bonus mobili ed elettrodomestici

Bonus mobili: cos’è e come si ottiene Come funziona il bonus mobili 2025: caratteristiche dei beni, limiti di spesa e requisiti temporali per beneficiare dell’agevolazione

Bonus mobili: cos’è

Il bonus mobili è un’agevolazione fiscale introdotta dall’articolo 16, comma 2, del decreto legge n. 63/2013. La misura è stata prorogata negli anni successivi, subendo alcune modifiche, fino al 2025.

Bonus mobili: come funziona

Il bonus mobili consiste in una detrazione Irpef del 50% delle spese sostenute per l’acquisto di arredi e grandi elettrodomestici all’interno di immobili oggetto di intervento di recupero del patrimonio edilizio.

La detrazione, fruibile in 10 quote annuali di pari importo, viene applicata su una spesa massima di 5.000 euro per l’anno 2025, comprensivo delle eventuali spese di trasporto e montaggio.

Negli anni precedenti il tetto di spesa su cui calcolare la detrazione è stato di 5.000 euro per il 2024 e di 8.000 euro per il 2023.

Opere collegate al bonus mobili

La detrazione è collegata alle seguenti opere:

  • interventi in economia di manutenzione ordinaria e straordinaria sulle parti comuni degli edifici residenziali;
  • di restauro e di risanamento conservativo su parti comuni di edifici residenziali e su singole unità abitative,
  • necessarie alla ricostruzione e ripristino di immobili danneggiati da eventi calamitosi qualora sia stato dichiarato lo stato di emergenza;
  • di restauro, risanamento, conservazione e ristrutturazione di fabbricati interi eseguiti da imprese o cooperative edilizie nel rispetto di determinate condizioni.

L’Agenzia delle Entrate ha precisato che per beneficiare dell’agevolazione l’intervento di ristrutturazione non deve essere finalizzato all’acquisto di mobili o elettrodomestici e che lo stesso può avere ad oggetto anche le unità pertinenziali degli immobili.

Beni mobili agevolabili

Beneficiano dell’agevolazione gli acquisti di mobili (letti, cassettiere, armadi, tavoli, divani, materassi, scrivanie, sedie, librerie) o di grandi elettrodomestici, solo se appartenenti a determinate classi energetiche che non devono essere inferiori alle seguenti:

  • classe non inferiore alla A per i forni;
  • classe non inferiore alla E per lavatrici, lavasciugatrici, lavastoviglie;
  • classe F per frigoriferi e congelatori.

Requisiti temporali

Per il 2025, l’agevolazione spetta in relazione agli acquisti che vengono effettuati entro il 31 dicembre 2025 e collegati a interventi di ristrutturazione iniziati dal 1° gennaio dell’anno precedente a quello in cui si è provveduto all’acquisto degli arredi o dei grandi elettrodomestici, ossia a partire dal 1° gennaio 2024.

Modalità di pagamento

Per poter beneficiare del bonus mobili i contribuenti devono effettuare i pagamenti con bonifici bancari o postali, carte di credito, carte di debito. Non è consentito, invece, pagare con assegni bancari, contanti o altri mezzi di pagamento.

Vanno pagate nello stesso modo anche le spese per il trasporto e il montaggio dei beni. L’agevolazione spetta pure se i beni vengono acquistati a rate purché il pagamento venga effettuato con mezzi di pagamento tracciabili e il contribuente conservi debitamente la ricevuta di pagamento.

Trasmissione dati all’Enea

Dal 1° gennaio del 2018 i dati relativi agli acquisti di elettrodomestici di classe non inferiore alla F e alla classe A per forni e apparecchiature per le quali è richiesta l’etichetta della classe energetica, devono essere trasmessi in via telematica all’Enea nel termine di 90 gg. dal completamento dei lavori.

L’omessa o tardiva trasmissione dei dati non causa tuttavia la perdita del diritto al bonus mobili.

Documenti da conservare

Ai fini dell’agevolazione è necessario conservare: le ricevute di pagamento effettuate con bonifico, carta di credito o debito, i documenti da cui risulta l’addebito sul conto corrente, le fatture di acquisto di arredi ed elettrodomestici nelle quali deve essere indicata nel dettaglio la quantità, la natura, la qualità dei beni e dei servizi acquistati.

 

Leggi anche la guida al bonus mobili dell’Agenzia delle Entrate

detrazioni figli a carico

Detrazioni figli a carico: le indicazioni Inps Nuove istruzioni Inps sulle detrazioni figli a carico: l'istituto illustra le novità della legge di bilancio 2025

Detrazioni figli a carico

Detrazioni figli a carico: con il messaggio n. 698 del 26 febbraio 2025, l’INPS ha fornito chiarimenti sull’applicazione delle modifiche fiscali introdotte dall’articolo 1, comma 11, della Legge 30 dicembre 2024, n. 207 (Legge di Bilancio 2025), che ha apportato significative variazioni all’articolo 12 del DPR 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) in materia di detrazioni per carichi di famiglia.

Le modifiche alle detrazioni per carichi di famiglia

La Legge di Bilancio 2025 ha aggiornato l’articolo 12 del TUIR, introducendo le seguenti variazioni:

  • Figli a carico: La detrazione massima riconosciuta è di 950 euro per ciascun figlio, compresi i figli nati fuori dal matrimonio riconosciuti, adottivi, affiliati o affidati, nonché i figli del coniuge deceduto conviventi con il coniuge superstite. Questa detrazione si applica ai figli di età compresa tra 21 e 30 anni e ai figli di età pari o superiore a 30 anni solo se con disabilità accertata ai sensi dell’articolo 3 della Legge 5 febbraio 1992, n. 104.
  • Ascendenti a carico: La detrazione massima riconosciuta è di 750 euro per ciascun ascendente convivente con il contribuente, da ripartire pro quota tra coloro che ne hanno diritto.
  • Esclusione per cittadini extra UE ed extra SEE: Con l’introduzione del comma 2-bis all’articolo 12 del TUIR, è stabilito che le detrazioni per carichi di famiglia non spettano ai contribuenti non cittadini italiani, UE o SEE per i familiari residenti all’estero.

Adeguamenti del sistema INPS

A seguito di queste novità, l’INPS ha aggiornato il proprio sistema di Detrazioni Unificate, con le seguenti misure:

  • Eliminazione delle detrazioni per figli a carico ultra 30enni senza disabilità.
  • Revoca delle detrazioni per altri familiari a carico, con la possibilità di dichiarare un ascendente convivente.

Ulteriori istruzioni operative

L’INPS ha precisato che ulteriori dettagli applicativi relativi al comma 2-bis dell’articolo 12 del TUIR saranno forniti con un prossimo messaggio. Tuttavia, resta inalterata la disciplina per i non residenti “Schumacker”, disciplinata dall’articolo 24, comma 3-bis del TUIR.

processo penale minorile

Il processo penale minorile Il processo penale minorile in Italia: disciplina, principi ispiratori, e fasi procedurali e esiti possibili

Processo penale minorile: disciplina

Il processo penale minorile in Italia è disciplinato dal D.P.R. 448/1988, noto come Codice del processo penale minorile, e dal D.Lgs. 272/1989, che ne stabilisce le disposizioni di attuazione, coordinamento e transitorie. Questo sistema processuale è stato concepito con un approccio educativo e rieducativo, ponendo al centro il minore e la sua crescita, piuttosto che la sola punizione.

Principi fondamentali del processo penale minorile

Il processo penale minorile si basa su alcuni principi fondamentali:

Prevalenza della funzione rieducativa: l’obiettivo principale è il recupero sociale del minore, evitando la stigmatizzazione, anche nel rispetto di quanto sancito dall’art. 27 della Costituzione.

Specializzazione degli organi giudiziari: la competenza, dopo la riforma Cartabia, è affidata alle sezioni distrettuali dei Tribunali per le persone, per i minorenni e per le. Famiglie, composto da magistrati e giudici onorari. Al Tribunale si affiancano altri organismi della magistratura i cui ruoli vengono integrati dai Servizi minorili.

Personalizzazione del procedimento: le decisioni devono tenere conto della personalità del minore e delle sue esigenze educative.

Minimizzazione dell’intervento giudiziario: si privilegia l’applicazione di misure alternative al processo.

Le fasi del processo penale minorile

Il processo penale minorile si sviluppa in modo simile al processo penale ordinario, attraverso fasi determinate che  possono concludersi con esiti diversi.

Indagini preliminari e misure cautelari

Le indagini preliminari nel processo minorile presentano alcune peculiarità.

Il pubblico ministero può disporre accertamenti sulla personalità del minore (art. 9 D.P.R. 448/1988).

Il minore deve essere assistito da un difensore fin dal primo atto.

Le misure cautelari devono essere adottate con estrema cautela e privilegiano soluzioni non detentive, come la permanenza in casa o il collocamento in comunità.

Udienza preliminare

L’’udienza preliminare, che nel processo minorile funge da filtro per smaltire i giudizi dibattimentali può concludersi con:

  • Sentenza di condanna a pena pecuniaria o sanzione sostitutiva su richiesta del PM,
  • Sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale o irrilevanza del fatto.
  • Messa alla prova, una misura alternativa che sospende il processo per consentire al minore di partecipare a un percorso rieducativo (art. 28 D.P.R. 448/1988).
  • Rinvio a giudizio, se vi è un quadro probatorio sufficiente.

Dibattimento e sentenza

Se il processo prosegue, perché nella fase precedente il minore non ha scelto un rito alternativo o è stato ritenuto non colpevole, si arriva alla fase dibattimentale, che si svolge con rito camerale a porte chiuse per garantire la riservatezza del minore. Le sentenze possono prevedere:

  • lassoluzione, se non viene dimostrata la colpevolezza.
  • la  condanna con misure rieducative, come la libertà vigilata o il collocamento in comunità.
  • la sospensione del processo e messa alla prova del minore, con successiva estinzione del reato in caso di esito positivo.

Le misure alternative e la messa alla prova

Uno degli strumenti più innovativi del processo minorile è la messa alla prova, che consente di sospendere il procedimento per verificare se il minore possa essere rieducato senza necessità di condanna. Se il percorso viene completato con successo, il reato viene estinto.

 

 

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sottobalcone o cielino

Sottobalcone o cielino: chi paga le spese? Sottobalcone o cielino: normativa di riferimento, criteri di ripartizione delle spese e giurisprudenza di rilievo

Cos’è il sottobalcone o cielino?

Il sottobalcone, noto anche come “cielino”, è la parte inferiore del balcone di un edificio che serve solitamente anche da copertura di quello sottostante. Questo elemento architettonico può avere una funzione decorativa, ma soprattutto strutturale, incidendo sulla sicurezza e sull’estetica dell’immobile.

Normativa di riferimento

La normativa italiana non disciplina espressamente il sottobalcone, ma il riferimento principale è rappresentato dagli articoli del Codice Civile relativi alla proprietà e alle parti comuni degli edifici in condominio.

In particolare, si applicano le seguenti norme:

  • 1117 c.c.: stabilisce quali sono le parti comuni dell’edificio;
  • 1125 c.c.: disciplina la ripartizione delle spese tra proprietario del piano superiore e quello del piano inferiore nel caso dei solai.

La giurisprudenza ha più volte precisato che i balconi aggettanti non costituiscono parti comuni dell’edificio, , ma elementi di proprietà esclusiva del titolare dell’appartamento cui afferiscono. Tuttavia, il sottobalcone può rientrare tra le parti comuni qualora abbia una funzione estetica rilevante per la facciata.

Ripartizione spese di manutenzione del sottobalcone

La ripartizione delle spese relative alla manutenzione del cielino dipende pertanto dalla sua funzione:

  1. Se il sottobalcone ha valore estetico per la facciata: le spese sono a carico del condominio.
  2. Se il sottobalcone è esclusivamente a servizio del proprietario del balcone sovrastante: le spese spettano a quest’ultimo.
  3. Se il deterioramento del sottobalcone compromette la sicurezza dell’edificio: le spese possono essere ripartite tra il singolo proprietario e il condominio in base alle specifiche responsabilità.

Giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza ha spesso affrontato il tema del sottobalcone, chiarendo criteri di ripartizione delle spese:

Cassazione n. 7042/2020: la manutenzione dei balconi aggettanti di un edificio condominiale è a carico esclusivo del proprietario dell’unità immobiliare a cui il balcone è annesso. Questo perché i balconi aggettanti non svolgono una funzione strutturale per l’edificio né hanno una funzione comune, ma sono considerati un prolungamento dell’appartamento privato. Di conseguenza le spese per la pavimentazione, la soletta, l’intonaco, la tinteggiatura e la decorazione del soffitto del balcone spettano esclusivamente al proprietario dell’unità immobiliare cui il balcone appartiene.

Cassazione n. 5014/2018: In merito ai balconi aggettanti, che non svolgono alcuna funzione di sostegno o copertura ma rappresentano un semplice prolungamento dell’unità immobiliare di riferimento, è stato chiarito che, in caso di interventi di manutenzione, occorre distinguere tra la struttura portante – di proprietà esclusiva del titolare dell’appartamento – e il rivestimento, il quale, se ha una funzione estetica, rientra tra i beni comuni del condominio. Tra gli elementi decorativi considerati comuni, sulla base della giurisprudenza di questa Corte, rientrano i frontalini (ossia la parte terminale della struttura armata del balcone, visibile a filo o in aggetto), il rivestimento della fronte della soletta (in marmo o intonaco), i cielini, le piantane, le fasce marcapiano, eventuali aggiunte sovrapposte con malta cementizia, nonché balaustre, viti in ottone, piombi, cimose, basamenti e pilastrini.

Tribunale di Novara sentenza 29 aprile 2010: Le spese relative ai sotto balconi devono essere sostenute da tutti i condomini, in quanto questi elementi, essendo visibili dall’esterno dell’edificio, svolgono una funzione decorativa ed estetica che contribuisce all’armonia e al decoro dell’intero fabbricato, qualificandoli come parte comune.

 

 

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enfiteusi

Enfiteusi: guida e modello Cos’è l’enfiteusi, quali caratteristiche presenta, quali sono gli obblighi, la durata e la giurisprudenza in materia. Guida con modello

Cos’è l’enfiteusi

L’enfiteusi è un diritto reale di godimento su un bene altrui che attribuisce all’enfiteuta poteri analoghi a quelli del proprietario, con l’obbligo di migliorare il fondo e di corrispondere un canone periodico al concedente. Questo istituto, disciplinato dagli articoli 957-977 del Codice Civile italiano, ha origini antiche e trova applicazione soprattutto in ambito agricolo.

Caratteristiche dell’enfiteusi

L’enfiteusi conferisce all’enfiteuta il diritto di utilizzare il bene e di percepirne i frutti, similmente al proprietario. Tuttavia, l’enfiteuta è tenuto a:

  • Migliorare il fondo: apportando interventi che ne aumentino la produttività o il valore.
  • Pagare un canone periodico: che può essere in denaro o in natura, come stabilito nel contratto.

La durata dell’enfiteusi può essere perpetua o temporanea, ma, se a tempo determinato, non può essere inferiore a venti anni.

Obblighi dell’enfiteuta

Oltre agli obblighi principali di miglioramento e pagamento del canone, l’enfiteuta deve:

  • Non mutare la destinazione economica del fondo: salvo diverso accordo con il proprietario.
  • Consentire ispezioni: per verificare lo stato del bene e l’adempimento degli obblighi assunti.

Estinzione dell’enfiteusi

L’enfiteusi si estingue per:

  • Scadenza del termine: se costituita a tempo determinato.
  • Perimento totale del fondo: quando il bene perde completamente la sua utilità.
  • Affrancazione: l’enfiteuta può acquisire la piena proprietà del bene pagando una somma capitale, liberandosi così dall’obbligo del canone.
  • Devoluzione: il concedente può richiedere la risoluzione del contratto in caso di inadempimento grave da parte dell’enfiteuta, come il mancato pagamento del canone o il deterioramento del fondo.

Giurisprudenza rilevante

Le Corti superiori hanno più volte affrontato temi legati all’enfiteusi.

Ad esempio, nella sentenza n. 30823/2023 ha chiarito che il livello è assimilabile all’enfiteusi, poiché nel tempo i due istituti si sono fusi, rientrando entrambi tra i diritti reali di godimento. La sua esistenza va provata attraverso il titolo costitutivo o un atto di ricognizione, mentre i dati catastali non hanno valore probatorio.

Con l’ordinanza n. 26520/2018 la Cassazione ha sancito invece che la devoluzione di un fondo enfiteutico può essere richiesta separatamente per ciascun coenfiteuta, senza necessità di litisconsorzio. La pronuncia vale solo per le quote dei soggetti citati in giudizio, senza pregiudicare i diritti degli altri.

Con la sentenza n. 406 del 7 aprile 1988, la Corte Costituzionale ha esaminato aspetti relativi alla determinazione del canone enfiteutico.

Fac-simile di contratto di enfiteusi

Di seguito un esempio di contratto di costituzione di enfiteusi:

CONTRATTO DI COSTITUZIONE DI ENFITEUSI

Tra

Il Sig. ____________, nato a ____________ il ____________, residente in ____________, (di seguito “Concedente”)

e

Il Sig. ____________, nato a ____________ il ____________, residente in ____________, (di seguito “Enfiteuta”)

si conviene e stipula quanto segue:

  1. Oggetto del contratto: Il Concedente concede in enfiteusi all’Enfiteuta il fondo sito in ____________, censito al Catasto al foglio ___, particella ___.
  2. Durata: L’enfiteusi ha una durata di ___ anni, con decorrenza dal ____________ al ____________.
  3. Canone: L’Enfiteuta si obbliga a corrispondere al Concedente un canone annuo di € ____________, da pagarsi in un’unica soluzione entro il ____________ di ogni anno.
  4. Obblighi dell’Enfiteuta: L’Enfiteuta si impegna a migliorare il fondo mediante ____________ e a non mutarne la destinazione senza il consenso scritto del Concedente.
  5. Affrancazione: L’Enfiteuta ha facoltà di affrancare il fondo secondo le modalità previste dagli articoli 971 e seguenti del Codice Civile.

Letto, confermato e sottoscritto.

Luogo e data ____________

Il Concedente _____________________

L’Enfiteuta _____________________

Questo modello è a scopo illustrativo e andrebbe adattato alle specifiche esigenze delle parti coinvolte.

 

 

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riforma disabilità

Riforma disabilità: firma facoltativa sul certificato medico Firma digitale facoltativa: un nuovo messaggio INPS sulla riforma della disabilità semplifica l’invio del certificato medico

Firma digitale facoltativa sul certificato medico

Riforma disabilità: la firma digitale sul certificato medico diventa facoltativa. Una notevole semplificazione della procedura di accertamento e valutazione della condizione del soggetto invalido.

Con il messaggio n. 662 del 21 febbraio 2025 l’INPS, dopo il precedente messaggio n. 4512 del 31 dicembre 2024, semplifica l’invio del certificato medico.

La novità prevede nello specifico la firma digitale facoltativa del medico, non obbligatoria, sul certificato che conclude l’iter di compilazione e d’invio del documento al fine di inserirlo all’interno del Fascicolo Sanitario Elettronico.

Nella schermata della procedura “Riepilogo” il medico può quindi decidere:

  • di firmare il certificato medico apponendo la firma digitale;
  • di inviarlo senza apporre la propria firma, spuntando solo la casella che viene visualizzata una volta concluso l’iter.

Presto disponibile il servizio per l’invio dei dati reddituali

L’INPS informa anche che, a breve, sarà possibile procedere all’invio dei dati reddituali e socio economici necessari a verificare il diritto dei richiedenti di ottenere le prestazioni economiche previste in caso di disabilità.

Sarà necessario essere in possesso delle credenziali SPID, CIE 3.0 CNS o eIDAS per accedere al servizio dedicato presente sul portale INPS  “dati socio-economici prestazioni di disabilità”.

Riforma Disabilità: le novità più importanti

Si ricorda infine che la riforma della disabilità, introdotta dalla legge n. 62/2024, è in fase sperimentale dal 1° gennaio 2025 in nove province.

Il decreto Milleproroghe ha esteso la sperimentazione ad altre undici province, arrivando a venti. Inoltre, ha prorogato la fase di prova da dodici a ventiquattro mesi, posticipando al 2027 l’attuazione nazionale.

L’INPS gestirà laccertamento dellinvalidità civile. Il certificato medico introduttivo sarà l’unico documento necessario e commissioni dedicate valuteranno la disabilità con criteri uniformi e forniranno informazioni sui progetti individuali di vita.

La riforma introduce poi il “Progetto di vita”, che garantisce un coordinamento tra servizi sanitari, sociali ed educativi. Una commissione multidimensionale gestirà gli interventi, superando la frammentazione attuale.

L’obiettivo è offrire un sistema più inclusivo ed efficiente, centrato sulle esigenze della persona con disabilità.

 

 

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giurista risponde

Legittimazione a impugnare e azione popolare (Art. 9 D.lgs. 267/2000) Ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al comune e alla provincia?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Sì, ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al comune e alla provincia se si presuppone l’esistenza di una situazione giuridica attiva in capo all’ente da tutelare mediante azione giudiziale e l’inerzia dello stesso ente nel far valere detta situazione giuridica in sede processuale (Cons. Stato, sez. V, 12 novembre 2024, n. 9046 – Legittimazione a impugnare, azione popolare, art. 9 d.lgs. 267/2000).

Nella fattispecie concreta il ricorrente ha agito in giudizio ai sensi dell’art. 9, comma 1, D.Lgs. 267/2000, e cioè in via sostitutiva dell’ente comunale e provinciale.

La suddetta disposizione prevede che ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al comune e alla provincia. Dunque, si tratta di un particolare meccanismo di sostituzione processuale dell’ente locale a beneficio degli elettori che presuppone l’esistenza di un’azione giudiziale di spettanza dell’ente e la sua inerzia nell’esercitarla.

La natura dello strumento non è correttiva, bensì suppletiva e il suo presupposto necessario va rinvenuto nell’omissione, da parte dell’ente, dell’esercizio delle proprie azioni e ricorsi. Infatti, l’attore non può porsi in contrasto con l’ente stesso al fine di rimuovere gli errori e le illegittimità da questo commessi.

Pertanto, occorre che l’azione e il ricorso siano volti alla tutela di posizioni giuridiche dell’ente locale cui l’elettore si sostituisce, in specie nei confronti di possibili pregiudizi derivanti da azioni od omissioni di terzi, da fatti o atti compiuti da privati o anche da altre pubbliche amministrazioni.

L’iniziativa sostitutiva postula dunque, da un lato, una situazione giuridica attiva in capo all’ente da tutelare mediante azione giudiziale, dall’altro, l’inerzia dello stesso ente nel far valere detta situazione giuridica in sede processuale.

 

(*Contributo in tema di “Legittimazione a impugnare, azione popolare, art. 9 d.lgs. 267/2000”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 82 / Febbraio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

l'avvocato paga il domiciliatario

L’avvocato paga il domiciliatario se non provvede il cliente L'avvocato paga il domiciliatario se la parte non lo fa: i chiarimenti della Cassazione sulla deontologia forense

Deontologia Forense: chiarimenti dalla Cassazione

L’avvocato paga il domiciliatario se non provvede il cliente. Se il dominus non rispetta questa norma deontologica, è soggetto a sanzioni. Sono le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione a chiarire alcuni aspetti del Codice deontologico forense con l’ordinanza n. 4850/2025 depositata il 25 febbraio.

Censura per l’avvocato che non paga il domiciliatario

L’ordinanza riguarda una disputa tra due avvocati che lamentavano il mancato pagamento per servizi svolti come domiciliatari per conto di un collega. Il Consiglio Distrettuale di Disciplina (CDD) ha censurato l’avvocato, che ha impugnato la decisione davanti al Consiglio Nazionale Forense (CNF), sostenendo l’estinzione del procedimento disciplinare. Tuttavia, il CNF ha respinto il ricorso e confermato la sanzione. L’avvocato ha quindi presentato ricorso alla Corte di Cassazione, ribadendo la presunta estinzione del procedimento disciplinare. La Cassazione, analizzando il ricorso relativo al mancato pagamento dei colleghi domiciliatari, ha accolto il primo motivo e respinto il secondo.

Il dominus provvede al compenso del domiciliatario

Nella motivazione, la Corte di Cassazione sottolinea che, ai sensi dell’articolo 43 del Nuovo Codice deontologico Forense, se un avvocato incarica un collega di rappresentare e assistere un proprio cliente e quest’ultimo non adempie al pagamento, è l’avvocato stesso a dover provvedere al compenso.

La mancata osservanza di questa norma disciplinare volta a tutelare i rapporti tra colleghi comporta una violazione disciplinare.

 

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Allegati

assegno di inclusione

Assegno di inclusione: le novità del ministero del Lavoro Il ministero ha reso nota la disponibilità di due nuovi strumenti operativi per accompagnare i beneficiari e gli operatori dell'assegno di inclusione

Assegno di inclusione, i nuovi strumenti operativi

Sono disponibili due nuovi strumenti operativi per accompagnare i beneficiari e gli operatori dell’Assegno di inclusione (ADI), nell’applicazione del percorso dedicato ai nuclei con all’interno componenti con obbligo di attivazione lavorativa e sociale. Lo ha reso noto il ministero del Lavoro sul proprio sito.

Cos’è l’Assegno di inclusione

L’Assegno di Inclusione (ADI), si ricorda, è una misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale, rivolta ai nuclei familiari in cui sono presenti componenti con disabilità, componenti minorenni o con almeno 60 anni di età. Ovvero in condizione di svantaggio e inseriti in programmi di cura e assistenza dei servizi socio-sanitari territoriali certificati dalla pubblica amministrazione.

La misura è condizionata al possesso di determinati requisiti (di residenza, cittadinanza e soggiorno, alla prova dei mezzi sulla base dell’ISEE, alla situazione reddituale e all’adesione a un percorso personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa).

L’iter di attivazione dell’ADI

Come noto, scrive il dicastero, per accedere alla misura e mantenerla, i beneficiari ADI devono seguire l’iter di attivazione e, se il percorso lo prevede, rispettare gli impegni indicati nel Patto per l’Inclusione Sociale (PaIS) e nel Patto di Servizio Personalizzato (PSP).

A definirne i contorni è l’analisi multidimensionale che individua 4 tipologie di percorsi con relativi obblighi:

  1. obbligo di attivazione lavorativa e sociale;
  2. facoltà di attivazione lavorativa e sociale;
  3. facoltà di attivazione del Supporto per la Formazione e il Lavoro (SFL);
  4. obbligo di attivazione sociale e facoltà di attivazione lavorativa.

L’obbligo di attivazione lavorativa e sociale

L’“Obbligo di attivazione lavorativa e sociale” riguarda i componenti del nucleo di età compresa tra i 18 e i 59 anni che esercitano la responsabilità genitoriale e non hanno cause di esclusione. Il ministero ha reso disponibile un pdf in cui vengono descritte passo passo le azioni da compiere per il relativo percorso. Il tutto è sintetizzato altresì in una locandina, pensata anche per essere stampata e messa a disposizione dei beneficiari.

danno tanatologico

Il danno tanatologico Cos’è il danno tanatologico, come si calcola e quando viene risarcito: la normativa e la giurisprudenza in materia

Cos’è il danno tanatologico

Il danno tanatologico rappresenta il pregiudizio subito dalla vittima di un atto illecito durante l’intervallo di tempo tra l’evento lesivo e il decesso. Questo danno, di natura non patrimoniale, è strettamente legato alla sofferenza e al patimento che l’individuo sperimenta consapevolmente nel periodo antecedente la morte.

Normativa di riferimento

Nel sistema giuridico italiano, il danno tanatologico non trova una definizione esplicita all’interno del Codice Civile. Tuttavia, la sua risarcibilità è stata oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali che ne hanno delineato i contorni e le condizioni. In particolare, la Corte di Cassazione ha più volte affrontato la questione, stabilendo criteri e limiti per il riconoscimento di tale danno.

Calcolo e risarcimento del danno tanatologico

La quantificazione del danno tanatologico è strettamente connessa alla durata e all’intensità della sofferenza patita dalla vittima. Pertanto, maggiore è l’intervallo di tempo tra l’evento lesivo e il decesso, più elevato sarà il risarcimento riconosciuto. Inoltre, la consapevolezza della propria condizione e l’angoscia derivante dalla percezione imminente della morte rappresentano elementi fondamentali nella determinazione dell’entità del danno.

Trasmissibilità agli eredi

Un aspetto cruciale riguarda la possibilità per gli eredi di subentrare nella richiesta di risarcimento del danno tanatologico. La giurisprudenza ha chiarito che, affinché il diritto al risarcimento sia trasmissibile, è necessario che la vittima abbia acquisito tale diritto in vita, ossia che vi sia stato un apprezzabile lasso di tempo tra l’evento lesivo e la morte, durante il quale la persona offesa abbia avuto coscienza della propria sofferenza. In caso di decesso immediato o di perdita immediata della coscienza, il diritto al risarcimento non sorge e, di conseguenza, non può essere trasmesso agli eredi.

Giurisprudenza rilevante sul danno tanatologico

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1361 del 23 gennaio 2014, ha affermato che il danno tanatologico è risarcibile e trasmissibile agli eredi solo se la vittima ha conservato la coscienza per un periodo apprezzabile tra l’evento lesivo e la morte.

Inoltre, la sentenza a SU della Cassazione n. 15350 del 22 luglio 2015 ha ribadito che, in assenza di un intervallo temporale significativo e di consapevolezza da parte della vittima, non sussiste il diritto al risarcimento del danno tanatologico. Nella motivazione gli Ermellini ricordano infatti che un orientamento risalente al 1925 affermava che: “se è alla lesione che si rapportano i danni, questi entrano e possono logicamente entrare nel patrimonio del lesionato solo in quanto e fin quando il medesimo sia in vita. Questo spentosi, cessa anche la capacità di acquistare, che presuppone appunto e necessariamente l’esistenza di un subbietto di diritto.”

 

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