gli attori del processo di quotazione

Gli attori del processo di quotazione Il processo di quotazione in borsa sul segmento EGM implica il coinvolgimento di diversi professionisti. Vediamo quali

Processo di quotazione e team di professionisti

Quali sono gli attori del processo di quotazione?

Il processo di quotazione in borsa sul segmento EGM implica, infatti, il coinvolgimento di un team di professionisti così composto:

1)  Euronext Growth Advisor (EGA)

Di solito un intermediario finanziario con adeguata professionalità ed esperienza sul mercato dei capitali che svolge in sintesi le seguenti attività:

  • coordinamento di tutto il processo di quotazione in Borsa della Società e di tutti i professionisti coinvolti;
  • Business Due Diligence e coordinamento di tutte le altre due diligence (legale, finanziaria, payroll, giuslavoristica, fiscale, etc.);
  • supporto nella predisposizione dell’Information Memorandum e del Piano Industriale della Società pre e post money;
  • supporto nella predisposizione dell’Investor Presentation;
  • assistenza e consulenza nell’attività di preparazione degli incontri con gli Analisti, con i Sales e con gli investitori;
  • valutazione dell’Appropriatezza della Società per l’ammissione ad AIM Italia;
  • rilascio delle Dichiarazioni richieste dai Regolamenti di Borsa italiana applicabili;
  • assistenza alla Società per tutto il periodo di permanenza sul Mercato post quotazione (On-Going).

2)  Global Coordinator (GC)

Tra gli attori del processo di quotazione, il GC è sempre un intermediario finanziario, di solito coincidente con l’EGA, a cui sono demandate tutte le attività relative al collocamento ed in particolare:

  • contatti con i potenziali investitori e gestione dell’agenda degli incontri con gli stessi;
  • gestione e promozione degli incontri con i potenziali investitori (prevalentemente istituzionali);
  • gestione, accompagnamento e finalizzazione di tutti gli incontri di pre-marketing;
  • raccolta, razionalizzazione e definizione delle manifestazioni di interesse ricevute dagli investitori nella fase di pre-marketing;
  • diffusione presso gli investitori istituzionali della Ricerca Azionaria (Equity Research), realizzata dalla funzione indipendente dell’Ufficio Studi e Analisi Finanziaria. L’Equity Research specifica per la quotazione in Borsa, determina il valore economico del capitale sociale della Società ante-quotazione (il c.d. “Fair Value”). L’Equity Research assieme all’Investor Presentation rappresentano il materiale necessario per gli incontri con i potenziali investitori;
  • gestione del processo di lancio dell’operazione sul mercato, apertura degli ordini e definizione del “Book degli Ordini”;
  • profilazione degli investitori secondo la normativa vigente;
  • gestione del regolamento (settelment) azioni-denaro per la finalizzazione dell’operazione.

3)  Società di revisione

Alla società di revisione iscritta nel registro presso il MEF sono affidate le seguenti attività:

  • revisione e certificazione del bilancio annuale e della semestrale (limited review per la semestrale e full audit per bilancio annuale);
  • due diligence finanziaria completa e rilascio della relativa comfort letter;
  • assesment sul piano industriale della società quotanda;
  • verifica del Sistema di Controllo di Gestione della società;
  • predisposizione dei capitoli finanziari del Documento di Ammissione ed eventuale comfort letter su alcuni dati prospettici (es. portafoglio ordini);
  • eventuale attività di due diligence fiscale. In alternativa viene scelto un studio di fiscalisti/tributaristi.

4)  Studio legale

I legali specializzati nel processo di quotazione in Borsa in particolare sul segmento EGM assistono la società, i soci e gli intermediari finanziari (EGA e GC) in relazione a tutti gli aspetti di natura legale, contrattualistica e normativa relativa alla quotazione. In particolare i legali si occupano di:

  • due diligence legale e rilascio della relativa comfort letter;
  • due diligence giuslavoristica ed eventualmente contributiva (in alterativa affidata a società specializzate nella gestione delle paghe); rilascio relative comfort letter;
  • predisposizione del Documento di Ammissione;
  • consulenza legale su tutto il processo di IPO (definizione dello statuto da quotata, etc.) sulla governance aziendale e sulla predisposizione degli atti degli organi sociali della società (delibere del CdA e dell’Assemblea soci).

5)  Advisor finanziario

Professionista ovvero società di consulenza non obbligatorio, ma necessario quando la società quotanda è poco strutturata organizzativamente e ha bisogno di un supporto nella predisposizione del piano industriale, nell’organizzazione della data room per le due diligence e nella comprensione di tutto il processo di quotazione in Borsa incluso assistenza nella definizione dell’operazione di quotazione in Borsa. È sempre bene scegliere advisor finanziario con una comprovata esperienza nelle quotazioni in Borsa su EGM.

 

Per approfondimenti sul tema: “PMI in borsa” la nuova guida operativa disponibile anche in versione ebook

modello rli

Modello RLI: cos’è e a cosa serve Modello RLI, il modello per registrare i contratti di locazione e affitto e compiere altre operazioni, dal 26 novembre 2024 è aggiornato

Modello RLI: registrazione contratti di locazione

Il modello RLI (Registrazione Locazioni Immobili) è necessario per chiedere la registrazione dei contratti di locazione e di affitto di immobili all’Agenzia delle Entrate. Il modello è necessario anche per comunicare eventuali proroghe del contratto, così come cessioni, subentri o risoluzioni. Con questo documento è possibile anche comunicare la rinegoziazione del canone di locazione, esercitare l’opzione della cedolare secca e comunicare tutti i dati catastali dell’immobile oggetto del contratto. I contratti di locazione e affitto di beni immobili infatti devono essere registrati obbligatoriamente. La registrazione è richiesta per qualsiasi importo di canone, eccetto i contratti che durano meno di 30 giorni complessivi all’anno.

Registrazione del contratto obbligatoria

La registrazione deve avvenire entro il termine di 30 giorni dalla stipula o dall’inizio della validità, se anteriore. Vediamo in che modo è possibile procedere alla registrazione.

  • Servizi telematici dellAgenzia delle Entrate: obbligatoria per agenti immobiliari e proprietari di almeno 10 immobili, facoltativa per gli altri. Per registrare online, occorre disporre di credenziali SPID, CIE o CNS. L’applicazione RLI, disponibile in versione desktop o web, permette di effettuare registrazione e pagamento delle imposte;
  • Presso un ufficio dellAgenzia: compilando il modello RLI e presentando la documentazione necessaria.  Chi non è obbligato alla registrazione telematica può recarsi presso un ufficio dell’Agenzia e presentare i seguenti documenti:
    • due copie del contratto (originale e copia conforme).
    • modello RLI compilato.
    • eventuali contrassegni telematici per l’imposta di bollo (16 euro ogni 4 facciate o 100 righe).
    • ricevuta del pagamento dell’imposta di registro tramite Modello F24.

Per i contribuenti che optano per la cedolare secca, l’imposta di registro non è dovuta, ma vanno pagate imposte sostitutive.

  • Tramite intermediari o delegati: abilitati come professionisti, associazioni di categoria o CAF.

Un intermediario deve:

  • Fornire una dichiarazione firmata al momento dell’
  • Consegnare due copie della ricevuta di registrazione e delle imposte pagate.
  • Assicurarsi del corretto pagamento delle imposte relative agli anni successivi, proroghe, cessioni o risoluzioni.

Imposte sulla registrazione del contratto

La registrazione richiede il pagamento dell’imposta di registro e di bollo. Tuttavia, i contratti che dispongono esclusivamente una riduzione del canone sono esenti da queste imposte.

L’importo dell’imposta di registro varia in base al tipo di immobile:

  • Per i contratti a canone concordato è prevista una riduzione del 30% della base imponibile per immobili in comuni ad alta tensione abitativa;
  • Per i contratti pluriennali invece c’è la possibilità di pagare l’imposta in un’unica soluzione o annualmente. Chi paga per l’intera durata riceve uno sconto proporzionale agli interessi legali.

In caso di disdetta anticipata del contratto, è previsto il rimborso delle annualità non godute.

L’imposta di bollo è di 16 euro ogni 4 facciate o 100 righe. Può essere pagata tramite contrassegni telematici o addebito su conto corrente.

Come si pagano le imposte sui contratti di locazione

Quando la registrazione del contratto avviene in ufficio l’imposta di registro essere pagata nelle seguenti modalità:

  • con modello F24 Elementi Identificativi  (per titolari di partita Iva in modalità telematica o tramite intermediario), i privati possono presentare il modello presso banche e uffici postali;
  • con addebito su conto corrente.

Il bollo invece si paga utilizzando gli appositi contrassegni telematici che devono avere data successiva alla stipula del contratto.

Modello RLI: aggiornamento del 26 novembre 2024

L’Agenzia delle Entrate ha aggiornato le istruzioni per la compilazione del modello RLI, introducendo modifiche significative per semplificare e uniformare la compilazione e il calcolo delle imposte:

  • casella Eventi eccezionali”: il calcolo dell’imposta di registro può differire dalle regole ordinarie;
  • nuova casella Agevolazioni”: inserito il codice 1 per usufruire delle agevolazioni fiscali degli Enti del Terzo Settore, con imposta di registro fissa per contratti legati ad attività di interesse generale. I contratti di locazione stipulati da tali enti sono esenti dall’imposta di bollo;
  • casella Numero fogli del contratto”: modificata l’intestazione e il calcolo del numero di fogli, considerando 4 facciate o 100 righe per foglio;
  • altri dettagli: Specifiche sui campi relativi a “Scritture private”, “Ricevute” e “Mappe”, con criteri per determinare il numero di fogli o di esemplari allegati.

 

Leggi anche: Agenzia delle Entrate: la guida con tutti i servizi

giurista risponde

Danno del bene custodito e responsabilità del custode Il custode per il danno del bene custodito può essere esonerato dalla responsabilità ove provi la mancanza di colpa?

Quesito con risposta a cura di Valentina Musorrofiti e Marilena Sanfilippo

 

Ai sensi dell’art. 2051 c.c. non è sufficiente – ed è anzi del tutto irrilevante – la dimostrazione dell’assenza di colpa da parte del custode, ma si richiede la prova positiva della causa esterna (fatto materiale, fatto del terzo, fatto dello stesso danneggiato) che – quanto ai fatti materiali e del terzo, per imprevedibilità, eccezionalità, inevitabilità, nonché, quanto a quelli del danneggiato, per anche sola sua colpa – sia completamente estranea alla sfera di controllo del custode, restando così a carico di quest’ultimo anche il danno derivante da causa rimasta ignota (Cass., sez. III, 19 settembre 2024, n. 25200).

La vicenda prende le mosse dalla morte di un ragazzo rimasto folgorato su un lampione cui si era appoggiato per andare a recuperare un pallone da calcio. In particolare, un gruppo di giovani giocava a calcetto, nel corso della partita un ragazzo scavalcava la recinzione per recuperare il pallone finito oltre e, nel rientro appoggiandosi ad un lampione privo di corpo illuminante, decedeva per folgorazione.

Tralasciando, in questa sede la responsabilità penale, procediamo nell’analisi della responsabilità civile ex art. 2051 c.c., in quanto essa trova applicazione anche in situazioni in cui vi è assoluzione in sede penale delle autorità preposte. Invero, la Suprema Corte ricorda che, in materia di rapporti tra giudizio penale e civile, l’assoluzione dell’imputato non preclude la possibilità di affermare la sua responsabilità civile nel giudizio di risarcimento dei danni. Questo perché l’elemento della colpa e del nesso di causalità materiale nel processo civile è valutato dal giudice in modo differente rispetto alla valenza che assume nel processo penale.

Dunque, nel caso di specie sul fronte penale per omicidio colposo, vi sono tre procedimenti: uno nei confronti del responsabile dell’ufficio tecnico del Comune, un altro nei confronti del direttore dei lavori titolare della ditta esecutrice dell’impianto di illuminazione che serviva il piazzale, ed un terzo nei confronti della ditta con cui il Comune aveva stipulato una convenzione avente ad oggetto la manutenzione degli impianti di illuminazione siti sul territorio comunale. I primi due procedimenti si concludevano con pronuncia assolutoria, mentre il terzo si concludeva con una condanna per omicidio colposo.

Sul fronte civile, invece, il Tribunale dichiarava inammissibile la domanda.

La Corte di Appello, accogliendo la domanda dei parenti della vittima, riformava la decisione e condannava il Comune al risarcimento dei danni.

La questione principale riguarda l’individuazione della responsabilità ex art. 2051c.c. del Comune, anche in relazione all’eventuale giudicato penale di assoluzione.

La colpa dei singoli dipendenti del Comune è irrilevante ai fini del titolo di responsabilità di quest’ultimo, la quale è pressoché obiettiva e prescinde dalle condotte negligenti dei singoli.

Così, in materia di rapporti tra giudizio penale e civile, l’assoluzione dell’imputato non preclude la possibilità di pervenire, nel giudizio di risarcimento dei danni intentato a carico dello stesso, all’affermazione della sua responsabilità civile, considerato il diverso atteggiarsi, in tale ambito, sia dell’elemento della colpa che delle modalità di accertamento del nesso di causalità materiale.

La sentenza penale irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste implica che nessuno degli elementi integrativi della fattispecie criminosa sia stato provato e, entro questi limiti, esplica efficacia di giudicato nel giudizio civile, sempreché la parte nei cui confronti l’imputato intende farla valere si sia costituita, quale parte civile, nel processo penale, dovendosi far riferimento, per delineare l’ambito di operatività della sentenza penale e la sua idoneità a provocare gli effetti preclusivi di cui agli artt. 652, 653 e 654 c.p.p. non solo al dispositivo, ma anche alla motivazione.

Nel caso di specie, nel processo penale il Comune, citato come responsabile civile, era chiamato a rispondere del fatto penalmente illecito contestato al funzionario, mentre nel processo civile l’ente è stato chiamato a rispondere per il fatto proprio in relazione alla custodia di un bene di proprietà comunale.

Inoltre, ai sensi dell’art. 2051 c.c. non è sufficiente – ed è anzi del tutto irrilevante – la dimostrazione dell’assenza di colpa da parte del custode, ma si richiede la prova positiva della causa esterna (fatto materiale, fatto del terzo, fatto dello stesso danneggiato) che – quanto ai fatti materiali e del terzo, per imprevedibilità, eccezionalità, inevitabilità, nonché, quanto a quelli del danneggiato, per anche sola sua colpa – sia completamente estranea alla sfera di controllo del custode, restando così a carico di quest’ultimo anche il danno derivante da causa rimasta ignota.

Ai fini della configurabilità di responsabilità, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa e senza che rilevi a riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza.

Nel caso di specie risulta provato che il giovane fosse morto per folgorazione e i lampioni non erano in sicurezza o recintati.

La Cassazione è consolidata nell’affermazione della responsabilità della Pubblica Amministrazione ai sensi dell’art. 2051 c.c. in quanto custode dell’immobile e dei suoi impianti fissi e come tale responsabile oggettivamente. È, inoltre, responsabile per i danni causati dalle condizioni in cui versa la res in custodia anche quando questa sia modificata, tranne il solo caso in cui la modifica sia avvenuta con modalità tali (immediatamente prima, ad esempio) da escludere una qualsiasi pronta reazione; occorre, perciò, stabilire se il danno è causato dai lavori alla res in custodia in costanza dei medesimi (ipotesi nella quale la simultaneità della condotta dell’esecutore dei lavori elide il nesso causale con la cosa, questa regredendo a mera occasione del sinistro). Permane, invece, la responsabilità, se il danno è causato dalla res come modificata dai lavori e questi siano cessati da un tempo idoneo a consentire un intervento o adeguamento da parte del custode.

Non giova, pertanto, a un Comune la circostanza che le condizioni dell’impianto potessero essere ascritte all’esecutore dei lavori ove già consolidate, per cui l’ente ne risponde nei confronti dei terzi che ne fossero danneggiati.

 

(*Contributo in tema di “Danno del bene custodito: esonero di responsabilità del custode”, a cura di Valentina Musorrofiti e Marilena Sanfilippo, estratto da Obiettivo Magistrato n. 79 / Novembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

guida in stato di ebbrezza

Guida in stato di ebbrezza: tolleranza zero Guida in stato di ebbrezza: come cambiano le regole del Codice della Strada dal 14 dicembre 2024, quando entra in vigore la riforma

Guida in stato di ebbrezza: nuove regole dal 14 dicembre

Cambiano le regole per chi guida in stato di ebbrezza. Il 14 dicembre 2024 entrerà in vigore la legge 25 novembre 2024, n. 177, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 29 novembre. Questa legge introduce misure incisive per migliorare la sicurezza stradale e assegna al Governo una delega per la revisione completa del Codice della Strada (D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285).

Le nuove norme facilitano anche la sospensione della patente per chi guida sotto l’effetto di alcol, una punizione che si aggiunge a un quadro sanzionatorio già severo per infrazioni legate alla distrazione. L’obiettivo è ridurre l’incidentalità stradale e uniformare il sistema normativo alle esigenze moderne.

Tolleranza zero per chi guida in stato di ebbrezza

Tra le principali modifiche spicca l’inasprimento delle sanzioni per la guida in stato di ebbrezza. Le conseguenze legali diventano più severe.

Le nuove disposizioni prevedono le seguenti sanzioni, graduate in base al tasso alcolemico rilevato:

  • tasso alcolemico 0,5-0,8 g/l: sanzione amministrativa tra 573 e 2.170 euro e sospensione della patente da 3 a 6 mesi;
  • tasso alcolemico 0,8-1,5 g/l: arresto fino a 6 mesi, pecuniaria (800-3.200 euro) e sospensione della patente da 6 mesi a 1 anno;
  • tasso alcolemico oltre 1,5 g/l: arresto da 6 mesi a 1 anno, ammenda tra 1.500 e 6.000 euro e sospensione della patente da 1 a 2 anni.

Ogni violazione comporta anche la decurtazione, fino a 10, dei punti dalla patente di guida.

Introduzione dell’alcolock

La riforma introduce nel Codice della strada l’alcolock, un sistema che impedisce l’avviamento del motore se rileva un tasso alcolemico superiore a zero. Il conducente deve soffiare in un dispositivo collegato alla centralina del veicolo: se il tasso è superiore al limite infatti l’auto non parte. Questo strumento è pensato come deterrente per ridurre la recidiva nella guida in stato di ebbrezza.

Secondo il nuovo art. 186 del Codice della Strada, i giudici, quando la violazione consiste nella guida con tassi di 0,8-1,5 g/l e oltre 1,5 g/l, possono applicare i codici unionali 68 (“Niente alcool”) e 69 (“Solo veicoli con alcolock”) sulla patente dei condannati:

  • Codice 68: vieta completamente l’uso di alcol;
  • Codice 69: permette la guida solo su veicoli dotati di alcolock.

Questi obblighi permangono per due anni in caso di infrazioni moderate (tasso alcolemico 0,8-1,5 g/l) e per tre anni in caso di violazioni gravi (oltre 1,5 g/l). La commissione medica, competente per i rinnovi della patente, può comunque prolungare questo periodo. Per chi tenta di manomettere l’alcolock, le sanzioni si inasprisco o ulteriormente.

Problemi applicativi e criticità

L’alcolock solleva tuttavia alcune questioni operative perché non è chiaro come è possibile gestire i trasgressori che non possiedono un veicolo. La norma prevede infatti l’installazione dell’alcolock solo sui mezzi intestati ai conducenti condannati. Questo lascia scoperti casi in cui il trasgressore utilizzi veicoli aziendali, in leasing o appartenenti a terzi.

Inoltre, l’obbligo di installazione dell’alcolock scatta solo dopo la sentenza definitiva. Considerando i tempi della giustizia, potrebbero passare anni prima che il dispositivo venga effettivamente applicato. Nel frattempo, il trasgressore potrebbe dimostrare un comportamento virtuoso, rendendo meno efficace la misura punitiva.

Un decreto ministeriale, da emanare entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, definirà le specifiche tecniche del dispositivo, le modalità di installazione e le officine autorizzate.

Revisione complessiva del Codice della Strada

Oltre alle misure immediatamente operative, la legge delega il Governo a una revisione globale del Codice della Strada. Entro 12 mesi dovranno essere emanati i decreti legislativi necessari per adeguare la normativa alle esigenze attuali. Questo processo punta a semplificare il quadro normativo e a rendere più efficaci le misure di sicurezza stradale.

La Legge 177/2024 segna un passo avanti nella lotta contro la guida in stato di ebbrezza e l’incidentalità stradale. L’introduzione dell’alcolock rappresenta una svolta significativa, anche se permangono alcune criticità applicative. La revisione complessiva del Codice della Strada, affidata al Governo, costituirà un ulteriore banco di prova per modernizzare il sistema e garantire maggiore sicurezza sulle strade.

 

Leggi anche: Riforma Codice della strada

limite mandati sindaci

Limite mandati sindaci: l’intervento della Consulta La Corte Costituzionale ha sentenziato che il limite ai mandati consecutivi per i sindaci non è irragionevole. Spetta al legislatore individuare il punto di equilibro tra i diversi interessi costituzionali

Limite mandati sindaci: “non è manifestamente irragionevole la scelta legislativa di stabilire, a seconda della dimensione demografica dei comuni, un limite ai mandati consecutivi dei sindaci, sempre che essa realizzi un equo contemperamento tra i diritti e i principi costituzionali che vengono in considerazione”. È quanto ha affermato la Corte costituzionale con la sentenza n. 196/2024, che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale, proposte dalla Regione Liguria, nei confronti dell’art. 4, comma 1, del decreto-legge n. 7 del 2024, che ha modificato la disciplina recata dall’art. 51, secondo comma, del t.u. enti locali.

Con tale disposizione, il legislatore ha previsto che per i sindaci dei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti non vi sia alcun limite ai mandati; che per i sindaci dei comuni con popolazione compresa tra 5.001 e 15.000 abitanti il limite di mandati consecutivi sia pari a tre; che per i sindaci dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti resti fermo il limite di due mandati consecutivi.

La Regione Liguria riteneva che la nuova disciplina violasse diversi parametri costituzionali, risultando in particolare irragionevole la previsione di due o tre mandati consecutivi a seconda del dato dimensionale del comune: di qui la richiesta di estendere anche ai sindaci dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti il limite di tre mandati consecutivi.

La Consulta ha ribadito che la previsione del numero massimo dei mandati consecutivi è scelta normativa idonea a bilanciare l’elezione diretta del sindaco con l’effettiva par condicio tra i candidati, la libertà di voto dei singoli elettori e la genuinità complessiva della competizione elettorale, il fisiologico ricambio della rappresentanza politica e, in definitiva, la stessa democraticità degli enti locali. Il punto di equilibrio tra tali contrapposti interessi costituzionali deve essere fissato dal legislatore ed è sindacabile solo se manifestamente irragionevole.

L’attuale art. 51, comma 2, del t.u. enti locali pone limiti diversi ai mandati consecutivi secondo una logica graduale, sul presupposto che tra le classi di comuni nei quali si articola l’attuale disciplina vi siano rilevanti differenze, in ordine agli interessi economici e sociali che fanno capo agli stessi: si tratta di un esercizio non manifestamente irragionevole della discrezionalità legislativa, che intende realizzare un equo contemperamento tra i diritti e i principi costituzionali che vengono in considerazione.

Università telematiche: cosa prevede il decreto Università telematiche: il decreto prevede lezioni live, esami in presenza, più docenti e regole chiare per una didattica di qualità

Università telematiche: didattica a distanza rafforzata

Le Università telematiche cambiano volto. Il Ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, ha introdotto significative modifiche alla regolamentazione della didattica a distanza. L’obiettivo del provvedimento è di garantire una formazione equa e di alta qualità.

Il nuovo decreto pone le basi per un sistema educativo più strutturato e regolamentato, equiparando le università telematiche e quelle tradizionali.

Principali novità del decreto università telematiche

Il provvedimento introduce una serie di misure per migliorare l’erogazione della didattica a distanza, stabilendo nuovi standard qualitativi e garantendo maggiore trasparenza. Vediamo quali sono le innovazioni principali.

Lezioni sincrone obbligatorie

Almeno il 20% delle lezioni nei corsi a distanza deve avvenire in modalità sincrona, ossia dal vivo e non registrata. Questa misura favorisce l’interazione diretta tra studenti e docenti, rendendo l’esperienza di apprendimento più coinvolgente e vicina a quella tradizionale.

Esami in presenza

Gli esami universitari dovranno essere svolti fisicamente in aula, con deroghe limitate a casi straordinari, come emergenze temporanee o disabilità accertate. Questa decisione mira a preservare l’integrità e la credibilità delle valutazioni.

Classificazione dei corsi

Il decreto introduce una suddivisione chiara dei corsi in quattro categorie basate sulla percentuale di didattica online:

  • convenzionali: fino al 20% online;
  • misti: tra il 20% e il 66% online;
  • prevalentemente a distanza: oltre il 66% online;
  • integralmente a distanza: 100% online.

Questa classificazione offre maggiore flessibilità agli studenti e assicura che i corsi mantengano standard qualitativi elevati.

Rafforzamento del rapporto studenti-docenti

Per i corsi a distanza, il decreto richiede un aumento del numero di docenti strutturati per migliorare il rapporto studenti-docenti. Ad esempio, per una laurea triennale scientifica servirà un professore ogni 150 studenti, rispetto ai 75 del precedente DM 1154/2021. Per le discipline umanistiche, il rapporto sarà di un docente ogni 200 studenti, rispetto ai 100 previsti in passato.

Obiettivi del decreto università telematiche

Il decreto vuole tutelare la qualità della formazione per tutti gli studenti, indipendentemente dalla modalità di erogazione dei corsi.  Questa iniziativa risponde anche alla crescente domanda di didattica a distanza, un bisogno accentuato durante la pandemia e ormai sempre più diffuso.

Lotta alle finte università

Un punto cruciale del decreto è la lotta contro le finte università. Il Ministero ha già presentato esposti alle procure per contrastare attività illegali, garantendo un sistema formativo trasparente e credibile. Il decreto prevede inoltre un rigoroso processo di accreditamento e valutazione, gestito dall’ANVUR, per tutte le istituzioni educative.

Impatti e tempistiche

Le nuove regole saranno applicate immediatamente alla futura offerta formativa, da presentare entro il 13 dicembre. Per i corsi già avviati, l’adeguamento sarà completato entro l’anno accademico 2024/25. Inoltre, è previsto un successivo decreto che specificherà ulteriormente le modalità di attivazione dei corsi di laurea nelle diverse classi.

Una visione per il futuro

Anna Maria Bernini ha sottolineato l’importanza di questa riforma per garantire un sistema educativo moderno e inclusivo. Con misure innovative e un focus sulla qualità, il Decreto Università Telematiche segna un passo fondamentale per l’evoluzione della didattica a distanza in Italia. Studenti e docenti potranno beneficiare di un sistema più equilibrato, trasparente e capace di rispondere alle sfide educative del futuro.

 

Leggi anche l’articolo su questa interessante iniziativa legislativa: Studenti plusdotati: piani formativi ad hoc

partita iva

Partita Iva: cos’è e come si apre Partita IVA: cos’è, chi la può aprire, quale regime fiscale scegliere e come procedere alla chiusura se si decide di cessare l’attività

Cos’è la Partita IVA

La Partita IVA è un codice fiscale di 11 cifre utilizzato per identificare aziende, liberi professionisti e lavoratori autonomi presso l’Agenzia delle Entrate. Questo codice è fondamentale per gestire un’attività professionale in Italia e soddisfare gli obblighi fiscali.

Essa è formata da tre sezioni: le prime 7 cifre identificano il titolare o l’azienda; le 3 cifre successive indicano l’area territoriale; l’ultima cifra serve da numero di controllo.

Questo codice è indispensabile per chi desidera avviare un’attività imprenditoriale o professionale. Grazie alla P.IVA, i titolari possono adempiere agli obblighi fiscali, tra cui il versamento di contributi INPS, assicurazione INAIL, IRPEF e IRAP.

Aprire e gestire una Partita IVA richiede attenzione e pianificazione. Scegliere il regime fiscale più adatto, adempiere agli obblighi fiscali e valutare i costi sono passaggi cruciali.

Chi deve aprire la Partita IVA

Deve aprire una Partita IVA chi esercita un’attività in modo continuativo come i lavoratori autonomi che svolgono attività professionali regolare e le Aziende che vendono beni o servizi.

Per poter aprire una P. IVA però bisogna soddisfare alcuni requisiti: essere maggiorenni ed essere residenti in Italia. Alcune attività richiedono requisiti aggiuntivi, come titoli di studio specifici, definiti da normative nazionali o regolamenti delle Camere di Commercio.

Partita IVA e lavoro dipendente: sono compatibili?

Chi lavora come dipendente può aprire lo stesso una Partita IVA, fatta salva l’esistenza di un patto di esclusività o non concorrenza con il datore di lavoro e l’assenza di divieti specifici, come per i dipendenti pubblici, tranne alcune eccezioni. I docenti infatti possono esercitare attività non imprenditoriali previa autorizzazione.

Come scegliere il regime fiscale

Prima di aprire una P.IVA, è fondamentale scegliere: il regime fiscale, perché lo stesso determina gli obblighi contabili e imposte, la forma giuridica (es: ditta individuale, lavoratore autonomo o società) e il codice ATECO, che classifica l’attività economica.

Regimi fiscali: tipologie

Le principali tipologie di regime fiscale in Italia sono l’ordinario, il semplificato e il forfettario. Ciascuno presenta caratteristiche ben definite. Vediamo in sintesi quali sono.

Regime ordinario

  • nessun limite di fatturato;
  • tassazione IRPEF in base agli scaglioni di reddito;
  • IVA applicata sulle fatture e possibilità di dedurre i costi documentati;
  • contabilità complessa.

Regime semplificato

  • Simile al regime ordinario, ma con minori obblighi contabili;
  • accessibile a chi presenta certi limiti i fatturato distinti per servizi e altre attività.

Regime forfettario (agevolato)

  • Aliquota fissa del 15%, ridotta al 5% per i primi cinque anni;
  • nessun obbligo di IVA, ritenute d’acconto o contabilità ordinaria;
  • ideale per chi non supera una certa soglia di fatturato annuale.

Costi e obblighi fiscali

Aprire una Partita IVA è gratuito, ma la gestione comporta diverse spese. I principali costi riguardano:

  • i contributi previdenziali che vengono calcolati sul reddito;
  • la tassazione, che varia in base al regime scelto. Ad esempio, nel regime ordinario si pagano IRPEF, IVA, IRES e IRAP.

Nel regime forfettario, invece, si applica un’unica imposta sostitutiva, riducendo gli obblighi fiscali.

Come si apre la Partita IVA

Per aprire una P.IVA, è necessario scegliere un codice ATECO e il regime fiscale e presentare domanda all’Agenzia delle Entrate.
La domanda può essere inviata tramite PEC, presentata fisicamente presso un ufficio dell’Agenzia o inviata per posta raccomandata.

Se l’attività richiede poi l’iscrizione al Registro Imprese, bisogna compilare la Comunicazione Unica alla Camera di Commercio. Questo sistema consente di iscriversi all’INPS e all’INAIL e presentare la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA).

Alcuni professionisti devono anche aprire un indirizzo PEC, obbligatorio per ditte individuali, società e liberi professionisti iscritti ad albi.

Come chiudere una Partita IVA

Per chiudere una Partita IVA, basta presentare il modulo apposito di cessazione attività all’Agenzia delle Entrate entro 30 giorni. L’operazione è gratuita. Tuttavia, se l’attività resta inattiva per tre anni consecutivi, l’Agenzia può procedere alla chiusura d’ufficio.

 

Leggi anche gli altri interessanti articoli che si occupano della materia fiscale

censura corrispondenza al 41-bis

Censura corrispondenza al 41-bis: quali limiti Non si può censurare tout court la corrispondenza al 41-bis senza l'applicazione graduale del solo visto di controllo

Carcere duro e corrispondenza

Censura corrispondenza al 41-bis: è inapplicabile senza l’applicazione graduale dello strumento ordinario del visto di controllo. Così la prima sezione penale della Cassazione con sentenza n. 41191/2024 accogliendo il ricorso di un detenuto in regime detentivo speciale.

La vicenda

Nella vicenda, il Tribunale di Napoli ha confermato, in sede di impugnazione ai sensi dell’art. 18 ter ord. pen., il provvedimento in tema di limiti alla ricezione e visto di corrispondenza emesso dalla Corte di Assise di Appello di Napoli nei confronti di un detenuto sottoposto al regime detentivo speciale di cui all’art. 41 bis ord. pen.
Secondo il Tribunale le limitazioni alla ricezione di quotidiani dell’area geografica di provenienza del detenuto, così come il limite alla possibilità di inoltrare o ricevere (in via generale) missive da qualsiasi altro soggetto sottoposto al regime differenziato di cui all’art.41 bis ord. pen. sono del tutto legittime, in riferimento alle finalità perseguite dal regime differenziato.

Il ricorso

Avverso detta decisione l’uomo ha proposto ricorso per cassazione – nelle forme di legge – deducendo erronea applicazione di legge e assenza di motivazione.
La critica difensiva si dirige alla parte della decisione relativa al divieto «generalizzato» di scambi epistolari con soggetti sottoposti al regime differenziato di cui all’art. 41 bis ord. pen. In proposito, si osserva che la legge non consente un simile divieto «preventivo e generalizzato», quanto la sottoposizione al «visto di controllo», dunque ad una attività di analisi dei contenuti delle missive, a chiunque dirette.

Limitazioni alla corrispondenza epistolare

Per gli Ermellini, il ricorso è fondato. “La disposizione di legge di cui all’art. 18 ter ord.pen. consente sia «limitazioni» alla corrispondenza epistolare che la «sottoposizione» al visto di controllo, sì da inibire forme di possibile prosecuzione o realizzazione di attività illecita. lI testo dell’articolo 41 bis ord. pen, in rapporto alla finalità di prevenire contatti con l’ambiente criminale di provenienza, indica come contenuto «necessario» del provvedimento applicativo la «sottoposizione a visto di censura della corrispondenza».” Del resto, il soggetto sottoposto al 41-bis ha contatti con gli altri detenuti appartenenti al medesimo gruppo di socialità (parimenti sottoposti al regime differenziato).
Pertanto, osservano ancora i giudici, “non appare del tutto in linea con il contenuto delle disposizioni di legge, pur in un contesto di maggior tutela dei profili di sicurezza come è quello del regime differenziato, prevedere in assoluto e in via generale un «divieto» di corrispondenza epistolare tra soggetti – tutti – sottoposti al regime differenziato, posto che proprio il contenuto «strutturale» della disposizione di cui all’art. 41 bis ord. pen. induce a ritenere che lo strumento di controllo tipico è rappresentato dal «visto di censura», con verifica caso per caso del contenuto della comunicazione”.

La decisione

Le ‘limitazioni’ di cui all’art. 18 ter comma 1 lettera a), in riferimento al tema della corrispondenza, “è da ritenersi, dunque – concludono dal Palazzaccio annullando il provvedimento impugnato – che possano essere adottate solo in presenza di specifiche esigenze di sicurezza, da motivarsi in modo stringente, che rendano – in ipotesi – non sufficiente lo strumento ordinario del visto di censura”. Parola al giudice del rinvio.

Allegati

monopattini elettrici

Monopattini elettrici: targa e assicurazione obbligatorie Monopattini elettrici: cosa cambia dal 14 dicembre 2024 dopo la riforma del Codice della Strada per questi mezzi di mobilità eco-sostenibili

Monopattini elettrici: cosa cambia dal 14 dicembre 2024

Dal 14 dicembre 2024 entreranno in vigore le nuove norme sui monopattini elettrici previste dalla recente riforma del Codice della Strada, contenuta nella legge n. 177/2024. L’obiettivo principale delle modifiche apportate è quello di garantire una maggiore sicurezza per utenti e pedoni, regolamentando l’uso di questi mezzi. L’introduzione delle nuove regole rappresenta un passo avanti verso una mobilità più sicura. Gli obblighi di targa, casco e assicurazione responsabilizzeranno gli utenti. I limiti di circolazione e i requisiti tecnici miglioreranno invece la sicurezza stradale. Resta da vedere come le norme verranno implementate e accolte dai cittadini e dai gestori dei servizi di sharing. Vediamo nel dettaglio le principali novità introdotte.

Obbligo di targa, assicurazione e casco

Tutti i monopattini elettrici dovranno essere dotati di una targa adesiva e plastificata, fornita dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. La targa sarà composta da tre lettere e tre numeri.

Anche l’assicurazione di Responsabilità Civile (RC) diventa obbligatoria, con l’obiettivo di coprire eventuali danni a terzi. Chi non rispetta queste disposizioni rischia sanzioni tra 100 e 400 euro, anche nel caso in cui il contrassegno, pur presente, non sia visibile o risulti alterato o contraffatto.

Il casco sarà obbligatorio per tutti i conducenti, indipendentemente dall’età. Questa misura si applicherà sia ai monopattini privati sia a quelli in sharing. I gestori del servizio di noleggio dovranno affrontare le sfide di distribuzione e sanificazione dei caschi.

Requisiti tecnici e limiti di sosta e circolazione

I monopattini dovranno essere equipaggiati con indicatori luminosi per la svolta e freni su entrambe le ruote. Chi circolerà senza queste dotazioni rischierà multe tra 200 e 800 euro.

Saranno vietati i mezzi che non rispetteranno i requisiti tecnici definiti da un decreto ministeriale attuativo.

La circolazione sarà consentita solo su strade urbane con un limite di velocità di 50 km/h. Saranno esclusi dalle piste ciclabili, dalle aree pedonali e dalle strade con limiti di velocità superiori. I monopattini in sharing dovranno essere dotati inoltre di un dispositivo che ne blocchi l’uso al di fuori delle aree consentite.

Regole per la sosta dei monopattini

I monopattini non potranno sostare sui marciapiedi a meno che il marciapiede, per dimensioni e caratteristiche, lo consenta, previa individuazione dell’area di sosta con ordinanza comunale. In questo caso sarà necessario garantire anche la circolazione di pedoni e ciclisti. In ogni caso ai monopattini sarà consentita la sosta negli stalli previsti per velocipedi, ciclomotori e motoveicoli.

Norme per un uso responsabile dei monopattini elettrici

Secondo l’Osservatorio Nazionale sulla Mobilità Sostenibile, in Italia ci sono circa 100.000 monopattini in uso tra proprietà private e sharing. L’uso crescente ha portato a un aumento degli incidenti. Nel 2022, l’ACI-ISTAT ha registrato 2.929 incidenti con monopattini, con 16 decessi e 3.195 feriti. Le nuove norme mirano a ridurre questi numeri, aumentando la consapevolezza e promuovendo un uso responsabile dei mezzi. Tuttavia, l’effettiva applicazione delle regole dipenderà dai decreti attuativi, attesi nei prossimi mesi.

 

Leggi anche: Riforma Codice della strada

obblighi informativi

EGM e Market Abuse: obblighi informativi I regolamenti Emittenti EGM e Market Abuse prevedono specifici obblighi informativi nei confronti del mercato e delle autorità

Obblighi informativi: principi generali

In tema di informativa societaria, il Regolamento Emittenti EGM e il Regolamento Market Abuse prevedono, in capo all’Emittente EGM e agli esponenti aziendali, specifici obblighi informativi nei confronti del mercato e delle autorità.

Garanzia di diffusione informazioni

Scopo principale di tali obblighi informativi in via continuativa è, da un lato, quello di garantire l’immediata diffusione di informazioni che ragionevolmente si ritiene possano influenzare il prezzo degli strumenti finanziari ammessi alle negoziazioni su Euronext Growth Milan e, dall’altro, di far sì che il pubblico e gli azionisti siano costantemente aggiornati sull’Emittente EGM.

Corretta e completa informazione

Fornire un’adeguata, corretta e completa informazione, da una parte, e, dall’altra, evitare che vengano rese informazioni false o fuorvianti, è essenziale per garantire il corretto funzionamento del mercato, cosicché i risparmiatori possano investire sulla base di un giudizio fondato circa l’Emittente EGM e gli strumenti finanziari Euronext Growth Milan negoziati sul mercato stesso.

 

Per approfondire la tematica è disponibile (anche in ebook) la nuova Guida operativa al mercato EGM “Le PMI in borsa