condominio amministratore revocato rieletto

Condominio: l’amministratore revocato può essere rieletto Il tribunale di Tempio Pausania ricorda che il divieto di rieleggere l'amministratore revocato dal giudice è solo temporaneo

Amministratore revocato dal giudice

Il divieto di nomina dell’amministratore di condominio revocato dal giudice ha carattere temporaneo e non comprime in via definitiva il diritto dello stesso di ricevere nuovamente l’incarico. E’ quanto precisato dal tribunale di Tempio Pausania, con la sentenza n. 126/2024.

La vicenda

Nella vicenda, alcuni condomini impugnavano la delibera assembleare avente ad oggetto la rielezione del precedente amministratore, revocato con sentenza della Corte d’appello, in quanto adottata in violazione del comma 13 dell’art. 1129 del codice civile.

Il condominio, dal canto suo, si costituiva e contestava quanto dedotto dagli attori, chiedendo il rigetto del ricorso.

Amministratore revocato divieto di nomina temporaneo

Il giudice pronunciandosi sull’eccezione di parte attrice concernente la violazione del co. 13 dell’art. 1129 c.c., ha affermato preliminarmente che “la giurisprudenza è ormai consolidata nell’affermare che il divieto di nomina dell’amministratore revocato dal tribunale è temporaneo e non comprime definitivamente il diritto dello stesso di ricevere l’incarico, rilevando soltanto per la designazione assembleare immediatamente successiva al decreto di rimozione”.

Il divieto di nomina, posto dal riformato art. 1129 co. 13 c.c., “funziona, in realtà, nei confronti dell’assemblea – ha proseguito il tribunale – precludendole di eludere la revoca giudiziale con una delibera che riconfermi l’amministratore rimosso dal tribunale, e ciò pure se siano ormai venute meno le ragioni che avevano determinato la sua revoca (cfr. Cass. 23743/2020)”.

La decisione

Nel caso di specie, a seguito della revoca, la funzione di amministratore è stata esercitata per due annualità da un altro soggetto, con la conseguenza che la rielezione avvenuta con la delibera impugnata appare perfettamente legittima. Del resto, conclude il giudicante rigettando il ricorso, l’operato dell’amministratore “rimane inevitabilmente soggetto al giudizio dell’assemblea condominiale, unico vero controllore dell’attività dell’amministratore, la quale potrà decidere di non rinnovare alla scadenza il mandato affidatogli, o anche prima di tale data potrà deliberare la sua revoca”.

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corruzione di minorenni reato

Corruzione di minorenni: il reato ex art. 609-quinquies c.p. Il reato di corruzione di minorenni (art. 609-quinquies c.p.) è punito con la reclusione da uno a cinque anni

Corruzione di minorenni: interesse tutelato e normativa

A seguito dei correttivi operati sulla previsione di cui all’art. 609-quinquies c.p. dalla L. 172/2012, successivamente dal D.Lgs. 39/2014, nonché, da ultimo, dalla L. 238/2021 (cd. Legge europea 2019-2020), la norma in esame consta di quattro commi, i primi due costituenti le figure-base della fattispecie, mentre il terzo e quarto configurazioni aggravate.

In particolare, ai sensi della disposizione in commento, risponde penalmente chiunque compie atti sessuali in presenza di persona minore di anni quattordici, al fine di farla assistere (comma 1), nonché chiunque fa assistere una persona minore di anni quattordici al compimento di atti sessuali, ovvero mostra alla medesima materiale pornografico, al fine di indurla a compiere o a subire atti sessuali (comma 2).

Il bene giuridico tutelato nel delitto di corruzione di minorenni consiste nella salvaguardia di un sereno sviluppo psichico della sfera sessuale di soggetti di età minore, che non deve essere turbato dal trauma che può derivare dall’assistere ad atti sessuali compiuti con ostentazione da altri.

Corruzione di minorenni: l’ipotesi di cui al comma 1

Come anticipato, il comma 1 della disposizione sanziona penalmente chiunque compie atti sessuali in presenza di persona minore di anni quattordici, al fine di farla assistere.

L’elemento oggettivo di tale configurazione consiste nel compimento di atti sessuali in presenza del minore. Appare condivisibile quella dottrina che ritiene che la pura e semplice esibizione degli organi genitali al minore, qualunque sia la sua finalizzazione, non costituisca compimento di «atti sessuali» in senso stretto.

Per converso, in giurisprudenza si afferma che nella nozione di atto sessuale rilevante ai fini della configurabilità del reato in esame rientra qualsiasi comportamento, anche di mero intenzionale esibizionismo, collegabile alle manifestazioni della vita sessuale.

Basta la presenza del minore

Occorre, poi, sottolineare che il delitto in esame richiede la sola presenza del minore: infatti, se gli atti sessuali coinvolgono direttamente il minore infraquattordicenne, ovvero di età compresa fra i quattordici ed i sedici anni, se legato dai vincoli di parentela o di familiarietà all’agente previsti dall’art. 609quater, comma 1, n. 2), ricorrerà il reato di atti sessuali con minorenne.

È opportuno precisare che a differenza della fattispecie di cui all’art. 609bis, ai fini della sussistenza del reato di corruzione assumono rilievo anche gli atti di bestialità o necrofilia commessi alla presenza di un minore.

La rilevanza del consenso del minore

Si pone, infine, il problema della rilevanza o meno del consenso del minore. In particolare, se il minore volontariamente assiste al compimento di atti sessuali, non ricorrono i presupposti per l’applicazione della causa di giustificazione di cui all’art. 50 c.p. (atteso che il consenso proviene da persona incapace di prestarlo consapevolmente); se, invece, il minore infraquattordicenne viene costretto ad assistere agli atti sessuali ricorrerà tanto il reato di cui all’art. 609quinquies, tanto il reato mezzo commesso per coartare la volontà del minore (violenza privata, minaccia, sequestro di persona).

Esibizione di foto pedopornografiche

Ai fini della configurabilità del delitto, inoltre, è sufficiente l’esibizione, a persona minore degli anni 14, di foto pedopornografiche (ad esempio, minori con genitali in mostra), in modo tale da coinvolgere emotivamente la persona offesa e compromettere la sua libertà sessuale. Si afferma, altresì, che il delitto sia configurabile anche nel caso in cui tali atti, pur compiuti a distanza, siano condivisi con il minore mediante videochat, nel corso della loro commissione, posto che il mezzo di comunicazione telematica, volutamente utilizzato dall’agente, consente di ritenere gli atti commessi in presenza della persona offesa (Cass. 12-4-2023, n. 15261).

Corruzione di minorenni: l’ipotesi di cui al comma 2

Si è detto come, ai sensi del comma 2 della disposizione in commento, è sanzionato penalmente chiunque fa assistere una persona minore di anni quattordici al compimento di atti sessuali, ovvero mostra alla medesima materiale pornografico, al fine di indurla a compiere o a subire atti sessuali.

Trattasi di figura inedita, introdotta dalla L. 172/2012, nota come legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote, ed avente carattere sussidiario, in quanto configurabile solo ove il fatto non costituisca più grave reato.

In particolare, attraverso tale disposto si sono ampliati i margini di tutela del minore, inserendo nella norma condotte oggettivamente più gravi. Se, infatti, in entrambe le configurazioni-base, il disvalore del reato si sostanzia essenzialmente nel fatto che un minore assista al compimento di atti sessuali, privo del necessario «bagaglio» di maturità psico-fisica, nella prima figura tale situazione costituisce lo scopo perseguito dal reo, mentre nella seconda la medesima situazione, come anche il mostrare materiale pornografico, sono finalizzati ad indurre il minore a compiere o subire atti sessuali.

Si tratta di un autonomo delitto comune doloso, la cui configurazione sostanzialmente colma lacune di tutela, in più occasioni, segnalate, presenti nella previgente corruzione di minorenni, della quale peraltro ripropone il medesimo trattamento sanzionatorio per come rimodulato dalla novella del 2012. Si afferma in giurisprudenza che le condotte poste in essere mediante comunicazione telematica – pur svolgendosi in assenza di contatto fisico con la vittima – sono riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 609quinquies, comma 2, c.p., poiché il far assistere persona minore di anni 14 al compimento di atti sessuali o il mostrare alla medesima materiale pornografico al fine di indurla a compiere o a subire atti sessuali non richiede necessariamente la presenza fisica degli interlocutori (si pensi all’invio di materiale pornografico a mezzo di «whatsapp») (Cass. 11-5-2020, n. 14210).

Figure circostanziali aggravanti

La novità disciplinare dovuta, invece, al D.Lgs. 39/2014 si traduce nella previsione di talune figure circostanziali aggravanti. In particolare, per effetto del neointrodotto comma 3 della disposizione in esame, si prevede un incremento sanzionatorio, nel caso in cui il fatto sia commesso da più persone riunite, da persona che fa parte di un’associazione per delinquere e al fine di agevolarne l’attività, o con violenze gravi, ovvero ancora se dal fatto deriva al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave.

Il novero di tali figure circostanziali è stato, da ultimo, integrato dalla cd. Legge europea 2019-2020, al caso in cui dal fatto deriva pericolo di vita per il minore. 

Come già per le fattispecie di cui agli artt. 602ter e 609ter, il legislatore opera analogo correttivo anche in relazione al delitto che si esamina. Ancora una volta, a trovare attuazione è il disposto dell’art. 9, lett. f) della Direttiva 2011/93/UE, il quale prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché sia considerata quale aggravante, con riferimento ai reati sessuali su minori (specificamente indicati negli artt. da 3 a 7 della direttiva stessa) la circostanza per la quale «l’autore del reato, deliberatamente o per negligenza, ha messo in pericolo la vita del minore».

Sempre nel novero delle aggravanti rientra la norma (stavolta dovuta alla L. 172/2012) applicabile al caso in cui il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato, o che abbia con quest’ultimo una relazione di stabile convivenza.

Elemento soggettivo

Sul piano soggettivo, in entrambe le configurazioni (quella originaria e quella frutto dei correttivi del 2012) rileva il dolo specifico, dovendo la cosciente e volontaria realizzazione delle condotte tipizzate essere finalizzata nei modi anzidetti. Si ritiene in giurisprudenza che tale dolo specifico sia incompatibile con la configurazione eventuale.

Si è precisato, altresì, che il delitto di corruzione di minorenne commesso mediante esibizione di materiale pornografico è caratterizzato, stante il fine di indurre il minore infraquattordicenne a compiere o subire atti sessuali, dal dolo specifico, la cui sussistenza può essere desunta anche dalle circostanze di tempo e luogo della condotta, laddove indicative delle specifiche finalità dell’atto (Cass. 2-8-2022, n. 30435).

Consumazione e tentativo

Il delitto si consuma col compimento degli atti sessuali alla presenza del minore. Il tentativo appare senz’altro configurabile. Si configura il reato anche nel caso di una presenza temporanea del minore in occasione dello svolgimento di un rapporto sessuale tra adulti.

Pena e procedibilità

La pena è la reclusione da 1 a 5 anni per le due configurazioni di base, aumentata fino ad un terzo, per l’ipotesi aggravante di cui al comma 3, e fino alla metà per quella di cui al comma 4.

L’arresto in flagranza è facoltativo mentre il fermo non è consentito.

Si procede d’ufficio e la competenza spetta al Tribunale monocratico.

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cassa forense piattaforma avvocati

Cassa Forense: è nata la piattaforma per gli avvocati Nasce da oggi 18 luglio la piattaforma digitale unificata per gli avvocati (PDUA). Militi (Cassa Forense): "Un'idea condivisa da tutte le componenti dell'avvocatura"

PDUA al via

Cassa Forense abilita da oggi la piattaforma per gli avvocati (PDUA). “Dalle ore 13 di oggi tutti i colleghi potranno autenticarsi e accedere a tutti i servizi del pianeta giustizia”, attraverso la nuova Piattaforma digitale unificata degli avvocati, realizzata da Cassa forense”. E’ quanto ha annunciato poco fa il presidente dello stesso Ente di previdenza professionale Valter Militi, alla presenza, tra gli altri, del sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari e del presidente del Consiglio nazionale forense Francesco Greco, nel corso della presentazione del nuovo servizio gratuito per gli iscritti.
Si tratta, ha proseguito il vertice dell’Istituto pensionistico dei 236.946 legali, di “un’idea condivisa da tutta l’avvocatura. La tecnologia sta cambiando il modo di svolgere la nostra attività professionale”, così, ha incalzato Militi, il ministero di via Arenula “ci ha dato una mano nel realizzare questa infrastruttura digitale”.

Cosa si può fare con PDUA

Con PDUA si può, tra l’altro, si ricorda, “accedere ai dati e ai documenti in qualunque momento e ovunque, da qualsiasi dispositivo, anche smartphone e tablet, fruire di uno spazio personale ‘cloud storage’, dove creare, consultare e scaricare i fascicoli, le anagrafiche dei clienti, delle controparti e dei difensori, effettuare ricerche rapide all’interno del sistema grazie ai filtri di ricerca avanzati”, nonché “gestire il processo civile telematico, consultare i registri di cancelleria e, con il redattore, compilare gli atti ed effettuarne il deposito”. Disponibile anche l’agenda sincronizzata e una vetrina per le software house.

Avvocatura adeguata ai tempi

Per il presidente del CNF, Greco, “l’avvocatura non può restare inerte” dinanzi ai cambiamenti generali, “non può rimanere quella che era negli anni ’80, ’90, ma neppure nel 2012, quando fu approvata la riforma della professione forense – per cui occorre – adeguarsi ai tempi, altrimenti rischiamo di rimanere fuori, rispetto ad una società che si evolve”.

giurista risponde

Legittimazione opposizione a decreto ingiuntivo nei confronti del condominio A chi appartiene la legittimazione a opporsi ad un decreto ingiuntivo emesso contro il Condominio per debiti derivanti dalla gestione dei beni comuni?

Quesito con risposta a cura di Manuel Mazzamurro e Incoronata Monopoli

 

Il singolo condomino non ha autonoma legittimazione a proporre opposizione a decreto ingiuntivo emesso a carico del condominio per i debiti derivanti dalla gestione dei beni comuni, spettando essa unicamente all’amministratore. – Cass., sez. II, 15 marzo 2024, n. 7053.

Nel caso di specie la Suprema Corte è stata chiamata a valutare la legittimazione del singolo condomino a proporre opposizione a decreto ingiuntivo emesso nei confronti del condominio.

In primo e secondo grado era stata rigettata l’opposizione formulata dal singolo condomino per un decreto ingiuntivo relativo a lavori di manutenzione del condominio. In particolare, in secondo grado il Giudice di Appello precisava che solo il condominio poteva opporsi al decreto ingiuntivo, sussistendo per il singolo condomino una legittimazione autonoma nelle controversie in materia di diritti reali concernenti le parti comuni dell’edificio condominiale.

Viene proposto quindi ricorso per Cassazione, contestando la violazione dei principi in materia di condominio. In particolare, si obiettava che la presenza dell’amministratore non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a tutela dei propri diritti, sicché essi non possono considerarsi terzi rispetto a pretese vantate nei confronti del condominio.

La Suprema Corte, nella decisione de qua, rigettando il ricorso, ha evidenziato che, nelle controversie condominiali, la legittimazione ad agire può essere riconosciuta ai singoli condomini solo nel caso in cui la lite investa il diritto degli stessi sulle parti comuni dell’edificio (così anche Cass. 24 luglio 2023, n. 22116).

Viceversa, quando la controversia non ha ad oggetto la tutela o l’esercizio di diritti reali su parti o servizi comuni, ma posizioni di natura obbligatoria volte a soddisfare esigenze comuni della collettività condominiale, la legittimazione spetta al solo amministratore, potendo il singolo condomino svolgere intervento adesivo dipendente (così anche Cass. 12 dicembre 2017, n. 29748).

Tuttavia, si evidenzia che sul punto vi è anche recente orientamento che ha riconosciuto al condomino al quale sia intimato il pagamento di una somma di danaro in base ad un decreto ingiuntivo non opposto ottenuto nei confronti del condominio, la disponibilità dei rimedi dell’opposizione a precetto e dell’opposizione tardiva al decreto (cfr. Cass. 22 febbraio 2022, n. 5811).

Nel caso di specie, il singolo condomino ha proposto opposizione rispetto ad un decreto ingiuntivo derivante da lavori di manutenzione delle parti comuni del condominio, la cui legittimazione è solo del condominio nella persona dell’amministratore. Per tale motivo, la Cassazione ha rigettato il ricorso e confermato la pronuncia della Corte d’Appello.

Precedenti giurisprudenziali:

Conformi: Cass., sez. III, 24 luglio 2023, n. 22116; Cass., sez. II, 12 dicembre 2017, n. 29748

Difformi: Cass., sez. VI, 22 febbraio 2022, n. 5811

*Contributo in tema di “Legittimazione a proporre opposizione a decreto ingiuntivo”, a cura di Manuel Mazzamurro e Incoronata Monopoli, estratto da Obiettivo Magistrato n. 75 / Giugno 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

Autovelox: basta la segnalazione Per la Cassazione, non è necessario che il cartello segnali che l'apparecchio rilevi la velocità media del veicolo

Autovelox: è sufficiente che il cartello lo segnali

Per l’autovelox basta la segnalazione. L’obbligo è assolto, infatti, se il cartello avverte che la strada è sottoposta al controllo elettronico della velocità, senza necessità di dover specificare che l’apparecchiatura effettua il calcolo della velocità media. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 19377-2024.

Autovelox non segnalato

Una società si oppone al verbale con cui le è stata contestata, a un automezzo di sua proprietà, la violazione del superamento del limite di velocità su un tratto di strada. Il ricorso viene rigettato dal Giudice di Pace. La società appella la decisione e il tribunale annulla la sanzione. Per il giudice dell’impugnazione la violazione è stata accertata con un’apparecchiatura elettronica che misura la velocità dei veicoli in relazione alla velocità media tenuta in un determinato tratto stradale. Questa caratteristica di rilevamento però non è stata adeguatamente segnalata agli automobilisti. Il cartello riporta infatti solo la dicitura “controllo elettronico della velocità”, senza fare alcun riferimento al calcolo della velocità media. La rilevazione della velocità effettuata in questo modo quindi è illegittima perché:

  • non preceduta da idonea segnalazione, come previsto dall’articolo 142, comma 6 del codice della strada;
  • l’apparecchio ha preso in considerazione due punti del tratto stradale, uno iniziale e uno finale, di cui però solo il primo può essere visibile.

A dire della ricorrente, il controllo basato sulla velocità media non è idoneo a invitare i conducenti alla prudenza e neppure a far affidamento sul controllo elettronico, che normalmente viene eseguito su un punto fisso.

Cartello autovelox deve segnalare solo controllo velocità

Il Comune opposto contesta la decisione del Tribunale e la Cassazione accoglie il ricorso.

Per gli Ermellini il Tribunale ha errato nel considerare inadeguato il cartello di segnalazione dell’apparecchio elettronico per il rilevamento della velocità per la mancata indicazione del controllo mediante il calcolo della velocità media.

Tale ragionamento non può essere condiviso perché non è conforme alla normativa in materia.

Il codice della strada consente infatti l’utilizzo delle apparecchiature elettroniche per il controllo della velocità anche per calcolare la velocità media su determinati tratti di strada, stabilendo che le stesse debbano essere segnalate con impiego di cartelli o dispositivi luminosi.

Per la legge quindi l’uso di questi apparecchi richiede solo un’adeguata segnalazione. La normativa non prevede regole distinte per gli apparecchi che rilevano la velocità media su determinati tratti stradali e quelli che compiono il controllo su un punto fisso.

L’obbligo di segnalazione pertanto deve ritenersi soddisfatto quando è presente un cartello che avverte che quel tratto di strada è sottoposto al controllo elettronico della velocità, senza ulteriori specificazioni.

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Allegati

pensioni anticipate termini

Pensioni anticipate: i nuovi termini di decorrenza Pensioni anticipate 2024: alla luce delle novità introdotte dalla legge di bilancio, l'Inps comunica i nuovi termini di decorrenza

Pensioni anticipate: le novità della legge di bilancio 2024

Pensioni anticipate e nuovi termini di decorrenza. E’ quanto comunica l’Inps con apposita circolare illustrando le novità della legge di bilancio 2024 che ha introdotto modifiche significative alle pensioni anticipate degli statali, con l’introduzione di nuove aliquote di rendimento, un meccanismo di rivalutazione per alcune categorie di lavoratori e nuove regole per le decorrenze.

La circolare INPS n. 78 del 3 luglio 2024 premette innanzitutto che la manovra (l. n. 213/2023) ha introdotto importanti novità per le pensioni anticipate 2024 in Italia, in particolare per quelle erogate dalle Casse pensioni per gli enti locali (CPDEL), per il personale sanitario (CPS), per gli insegnanti dell’asilo e delle scuole elementari (CPI) e per gli ufficiali giudiziari (CPUG).

In sostanza si tratta degli iscritti alle casse della ex INPDAP, ossia l’istituto nazionale per la previdenza dei dipendenti della pubblica amministrazione.

Nuove aliquote di rendimento per il sistema retributivo

Alle pensioni anticipate calcolate con il sistema retributivo e con anzianità contributiva inferiore a 15 anni al 31.12.1995, si applica l’aliquota prevista nella tabella dell’allegato II della legge di bilancio 2024.

Alle quote di pensione liquidate invece in base al sistema retributivo che si riferiscono ad anzianità pari o superiori a 15 anni al 31.12.1995 si applicano invece le aliquote di rendimento contenute nell’allegato a) della legge n. 965/1965 e le aliquote di cui alla tabella a) allegata alla legge n. 16/1986 solo per gli iscritti CPUG.

Le nuove aliquote di rendimento previste dalla legge di bilancio 2024 si applicano per la liquidazione della pensione anticipata art. 24 comma 10 del decreto legge n. 201/2011 e a quella dei lavoratori precoci art. 17 comma 1 del decreto legge n. 4/2019.

Le nuove regole non possono determinare un aumento del trattamento pensionistico rispetto a quello vigente prima della entrata in vigore della legge di bilancio 2024.

Riduzione per infermieri e personale CPDEL

Per gli infermieri iscritti alla CPS e per il personale che cessa dal servizio come infermiere iscritto alla CPDEL, la riduzione della pensione anticipata derivante dalle nuove aliquote è mitigata da un meccanismo di rivalutazione: la pensione diminuisce di un trentesimo per ogni mese di posticipo dell’accesso al pensionamento rispetto alla prima data utile.

Esclusioni dalla nuova disciplina

Le nuove aliquote di rendimento previste dalla legge di bilancio 2024 non si applicano:

  • a coloro che maturano i requisiti per la pensione entro il 31 dicembre 2023;
  • a chi cessa dal servizio per raggiunti limiti di età o di servizio;
  • a chi è collocato a riposo d’ufficio per raggiunta anzianità massima di servizio.

Effetti sul riscatto dei periodi contributivi

Per le domande di riscatto presentate a partire dal 1° gennaio 2024, l’onere di riscatto dei periodi da valutare nel sistema retributivo è determinato utilizzando le nuove aliquote di rendimento.

Modifiche alle decorrenze della pensione anticipata

Per le pensioni anticipate di cui all’articolo 24, comma 10, del decreto-legge n. 201/2011 e per le pensioni per lavoratori precoci di cui all’articolo 17, comma 1, primo periodo, del decreto-legge n. 4/2019, sono introdotte nuove decorrenze, con periodi di attesa che variano da 3 a 9 mesi a seconda dell’anno di maturazione dei requisiti contributivi ossia se il diritto è maturato entro il 31 dicembre del 2024, 2025, 2026, 2027 o 2028.

Le nuove decorrenze non si applicano alle pensioni anticipate e ai lavoratori precoci con il cumulo dei periodi assicurativi.

 

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misure protettive cautelari crisi impresa

Misure protettive e cautelari nella composizione negoziata della crisi d’impresa Quali sono le misure protettive e cautelari previste dal legislatore nel "percorso" della composizione negoziata della crisi d'impresa

La composizione negoziata della crisi d’impresa

Nell’ambito del “percorso” della composizione negoziata [1] il legislatore ha previsto, come accade per il procedimento (recte: i procedimenti) volto (i) all’accesso ad uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza o all’apertura di una procedura d’insolvenza, le misure protettive e cautelari.

Esse non differiscono, rispetto a quelle previste nell’ambito di queste ultime, sotto il profilo definitorio, occorrendo pur sempre fare riferimento all’art. 2 CCI, ma notevoli sono le differenze sotto il profilo sostanziale e processuale.

Le misure protettive

Quanto alle misure protettive, nell’ambito della composizione negoziata esse assolvono al compito di favorire il raggiungimento degli obiettivi di risanamento.

Ciò avendo a mente, la prima attività che si impone consiste nell’individuarle e nel qualificarle.

Ai sensi dell’art. 18, comma 1, CCI, “l’imprenditore può chiedere, con l’istanza di nomina dell’esperto o con successiva istanza presentata con le modalità di cui all’art. 17, comma 1, l’applicazione di misure protettive del patrimonio”, fermo restando che queste ultime non possono incidere sui diritti di credito dei lavoratori. In tal caso, dal giorno in cui è pubblicata l’istanza nel registro delle imprese “[…] i creditori interessati non possono acquisire diritti di prelazione se non concordati con l’imprenditore né possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa”.

L’art. 19 CCI, invece, dispone che dette misure, le quali iniziano ad operare automaticamente, debbono essere poi confermate o modificate dal tribunale competente su richiesta dello stesso imprenditore, la quale va avanzata con ricorso da depositarsi “[…] entro il giorno successivo alla pubblicazione dell’istanza e dell’accettazione dell’esperto […]”, pena la loro inefficacia.

Si tratta, dunque, in analogia con quanto disposto dall’art. 54 CCI, di misure cc.dd. “semi-automatiche” [2], in quanto “scattano” automaticamente ma per conservare i propri effetti richiedono un provvedimento del giudice [3]. Ciò sebbene il riferimento ad una “istanza” con cui si chiede la loro applicazione faccia pensare ad una preventiva valutazione giudiziale, la quale, invece, è, giova ribadire, richiesta solo per la conferma o la modifica [4].

A differenza di quanto statuito dall’art. 54 citato, invece, non è previsto che “[…] le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano”, mentre è contemplato il divieto di acquisire diritti di prelazione non concordati, misura c.d. “automatica” non presente nel suddetto articolo.

Le misure “selettive”

Il comma 3 dell’art. 18 CCI, poi, dispone che l’imprenditore può chiedere ab initio che l’applicazione delle misure protettive sia limitata a determinate iniziative intraprese dai creditori oppure a determinati creditori o categorie di creditori. Si tratta delle cc.dd. misure “selettive”, ossia limitate a determinati procedimenti esecutivi e cautelari, a determinati creditori oppure a determinati beni [5].

A differenza di quanto accade per le misure protettive collocate nella cornice del procedimento unitario, la “selezione” è operabile sia dall’imprenditore, con il ricorso, sia ex post dal tribunale, in quanto, ai sensi dell’art. 19, comma 4, CCI, il giudice, in sede di conferma, sentito l’esperto, “[…] può limitare le misure a determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti o a determinati creditori o categorie di creditori”. Ai sensi dell’art. 54 CCI, invece, le misure iniziali sono sempre erga omnes e le misure cc.dd. “selettive” sono solo “ulteriori”, nel senso che non possono essere chieste con la domanda ex artt. 40 o 44 CCI ma soltanto successivamente; inoltre, in sede di conferma il tribunale non può calibrarle in relazione al caso concreto. Ancora, sempre ai sensi dell’art. 54 CCI, le misure “ulteriori” sono “atipiche”, mentre nell’ambito della composizione negoziata la “selezione” opera pur sempre con riferimento alla misura “tipica” del blocco delle azioni esecutive e cautelari.

Quest’ultimo non impedisce eventuali pagamenti spontanei compiuti dall’imprenditore a favore dei creditori e ciò, ancora una volta, a differenza di quanto disposto dall’art. 54 CCI, che tace al riguardo [6].

I creditori nei cui confronti operano le misure protettive non possono, unilateralmente, rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti o provocarne la risoluzione, né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento dei loro crediti anteriori e possono solo sospendere l’adempimento dei contratti pendenti dalla pubblicazione dell’istanza di concessione fino alla conferma delle misure richieste.

Misura protettiva “automatica”

Anche in tale ipotesi viene in rilievo una misura c.d. “automatica” e vi è una differenza rispetto al “sistema” di cui all’art. 54 CCI, atteso che analoga disposizione non è ivi contenuta, essendo posta nell’ambito delle norme dedicate agli strumenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza.

In analogia rispetto a quanto previsto dal comma secondo dell’art. 54 CCI, fino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata della crisi non può essere pronunciata la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o di accertamento dello stato di insolvenza [7]: si tratta di una misura protettiva [8] cc.dd. “automatica”, in quanto produce effetti a prescindere dalla domanda dell’imprenditore.

Ciò non sembra escludere che la domanda di apertura della liquidazione giudiziale possa essere avanzata, ma pare vietare solo che la procedura sia aperta, il che pone il problema della sorte di tale domanda. Sembra doversi ritenere che la stessa rimanga “temporaneamente improcedibile”, in quanto può essere esaminata dal tribunale qualora vengano meno le misure protettive, vale a dire in ipotesi di revoca (art. 18, comma 4, CCI), di cessazione dei loro effetti (art. 19, comma 8, CCI), di pronuncia del decreto di inammissibilità del ricorso (art. 19, comma 3, CCI), della scadenza del termine massimo di durata (art. 19, comma 5, CCI) e della conclusione negativa del procedimento di composizione negoziata senza che vi sia il transito verso altro strumento che consenta di ottenere una ulteriore protezione del patrimonio.

L’art. 20 CCI completa il quadro delle misure protettive connesse alla composizione negoziata della crisi disponendo che l’imprenditore può anche dichiarare – sempre al fine di favorire il raggiungimento degli obiettivi di risanamento del suo squilibrio patrimoniale o economico-finanziario – che, dalla pubblicazione dell’istanza riguardante le misure protettive e fino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata, non si applicano nei suoi confronti gli artt. 2446, commi 2 e 3, 2447, 2482bis, commi 4, 5 e 6, e 2482-ter del codice civile, né la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale, di cui agli artt. 2484, comma 1, n. 4, e 2545duodecies cod. civ. [9]. Si tratta di una ulteriore misura protettiva c.d. “automatica” che del pari non è prevista dall’art. 54 CCI, ma da singole norme dedicate ai diversi strumenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza.

Da quanto esposto si evince che le misure protettive nell’ambito della composizione negoziata sono tutte “tipiche” [10], ivi compreso quelle cc.dd. “selettive”, e sono concesse sempre al fine di favorire il raggiungimento degli obiettivi di risanamento.

Le misure cautelari

Quanto alle misure cautelari, l’art. 19 CCI statuisce che, con il medesimo ricorso con cui si domanda la conferma delle misure protettive, l’imprenditore può chiedere “l’adozione dei provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative”.

Anche in tal caso è evidente la differenza con la cautela accordata dall’art. 54 CCI: mentre le misure cautelari previste da tale articolo sono funzionali ad assicurare il conseguimento degli effetti delle sentenze di omologazione o di apertura della liquidazione giudiziale, quelle collegate alla composizione negoziata sono funzionali a garantire il buon esito delle trattative per il risanamento dell’impresa.

Di qui due ulteriori differenze: per un verso, detti provvedimenti possono essere richiesti solo dal debitore, non dai creditori, e solo contestualmente [11] all’istanza di conferma o modifica delle misure protettive precedentemente “scattate”; per altro verso, si tratta di provvedimenti che, sebbene definiti cautelari, rispondono, nella sostanza, alla stessa finalità delle misure protettive, in quanto non si rinviene la tradizionale strumentalità al diritto da tutelare in sede di merito tipica dei provvedimenti cautelari poiché nella procedura di composizione negoziata manca del tutto il giudizio di merito nel quale il diritto inciso dal provvedimento verrà tutelato.

Siccome l’unica strumentalità è con il risanamento [12], mutano anche i canoni valutativi dei requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora connessi all’esercizio dell’azione cautelare: il primo va evidenziato in relazione all’obiettivo del risanamento ed il secondo in relazione ai possibili pregiudizi che tale obiettivo subirebbe qualora le misure cautelari richieste non venissero adottate [13].

Quanto al contenuto, occorre tenere conto del fatto che:

  • come si è detto, l’art. 18 CCI vieta ai creditori nei cui confronti operano le misure protettive di rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti o di modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento dei debiti anteriori, fermo restando che è possibile la sospensione del rapporto sino alla conferma della misura protettiva;
  • l’art. 16, comma 4, CCI esclude che l’accesso alla composizione negoziata sia causa di sospensione o revoca degli affidamenti bancari, salvo che tali decisioni dipendano da ragioni connesse con l’attuazione dei principi di vigilanza prudenziale cui le banche sono soggette.

Pertanto, non dovrebbe rientrare nel perimetro applicativo dell’art. 18, comma 5, CCI, la possibilità di imporre di proseguire un rapporto contrattuale ormai cessato per il decorso del suo naturale termine, in quanto tale norma si riferisce ai rapporti pendenti sino alla loro naturale scadenza [14]. Diversamente opinando, infatti, si imporrebbe un facere avente ad oggetto l’instaurazione di una nuova relazione giuridica, per cui la misura cautelare consentirebbe un esito che non sarebbe raggiungibile nemmeno in via contenziosa e non rappresenterebbe neppure un’anticipazione dell’eventuale percorso di ristrutturazione.

Dovrebbe ritenersi, invece, ammissibile la sospensione di contratti bancari di affidamento e di finanziamento “su fatture” con divieto per gli istituti di credito di estinguere, in qualsiasi forma contrattuale prevista, la propria posizione creditoria [15]. Ai sensi dell’art. 97 CCI, infatti, nel contratto di finanziamento bancario costituisce prestazione principale anche la riscossione diretta da parte del finanziatore nei confronti dei terzi debitori della parte finanziata, per cui è possibile lo scioglimento e la sospensione del contratto, fermo restando che, in caso di scioglimento, il finanziatore ha diritto di riscuotere e trattenere le somme corrisposte dai terzi debitori fino al rimborso integrale delle anticipazioni effettuate nel periodo compreso tra i centoventi giorni antecedenti il deposito della domanda di accesso di cui all’art. 40 CCI e la notificazione al contraente in bonis del provvedimento del tribunale che autorizza lo scioglimento. Ne consegue che la misura cautelare anticipa un effetto previsto da una norma.

Potrebbe ritenersi ammissibile anche la sospensione dei pagamenti in favore di creditori strategici e delle banche non disposti a trattare o ad addivenire a soluzioni concordate della crisi in sede di composizione negoziata, al fine di garantire i flussi di liquidità necessari per il risanamento aziendale, a condizione, però, che il dissenso sia “compensato” dal fatto che gli altri soggetti che detengono la maggioranza dei crediti non abbiano esplicitamente negato la disponibilità a trattare e sussistano i presupposti per il risanamento. In tal caso pare applicabile il citato art. 18 CCI che vieta la risoluzione del rapporto per il solo fatto dell’inadempimento e dunque la cautela è strumentale al buon fine delle trattative con gli altri creditori ed alla prosecuzione dell’attività aziendale.

Un problema si pone allorché sia stata avanzata domanda di apertura della liquidazione giudiziale con richiesta di provvedimenti cautelari: non è chiaro, infatti, se il tribunale possa esaminare la domanda cautelare. Sembra, tuttavia, doversi escludere questa possibilità, in quanto, come si è visto, opera il divieto di aprire la liquidazione giudiziale: le misure cautelari chieste nel procedimento che porta all’apertura di detta procedura hanno la finalità di salvaguardare il patrimonio dell’imprenditore in attesa della pronuncia della sentenza, la quale, però, non può essere pronunciata [16]. Inoltre, è evidente che la domanda del debitore relativa alle misure protettive finisce per paralizzare quella del creditore: una volta operante il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari, infatti, detta domanda non pare esaminabile, tanto è vero che l’art. 54, comma 2, CCI, dispone che “le misure cautelari possono essere concesse anche dopo la pubblicazione dell’istanza di cui all’art. 18, comma 1, tenuto conto dello stato delle trattative e delle misure eventualmente già concesse o confermate ai sensi dell’art. 19”.

Analogo problema si pone quando le misure cautelari siano già state concesse ed attuate in seno al procedimento unitario: in questo caso la sopravvenuta istanza di ammissione alla composizione negoziata non comporta di per sé l’inefficacia delle misure cautelari già attuate, per cui esse sopravvivono, in quanto l’art. 54, comma 2, CCI citato fa riferimento solo a misure di tale natura non ancora concesse. L’unica soluzione, allora, è quella di ritenere che gli effetti di quelle concesse ed attuate possano solo essere sospesi, al fine di consentire il conseguimento dell’obiettivo del risanamento.

Nulla dice il codice sulla cessazione degli effetti delle misure cautelari, ma la strumentalità correlata alla composizione negoziata della crisi induce a ritenere che essi vengano meno con la cessazione della stessa procedura o con la sua archiviazione, come accade per le misure protettive, così come espressamente stabilito per quanto attiene all’inibizione della pronuncia della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o di accertamento dello stato di insolvenza. Fermo restando, ovviamente, la revoca o la riduzione di durata “[…] quando esse non soddisfano l’obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative o appaiono sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori istanti”.

I procedimenti

Il procedimento per la conferma, la revoca o la modifica delle misure protettive e cautelari necessarie per condurre a termine le trattative è, a differenza di quanto stabilito dall’art. 55 CCI, che distingue fra le due misure, identico.

Il comma terzo dell’art. 19 CCI dispone che il tribunale provvede in composizione monocratica e con ordinanza, comunicata dalla cancelleria al registro delle imprese entro il giorno successivo.

Ai sensi del comma 7 dell’art. 19 CCI, i procedimenti relativi alla concessione, revoca e modifica delle misure protettive e cautelari si svolgono “[…] nella forma prevista dagli artt. 669bis e seguenti del codice di procedura civile […]”: è chiara, dunque, la scelta di adottare il modello generale dei procedimenti cautelari, sempre che, ovviamente, per aspetti peculiari del singolo procedimento, non trovino applicazione regole speciali dettate dal codice.

Il quadro che ne esce è un rinvio a dette norme con il limite della compatibilità, come dimostrato dal fatto che lo stesso comma settimo citato dispone che “non si applicano l’art. 669octies, primo, secondo e terzo comma, e l’art. 669novies, primo comma, del codice di procedura civile”.

Quanto al procedimento “iniziale”, l’imprenditore deve depositare il ricorso diretto ad ottenere la conferma o la modifica delle misure protettive entro il giorno successivo rispetto a quello in cui ha formulato la richiesta di ammissione alla composizione negoziata e con lo stesso ricorso può anche richiedere la pronuncia di provvedimenti cautelari. La sanzione per il mancato deposito nel termine stabilito del ricorso è l’inefficacia delle misure protettive, che va dichiarata inaudita altera parte, ossia senza fissare alcuna udienza.

Entro trenta giorni dalla pubblicazione dell’istanza l’imprenditore deve chiedere pure la pubblicazione nel registro delle imprese del numero di ruolo generale del procedimento instaurato e, siccome decorso tale termine “[…] l’iscrizione dell’istanza è cancellata dal registro delle imprese”, pare che la stessa sanzione sia prevista per la tardiva iscrizione a ruolo del ricorso, sebbene l’art. 19, comma 3, CCI la commini espressamente solo nell’ipotesi in cui il tribunale verifica che esso non è stato depositato nel termine previsto.

La documentazione

Insieme al ricorso, l’imprenditore deve depositare:

  • i bilanci degli ultimi tre esercizi oppure, quando non è tenuto al deposito dei bilanci, le dichiarazioni dei redditi e dell’IVA degli ultimi tre periodi di imposta;
  • una situazione patrimoniale e finanziaria aggiornata a non oltre sessanta giorni prima del deposito del ricorso;
  • l’elenco dei creditori, individuando i primi dieci per ammontare, con indicazione dei relativi indirizzi di posta elettronica certificata, se disponibili, oppure degli indirizzi di posta elettronica non certificata per i quali sia verificata o verificabile la titolarità della singola casella;
  • un progetto di piano di risanamento redatto secondo le indicazioni della lista di controllo di cui all’art. 13, comma 2, CCI, un piano finanziario per i successivi sei mesi e un prospetto delle iniziative che intende adottare;
  • una dichiarazione avente valore di autocertificazione attestante, sulla base di criteri di ragionevolezza e proporzionalità, che l’impresa può essere risanata;
  • l’accettazione dell’esperto nominato ai sensi dell’art. 13, commi 6, 7 e 8, CCI con il relativo indirizzo di posta elettronica certificata.

Si tratta di documentazione che assolve al compito di consentire al tribunale di verificare [17]:

  • la pendenza della procedura di composizione negoziata;
  • la ricorrenza della condizione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario dell’imprenditore, che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza, ossia del presupposto per l’accesso alla procedura di composizione negoziata;
  • la serietà dell’iniziativa;
  • i creditori coinvolti nelle trattative e potenzialmente incisi dalle misure protettive.

Poiché si tratta di documentazione essenziale, il suo mancato deposito è da ritenersi sanzionato con l’inammissibilità della domanda, salvo che non si ritenga ammissibile la concessione di un termine per integrarla [18].

La procedura

A seguito del deposito del ricorso, il tribunale deve, entro dieci giorni ed a pena di cessazione degli effetti protettivi prodotti [19], fissare con decreto l’udienza, indicando le modalità con le quali detto decreto ed il ricorso vanno notificati, oltre che all’esperto, ai creditori ed ai terzi interessati.

Questi ultimi due pare non siano tutti i creditori e tutti i terzi potenzialmente interessati alla composizione negoziata, bensì solo quelli incisi dagli effetti delle misure protettive cautelari. Si tratta, in buona sostanza, di soggetti – da indicarsi ovviamente nel ricorso introduttivo – che vanno individuati [20]:

  • nei creditori che abbiano già esercitato l’azione esecutiva, ne abbiano annunciato l’esercizio con la notificazione del precetto o siano intervenuti nel processo esecutivo pendente;
  • nei creditori che abbiano esercitato l’azione cautelare per instaurare un processo cautelare ancora pendente o che abbiano già ottenuto un provvedimento cautelare ancora efficace;
  • nei terzi i cui diritti siano incisi dalle misure protettive.

All’udienza fissata, il tribunale, sentite le parti e chiamato l’esperto a esprimere il proprio parere sulla funzionalità delle misure richieste ad assicurare il buon esito delle trattative [21], omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, nomina, se occorre, un ausiliario ai sensi dell’art. 68 cod. proc. civ e provvede agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai provvedimenti cautelari richiesti o ai provvedimenti di conferma o modifica delle misure protettive.

Sembra dedursene che in questa fase non vi sia spazio per l’emissione di provvedimenti cautelari inaudita altera parte, anche perché si prevede espressamente che il tribunale pronuncia ordinanza – con la quale viene stabilita anche la durata, non inferiore a trenta giorni e non superiore a centoventi giorni, delle misure protettive e, se occorre, dei provvedimenti cautelari disposti – reclamabile solo ai sensi dell’art. 669terdecies cod. proc. civ.

L’ausiliario in questione non è una figura analoga al commissario giudiziale del concordato preventivo; piuttosto, è assimilabile al consulente tecnico, ossia è un soggetto che il tribunale può nominare per farsi assistere nel compimento di atti istruttori che non è in condizione di compiere da solo. Come correttamente osservato in dottrina, “[…] si tratterà, nella maggior parte di casi, di un consulente contabile, al quale il giudice affiderà la valutazione della documentazione esibita dal ricorrente, e di quella che il consulente stesso riterrà utile acquisire nel corso delle operazioni peritali, siccome strettamente funzionale allo svolgimento dell’incarico a lui affidato[22].

L’art. 19 CCI, che pure impone al giudice di fissare l’udienza entro dieci giorni, tace circa il tempo entro il quale essa deve essere fissata. È evidente, tuttavia, che, tenuto conto della delicatezza degli interessi “in gioco” e del fatto che l’efficacia temporale minima delle misure protettive è di trenta giorni, l’udienza debba essere fissata in tempi assai brevi. Un riferimento potrebbe essere ai quindici giorni previsti dall’art. 669sexies, comma 2, cod. proc. civ. per l’udienza di convalida del decreto cautelare emesso inaudita altera parte [23].

Il procedimento di conferma delle misure protettive o di concessione di quelle cautelari si conclude, come si è anticipato, con ordinanza, la quale deve stabilire la durata, non inferiore a trenta e non superiore a centoventi giorni, delle misure protettive e, se occorre, dei provvedimenti cautelari disposti. Come del pari si è detto, con detta ordinanza, su richiesta dell’imprenditore e sentito l’esperto, le misure possono essere limitate a determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti o a determinati creditori o categorie di creditori.

L’ordinanza che accoglie il ricorso è suscettibile di essere revocata o modificata. Più in particolare:

  • su istanza delle parti ed acquisito il parere dell’esperto, può essere prorogata la durata delle misure disposte per il tempo necessario ad assicurare il buon esito delle trattative, fermo rimanendo che la durata complessiva delle misure non può superare i duecentoquaranta giorni;
  • su istanza dell’imprenditore, di uno o più creditori o su segnalazione dell’esperto, il tribunale può, in qualunque momento, sentite le parti interessate, revocare le misure protettive e cautelari, o abbreviarne la durata, quando esse non soddisfano l’obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative o appaiono sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori istanti.

Quanto alla revoca delle misure, l’art. 19, comma 6, CCI dispone unicamente che il giudice decide “[…] sentite le parti […]”, per cui non è chiaro quale sia l’attività da porre in essere per pervenire a tale pronuncia. Non resta, allora, che applicare anche in questo caso, siccome compatibile, la disciplina processuale prevista per la conferma.

Quanto alla proroga, invece, pare che il giudice non debba instaurare alcun contraddittorio: l’art. 19, comma 5, CCI, infatti, dispone che “il giudice che ha emesso i provvedimenti di cui al comma 4, su istanza delle parti e acquisito il parere dell’esperto, può prorogare la durata delle misure disposte per il tempo necessario ad assicurare il buon esito delle trattative”.

Purtuttavia potrebbe anche ritenersi che ciò sia necessario qualora l’istanza non provenga da tutte le parti interessate e che questa sia l’unica ipotesi in cui è, attesa l’assoluta urgenza nel provvedere, ipotizzabile l’emissione di un provvedimento inaudita altera parte: se nell’analoga ipotesi di cui all’art. 55, comma 4, CCI (ai sensi del quale il tribunale provvede su istanza “[…] del debitore o di un creditore […]”), il collegio decide senza fissare l’udienza perché è sufficiente ad “attivare” il suo potere decisorio anche l’istanza del solo debitore, o comunque di una sola parte, il riferimento generico alle “parti” operato dall’art. 19 citato potrebbe non consente altrettanto, in quanto esso potrebbe inteso a “tutte le parti interessate dalle misure”; di conseguenza, andrebbe fissata l’udienza secondo le modalità già viste. Purtuttavia, poiché il comma settimo dell’art. 19 CCI rinvia alle forme previste dagli artt. 669bis e ss. cod. proc. civ., potrebbe anche ritenersi applicabile l’art. 669sexies cod. proc. civ., il quale consente al giudice di provvedere inaudita altera parte qualora “[…] la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento […]”.

Tutti i provvedimenti di cui si è discusso sono reclamabili davanti al collegio nelle forme dell’art. 669terdecies cod. proc. civ., senza possibilità di ricorrere in Cassazione, atteso il loro carattere provvisorio, comunque non idoneo alla formazione del giudicato sostanziale [24].

Dovrebbe altresì essere riconosciuta all’imprenditore la facoltà di rivolgersi al collegio nelle medesime forme anche nell’ipotesi di implicito rigetto del ricorso per mancata fissazione dell’udienza nel termine di dieci giorni dal deposito, fermo rimanendo che, in concreto, potrebbe essere più rapido (ed utile) ripresentare l’istanza ed il ricorso, sollecitando nuovamente il tribunale a dare ingresso al giudizio.

Quanto alle valutazioni del tribunale [25], potrebbe ritenersi che, essendo il procedimento di composizione negoziata puramente privatistico, il giudice debba verificare unicamente l’attitudine delle misure protettive di cui si chiede la conferma e/o dei provvedimenti cautelari che si chiede di disporre a perseguire astrattamente la funzione cui essi sono preordinati (proteggere le trattative e presidiarne il buon esito) e l’assenza di pregiudizi ingiustificati a carico dei creditori e dei terzi.

Potrebbe anche sostenersi, però, che il tribunale debba valutare pure, da un lato, la concreta possibilità che le misure protettive ed i provvedimenti cautelari servano allo scopo di preservare il patrimonio e favorire le trattative e, dall’altro lato, il concreto pregiudizio che, a seguito dell’applicazione delle misure, potrebbero subire i creditori ed i terzi [26].

Premesso che si tratta di valutazioni di carattere sommario che non possono essere nemmeno paragonabili alla valutazione di fattibilità da porsi in essere nell’ambito del concordato preventivo [27] – in quanto, in assenza di un piano definitivo e della connessa attestazione, difetterebbero molti dei dati da porre a sostegno di quel giudizio – proprio questo approccio sembra preferibile, “[…] a meno di non voler predicare un inopinato, progressivo distacco della giurisdizione concorsuale dalla realtà della crisi d’impresa[28].

Se così è, quanto alle misure protettive, il tribunale deve verificare la concreta prospettiva di risanamento sulla base del progetto di piano che l’imprenditore deve produrre: esso deve delineare quantomeno l’obiettivo di fondo che si intende perseguire, nonché le linee principali degli interventi che l’impresa intende assumere, ed il giudice deve accertare che detta prospettiva non appaia manifestamente irrealizzabile e che la stessa non sia fondata su dati inconsistenti [29]. Insomma, il progetto deve consentire al giudice di ritenerlo quantomeno verosimile e coerente con il risanamento: in mancanza di tale requisito, infatti, il debitore può e deve utilizzare altri strumenti (ad esempio: concordato preventivo o accordi di ristrutturazione) e beneficiare della protezione del patrimonio prevista da altre norme del codice [30].

Il giudice, inoltre, deve operare una comparazione dei diversi interessi “in gioco” – ossia quello del debitore ad ottenere la protezione del proprio patrimonio nel corso delle trattative e quello dei creditori ad agire per la soddisfazione del proprio credito – e verificare che la conferma non arrechi eccessivo pregiudizio ai secondi [31].

Ne consegue, allora, che, con riferimento alle misure protettive, la valutazione del giudice non coincide affatto con quella dell’esperto: mentre il parere di quest’ultimo attiene alla funzionalità delle misure rispetto allo svolgimento ed alla prosecuzione delle trattative, il controllo giudiziale attiene non solo a questo aspetto, ma pure alla probabilità di risanamento ed alla tutela degli interessi delle parti.

 

*Contributo estratto dal “Manuale del diritto e della crisi e del risanamento di impresa”, di Antonio Caiafa e Andrea Petteruti, Dike Giuridica, 2023

[1] Pagni-Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), in Dir. crisi, 11/21, 4.

[2] Così Tribunale Milano, 27 gennaio 2022, in www.dirittodellacrisi.it, il quale evidenzia pure che i processi esecutivi pendenti entrano in uno stato di quiescenza in funzione dello svolgimento delle trattative della composizione negoziata.

[3] Ambrosini, La “miniriforma del 2021: rinvio (parziale) del CCI, composizione negoziata e concordato semplificato, in Dir. fall., 2021, I, 919 segg.; Id., La nuova composizione negoziata della crisi: caratteri e presupposti, in www.ristrutturazioniaziendali.it; Costantino, Le “misure cautelari e protettive. Note a prima lettura degli artt. 6 e 7, D.L. 118/2021, in www.inexecutivis.it; Platania, Composizione negoziata: misure protettive e cautelari e sospensione degli obblighi ex artt. 2446 e 2447 c.c., in www.ilfallimentarista.it; Bottai, La composizione negoziata di cui al D.L. 118/2021: svolgimento e conclusione delle trattative, ivi; Baccaglini-De Santis, Misure protettive e provvedimenti cautelari a presidio della composizione negoziata della crisi: profili processuali, in www.dirittodellacrisi.it, 2022; Pagni-Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), cit.; Leuzzi, Allerta e composizione negoziata nel sistema concorsuale ridisegnato dal D.L. 118/2021, ivi; De Santis, Le misure protettive e cautelari nella soluzione negoziata della crisi d’impresa, in Fall., 2021, 1536 e segg.; Montanari, Il procedimento relativo alle misure protettive e cautelari nel sistema della composizione negoziata della crisi d’impresa: brevi notazioni, in www.ristrutturazioniaziendali.it; Didone, Appunti su misure protettive e cautelari nel D.L. 118/2021, ivi; D’Alonzo, La composizione negoziata della crisi e l’interferenza delle misure protettive nelle procedure esecutive individuali, in Riv. es. forz., 2021, 874 e segg.; Panzani, La composizione negoziata alla luce della Direttiva Insolvency, in www.ristrutturazioniaziendali.it.

[4] Tribunale Brescia, 2 dicembre 2021, in www.ilfallimentarista.it, con nota di Cesare, La prima decisione sulle misure protettive: per la convalida occorrono pubblicazione e accettazione; Tribunale Milano, 17 gennaio 2022, in www.ilcaso.it; Tribunale Ferrara, 21 marzo 2022, ivi.

[5] Tribunale Torino, 23 febbraio 2022, in www.ilcaso.it, ad esempio, ha ritenuto ammissibile l’esclusione di una specifica procedura esecutiva nell’ambito della quale il trasferimento dell’immobile aggiudicato risultava conveniente e comunque non idoneo a pregiudicare le ragioni dei creditori nell’ambito di un eventuale riparto in sede concorsuale.

[6] Panzani, Il D.L. “Pagni ovvero la lezione (positiva) del covid, in www.dirittodellacrisi.it, 25 agosto 2021, afferma che “il legislatore non ha vietato i pagamenti in considerazione del fatto che tale divieto, che caratterizza ordinariamente la sospensione delle azioni esecutive e che è diretta conseguenza dell’applicazione del regime della par condicio, non avrebbe senso in questo caso, dove il debitore conserva tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione ed è in bonis […]”.

[7] La disposizione recepisce quanto stabilito dalla Direttiva UE 2019/1023, il cui par. 2, art. 7, prevede espressamente che “la sospensione delle azioni esecutive individuali […] sospende, per la durata della sospensione, l’apertura, su richiesta di uno o più creditori, di una procedura di insolvenza che potrebbe concludersi con la liquidazione delle attività del debitore”. Purtuttavia, mentre la normativa europea inibisce il procedimento che porta all’apertura, il codice limita l’inibizione alla pronuncia della sentenza, consentendo, invece, l’apertura del relativo procedimento.

[8] In tal senso Carratta, Misure protettive e cautelari e composizione negoziata della crisi, in www.ristrutturazioniaziendali.it, 18 maggio 2022. In giurisprudenza, Tribunale Palermo, 29 novembre 2021, in www.ilcaso.it; Tribunale Brescia, 2 dicembre 2021, ivi; Tribunale Roma, 3 febbraio 2022, ivi, per il quale il divieto di pronunciare sentenza di fallimento “[…] costituisce un effetto di legge […] che non presuppone, né richiede, la conferma o la modifica della misura da parte del giudice”.

[9] Si tratta di una misura protettiva per Didone, Appunti su misure protettive e cautelari, cit. Platania, Composizione negoziata, cit.; Bottai, La composizione negoziata, cit., 10. Contra, De Santis, Le misure protettive e cautelari, cit., 1539; Pagni-Fabiani, La transizione, cit., 10; Montanari, Il procedimento, cit., 3.

[10] Montanari, Il procedimento relativo alle misure protettive e cautelari nel sistema della composizione negoziata della crisi d’impresa: brevi notazioni, cit.; Baccaglini-De Santis, Misure protettive e provvedimenti cautelari, cit.; Tedoldi, Le misure protettive e cautelari nella composizione negoziata della crisi, cit., 360; Lamanna, Composizione negoziata e nuove misure per la crisi di impresa, cit., 25. Prima dell’entrata in vigore del codice, non mancavano, tuttavia, opinioni contrarie (Platania, Composizione negoziata: misure protettive e cautelari e sospensione degli obblighi ex artt. 2446 e 2447 c.c., in www.ilfallimentarista.it, 7 ottobre 2021, 5; Leuzzi, Una rapida lettura dello schema del D.L. recante misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale, in www.dirittodellacrisi.it, 5 agosto 2021, 5).

[11] È da escludersi, perciò, la possibilità di una richiesta successiva per Tribunale Ivrea, 10 febbraio 2022, in www.ilcaso.it.

[12] In questo senso anche Pagni-Fabiani, La transizione, cit., 12.

[13] Per Costantino, Le “misure cautelari e protettive”, cit., 6, gli esempi che si possono ipotizzare vanno dalla sospensione a favore dell’imprenditore dell’esecuzione di un contratto pendente al divieto di pubblicazione di segnalazioni alla centrale dei rischi, al rilascio del documento di regolarità contributiva nonostante le pregresse inadempienze contributive.

[14] Tribunale Modena, 26 dicembre 2022, in www.dirittodellacrisi.it.

[15] Tribunale Parma, 10 luglio 2022, in www.dirittodellacrisi.it.

[16] Contra, Pagni-Fabiani, La transizione, cit., 16, secondo cui il riferimento ai “creditori” indurrebbe alla conclusione che le azioni cautelari inibite siano quelle individuali e che, di conseguenza, le misure cautelari di cui si discute non dovrebbero venire colpite dal divieto “[…] dato che, sebbene siano anch’esse chieste dai creditori, vengono concesse, tuttavia, a protezione di un interesse collettivo”. In realtà, come correttamente osservato da Carratta, Misure protettive e cautelari e composizione negoziata della crisi, cit., la tesi non convince, in quanto l’art. 18 e l’art. 54 CCI non distinguono affatto fra azioni cautelari con finalità di protezione individuale e con finalità di protezione collettiva.

[17] Tribunale Milano, 24 febbraio 2022, in www.ilcaso.it.

[18] Tribunale Milano, 28 dicembre 2021, in www.dirittodellacrisi.it.

[19] Per Costantino, Le “misure cautelari e protettive”, cit., 9, la previsione dell’inefficacia delle misure protettive in caso di mancato rispetto da parte del giudice del termine di dieci giorni per fissare l’udienza appare di dubbia legittimità costituzionale, in quanto condiziona il permanere degli effetti protettivi, voluti dall’imprenditore, alla diligenza del giudice.

[20] Tribunale Roma, 24 dicembre 2021, cit.; Tribunale Firenze, 29 dicembre 2021, in www.dirittodellacrisi.it; Tribunale Bergamo, 19 gennaio 2022, in www.ilcaso.it; Tribunale Roma, 3 febbraio 2022, cit., per il quale la legittimazione passiva del procedimento non può riconoscersi “[…] in capo alla massa indifferenziata dei creditori che possono astrattamente promuovere azioni esecutive nei confronti del debitore e che, tuttavia, non abbiano ancora avviato i relativi procedimenti o minacciato di avviarli, con la notifica di un precetto”; Tribunale Milano, 24 febbraio 2022, cit; Tribunale Bergamo, 24 febbraio 2022, in www.dirittodellacrisi.it. Contra, Tribunale Milano, 27 febbraio 2022, ivi; Tribunale Padova, 25 febbraio 2022, in www.ilcaso.it; Tribunale Milano, 26 gennaio 2022, ivi.

[21] È ovvio, infatti, che l’esperto debba essere sentito ai fini della conferma o modifica delle misure protettive o della pronuncia degli eventuali provvedimenti cautelari richiesti, in quanto è l’unico soggetto veramente in grado di riferire con imparzialità sull’andamento delle trattative e sulla situazione dell’impresa (così anche Tribunale Roma, 21 dicembre 2021, in www.dirittodellacrisi.it).

[22] Baccaglini-De Santis, Misure protettive e cautelari e composizione negoziata della crisi, cit.

[23] Ibidem.

[24] A questa stessa conclusione è pervenuta la Cassazione sia con riferimento allo scioglimento o della sospensione dei contratti in pendenza del procedimento per l’accesso al concordato preventivo (Cass. 25 maggio 2021, n. 14361, in CED Cassazione; Cass. 2 marzo 2016, n. 4176, in www.ilcaso.it; Cass. 3 settembre 2015, n. 17520, in Foro it., 2016, I, 1377 e segg.), sia con riferimento alle misure di cui all’art. 182bis l.f. (Cass. 19 giugno 2018, n. 16161, in Fall., 2019, 180 segg.).

[25] Panzani, Il D.L. “Pagni ovvero la lezione (positiva) del Covid, cit., rileva che siffatti provvedimenti “[…] debbono essere idonei a vincere una resistenza ingiustificata di un creditore o di un altro soggetto che sia parte della composizione negoziata”.

[26] Tribunale Salerno, 10 maggio 2022, secondo cui “ai fini della conferma delle misure protettive il Giudice deve vagliare, attraverso la disamina della relazione dell’esperto: – la sussistenza di una ragionevole prospettiva di risanamento della crisi dell’impresa; – l’utilità delle misure protettive richieste per lo svolgimento delle trattative; – l’adeguatezza e la proporzionalità delle misure protettive richieste rispetto all’obbiettivo di risanamento dell’impresa”; Tribunale Viterbo, 14 gennaio 2022, secondo cui “per valutare la conferma delle misure protettive richieste occorre delibare, secondo un’analisi prognostica, le possibilità che attraverso la prosecuzione della procedura di composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa possa essere risanata l’impresa, operando un bilanciamento tra l’esigenza di non sottrarre l’impresa insolvente alle procedure di composizione della crisi con la necessità di evitare che siffatte procedure abbiano una funzione dilatoria invece che finalizzata ad un tempestivo risanamento dell’impresa. Deve pertanto essere negata la conferma in presenza di un marcato disequilibrio economico/finanziario evidenziato dall’indice di livello di difficoltà del risanamento relativo al rapporto tra debito che deve essere ristrutturato e ammontare annuo dei flussi a servizio del debito, attestato su valori ampiamente superiori al quello massimo”; Tribunale Ravenna, 17 marzo 2023; Tribunale Mantova, 9 marzo 2023; Tribunale Palermo, 2 marzo 2023; Tribunale Padova, 2 marzo 2023, tutte in www.dirittodellacrisi.it.

[27] Tribunale Bergamo, 24 febbraio 2022, in www.dirittodellacrisi.it.

[28] Baccaglini-De Santis, Misure protettive e provvedimenti cautelari a presidio della composizione negoziata della crisi: profili processuali, cit.

[29] Tribunale Salerno, 13 febbraio 2023, in www.dirittodellacrisi.it. Per Tribunale Frosinone, 24 gennaio 2023, in www.ilcaso.it, ciò è in linea con quanto affermato in sede eurounitaria, avendo la Direttiva Insolvency chiarito che è legittima l’introduzione di una verifica di sostenibilità, purché essa abbia la finalità di escludere il debitore che “[…] non ha prospettive di sostenibilità economica”.

[30] Se i parametri di riferimento sono la sostenibilità economica ed il risanamento dell’impresa, è evidente che il risanamento di cui si discute deve condurre alla continuità aziendale; ne consegue che non pare giustificarsi la concessione di misure protettive in presenza di soluzioni che conducono alla liquidazione dell’impresa non funzionale alla prosecuzione della sua attività.

[31] Per Tribunale Frosinone, 24 gennaio 2023, cit., la Direttiva fornisce anche un altro parametro di valutazione – richiamato dal CCI solo nell’ambito della norma sulla composizione negoziata relativa alla revoca delle misure protettive ed alla riduzione della loro durata (art. 19, comma 6, CCI) – allorché statuisce che lo Stato, nel contesto di un quadro di ristrutturazione preventiva, deve certamente consentire al debitore di poter beneficiare della sospensione delle azioni esecutive individuali al fine di agevolare le trattative sul piano di ristrutturazione, ma pure che la sospensione non deve comportare un ingiusto pregiudizio per i creditori.

deposito telematico sentenza cassazione

Primo deposito telematico sentenza penale Cassazione Il ministero annuncia che il 16 luglio è stato effettuato il primo "storico" deposito telematico di una sentenza penale di Cassazione

Cassazione, primo deposito telematico sentenza penale

Nella giornata del 16 luglio 2024, è stato effettuato il primo deposito telematico di una sentenza penale di Cassazione, grazie ad una applicazione tecnologica innovativa realizzata dalla direzione generale per i Sistemi Informativi Automatizzati del ministero della Giustizia. Ne dà notizia la stessa via Arenula, tramite il proprio giornale Gnewsonline.it

“Il processo telematico compie oggi un ulteriore, significativo, passo in avanti, con il primo storico deposito di una sentenza penale in Corte di Cassazione, grazie all’applicazione tecnologica realizzata dalla Direzione Generale per i Sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della Giustizia” afferma infatti il dicastero.

“La digitalizzazione della giustizia è uno degli obiettivi primari a cui sta lavorando il Ministero guidato da Carlo Nordio. Il traguardo raggiunto oggi rappresenta un concreto passo in avanti verso la realizzazione del programma di innovazione tecnologica, nel più ampio progetto di efficientamento della giustizia, che è fra gli obiettivi fissati dal Pnrr”. conclude il ministero.

esclusione responsabilità agenti pubblici

Legittima temporanea esclusione responsabilità agenti pubblici Per la Consulta, è legittima la temporanea esclusione della responsabilità amministrativa per colpa grave fino al 31 dicembre 2024

Responsabilità amministrativa per colpa grave

E’ legittima la temporanea esclusione della responsabilità per gli agenti pubblici, introdotta dal legislatore per le sole condotte commissive e fino al 31 dicembre 2024. Il regime ordinario invece “non potrà limitare al solo dolo la responsabilità amministrativa, per la quale, tuttavia, la Corte auspica una complessiva riforma”. Così ha deciso la Corte costituzionale con la sentenza n. 132/2024, con cui sono state dichiarate in parte inammissibili e per la restante parte non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120, sollevate dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania.

La disposizione censurata

La disposizione censurata, per come prorogata, prevede, sino al 31 dicembre 2024, per le condotte commissive degli agenti pubblici una temporanea limitazione della responsabilità amministrativa alle sole ipotesi dolose.

La Corte dei conti lamentava, in primo luogo, la violazione degli artt. 3 e 97 Cost., perché tale limitazione della responsabilità si tradurrebbe in un non consentito allontanamento dal principio generale dell’imputabilità a titolo di dolo o colpa grave.

Due esigenze fondamentali

Nel respingere la questione, la Corte costituzionale ha rammentato che “la disciplina della responsabilità amministrativa va inquadrata nella logica della ripartizione del rischio dell’attività tra l’apparato e l’agente pubblico, al fine di trovare un giusto punto di equilibrio. Per individuare quest’ultimo, il legislatore, nell’esercizio della discrezionalità ad esso spettante, deve tenere conto di due esigenze fondamentali: da un lato, quella di tenere ferma la funzione deterrente della responsabilità, al fine di scoraggiare i comportamenti dei funzionari che pregiudichino il buon andamento della pubblica amministrazione e gli interessi degli amministrati; dall’altro, quella di evitare che il rischio dell’attività amministrativa sia percepito dall’agente pubblico come talmente elevato da fungere da disincentivo all’azione, pregiudicando, anche in questo caso, il buon andamento”.

Nella ricerca di tale punto di equilibrio, non può prescindersi dalla stretta correlazione che esiste tra il sistema della responsabilità amministrativa e il vigente modello di amministrazione.

No alla limitazione a regime

Ciò premesso in generale, la Corte costituzionale ha chiarito che, a regime, non è immaginabile una disciplina normativa che limiti la responsabilità amministrativa alla sola ipotesi del dolo, con esclusione della colpa grave, perché in tal modo i comportamenti macroscopicamente negligenti non sarebbero scoraggiati e, pertanto, la funzione deterrente della responsabilità amministrativa ne sarebbe irrimediabilmente indebolita.

Tuttavia, “una siffatta limitazione – ha proseguito il giudice delle leggi – non potrebbe ritenersi irragionevole ove riguardi esclusivamente un numero circoscritto di agenti pubblici o specifiche attività amministrative, allorché esse presentino, per le loro caratteristiche intrinseche, un grado di rischio di danno talmente elevato da scoraggiare sistematicamente l’azione amministrativa”.

Nemmeno – ed è questo il caso di specie – “tale limitazione può considerarsi irragionevole ove si radichi nella particolarità di uno specifico contesto e sia volta ad assicurare la maggiore efficacia dell’attività amministrativa e, attraverso essa, la tutela di interessi di rilievo costituzionale, ed abbia carattere provvisorio”.

La ratio delle proroghe

La disposizione censurata, infatti, si giustificava in relazione al peculiarissimo contesto economico e sociale in cui l’emergenza Covid aveva determinato la prolungata chiusura delle attività produttive, con danni enormi per l’economia nazionale e ovvie ricadute negative sulla stessa coesione sociale e la tutela dei diritti e di interessi vitali per la società. Per superare la crisi e rimettere in moto l’economia, il legislatore, “non irragionevolmente, ha ritenuto indispensabile che l’amministrazione pubblica operasse senza remore e non fosse, al contrario, a causa della sua inerzia, un fattore di ostacolo alla ripresa economica”.

Le successive proroghe, invece, sono connesse all’inderogabile esigenza di garantire l’attuazione del PNRR e la conseguente ripresa di un sentiero di crescita economica sostenibile, oltre che il superamento di alcuni divari economici, sociali e di genere. La Corte costituzionale ha affermato che, nel valutare la proporzionalità dell’intervento legislativo, non può prescindersi dal rilievo che la disposizione censurata origina da un contesto eccezionale, ha natura temporanea ed ha comunque un oggetto delimitato, riguardando solo le condotte commissive e non quelle “inerti” ed “omissive”.

Riforma della responsabilità amministrativa

Da ultimo, la Corte costituzionale, in vista dell’imminente scadenza temporale dell’ultima proroga della disposizione censurata, ha inteso sollecitare il legislatore “al varo di una complessiva riforma della responsabilità amministrativa, al fine di ristabilire una coerenza tra la sua disciplina e le strutturali trasformazioni del modello di amministrazione e del contesto istituzionale, giuridico e sociale in cui essa opera”.

Leggi anche Il procedimento amministrativo

Allegati

bonus asilo nido

Bonus asilo nido Il bonus asilo nido è un contributo per pagare le rette degli asili e avere un supporto per l'assistenza di minori affetti da patologie croniche certificate

Bonus asilo nido: cos’è

Il bonus asilo nido è una misura di sostegno al reddito che si traduce nell’erogazione di un contributo da parte dell’INPS in favore dei genitori che sostengono il costo della retta dell’asilo.

Riferimenti normativi

Il bonus asilo nido è stato introdotto dalla legge di bilancio per il 2017 n. 232/2016, che ne contiene la disciplina base nel comma 355. L’INPS nel tempo ha chiarito il funzionamento della misura con le seguenti circolari e messaggi:

Vai alla scheda Bonus asilo nido sul sito INPS

A chi spetta il bonus asilo nido

Il bonus silo nido spetta alle famiglie che hanno figli:

  • che non abbiano ancora compiuto i tre anni di età o che li devono compiere nell’anno solare;
  • che frequentano un asilo nido pubblico o privato o che siano affetti da una patologia cronica purché certificata e che necessitano quindi di cure presso la residenza.

Per la concessione del bonus sono richieste inoltre le seguenti condizioni:

  • il genitore richiedente deve essere quello che paga la retta dell’assolo nido.
  • chi richiede invece l’assistenza domiciliare per il figlio deve essere il genitore convivente.

Per i soggetti che abbiano adottato un minore o lo abbiano in affido temporaneo viene presa in considerazione la data più favorevole tra quella del provvedimento di adozione e quella in cui il minore ha fatto ingresso in famiglia.

Requisiti soggettivi per fare domanda

Possono presentare domanda per il bonus quindi anche i genitori adottivi o affidatari di minori in affido temporaneo che siano residenti in Italia e che siano:

  • apolidi, rifugiati politici o soggetti a protezione internazionale equiparati ai cittadini italiani;
  • titolari della Carta blu in quanto “lavoratori altamente qualificati”;
  • lavoratori ordinari del Marocco, Algeria e Tunisia che in virtù di accordi tra l’UE e i paesi mediterranei abbiano diritto alla parità di trattamento con i cittadini UE;
  • lavoratori autonomi titolari di permesso perché non discriminati rispetto ai lavoratori subordinati.

A questi soggetti si sommano i titolari dei seguenti permessi di soggiorno:

  • per lavoro subordinato o stagionale per almeno 6 mesi;
  • per assistere minori presenti sul territorio italiano per motivi legati al loro sviluppo psicofisico;
  • per protezione speciale dettata da motivi di persecuzione o tortura;
  • per la tutela di soggetti che siano vittime accertate di situazioni di violenza o grave sfruttamento.

Requisiti ISEE e importo del bonus

L’entità della misura varia al variare del valore dell’ISEE minorenni:

  • 3.000 euro all’anno per chi presenta un ISEE minorenni fino a 25.000,00 euro (per 10 mesi l’importo mensile è di Euro 272,73, per l’undicesima mensilità è di Euro 272,70);
  • 2.500 euro all’anno per chi presenta un ISEE minorenni compreso tra i 25.0001,00 e i 40.000,00 (per 10 mesi l’importo mensile è di 227,27 euro, per l’undicesima mensilità è 227,20 euro);
  • 1.500 euro all’anno per chi presenta un ISEE minorenni che parte da 40.0001,00 euro (per 10 mensilità l’importo è di 136,70 euro, per l’undicesima è di 136,30 euro).

La legge di bilancio per il  2024 n. 213/2023 ha previsto che per i nati a partire dal 1° gennaio 2024, i cui nuclei familiari siano titolari di una valore ISEE minorenni fino a 40.000 euro e in cui sia presente almeno un figlio minore che non abbia ancora compiuto 10 anni, l’incremento della misura sale di 2.100 euro. 

In base a questa novità i soggetti che sono in possesso di questi ultimi requisiti familiari e reddituali hanno diritto ai seguenti importi:

  • 3.600 euro (10 mensilità da 327,27 euro 1 una da 327,30 euro) per i nuclei con ISEE minorenni in corso di validità fino a 40.000,00 euro;
  • 1.500 euro (10 mensilità da 136,37 e una da 136,30 euro) per chi ha un ISEE minorenni in corso di validità superiore a 40.000,00 euro.

Bonus per le forme di supporto presso l’abitazione

Per i nuclei familiari che hanno bambini affetti da una patologia cronica certificata attestante l’impossibilità di frequentare un asilo nido, gli importi sono diversi e vengono erogati in una soluzione unica in base ai seguenti ISEE minorenni:

  • 3.000 euro per i titolari di ISEE minorenni fino a 25.000,00 euro;
  • 2.500 euro per chi ha un ISEE minorenni fino a 40.000,00 euro;
  • 1.500 euro per chi ha un ISEE minorenni a partire da 40.001,00 euro.

Se l’ISEE non è valido l’importo massimo erogabile è di 1.500 euro.

I bonus sono soggetti a due limiti: gli importi stanziati dalla legge di bilancio e l’ordine di presentazione delle domande. La presentazione della domanda quindi non comporta il riconoscimento automatico del bonus asilo nido.

Quando e come presentare domanda

Il termine ultimo per fare domanda è il 31 dicembre 2024. Per presentarla è possibile provvedere in autonomia tramite il servizio dedicato presente sul sito INPS o rivolgendosi ai patronati che offrono i loro servizi telematici ai cittadini.

La domanda deve contenere tutta una serie di requisiti:

  • la precisazione del tipo di domanda: “Contributo asilo nido per il pagamento di rette di frequenza di asili nido pubblici e privati autorizzati o “Contributo per introduzione di forme di supporto presso la propria abitazione, per il pagamento delle forme assistenza domiciliare per i bambini di età inferiore a tre anni affetti da gravi patologie croniche”;
  • l’asilo nido frequentato dal figlio, specificando se è pubblico o privato e indicando la denominazione, il codice fiscale, gli estremi del provvedimento di autorizzazione se si tratta di una struttura privata; le mensilità dei periodi di frequenza per le quali si chiede il beneficio (gennaio 2024- dicembre 2024);
  • l’avvenuta iscrizione del bambino o l’inserimento nella graduatoria se il nido è pubblico;
  • la ricevuta di pagamento di almeno una retta per un mese di frequenza o delle rette relative ai mesi di frequenza non oltre il 31 luglio 2025.

Il termine ordinario di lavorazione della richiesta è di 30 giorni, ma l’istituto con regolamento ha stabilito termini superiori.

Pagamento del bonus asilo nido

Il riconoscimento della misura comporta la sua erogazione nei modi che il richiedente ha indicato di preferire nella domanda: a mezzo bonifico domiciliato, con accredito su conto corrente bancario; su conto corrente postale, sul libretto postale, su carta prepagata con IBAN o su conto corrente estero Area SEPA (in questo caso è necessario allegare il documento di identità del beneficiario e il modulo per l ‘identificazione finanziaria).