giustizia accelera ufficio processo

La giustizia accelera grazie all’ufficio per il processo La ricerca sugli effetti dell'ufficio per il processo sul funzionamento della giustizia civile mostra riflessi positivi sull'abbattimento dell'arretrato e la riduzione dei tempi dei processi

Ufficio per il processo, acceleratore della giustizia civile

L’assunzione degli addetti Upp prevista dal Pnrr ha avuto un impatto positivo sulla definizione dei processi, soprattutto i più complessi, con riflessi positivi anche sull’abbattimento dell’arretrato e la riduzione dei tempi. A dirlo, come riporta via Arenula sul proprio sito, sono i dati del lavoro “Gli effetti dell’ufficio per il processo sul funzionamento della giustizia civile” condotto da un gruppo di ricercatori del Ministero della Giustizia e della Banca d’Italia nell’ambito di un accordo di collaborazione per la valutazione dell’impatto delle misure del Pnrr.

Il testo completo della ricerca – curata da Mario Cannella, Marialuisa Cugno, Sauro Mocetti, Giuliana Palumbo, Gianluca Volpe – sarà pubblicato a breve.

Nel frattempo, spiega il ministero che le stime, sin dall’immissione del primo gruppo di addetti Upp, nel primo trimestre 2022, fino alla fine del 2023, “mostrano come i tribunali che hanno ricevuto un numero maggiore di addetti hanno registrato una variazione nel numero dei procedimenti definiti di circa 4 punti percentuali più elevata; per i procedimenti più complessi la variazione è di circa 10 punti percentuali”.

Un incremento complessivo valutabile in circa 100.000 procedimenti civili all’anno, pari a circa 1/3 dell’arretrato 2019.

“Il contributo degli addetti risulta essere maggiore nei tribunali che prima della pandemia avevano già livelli di produttività elevata – prosegue via Arenula -, segno che gli uffici con maggiore capacità organizzativa hanno saputo sfruttare meglio le nuove risorse”.

L’analisi ha messo in luce solo gli effetti di breve periodo, “nella consapevolezza che solo in un orizzonte temporale più lungo sarà possibile osservare a pieno i benefici – in termini di quantità e qualità – di una nuova organizzazione del lavoro all’interno degli uffici giudiziari”.

protocollo tutela professionisti

Minacce ai professionisti: siglato il protocollo E' stata firmata l'intesa al Viminale tra avvocati, notai e commercialisti e dipartimento della pubblica sicurezza per la tutela dei professionisti

Protocollo a tutela dei professionisti

“Monitorare gli episodi intimidatori compiuti nei confronti degli avvocati, dei commercialisti e dei notai chiamati a svolgere funzioni sussidiarie delle Autorità giudiziarie e indipendenti”. È questo l’obiettivo ispiratore dell’intesa firmata ieri pomeriggio al Viminale tra il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, il Consiglio Nazionale Forense, il Consiglio Nazionale dei Commercialisti e il Consiglio Nazionale del Notariato.

L’accordo è stato firmato dal Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, Prefetto Vittorio Pisani; dal Vicepresidente del Consiglio Nazionale Forense, Francesco Napoli; dal Presidente del Consiglio Nazionale dei Commercialisti, Elbano de Nuccio; dal Presidente del Consiglio Nazionale del Notariato, Giulio Biino. Presente anche il Prefetto Annunziato Vardé, Direttore dell’Ufficio per il Coordinamento e la Pianificazione delle Forze di Polizia.

Al via l’Osservatorio dedicato

“L’istituzione di un Osservatorio dedicato consentirà di avere un quadro completo del fenomeno e di mettere in campo azioni concrete per contrastarlo. L’intimidazione dei professionisti rappresenta un attacco al diritto di difesa e al corretto funzionamento della giustizia” spiega il presidente del CNF, Francesco Greco.

Il protocollo, conclude, è “un passo fondamentale nella tutela degli avvocati e di tutti i professionisti che, nell’esercizio delle loro funzioni, subiscono minacce e intimidazioni”.

guida bonus fiscali

Agevolazioni fiscali: online le guide sui bonus L'Agenzia delle Entrate ha reso disponibile online le guide "Tutte le agevolazioni della dichiarazione 2024"

Online le guide sui bonus fiscali per i cittadini

Dalle spese sanitarie agli interessi sul mutuo prima casa, passando per contributi previdenziali, premi assicurativi e bonus edilizi. Sono alcune delle guide alle agevolazioni della dichiarazione 2024, rese disponibili online sul sito dell’Agenzia delle Entrate.

Il fine è quello, si legge nella nota stampa del fisco, di mettere a disposizione dei cittadini “con informazioni complete e aggiornate, tutto ciò che occorre per beneficiare dei vari sconti fiscali di cui è possibile usufruire”.

Una “guida” per ogni argomento

Per agevolare la consultazione, ad ogni tema della raccolta “Tutte le agevolazioni della dichiarazione 2024” è dedicata una guida: spese sanitarie, interessi sui mutui, spese di istruzione, erogazioni liberali, premi di assicurazione, ecc. Nella raccolta anche le guide tematiche sui diversi bonus casa: ristrutturazioni, riqualificazione energetica, bonus mobili e superbonus.

Le guide, al passo con le novità normative e i documenti di prassi dell’Agenzia, forniscono chiarimenti anche alla luce delle risposte fornite ai quesiti di cittadini e addetti ai lavori. Previsto anche, concludono le Entrate, “un focus sui documenti che i contribuenti devono presentare a Caf e professionisti abilitati e sulle regole che questi ultimi devono osservare nella conservazione della documentazione”.

lavoro pensionati PA

Lavoro ai pensionati nelle Pubbliche Amministrazioni La Corte dei Conti ha dato l'ok chiarendo che gli incarichi vietati sono solo quelli espressamente contemplati dalla legge, quali, ad esempio, incarichi di studio e di consulenza, incarichi dirigenziali o direttivi

Conferimento incarichi al personale in pensione

Il caso in esame prende avvio dalla richiesta di parere formulata dal Sindaco del Comune di Cassino, ai sensi dell’art. 7, comma 8, l. 5 giugno 2003, n. 131, avente ad oggetto la possibilità di conferire un incarico retribuito ad un dipendente che si trovava in stato di recente quiescenza.

In particolare, il Sindaco ha chiesto se “al fine di prestare affiancamento al personale in servizio, prettamente assistenza, supporto e formazione prettamente operativa, senza svolgere attività di studio consulenza, né alcun tipo di attività riferibile all’espletamento di funzioni direttive o dirigenziali… è legittimo affidare al suddetto funzionario, successivamente alla data del suo collocamento in quiescenza, l’incarico temporaneo e straordinario a titolo oneroso di assistenza, di supporto, di affiancamento e di formazione operativa per il personale dell’ufficio tributi, precisando che l’attività oggetto della prestazione non consisterebbe né in un’attività di studio e/o di consulenza, né l’espletamento di funzioni direttive e dirigenziali, ma semplicemente una mera condivisione dell’esperienza maturata dal funzionario in quiescenza nell’esercizio delle mansioni in precedenza affidategli”.

Incarichi vietati: il quadro normativo e giurisprudenziale

La Corte dei Conti, con deliberazione n. 80-2024, ha ritenuto che “la tassatività delle fattispecie vietate dal Legislatore (…) fa sì che le attività consentite, per gli incarichi si ricavino a contrario”.

Nell’ambito della propria deliberazione, la Corte ha anzitutto esaminato il quadro normativo, amministrativo e giurisprudenziale di riferimento.

In particolare, è stato preso in considerazione l’art. 5, comma 9, del D.L. n. 95 del 6 luglio 2012, ove è contenuto un principio generale di divieto di conferimento di incarichi di studio e consulenza, e/o dirigenziali o direttivi, a soggetti in quiescenza.

La norma in questione, per quanto qui rileva, stabilisce che “è fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, nonché alle amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (Istat) ai sensi dell’art. 1, comma 2, della l. 31 dicembre 2009, n. 196, nonché alle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Alle suddette amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni di cui al primo periodo e degli enti e società da esse controllati (…)”.

In esecuzione della suddetta disposizione normativa, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione ha successivamente emanato due circolari.

La prima di esse, ovvero quella del 4 dicembre 2014, n. 6 statuisce che “(…) Incarichi vietati, dunque, sono solo quelli espressamente contemplati: incarichi di studio e di consulenza, incarichi dirigenziali o direttivi, cariche di governo nelle amministrazioni e negli enti e società controllati». «Un’interpretazione estensiva dei divieti in esame potrebbe determinare un’irragionevole compressione dei diritti dei soggetti in quiescenza, in violazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale».

La successiva circolare, del 10 novembre 2015, n. 4, prevede invece che il divieto posto dall’art. 9 del D.L. n. 95 del 2012 “riguarda anche le collaborazioni e gli incarichi attribuiti ai sensi 5 dell’art. 14 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e dell’articolo 90 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Come già osservato nella circolare n. 6 del 2014, infatti, in assenza di esclusioni al riguardo, devono ritenersi soggetti al divieto anche gli incarichi dirigenziali, direttivi, di studio o di consulenza, assegnati nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione di organi politici”.

Nella medesima direzione si è anche espressa la giurisprudenza formatasi in seno alla Corte dei Conti stessa, secondo cui “il conferimento a titolo oneroso di incarichi e cariche in favore di soggetti già collocati in quiescenza, per essere legittimo necessita, quindi di una effettiva (e non elusiva) esclusione dal campo di applicazione del divieto previsto dall’art. 5, comma 9, del decreto n. 95/2012)”.

Corte dei Conti: ammesso l’incarico non vietato

In ragione di quanto sopra riferito, la Corte dei Conti ha pertanto concluso il proprio esame ritenendo che “La tassatività delle fattispecie vietate dal Legislatore (…) fa sì che le attività consentite, per gli incarichi si ricavino a contrario”.

Si tratta, quindi, ha proseguito la Corte “di verificare se gli incarichi da conferire, ai sensi dell’articolo 5 comma 9, del D.L. n. 95/2012, siano non solo astrattamente non ricompresi nel divieto normativo, in quanto non rientranti nell’elencazione tassativa della norma, ma comportino o meno lo svolgimento, in concreto, di funzioni riconducibili agli incarichi normativamente vietati”.

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privacy condominio

Privacy: amministratore responsabile del trattamento L’amministratore quale responsabile del trattamento dei dati del condominio

Privacy condominio

Sul tema il Garante si è espresso una prima volta nel 2006 con provvedimento intitolato “Amministrazione dei condomini”  del 18 maggio,  riconducendo in capo al condominio la titolarità del trattamento (documento web numero 1297626 punto 2). Il condominio, infatti, in virtù della disciplina normativa che lo regola nei suoi vari aspetti, agisce per il tramite dell’amministratore formalmente designato dall’assemblea al quale vengono attribuiti specifici poteri di rappresentanza.

Designazione amministratore non necessaria

Il Garante si è anche espresso nel senso di non ritenere necessaria  la designazione formale dell’amministratore quale responsabile del trattamento: ritenendo che essa costituisce una mera eventualità dovendosi intendere che in caso contrario l’amministratore operasse comunque per conto del condominio in virtù del rapporto di mandato presupposto inerente proprio il trattamento dei dati attraverso un impianto di videosorveglianza condominiale (vedi il provvedimento il 6 Aprile 2017 numero 6517060).

Quest’ultimo aspetto ovvero quello dell’eventuale nomina dell’amministratore a responsabile del trattamento veniva esplicitato in modo ancor più chiaro nel menzionato vademecum del 2013 laddove si diceva che l’assemblea può decidere di disegnarlo anche formalmente responsabile del trattamento dei dati personali dei partecipanti al condominio attribuendogli così  uno specifico ruolo in materia di  privacy.

Dopo l’introduzione del regolamento web 2016 numero 679 nell’ambito della relazione sull’attività svolta nel corso del 2019 l’autorità garante ha colto l’occasione per confermare questa indicazione e per ribadire che le informazioni personali riferibili a ciascun partecipante possono essere trattate per la finalità di gestione di amministrazione del condominio e che possono essere per tali ragioni condivise all’interno della compagine condominiale tenendo anche conto che i condomini devono essere titolari di un medesimo trattamento dei dati di cui l’amministratore agente in eventuale veste di responsabile del trattamento alla concreta gestione.

Conferimento formale all’amministratore

L’autorità garante non ha dunque preso posizioni chiare sull’obbligatorietà o meno di regolare il rapporto tra amministratore e condominio secondo quanto previsto dall’articolo 28 GDPR ovvero attraverso la sottoscrizione di un contratto o altro atto giuridicamente vincolante ma l’articolo 28 prevede che qualora un trattamento debba essere effettuato per conto del Titolare del trattamento quest’ultimo ricorre unicamente ad un  responsabile del trattamento che presenti garanzie sufficienti per mettere in atto misure tecniche e organizzative adeguate in modo tale che il trattamento soddisfi i requisiti del presente regolamento e garantisca la tutela dei diritti dell’interessato.

Il Titolare del trattamento dovrà dunque accertarsi che la catena di trattamento dei dati dallo stesso innescato sia rispettosa della normativa e dei diritti alla riservatezza del singolo anche nel caso in cui il Titolare del trattamento decida di avvalersi di altri soggetti.

Per quanto sopra si ritiene raccomandabile il conferimento di un formale incarico all’amministratore del condominio da parte dell’assemblea rispettoso dei contenuti indicati nell’articolo 28 del GDPR il che consentirà anche di dare attuazione concreta al principio della accountability. Solo così difatti il condominio potrà dare prova di aver preso atto delle condizioni di sicurezza offerte dal professionista che ne detiene, custodisce e tratta in vario modo i dati.

stalking condominiale

Stalking per il condomino che altera le abitudini di vita degli altri Si configura il reato di cui all’art. 612-bis c.p. qualora le molestie siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante stato di ansia ovvero l’alterazione delle proprie abitudini di vita

Riqualificazione del reato

Nel caso di specie e per quanto qui rileva, la Corte d’appello di Milano aveva provveduto a riqualificare il delitto di cui agli artt. 81 e 612-bis c.p., parzialmente aggravato dall’odio razziale, nella contravvenzione di cui all’art. 660 c.p.

Avverso tale decisione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Busto Arsizio aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.

La condotta molestatrice

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 21006-2024, ha riqualificato l’appello come indicato nel ricorso proposto e ha annullato la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 660 c.p., con rinvio al Tribunale di primo grado per il giudizio.

La Corte ha ritenuto tale doglianza ammissibile posto che nell’ambito del delitto di cui all’art. 612-bis c.p. l’evento deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso e la reiterazione degli atti considerati tipici costituisce elemento unificante ed essenziale della fattispecie, facendo assumere a tali atti un’autonoma ed unitaria offensività, posto che è proprio dalla loro reiterazione “che deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che (…) degenera in uno stato di prostrazione psicologica”.

Pertanto, ha precisato la Corte, qualora la vittima entri in uno stato di perdurante ansia e modifica le proprie abitudini di vita a fronte delle condotte reiterate dell’imputato è integrato il reato di atti persecutori; qualora, invece, la condotta molestatrice sia tale da (solo) infastidire la vittima, allora viene in rilievo il reato di molestia o disturbo alle persone.

Ne consegue che la linea di demarcazione tra i due reati è rappresentata dalle conseguenze psicologiche che la condotta molestatrice è in grado di ingenerare nella persona offesa.

Stalking condominiale

Nel caso di specie, l’insieme degli elementi fattuali, emersi nel corso del giudizio di merito, non potevano che far propendere per la qualificazione della condotta molestatrice in termini di atti persecutori a norma dell’articolo 612 bis del Codice penale, posto che erano state riscontrati comportamenti dell’imputato idonei a determinare uno stato di ansia a carico della persona offesa che pervadevano la sua vita, al punto di modificarne le abitudini normali.

Quanto sopra, evidenzia la Corte, è desumibile da alcuni aspetti rilevati nel corso del giudizio di merito, quali, ad esempio le dichiarazioni della vittima con cui aveva riferito di “vivere con il timore” di trovarsi davanti l’imputato quando accedeva a casa, nonché di aver paura di uscire di casa, affermando di “vivere male” tali stati d’animo; le dichiarazioni delle persone offese, confermate dal teste, con cui veniva riferita la scelta di trasferirsi altrove, anche e soprattutto a causa del disturbi arrecato dall’imputato; le dichiarazioni dei coniugi vittime della condotta molestatrice con cui veniva evidenziato che gli stessi avevano vissuto “in ansia e paura” e ciò a causa dei comportamenti dell’imputato tra cui la “forzatura” della porta d’ingresso della loro abitazione. Infine, ha evidenziato la Corte, la perizia fornita dal consulente tecnico del pubblico ministero aveva riscontrato nell’imputato una significativa patologia, collegata alla “costante esposizione al rapporto con il vicinato”, tale da renderlo socialmente pericoloso.

 

 

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giurista risponde

Estorsione e richiesta di rinunciare a parte della retribuzione La condotta del datore di lavoro che, al momento dell’assunzione, prospetti agli aspiranti dipendenti l’alternativa tra la rinunzia a parte della retribuzione e la perdita dell’opportunità di lavoro è estorsione?

Quesito con risposta a cura di Beatrice Parente ed Elisa Visintin

 

Non integra il reato di estorsione la condotta del datore di lavoro che al momento dell’assunzione prospetta agli aspiranti dipendenti l’alternativa tra la rinunzia a parte della retribuzione, oppure la perdita dell’opportunità di lavoro. In particolare, pur realizzandosi un ingiusto profitto per il datore di lavoro grazie alle prestazioni d’opera sottopagate, per il lavoratore rispetto ad una precedente situazione di disoccupazione non è possibile dimostrare che l’occupazione conseguita possa recare un danno. – Cass., sez. II, 2 febbraio 2024, n. 9823.

Il reato di estorsione infatti, come riconosce la Cassazione, può essere integrato solo nel contesto delle modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, e non nella fase genetica della sua creazione. Pertanto non grava sul datore di lavoro “alcun obbligo giuridico di assumere le persone offese che, infatti, risultano essersi spontaneamente rivolte alla medesima società chiedendo l’assunzione: se, pertanto, la pretesa della società di subordinare questa ad una rinuncia a parte dello stipendio comportava per la parte datoriale l’ingiusto profitto del conseguimento di prestazione d’opera sottopagata, non risulta la prova del danno ingiusto arrecato al lavoratore al momento dell’assunzione, giacché non vi è prova che il conseguimento di un lavoro, per quanto sottopagato, abbia arrecato […] un danno rispetto alla situazione preesistente di mancanza di lavoro”.

Nel caso di specie la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto da Tizio avverso la sentenza della Corte di Appello che confermando la sentenza del GIP presso il tribunale della stessa città, condannava il ricorrente alla pena di giustizia per il delitto di cui all’art. 629 c.p. In particolare il motivo di doglianza atteneva alla violazione di legge e vizio di motivazione in merito all’erronea qualificazione della condotta ascritta in termini estorsivi. La difesa rilevava nello specifico come sul tema difettasse qualsiasi motivazione, tenuto conto delle modalità consensuali con le quali si addiveniva all’accordo tra imputato (datore di lavoro offerente la posizione lavorativa) e lavoratori, al momento genetico costitutivo il rapporto di lavoro. La Corte ha ritenuto fondato tale motivo, ritenendo assorbiti i successivi, attesa in primo luogo, una libera adesione ab origine dei lavoratori alla proposta lavorativa caratterizzata da retribuzione inferiore rispetto a quella prevista dalla contrattazione collettiva, non intaccando in alcun modo una pretesa giuridicamente tutelata. Infatti, come sottolinea la Suprema Corte, ai fini dell’integrazione della fattispecie estorsiva, deve apparire in primo luogo provato l’elemento centrale delle condotte, quale nel caso di specie la minaccia volta all’ottenimento dell’ingiusto profitto. Come già censurato con specifico motivo di appello, le condizioni di lavoro oggetto di accertamento non sono mai state imposte nel corso del rapporto di lavoro mediante minaccia, ma oggetto di specifico e previo accordo antecedente all’inizio effettivo del rapporto lavorativo, prima dunque dell’assunzione. Di conseguenza, non appare emergere alcuna minaccia in relazione alla determinazione della retribuzione, già oggetto di esplicito accordo tra le parti al momento della conclusione del contratto di assunzione. In secondo luogo i giudici di legittimità hanno riconosciuto la natura apparente e contraddittoria della motivazione della sentenza di appello, dove si afferma che l’imputato abbia approfittato della necessità di lavoro dei dipendenti per imporre condizioni retributive sfavorevoli ed inferiori alle previsioni della contrattazione collettiva, riferendosi però in questo modo alla fase iniziale e dunque genetica del rapporto di lavoro, senza specificare invece in che momento del rapporto lavorativo già in essere la minaccia anche implicita avesse avuto luogo. Pertanto la Suprema Corte di Cassazione ha disposto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello competente che dovrà verificare, colmando la carenza motivazionale evidenziata, se tra le parti sia intercorso un mero accordo antecedente alla concreta fase di espletamento dell’attività lavorativa in cui è stato determinato (ed accettato) il quantum della retribuzione, o se siano state poste in essere ulteriori condotte da provare puntualmente in sede di merito, attraverso cui si sia integrata la minaccia di licenziamento a carico dei lavoratori durante il corso delle attività lavorative nell’ambito dell’azienda del ricorrente, al fine di contrastare le loro legittime pretese contrattuali, eventualmente integrando la contestata estorsione.

*Contributo in tema di “ reato di estorsione ”, a cura di Beatrice Parente ed Elisa Visintin, estratto da Obiettivo Magistrato n. 74 / Maggio 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

violazione obbligo mantenimento figli

Mantenimento figli: nessun reato per il padre in difficoltà La Cassazione ha ritenuto che non siano violati gli obblighi di assistenza familiare ex art. 570 c.p., nel caso in cui il genitore obbligato, versando in obiettive difficoltà economiche, venga parzialmente meno ai propri obblighi

Obbligo di mantenimento e reato di cui all’art. 570 c.p.

Il caso in esame prende avvio dalla decisione emessa dalla Corte d’appello di Napoli la quale, riformando la sentenza di primo grado, aveva assolto l’imputato dal reato di cui all’art. 570, comma 2, n. 2 c.p. e per l’effetto aveva revocato la condanna al risarcimento dei danni in precedenza statuita in favore della parte civile.

Avverso tale sentenza la parte civile aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, contestando, per quanto qui rileva, le conclusioni cui era giunto il Giudice di secondo grado il quale non avrebbe fornito una valida motivazione alla propria decisione. La ricorrente aveva altresì sottolineato, in punto di fatto, che l’imputato non aveva corrisposto gli alimenti a partire dal 2010, conseguendone l’irrilevanza della circostanza secondo cui lo stesso nel 2012 aveva perso il lavoro, essendo a quell’epoca già inadempiente rispetto ai propri doveri genitoriali.

Difficoltà economiche e obbligo di mantenimento del genitore

La Cassazione, con sentenza n. 21069-2024, ha rigettato il ricorso proposto e condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Nella specie, la Corte ha rilevato come il Giudice di secondo grado aveva “sottolineato come l’imputato, invalido al 50%, aveva perso la precedente occupazione (…) e non aveva fonti di reddito alternative e adeguate a far fronte alle ordinarie necessità proprie e della famiglia”.

La Corte ha proseguito il proprio esame mettendo in evidenza quanto riportato dal Giudice di merito, ovvero che l’imputato era sostanzialmente rimasto privo di occupazione e svolgeva saltuariamente prestazioni di ausilio agli anziani per poche decine di euro alla settimana; nonostante tale situazione, egli aveva continuato a versare “con sufficiente regolarità” la somma di 200 euro al mese in favore dei figli, conformemente a quanto previsto dall’accordo sottoscritto con l’ex coniuge.

Ne consegue, secondo il Giudice di legittimità, che la ricostruzione offerta dalla Corte d’appello fosse immune da censure, difettando nel caso di specie l’elemento soggettivo del reato contestato, dal momento che è risultata costante la volontà dell’obbligato di far fronte agli oneri di mantenimento sullo stesso ricadenti in favore dei figli, ai quali è parzialmente venuto meno in concomitanza delle obiettive difficoltà economiche dallo stesso subite.

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detenzione domiciliare sostitutiva

Detenzione domiciliare sostitutiva: è legittima Per la Corte Costituzionale la disciplina della detenzione domiciliare sostitutiva contenuta nella riforma Cartabia non viola la legge delega

Detenzione domiciliare e legge delega

Il decreto legislativo n. 150 del 2022 non ha violato la legge delega nel disciplinare le modalità esecutive della nuova pena sostitutiva della detenzione domiciliare. Lo ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza n. 84-2024, con la quale ha dichiarato in parte inammissibili e in parte infondate una serie di questioni sollevate dalla Corte d’appello di Bologna.

La qlc

Rispetto all’unica questione valutata nel merito, la Consulta ha sottolineato che la riforma del 2022 mira a rivitalizzare le pene sostitutive delle detenzioni di breve durata, i cui effetti desocializzanti sono da tempo noti, specie nel contesto di significativo sovraffollamento in cui, nuovamente, versano le carceri italiane. La Corte ha evidenziato che le pene sostitutive sono ispirate al principio secondo cui il sacrificio della libertà personale va contenuto entro il minimo necessario, oltre che alla necessaria finalità rieducativa della pena sancita dall’art. 27 della Costituzione. Inoltre, la loro previsione incentiva l’imputato a definire il processo con un rito semplificato, e in particolare con il patteggiamento: il che contribuisce ad alleggerire i carichi del sistema penale, in funzione dell’obiettivo di assicurare a tutti tempi più contenuti di definizione dei processi. Infine, le pene sostitutive garantiscono risposte certe, rapide ed effettive al reato, ancorché alternative al carcere, dal momento che sono immediatamente esecutive non appena la sentenza di condanna passa in giudicato. E ciò a differenza di quanto accade rispetto alle pene detentive di durata non superiore a quattro anni, che restano di regola sospese anche per vari anni, sino a che il tribunale di sorveglianza non decida sulla richiesta del condannato di essere ammesso a una misura alternativa alla detenzione. Con la conseguenza che circa novantamila persone in Italia sono oggi “liberi sospesi”: e cioè condannati in via definitiva, che però non sono sottoposti allo stato ad alcuna misura restrittiva, in attesa della decisione del tribunale di sorveglianza.

La decisione della Corte Costituzionale

Secondo la Corte, la disciplina della pena sostitutiva della detenzione domiciliare risponde a questi obiettivi generali della legge delega, che prescriveva al Governo di mutuare la disciplina prevista, in fase esecutiva, per l’omonima misura alternativa della detenzione domiciliare, ma soltanto “in quanto compatibile” con tali obiettivi. In particolare, la previsione, da parte del legislatore della riforma, di un più favorevole regime del limite minimo di permanenza nel domicilio (almeno dodici al giorno), così come di un’ampia possibilità di uscire dal domicilio stesso in relazione a “comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale di lavoro o di salute”, è coerente – ha osservato la Corte – con la spiccata funzionalità rieducativa di questa pena sostitutiva, che prevede uno specifico programma di trattamento elaborato dall’Ufficio di esecuzione penale esterna, che prende in carico il condannato. Ciò appare conforme all’idea – che è alla base della riforma – di una “pena-programma” caratterizzata da elasticità nei contenuti, perché funzionale alla individualizzazione del trattamento sanzionatorio, in modo da garantire la risocializzazione del condannato e, assieme, una più efficace tutela della collettività.

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scuola praticanti notai

Al via la scuola per praticanti notai Il notariato comunica l'apertura di una nuova scuola per la preparazione giuridica dei praticanti notai

Notariato, la scuola per i praticanti

E’ partito il progetto formativo della “Scuola Nazionale del Notariato Giancarlo Laurini” del Consiglio Nazionale del Notariato e della Fondazione Italiana del Notariato. L’obiettivo è quello di “indirizzare, sostenere e consolidare la preparazione giuridica dei praticanti notai, necessaria per il superamento delle prove di concorso e per lo svolgimento dell’attività notarile” si legge nella nota diffusa ieri dallo stesso Notariato.

Finalità essenziale della Scuola è quella di accompagnare lo studio teorico-pratico con l’acquisizione dei principi etici e deontologici fondamentali per l’esercizio corretto della funzione notarile.

L’offerta formativa

Due le proposte formative della Scuola:

  • il “Notary Camp 2024”, tre corsi intensivi della durata di cinque giorni ciascuno (dal lunedì al venerdì) in partenza il prossimo 24 giugno. Si tratta di incontri di studio solo “in presenza” dedicati all’approfondimento di tematiche giuridiche (diritto civile, diritto delle successioni e diritto commerciale) che potrebbero risultare di particolare interesse nell’imminenza delle prove di concorso. Sarà possibile iscriversi sul sito www.scuolanazionalenotariato.it da domani 29 maggio 2024, a partire dalle ore 11, fino al raggiungimento del numero dei posti disponibili. La partecipazione per quest’anno è gratuita.
  • il “Corso ordinario 2024-2025”, della durata di nove mesi (dal 7 ottobre 2024 al 26 giugno 2025), al quale si potrà partecipare sia “in presenza” che “a distanza”, tramite la piattaforma della Scuola. Il Corso sarà suddiviso in tre moduli corrispondenti alle tre prove scritte di concorso (diritto civile, diritto delle successioni e diritto commerciale), completati dallo studio delle materie necessarie per assicurare una preparazione completa e interdisciplinare, quali la legge notarile, la deontologia, la legislazione urbanistica e catastale, il diritto internazionale privato, il diritto dell’Unione Europea, l’informatica giuridica e il diritto tributario. I mesi di maggio e giugno saranno dedicati alle prove di “simulazione di concorso”, con la relativa correzione collettiva e individuale, e costituiranno un quarto modulo solo “in presenza”. Le iscrizioni saranno aperte a partire da metà giugno e saranno messe a disposizione 8 borse di studio: il bando delle borse di studio e tutte le informazioni sui requisiti e sulle modalità di partecipazione saranno disponibili sul sito ufficiale www.scuolanazionalenotariato.it.