ape social domanda

Ape social: la guida Cos’è l’Ape social, quali sono i requisiti per ottenerla, i limiti, le modalità e i termini da rispettare per fare domanda

Cos’è l’Ape social

L’Ape social consiste in una indennità che viene erogata dall’INPS e pagata dallo Stato, a cui possono accedere solo determinate categorie di lavoratori che si trovano in situazioni meritevoli di particolare tutela per accompagnarli alla pensione di vecchiaia.

La misura ha subito alcune restrizioni in virtù della legge di bilancio n. 213/2023 per il 2024, anche se al momento l’Esecutivo sta pensando di riproporre la misura anche per il 2025 ed estenderne l’applicazione.

Ape sociale: i destinatari della misura

Il primo requisito che la legge richiede per poter accedere alla misura è quello anagrafico. Per beneficiare dell’Ape social 2024 il richiedente deve aver compiuto 63 anni e 5 mesi.

I richiedenti devono appartenere inoltre alle seguenti categorie di lavoratori:

  • invalidi civili con una percentuale minima di invalidità del 74%;
  • lavoratori subordinati, che da almeno 7 anni, nel corso degli ultimi 10, o che negli ultimi 6 durante gli ultimi 7, svolgono attività definite “gravose”;
  • i caregiver che negli ultimi 6 mesi e al momento della richiesta si occupano dell’assistenza del coniuge o di un parente di primo grado che presenti un handicap “grave” o che si prendono cura di un parente di secondo grado che abbia i genitori o il coniuge di età superiore a 70 anni o che siano invalidi o deceduti;
  • soggetti disoccupati a seguito di licenziamento, dimissioni, risoluzione consensuale del contratto, scadenza del termine del rapporto di lavoro a tempo determinato purché abbiano lavorato almeno 18 mesi negli ultimi 3 anni e non beneficino più dell’indennità di disoccupazione.

A questi requisiti si deve accompagnare quello contributivo che è di 36 anni per la categoria dei lavoratori impiegati in attività “gravose”, mentre per gli altri è di 30 anni. Il requisito contributivo per le madri lavoratrici viene ridotto almeno di 12 mesi per ogni figlio, fino a uno sconto massimo di 2 anni.

Compatibilità con redditi da lavoro

Nel 2024 l’Ape social può essere riconosciuto anche a coloro che percepiscano redditi da lavoro autonomo purché svolto in modalità occasionale e purché l’importo non superi i 5000 euro annui.

La misura invece è del tutto incompatibile con la titolarità della pensione diretta.

Domanda Ape social 2024

Per quanto riguarda la domanda è bene ricordare che chi è in possesso dei requisiti richiesti deve presentarla entro e non oltre la scadenza del 15 luglio 2024 o entro il termine ulteriore del 30 novembre 2024, anche se in questo caso l’accoglimento dell’istanza dipende dalla disponibilità delle risorse.

Occorre inoltre precisare che la domanda per ottenere l’Ape social deve essere effettuata in due tempi distinti.

La prima domanda è quella necessaria al riconoscimento del diritto all’Ape social da parte dell’INPS. Se la risposta è positiva l’Istituto provvede a comunicare la decorrenza o il rinvio della decorrenza della misura se risulta che i fondi non sono sufficienti a finanziare la misura, fornendo in ogni caso le necessarie motivazioni.

In caso di risposta negativa l’INPS fornisce comunque le adeguate motivazioni del rigetto.

La seconda domanda viene inoltrata invece se l’INPS ha fornito un riscontro positivo al riconoscimento della misura. Questa domanda, relativa alla liquidazione, può essere presentata anche contestualmente alla prima se il richiedente possiede tutti i requisiti richiesti dalla legge.

Erogazione Ape social

Una volta presentata la domanda la misura, che non può comunque superare l’importo massimo di 1.500,00 euro, viene erogata, in genere, a partire dal mese successivo. E’ bene precisare altresì che l’Ape social non prevede il riconoscimento di tredicesima o rivalutazione dell’importo, la stessa inoltre fa reddito, per cui è sottoposta a imposizione fiscale, infine nel periodo in cui la stessa viene fruita non vengono accreditati contributi.

tappi attaccati bottiglie

Tappi attaccati alle bottiglie: al via l’obbligo Dal 3 luglio 2024 in base alla Direttiva UE SUP i tappi "solidali" dovranno restare attaccati ai contenitori di plastica per ridurre la dispersione e favorire il riciclo

Tappi “solidali: dal 3 luglio in vigore l’obbligo della Direttiva UE

Dal 3 luglio 2024 tutte le aziende che producono bevande contenute nelle bottiglie di plastica devono rispettare l’obbligo del “tappo solidale”. Lo ha stabilito la Direttiva UE 2019/904 sulla plastica monouso finalizzata a ridurre l’incidenza dei prodotti di plastica sull’ambiente.

L’articolo 17 della Direttiva, dedicato al recepimento, prevede che gli Stati debbano applicare le disposizioni necessarie per conformarsi all’obbligo previsto dall’articolo 6, relativo ai tappi “solidali” a partire dal 3 luglio 2024.

Quest’obbligo è solo una delle tante misure adottate dalla Direttiva SUP (Single Use Plastics Direttive) per contrastare l’inquinamento delle acque da parte delle bottiglie di plastica, troppo spesso gettate ovunque, soprattutto in mare e sulla spiaggia, con conseguenze estremamente dannose sulla vegetazione e sugli animali.

Divieto plastica monouso

La Direttiva, lo ricordiamo, ha già posto il divieto di vendita dei prodotti di plastica monouso come i piatti, le posate, le cannucce e i cotton-fioc, a partire dal 2021.

Il 2024 invece è l’anno di entrata in vigore dei tappi “solidali, vediamo cosa dice la normativa europea al riguardo.

Lotta alla dispersione dei tappi di plastica

Nel considerando n. 17 la Direttiva fa presente come i tappi e i coperchi di plastica dei contenitori delle bevande siano tra gli oggetti di plastica maggiormente rinvenuti sulle spiagge dell’Unione Europea.

I contenitori delle bevande di plastica monouso dovrebbero quindi essere immessi sul mercato solo se sono in grado di soddisfare certi requisiti di progettazione in grado di ridurre significativamente la dispersione nell’ambiente dei tappi di plastica.

Nell’articolo 6 invece, dedicato ai requisiti dei prodotti in plastica, la Direttiva stabilisce specificamente che gli Stati membri devono provvedere a che i prodotti in plastica monouso indicati nella parte C dell’allegato, con i relativi tappi plastica “possano essere immessi sul mercato solo se i tappi e i coperchi restano attaccati ai contenitori per la durata delluso previsto del prodotto”. 

L’allegato C specifica infatti quali sono i prodotti di plastica monouso indicati nell’articolo 6, che devono presentare i requisiti sopra descritti, ossia i contenitori per bevande con una capacità massima di 3 litri, ossia i recipienti che contengono liquidi, come bottiglie per bevande con i relativi tappi, nonché gli imballaggi compositi di bevande con i relativi tappi e coperchi.

Tappi attaccati alle bottiglie: quali vantaggi?

L’obbligo di produrre contenitori di plastica con i tappi di chiusura progettati in modo tale da restare attaccati alle bottiglie mirano a realizzare due obiettivi fondamentali della Direttiva:

  • ridurre la dispersione dei piccoli pezzi di plastica. I tappi di plastica dei contenitori, infatti sono molto piccoli e leggeri, per cui possono essere trasportati facilmente dal vento e, aspetto ancora più pericoloso, possono essere ingeriti dagli animali;
  • facilitare la fase del riciclo: se il tappo resta ben attaccato al suo contenitore questi due componenti possono essere riciclati insieme. In questo modo la quantità di plastica riciclata aumenta e il procedimento di riciclo risulta senza dubbio più efficiente.

Le altre misure della Direttiva SUP per ridurre la plastica

Come anticipato, la misura che riguarda i tappi di plastica è solo una delle iniziative intraprese a livello europeo per ridurre la quantità di plastica immessa nell’ambiente.

La Direttiva SUP prevede infatti interventi finalizzati a ridurre il consumo dei prodotti di plastica monouso, dispone restrizioni all’immissione sul mercato di certi prodotti in plastica, stabilisce, come appena visto per i tappi, determinanti requisiti di costruzione dei prodotti in plastica, introduce precisi requisiti di marcatura dei prodotti, estende la responsabilità del produttore, impone agli Stati di adottare le misure necessarie per attuare in modo efficace la raccolta differenziata e stabilisce che gli Stati debbano adottare anche misure di sensibilizzazione per informare i consumatori e incentivare condotte più responsabili per la tutela dell’ambiante e la salute.

Allegati

espropriazione pubblica utilità

Espropriazione per pubblica utilità Il procedimento di espropriazione per pubblica utilità e le sue fasi: il vincolo, la dichiarazione di pubblica utilità, l’indennità e il decreto di esproprio

Cosa si intende con espropriazione?

L’espropriazione per pubblica utilità è una procedura che le pubbliche amministrazioni possono mettere in atto quando, in base agli strumenti urbanistici di pianificazione territoriale, ritengano che una determinata area debba essere asservita alla realizzazione di un’opera di pubblica utilità o che un determinato immobile debba essere destinato ad una funzione di pubblica utilità.

L’espropriazione per pubblica utilità nella Costituzione

L’espropriazione si pone, quindi, come un limite al diritto di proprietà, nel senso che pur corrispondendo quest’ultimo ad un potere illimitato di godimento e disposizione sul bene in capo al proprietario, tale diritto/potere è destinato a recedere di fronte al superiore interesse pubblico.

Questo è esattamente il concetto espresso dall’art. 42 della Costituzione, che al terzo comma dispone, appunto, che la proprietà privata, nelle ipotesi previste dalla legge, può essere espropriata per cause di interesse generale e che, in tali casi, al proprietario spetta un indennizzo.

Quanto dura il vincolo di esproprio?

Ovviamente, per evitare abusi, discriminazioni e disparità di trattamento, l’intero procedimento di espropriazione per pubblica utilità è disciplinato nel dettaglio dalla legge e trova, oggi, compiuta regolamentazione nel DPR n. 327 del 2001, c.d. Testo Unico sugli espropri.

In base alla normativa in vigore, il primo passaggio fondamentale del procedimento di espropriazione è l’apposizione del vincolo su un determinato bene. La scelta del bene, o dei beni, su cui apporre tale vincolo discende direttamente dall’approvazione degli strumenti di pianificazione urbanistica, come il Piano di Governo del Territorio o il Piano Regolatore.

Il vincolo ha una durata di cinque anni, anche se la legge prevede che possa essere reiterato nel caso in cui non abbia avuto seguito entro tale termine. In tale ipotesi, però, al proprietario va riconosciuta un’indennità commisurata al danno prodotto. Ciò è conseguenza del fatto che, per il fatto dell’apposizione del vincolo, il bene subisce un chiaro deprezzamento, e la reiterazione del vincolo non fa altro che prolungare tale situazione.

Entro i cinque anni dall’apposizione, pertanto, deve normalmente intervenire il successivo provvedimento dell’Autorità procedente, che consiste nella dichiarazione di pubblica utilità. In caso contrario, e in mancanza di reiterazione, il vincolo decade.

La dichiarazione di pubblica utilità

La dichiarazione di pubblica utilità consegue all’approvazione del progetto definitivo di un’opera (si pensi ad una strada) e si concreta nella destinazione alla pubblica utilità dell’area su cui tale opera dovrà insistere.

Tale dichiarazione viene resa pubblica dall’Ente procedente (ad esempio sugli albi, o in apposite sezioni del sito web istituzionale) e può essere oggetto di osservazioni da parte di eventuali controinteressati, le quali vengono esaminate dall’amministrazione nell’ambito di un’istruttoria di cui viene dato conto nel provvedimento finale.

Tale provvedimento può prevedere la trasformazione fisica dell’immobile (nel classico caso di costruzione di una nuova opera) o nella semplice destinazione ad uso pubblico di un immobile privato preesistente.

In ogni caso, il provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità viene notificato ai proprietari delle aree interessate, in vista del conseguente provvedimento di esproprio, che deve essere adottato entro cinque anni, salvo proroga di massimo due anni.

Quanto viene pagato un esproprio?

Prima dell’adozione del decreto di esproprio, cioè del provvedimento con cui si conclude il procedimento di espropriazione per pubblica utilità, è necessario che l’amministrazione procedente determini l’indennità di esproprio.

Tale emolumento rappresenta l’indennizzo al proprietario, la cui corresponsione è prevista, come detto, dall’art. 42 della nostra Costituzione.

L’indennità provvisoria è comunicata al destinatario, che può accettare l’importo o avanzare le proprie osservazioni in merito. Successivamente, l’Ente, sentiti i tecnici incaricati, determina l’indennità di esproprio definitiva, commisurata al valore venale del bene.

Dopo il pagamento dell’indennità, viene stipulato con il privato l’atto di cessione e adottato il decreto di esproprio, con la conseguente presa di possesso da parte dell’Amministrazione procedente e l’avvio dei lavori, ove previsti.

reato atti sessuali minorenne

Atti sessuali con minorenne L'art. 609quater c.p. punisce con la reclusione da sei a dodici anni chiunque compie atti sessuali con minori di anni 14 o di anni 16 quando il colpevole è un familiare o tutore

Nozione e scopo dell’art. 609quater c.p.

L’art. 609quater c.p. sanziona penalmente, con la pena prevista dall’art. 609bis, chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto non ha compiuto gli anni quattordici (comma 1, n. 1) ovvero non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza (comma 1, n. 2).

In tale ultima ipotesi, rileva il titolo dell’affidamento del minore, che determina l’instaurazione di un rapporto fiduciario che pone l’agente in una condizione di preminenza e di autorevolezza idonea a indurre il minore a prestare un consenso agli atti sessuali, e non il luogo in cui vengono consumati gli atti sessuali, che può essere diverso da quello in cui sussistono le ragioni di vigilanza e custodia dell’affidamento.

Il comma 2

Il comma 2 di tale previsione sanziona penalmente, ma in misura attenuata (e sempre fuori dai casi in cui sia configurabile una violenza sessuale ex art. 609bis c.p.) i medesimi soggetti elencati nel comma  1, n. 2), i quali, con l’abuso dei poteri connessi alla loro posizione, compiano atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni sedici.

Oggetto giuridico

Oggetto giuridico della tutela penale apprestata dalla norma è il corretto sviluppo della personalità sessuale del minore; in particolare, essa stabilisce l’assoluta intangibilità sessuale per il minore di quattordici anni, e quella relativa (in particolari situazioni) per il minore di anni sedici nei confronti del soggetto attivo in relazione di parentela, cura o vigilanza con il minore stesso.

Il legislatore muove, dunque, da una presunzione di incapacità di una consapevole prestazione del consenso al compimento di atti sessuali, delle persone che si trovano nelle condizioni indicate dalla norma in esame. Si parla, perciò, in tali casi di violenza sessuale presunta secondo una terminologia già in precedenza adoperata per le corrispondenti ipotesi previste e punite dall’art. 519 c.p. nn. 1) e 2).

Il delitto non è necessariamente caratterizzato dal contatto fisico fra l’agente e la vittima, risultando configurabile anche nel caso in cui l’uno trovi soddisfacimento sessuale dal fatto di assistere all’esecuzione di atti sessuali da parte dell’altra (Cass. 21-6-2023, n. 26809).

Atti sessuali con minorenne e legge n. 238/2021: l’inedito comma 3

Sulla portata precettiva della disposizione in esame ha inciso, da ultimo, la L. 23-12-2021, n. 238 (nota come Legge europea 2019-2020), correttivi tradottisi nell’introduzione di un inedito comma 3 e nella riscrittura (in senso estensivo) dell’originario comma 3, già introdotto dal cd. «Codice rosso» del 2019.

Partendo, dunque, dal primo dei segnalati correttivi, fuori dei casi di configurabilità delle ipotesi di reato appena descritte, viene sanzionato penalmente chiunque compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni quattordici, abusando della fiducia riscossa presso il minore o dell’autorità o dell’influenza esercitata sullo stesso in ragione della propria qualità o dell’ufficio ricoperto o delle relazioni familiari, domestiche, lavorative, di coabitazione o di ospitalità.

La modifica deve ritenersi volta ad attuare quanto previsto dall’art. 3 della Direttiva 2011/93/UE, che al par. 5, lett. i), prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché siano punite le condotte intenzionali di chi compie atti sessuali con un minore, e a tal fine abusa di una posizione riconosciuta di fiducia, autorità o influenza sul minore.

Il comma 4, dopo la legge europea

Come anticipato, il secondo dei correttivi dovuti alla cd. legge europea si è tradotto nella riscrittura dell’originario comma 3 della disposizione in commento, per effetto della quale si prevede un incremento sanzionatorio:

1) se il compimento degli atti sessuali con il minore che non ha compiuto gli anni quattordici avviene in cambio di denaro o di qualsiasi altra utilità, anche solo promessi;

2) se il reato è commesso da più persone riunite;

3) se il reato è commesso da persona che fa parte di un’associazione per delinquere e al fine di agevolarne l’attività;

4) se dal fatto, a causa della reiterazione delle condotte, deriva al minore un pregiudizio grave;

5) se dal fatto deriva pericolo di vita per il minore.

L’integrale sostituzione del comma 3 della previsione in commento si traduce, ad un tempo, nella conferma della preesistente aggravante ad efficacia comune, consistente nel mercimonio di atti sessuali con minori infraquattordicenni in cambio anche della mera promessa di denaro o utilità, già introdotta dalla L. 69/2019, cd. Codice rosso, cui si aggiunge una integrazione di figure aggravanti che rende, in tal parte, la norma sovrapponibile al comma 8 dell’art. 602ter, alla cui lettera si rinvia.

La causa di non punibilità di cui al comma 5

Il comma 5 prevede una causa di non punibilità a beneficio del minorenne che al di fuori delle ipotesi previste nell’art. 609bis, compie atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni tredici, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore a quattro anni.

La scelta di dar rilievo al consenso del minore ultratredicenne, pur incapace di agire (cfr. art. 2 c.c.), si inserisce nella più ampia tendenza al riconoscimento, nel mondo giuridico, delle capacità di autodeterminazione (sia pure a precise condizioni) dei minori. Per la migliore dottrina si tratta di una causa di non punibilità di carattere soggettivo.

Figure circostanziali (commi 6 e 7)

I commi 6 e 7 dell’art. 609quater prevedono una circostanza attenuante ed una aggravante: la prima ricorre nei casi di minore gravità, consentendo la diminuzione della pena in misura non eccedente i due terzi; la seconda ricorre quando la persona offesa non ha compiuto gli anni dieci.

Si afferma che, in tema di atti sessuali con minorenne, per l’applicazione dell’attenuante speciale prevista dall’art. 609quater, comma 6, c.p. il giudice deve valutare l’intensità dell’offesa all’integrità fisio-psichica del minore nella prospettiva di un corretto sviluppo della personalità sessuale, considerando tutte le caratteristiche oggettive e soggettive del fatto (Cass. 27-1-2021, n. 3241).

Più di recente, si è precisato che per il riconoscimento della suddetta attenuante è necessaria una valutazione globale del fatto in cui assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima e le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, anche in relazione all’età, mentre, ai fini del suo diniego, è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità (Cass. 1-3-2023, n. 8735).

Elemento soggettivo

La fattispecie è punibile a titolo di dolo generico, che presuppone la volontà dell’atto sessuale con la coscienza di tutti gli elementi essenziali del fatto.

Consumazione e tentativo

Il delitto si consuma con il compimento dell’atto sessuale. In particolare, il reato ha natura istantanea, e non già abituale o permanente, in quanto si perfeziona con la realizzazione del fatto tipico, ossia con il compimento dell’atto sessuale che ne esaurisce l’offesa (Cass. 5-7-2022, n. 25619). È configurabile il tentativo del reato di atti sessuali con minorenne quando, pur in mancanza di un contatto fisico tra i soggetti coinvolti, la condotta tenuta dall’imputato presenta i requisiti della idoneità e della univocità dell’invito a compiere atti sessuali, in quanto la stessa è specificamente diretta a raggiungere l’appagamento degli istinti sessuali dell’agente attraverso la violazione della libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale. Possono essere in astratto indici rivelatori dell’idoneità dell’azione la ripetitività degli episodi ed il modo pressante della richiesta. È, però, necessario, al fine di riscontrare anche l’estremo dell’univocità, inserire il comportamento nelle concrete modalità di spazio e di tempo, per verificarne la direzione all’effettiva perpetrazione dell’illecito e la coincidenza della fattispecie concreta con quella legale.

Pena ed istituti processuali

La pena prevista per il reato in esame è la stessa del reato di cui all’art. 609bis (da sei a dodici anni di reclusione) ma per il comma 2 è la reclusione da 3 a 6 anni (aumentata fino ad un terzo per la neointrodotta ipotesi aggravata).

Per il comma 3, la pena è la reclusione fino a 4 anni. Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi. Si applica la pena di cui all’art. 609ter, comma 2, se la persona offesa non ha compiuto gli anni dieci. L’arresto è obbligatorio (commi 1 e 2) ed il fermo consentito (commi 1 e 7).

Si procede d’ufficio e la competenza spetta al Tribunale collegiale.

mancata formazione cancellazione avvocato

Mancata formazione: no alla cancellazione dell’avvocato Il Consiglio Nazionale Forense chiarisce che la regola prevista dal dm 47/2016 non è ancora operativa in quanto manca il decreto attuativo di via Arenula

Cancellazione dall’albo dell’avvocato

L’avvocato che non adempie o non completa l’obbligo formativo non può essere cancellato dall’albo. Lo ha chiarito il Consiglio Nazionale Forense nel parere n. 15/2024 precisando come la regola prevista dal dm 47/2016 non sia ancora operativa in quanto non è stato emanato il necessario decreto attuativo.

Il quesito del COA di Novara

Il parere è stato emesso in risposta al quesito del COA di Novara, il quale chiedeva di sapere se “in caso di mancato raggiungimento dei crediti formativi da parte di un iscritto, per un triennio non più sanabile, la cancellazione prevista dal DM 47/2016 sia una conseguenza automatica o rientri nelle facoltà del COA effettuare una diversa valutazione e con quali modalità e criteri”.

La risposta

La risposta del CNF è resa nei seguenti termini: “L’articolo 2, comma 5 del d.m. n. 47/2016 rinvia a successivo decreto del ministro della Giustizia il compito di stabilire le modalità con cui ciascuno degli ordini circondariali individua, con sistemi automatici, le dichiarazioni sostitutive da sottoporre annualmente a controllo a campione”. Per cui, “la mancata adozione del citato decreto ministeriale rende tuttora non applicabile la disciplina della cancellazione per mancato rispetto del requisito dell’esercizio continuativo della professione, anche ove derivante dal mancato assolvimento dell’obbligo formativo”.

Ne deriva che la cancellazione per mancato assolvimento dell’obbligo formativo “non è ancora operativa e che residuano in capo al COA le opportune valutazioni in merito a conseguenze di altro ordine del mancato assolvimento dell’obbligo in parola, quali la segnalazione al CDD per l’eventuale apertura di un procedimento disciplinare”.

contributo unificato cause

Contributo unificato: cos’è e quando si paga Cos’è il contributo unificato, quando si applica e a quali procedimenti, in che misura e cosa accade in caso di pagamento omesso o insufficiente

Contributo unificato: che cos’è

Il contributo unificato è una somma che deve essere versata allErario nel momento in cui si procede all’iscrizione a ruolo di una causa. Sono soggetti al pagamento del contributo unificato per ogni grado di giudizio il processo civile, le procedure concorsuali, i procedimenti di volontaria giurisdizione, il processo amministrativo e il processo tributario.

Riferimenti normativi

La disciplina del contributo unificato è contenuta nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, contenente il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di Giustizia.

Il decreto dedica al contributo unificato il titolo I della parte II, intitolato “Contributo unificato nel processo civile, amministrativo e tributario”. La disciplina del contributo unificato è contenuta nello specifico nell’articolo 9 e seguenti fino all’articolo 18.

Contributo unificato controversie lavoro, previdenza e assistenza

Nei processi relativi alle controversie di previdenza e assistenza obbligatoria, alle cause individuali di lavoro o relative ai rapporti di pubblico impiego, le parti che risultino titolari dall’ultima dichiarazione di un reddito imponibile ai fini Irpef superiore a tre volte l’importo previsto per beneficiare del gratuito patrocinio (pari ad oggi a Euro 12.838,01) sono soggette rispettivamente  al contributo unificato di iscrizione a ruolo nella misura prevista:

  • dall’articolo 13 comma 1 lettera a) ossia di Euro 43,00;
  • e dal comma 3 dell’art. 13, ossia ridotto alla 1/2, fatta eccezione per i processi che si tengono davanti alla Corte di Cassazione, per i quali il contributo deve essere corrisposto nella misura indicata dall’articolo 13 comma 1 ossia nella misura ordinaria.

Esenzioni dal pagamento del contributo unificato

Ai sensi dell’articolo 10 del d.p.r. 115/2002 non è soggetto al  pagamento del contributo unificato il processo che ne sia già esente in base a una specifica previsione di legge, il processo di rettificazione dello stato civile, il processo in materia tavolare, il processo in materia di integrazione scolastica in relazione ai ricorsi amministrativi per il sostegno degli alunni con handicap fisici e sensoriali e il processo per l’equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo.

Il contributo unificato non è dovuto neppure per il processo anche esecutivo, di opposizione, e cautelare, in materia di assegni per il mantenimento della prole e riguardante la stessa. Non sono soggetti al pagamento del contributo unificato neppure determinati processi in materia di diritto di famiglia.

I motivi dell’esenzione devono essere dichiarati dalla parte nelle conclusioni dell’atto che introduce la causa.

Contributo unificato nel processo penale

Il contributo unificato, in base alla previsione dell’articolo 12 del DPR n. 115/2010, non è dovuto neppure quando viene esercitata lazione civile nel processo penale nel caso in cui venga richiesta la condanna generica del responsabile. Se invece è richiesta, anche in via provvisionale, la condanna al pagamento di una somma a titolo di risarcimento e la domanda venga accolta, il contributo unificato deve essere corrisposto in base al valore dell’importo liquidato e nel rispetto degli scaglioni di valore previsti dall’articolo 13.

Importi del contributo unificato

L’indicazione degli importi dovuti a titolo di contributo unificato sono specificati all’interno dell’articolo 13.

Al comma 1 il contributo unificato viene calcolato in base agli scaglioni di valore della causa.

Il comma 1bis prevede invece che il contributo dovuto per i giudizi di impugnazione sia aumentato della metà rispetto ai valori indicati nel comma 1 ed è raddoppiato se il processo si svolge davanti alla Corte di Cassazione.

Per i processi in materia di proprietà industriale e intellettuale il valore del contributo unificato contemplato dal comma 1 è raddoppiato.

Se l’impugnazione, anche incidentale, viene respinta integralmente o viene dichiarata inammissibile  o improcedibile, la parte che l’ha proposta deve versare un importo aggiuntivo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione principale o incidentale. Questa regola non vale quando il ricorso per cassazione viene dichiarato estinto in base a quanto previsto dall’articolo 380 bis, comma 2, ultimo periodo c.p.c.

Le esecuzioni immobiliari sono soggette al contributo di 278,00 euro, mentre per gli altri processi esecutivi l’importo è ridotto alla metà. Se si tratta di processi esecutivi mobiliari di valore inferiore ai 2500,00 euro allora il contributo è dovuto nell’importo di 43,00 euro. Per i processi di opposizione agli atti esecutivi l’importo dovuto è di 168,00 euro.

Tutti i procedimenti sommari disciplinati dal titolo I del libro IV del codice di procedura civile sono soggetti al contributo unificato ridotto alla metà rispetto agli importi del comma 1, compreso il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, alla sentenza dichiarativa di fallimento e le controversie individuali di lavoro o di pubblico impiego salvo quanto disposto dall’art. 9 comma 1.

Per la procedura fallimentare il contributo è di euro 851.

Il comma 6 bis dell’articolo 13 elenca poi gli importi dei contributi unificati per i ricorsi amministrativi proposti da vanti ai Tar e al consiglio di Stato.

Il comma 6 quater invece si occupa degli importi del contributo unificato per i ricorsi proposti in via principale e incidentale davanti all’organismi di giustizia tributaria.

Il comma 6 quinquies infine stabilisce gli importi del contributo unificato previsti per le procedure relative all’ordinanza europea di sequestro conservativo su conti correnti bancari.

Quando sorge l’obbligo di pagamento

L’obbligo di pagamento è a carico della parte che si costituisce per prima in giudizio, che deposita il ricorso introduttivo e che, nei processi di esecuzione forzata, presenta l’istanza per l’assegnazione o la vendita dei beni oggetto di pignoramento.

Il pagamento del contributo unificato deve avvenire contestualmente alla presentazione dell’istanza per la ricerca telematica dei beni da pignorare.

Se la parte che che si è costituita per prima o che ha depositato per prima il ricorso introduttivo procede alla modifica della domanda o propone una domanda riconvenzionale deve dichiararlo espressamente e procedere al pagamento del contributo integrativo dovuto.

Lo stesso obbligo viene posto a carico delle parti che modificano o propongono domanda riconvenzionale o svolgono un intervento autonomo.

Controllo sul valore della causa e sul contributo unificato

Il contributo unificato deve essere corrisposto in base al valore della causa che viene dichiarato dalla parte. Il funzionario che provvede a iscrivere la causa deve effettuare la verifica della dichiarazione di valore e sincerarsi che la ricevuta riportante l’importo corrisposto a titolo di contributo unificato corrisponda a quello dovuto per lo scaglione di valore della causa. Questo controllo però non si svolge solo al momento dell’iscrizione, ma viene effettuato anche quando nel corso di causa viene proposta una domanda, che va modificare il valore della controversia.

Pagamento omesso o insufficiente: conseguenze

L’omesso o insufficiente pagamento del contributo unificato comporta l’obbligo di corresponsione degli interessi legali dal deposito dell’atto per cui è previsto il pagamento o l’integrazione del contribuito dovuto.

In caso di omesso pagamento o di pagamento parziale si applica la sanzione di cui all’art. 71 del DPR n. 131/1986, ma non la detrazione.

giurista risponde

Violazione del diritto alla riservatezza e risarcimento del danno Quali sono le condizioni e i criteri per il risarcimento del danno da violazione del diritto alla riservatezza?

Quesito con risposta a cura di Manuel Mazzamurro e Incoronata Monopoli

 

Il danno da violazione del diritto alla riservatezza, dovendo necessariamente consistere in un profilo consequenziale rispetto al fatto dannoso denunciato, dev’essere essere oggetto di specifica allegazione e di prova, anche tramite il ricorso al valore rappresentativo di presunzioni semplici, ossia anche attraverso l’indicazione degli elementi costitutivi e delle specifiche circostanze di fatto da cui desumerne, sebbene in via presuntiva, l’esistenza. – Cass., sez. III, ord. 16 aprile 2024, n. 10155.

 Nel caso di specie, la Suprema Corte è chiamata a valutare se il danno da violazione del diritto alla riservatezza sia soltanto patrimoniale o anche morale ed esistenziale.

Il Tribunale adito, in parziale accoglimento dei ricorsi proposti dai danneggiati, condannava l’azienda sanitaria a rifondere i predetti; tenuto conto, altresì, che quest’ultima aveva proceduto ad oscurare i dati sensibili dei medesimi.

Viene proposto, quindi, ricorso, ex art. 380bis, per Cassazione, lamentando i ricorrenti che il danno da violazione del diritto alla riservatezza non sia soltanto patrimoniale, ma anche morale ed esistenziale; e che l’art. 15 del codice della protezione dei dati personali statuisca un generale principio di “indemnisation” integrale del danno non patrimoniale da trattamento dei dati personali; che la danneggiata abbia subito un danno alla vita di coppia ed alla sfera sessuale, un danno alla vita di relazione, all’immagine, al nome, all’onore; in ordine alla quantificazione del danno, che si richiami la definizione del danno non patrimoniale come prevista dall’art. 138 del codice delle assicurazioni (Cass., sez. III, 27 dicembre 2014, n. 1608).

La Suprema Corte ha ricordato quanto stabilito dalla pronunzia della Corte cost. 6 ottobre 2014, n. 235 e dell’entrata in vigore della L. 124/2017 (che all’art. 1, comma 17, ha modificato l’art. 138 cod. ass., richiamato dai ricorrenti), secondo cui il giudice del merito sia tenuto “a valutare tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale (che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con se’ stesso), quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita (che si dipanano nell’ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce “altro da sé”)” (Cass., sez. III, 31 gennaio 2019, n. 2788; Cass., sez. III, 21 luglio 2017, n. 21939).

Di talché, è necessario che il danno preteso sia oggetto di specifica allegazione e di prova, dovendo necessariamente consistere in un profilo consequenziale rispetto al fatto dannoso denunciato (non potendo esaurirsi nella figura del c.d. danno-evento, ossia in re ipsa) (Cass., sez. III, ord. 10 luglio 2023, n. 19551; Cass., sez. III, 13 ottobre 2016, n. 20643; Cass., sez. III, ord. 18 novembre 2022, n. 34026).

Nel caso all’esame, sul punto, giova sottolineare come nella specie il Tribunale ha avuto cura di evidenziare che la divulgazione di informazioni in violazione degli obblighi di riservatezza e di privacy avvenuta in modo illegittimo (in particolare, circa gli aspetti inerenti allo stato di salute e alla vita sessuale della odierna parte ricorrente, nonché alle prestazioni sanitarie cui era stata sottoposta, e alle coordinate bancarie del coniuge su cui accreditare il rimborso ottenuto) determinò l’odierna azienda controricorrente a provvedere in un tempo brevissimo (nelle ore immediatamente successive alla pubblicazione) ad oscurare i dati sensibili presenti nel testo diffuso.

Di conseguenza, il Tribunale ha correttamente considerato il complesso degli elementi istruttori documentali e testimoniali acquisiti ed è pervenuto alla quantificazione e liquidazione del danno in via equitativa, in modo unitario e omnicomprensivo e proporzionato al danno di natura non patrimoniale subìto in concreto dalla parte ricorrente.

Per tale motivo, il ricorso è inammissibile.

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI:

-Conformi:  Cass., sez. III, 31 gennaio 2019, n. 2788; Cass., sez. III, 21 luglio 2017, n. 21939; Cass., sez. III, ord. 10 luglio 2023, n. 19551; Cass., sez. III, 13 ottobre 2016, n. 20643; Cass., sez. III, ord. 18 novembre 2022, n. 34026

-Difformi:   Cass., sez. III, 27 dicembre 2014, n. 1608

*Contributo in tema di “Violazione del diritto alla riservatezza e risarcimento del danno”, a cura di Manuel Mazzamurro e Incoronata Monopoli, estratto da Obiettivo Magistrato n. 75 / Giugno 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

stop obbligo vaccinale minori

Stop all’obbligo vaccinale Un emendamento al decreto liste d'attesa elimina l'obbligo vaccinale per i minori d'età fino a 16 anni per determinate malattie

Decreto liste d’attesa: l’emendamento sull’obbligo vaccinale

Durante la fase di conversione del decreto legge del 7 giugno 2024 n. 73, finalizzato a ridurre la durata delle liste di attesa, dall’ordine del giorno del 3 luglio 2024 della decima Commissione permanente che si occupa anche della materia sanitaria, a pag. 58, emerge un emendamento sulla abolizione dell’obbligo vaccinale presentato dal senatore legista Claudio Borghi.

Leggi anche Liste d’attesa: il piano del governo

L’obbligo vaccinale viola l’art. 32 della Costituzione

Con l’emendamento 3.0.7 il senatore modifica l’articolo 1 e sopprime il comma 3 dell’articolo 3 e il comma 5 dell’articolo 3 bis del decreto legge n. 73 del 7 giugno 2017, convertito con modifiche dalla legge n. 119/2017.

La proposta di modifica tiene conto della situazione attuale degli obblighi vaccinali come regolamentata nel nostro paese rispetto al panorama normativo nazionale e internazionale.

L’obbligo vaccinale contemplato dal nostro ordinamento si porrebbe in contrasto con l’articolo 32 della Costituzione per quanto riguarda il tema dei trattamenti sanitari obbligatori.

L’emendamento proposto vuole bilanciare i vari interessi in gioco e meritevoli di tutela che emergono dalla legge sui vaccini come il diritto allo studio, all’inclusione sociale, alla salute e all’uguaglianza.

Come cambia il decreto n. 73/2017 sulla prevenzione vaccinale

In base alla proposta di emendamento il nuovo comma 1 bis dell’articolo 1del decreto legge n. 73/2017, che al primo comma elenca gli obblighi vaccinali obbligatori e gratuiti previsti in base agli obblighi assunti in sede europea e internazionale potrebbe assumere il seguente tenore letterale:

“Agli stessi fini di cui al comma 1, per i minori di età compresa tra zero e sedici anni e per tutti i minori stranieri non accompagnati sono altresì  gratuite e raccomandate (e non più obbligatorie), in base alle specifiche indicazioni del Calendario vaccinale nazionale relativo a ciascuna coorte di nascita, le vaccinazioni di seguito indicate:

  1. anti-morbillo;
  2. anti-rosolia;
  3. anti-parotite;
  4. anti-varicella.”

Il secondo periodo del comma 2 invece potrebbe prevedere che:“Conseguentemente il soggetto immunizzato adempie all’obbligo vaccinale di cui al presente articolo, (soppressa la frase: “di norma e comunque nei limiti delle disponibilità del Servizio sanitario nazionale”), con vaccini in formulazione monocomponente o combinata in cui sia assente l’antigene per la malattia infettiva per la quale sussiste immunizzazione.” 

Al comma 3 al termine “pediatra di libera scelta” verrebbe aggiunto il termine “o dal medico specialista”: “Salvo quanto disposto dal comma 2, le vaccinazioni di cui al comma 1 (e al comma 1-bis) possono essere omesse o differite solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta o dal medico specialista.

Gli obblighi soppressi

Sarebbero infine soppressi:

  • il comma 3 dall’articolo 3 che così recita: “Per i servizi educativi per l’infanzia e le scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie, la presentazione della documentazione di cui al comma 1 costituisce requisito di accesso. Per gli altri gradi di istruzione (e per i centri di formazione professionale regionale), la presentazione della documentazione di cui al comma 1 non costituisce requisito di accesso alla scuola o ( al centro ovvero agli esami);
  • Il comma 5 dall’articolo 3 bis che dispone: Per i servizi educativi per l’infanzia e le scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie, la mancata presentazione della documentazione di cui al comma 3 nei termini previsti comporta la decadenza dall’iscrizione. Per gli altri gradi di istruzione e per i centri di formazione professionale regionale, la mancata presentazione della documentazione dì cui al comma 3 nei termini previsti non determina la decadenza dall’iscrizione né impedisce la partecipazione agli esami.”

In pratica la mancata presentazione della documentazione comprovante l’adempimento degli obblighi vaccinali:

  • non sarebbe più requisito di accesso alle scuole ai servizi e alle scuole dell’infanzia;
  • non comporterebbe più la decadenza dall’iscrizione per i servizi educativi per l’infanzia e le scuole dell’infanzia, incluse quelle private non paritarie.
esonero contributi reddito cittadinanza

Niente contributi per chi assume beneficiari reddito di cittadinanza L'INPS ha pubblicato le istruzioni per le aziende che intendono fruire dell'esonero contributivo del 100% per l'assunzione di beneficiari del reddito di cittadinanza

Assunzione beneficiari reddito di cittadinanza

Via libera all’esonero contributivo per chi assume i beneficiari del reddito di cittadinanza. L’INPS ha infatti pubblicato le istruzioni per le aziende che intendono fruire dell’agevolazione con la circolare n. 75/2024 del 28 giugno scorso.

Esonero contributi: come funziona

E’ stata la legge di bilancio 2023 a prevedere un esonero del 100% dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro privati che assumono i beneficiari del reddito di cittadinanza.

L’esonero contributivo è riconosciuto – al massimo per 12 mesi e nel limite di 8.000 euro annui – ai datori di lavoro privati che, dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023, assumano i percettori del RdC con contratto a tempo indeterminato o trasformino i contratti da tempo determinato a indeterminato.

L’esonero, spiega l’INPS, non si applica ai rapporti di lavoro domestico.

Le istruzioni INPS

La circolare INPS 28 giugno 2024, n. 75 illustra l’esonero contributivo e fornisce le indicazioni per la gestione degli adempimenti previdenziali.

In particolare, la circolare definisce:

  • i datori di lavoro che possono accedere al beneficio;
  • i rapporti di lavoro incentivati;
  • l’assetto e la misura dell’incentivo;
  • le condizioni di spettanza dell’incentivo;
  • le compatibilità con la normativa in materia di aiuti di Stato;
  • il coordinamento con altri incentivi;
  • le modalità di esposizione dei dati relativi alla fruizione dell’esonero nel flusso UNIEMENS.
decreto coesione legge

Decreto coesione: in vigore dal 7 luglio In vigore dal 7 luglio, la legge di conversione del decreto coesione approvato in via definitiva dalla Camera che prevede una serie di misure per rimettere in moto il Sud Italia

Decreto coesione: cosa prevede

Nella giornata di martedì 2 luglio 2024 la Camera ha approvato definitivamente il testo di conversione del decreto coesione (decreto legge n. 60/2004), che contiene disposizioni urgenti sulle politiche di coesione europea.

Il testo della nuova legge (n. 95/2024), recante “ulteriori disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione” è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 6 luglio per entrare in vigore il giorno successivo.

La legge è composta da 50 articoli e al Titolo I contiene le misure di riforma della politica di coesione in materia di utilizzo delle risorse, di semplificazione amministrativa e contabile, di rafforzamento della capacità amministrativa, di sviluppo e coesione territoriale, di lavoro, di istruzione, università e ricerca, di investimenti, di cultura e di sicurezza.

Il Titolo II invece contiene disposizioni ulteriori relative al piano nazionale di ripresa e resilienza.

Vediamo le misure più importanti e significative della nuova legge.

Gli interventi per il lavoro

Il Parlamento ha autorizzato il MIT (Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti) ad assumere personale con contratto a tempo indeterminato:

  • 100 unità andranno ad arricchire l’aria elevata professionalità;
  • 300 unità saranno destinate all’area funzionari;
  • 150 unità invece all’area assistenti.

Autorizzata anche la procedura concorsuale per assumere 245 segretari comunali e provinciali.

Iscro

Per accedere all’ISCRO non sarà più necessario partecipare ai vari percorsi di aggiornamento professionale. I beneficiari dell’ISCRO inoltre potranno autorizzare l’INPS a trasmettere i propri dati di contatto alle piattaforme che attivano misure di inclusione sociale e di politica attiva come il SIISL (sistema informativo unitario delle politiche del lavoro) al fine sottoscrivere il patto di attivazione digitale necessario per il successivo patto lavoro e per l’assegno di inclusione sociale.

Scadenze e sgravi

Cambiano le scadenze delle convenzioni per l’utilizzo dei lavoratori socialmente utili, che vengono prorogate al 31 dicembre 2024.

Incrementato di 9 mesi il termine per l’operatività delle agenzie che somministrano il lavoro in porto.

Incrementato il fondo di solidarietà per il settore del trasporto aereo e aeroportuale.

Previsti sgravi ed esoneri contributivi transitori per  i datori di lavoro che assumeranno stabilmente lavoratori nei settori strategici e che assumeranno donne in difficoltà per favorire le pari opportunità.

Le misure per gli enti

Istituita la zona logistica semplificata anche nelle aree portuali delle regioni (Marche Umbria e Abruzzo) non comprese nella ZES Unica.

Premi per le Regioni e le Province autonome che porteranno a compimento rapidamente gli interventi nei settori strategici della coesione.

Dal 2024 al 2028 sono previsti contributi annuali di 5 milioni di euro per la fusione dei comuni.

Nuovi stanziamenti per il Ministero dell’Università e della ricerca e per il Ministero dell’interno.

Nuove risorse verranno destinate anche alla perequazione infrastrutturale del Mezzogiorno e in particolare in favore delle seguenti Regioni: Abruzzo, Basilicata, Campania, Calabria, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna. Gli interventi riguarderanno strade, autostrade, ferrovie, porti, aeroporti, risorse idriche, strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche e deputate alla cura dell’infanzia.

Fonti rinnovabili e bonus

Il provvedimento vuole recuperare importanti siti industriali. A tal fine definisce le procedure per individuare i criteri di selezione degli investimenti da attuare nelle regioni del sud Italia e in particolare in Basilicata, Calabria,  Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia per produrre energia, anche termica da fonti rinnovabili da destinare all’autoconsumo delle imprese, ma anche per incrementare la capacità della rete distributiva, accogliere quote sempre più elevate di energia derivante da fonti rinnovabili e sviluppare i sistemi di stoccaggio sempre più efficienti.

Sicurezza

La nuova legge vuole rafforzare la legalità nelle regioni meno sviluppate. Si autorizza inoltre il Ministero dell’Interno a mettere in atto piani di intervento per completare il servizio di telecomunicazione sull’intero territorio nazionale dando priorità di copertura ai territori che saranno protagonisti dei giochi olimpici invernali del 2026.

Nello stato di previsione del Ministero della difesa inoltre è istituito un fondo per potenziare la cybersicurezza e le tecnologie satellitari.

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