sono i seguenti:

  • per le abitazioni principali di lusso e le pertinenze l’aliquota base è dello 0,5% con incremento comunale fino allo 0,6% o riduzione fino all’azzeramento;
  • per gli altri immobili, inclusi i terreni fabbricabili, l’aliquota base è dello 0,86 %, i comuni possono incrementare fino alla percentuale dell’1,06% o ridurre fino all’azzeramento;
  • per gli immobili ad uso produttivo del gruppo D l’aliquota base è dello 0,86%, i comuni possono incrementare fino all’1,06% o ridurre fino alla percentuale minima dello 0,76%;
  • per i terreni agricoli la percentuale base dello 0,76%, con possibilità di incremento fino all’1,06% o riduzione fino all’azzeramento
  • per i fabbricati rurali ad uso strumentale l’aliquota base è dello 0,1% ma i comuni possono ridurre l’aliquota fino all’azzeramento;
  • Per i fabbricati merce non locali l’aliquota base dello 0,1% con possibile incremento da parte dei comuni fino allo 0,25%

Dal 2025, in virtù del decreto del 7 luglio 20 23, i comuni potranno stabilire aliquote IMU personalizzate per diverse categorie di immobili.

Scadenze e modalità di pagamento

L’IMU si paga in due rate:

– prima rata (acconto): entro il 16 giugno (che slitta al 17 perché il 16 cade di domenica);

– seconda rata (saldo): entro il 16 dicembre.

È possibile pagare l’intero importo annuale in un’unica soluzione entro il 16 giugno. Il pagamento può essere effettuato tramite modello F24, presso banche, uffici postali, o online attraverso i servizi di home banking.

Sanzioni e interessi

In caso di mancato o insufficiente pagamento dell’IMU, sono previste sanzioni amministrative e interessi di mora. Le sanzioni possono essere ridotte mediante ravvedimento operoso, se il contribuente regolarizza spontaneamente la propria posizione entro un certo periodo.

Dichiarazione IMU

I contribuenti devono presentare la dichiarazione IMU nei casi in cui siano intervenute variazioni rispetto a quanto dichiarato precedentemente (es. acquisto, vendita, variazione della destinazione d’uso dell’immobile) entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui è avvenuta la variazione.