registro anagrafe condominiale

Il registro di anagrafe condominiale Cos'è il registro dell’anagrafica condominiale, quali obblighi ha l'amministratore, cosa deve contenere il registro e un fac-simile di scheda da inviare ai condomini

Registro anagrafica condominiale: cos’è

Con l’entrata in vigora della Legge 220/2012, sono sorte per l’Amministratore ulteriori incombenze dovute alla tenuta e custodia di alcuni registri obbligatori per i condomini.
Il Registro dell’anagrafica condominiale è uno dei nuovi documenti che l’Amministratore deve custodire o se mancante, predisporlo (punto 6 dell’Art. 1130 del Cod. Civ.).
Per ottemperare alla costituzione del registro dell’anagrafica condominiale l’Amministratore dovrà inviare, a tutti i condomini, una scheda di richiesta/aggiornamento dati.
Deve informare gli stessi condòmini che ogni variazione dei dati deve essergli comunicata per iscritto entro 60 giorni dall’avvenuta variazione, per tenere sempre aggiornato il registro di anagrafica condominiale, fermo restando che non è tenuto ad effettuare costanti attività investigative presso i pubblici registri per mantenere aggiornata l’anagrafe condominiale (Sentenza Tribunale di Roma n° 8310/2019).
Qualora un Condòminio dovesse locare la sua unità immobiliare, ha l’obbligo di comunicare entro 30 giorni all’Amministratore i dati del conduttore e dei soggetti aventi diritti reali sulla stessa unità.
In caso di omessa o incompleta comunicazione da parte di tutti i titolari di diritti reali l’Amministratore, per ovviare alla non ottemperanza dei condòmini, deve inviare una lettera di sollecito raccomandata che gli permetta di ottenere i dati mancanti ed aggiornare il registro.

Cosa deve contenere

Decorsi 30 giorni l’Amministratore può acquisire tutte le informazioni necessarie per l’aggiornamento del registro dell’anagrafe condominiale, addebitandone il costo ai responsabili.

La scheda da inviare ai condomini per istituire o aggiornare il registro dell’anagrafica condominiale dovrà contenere:

  • le generalità di tutti i condomini, degli usufruttuari, con i relativi codici fiscali;
  • la residenza ed il domicilio dei sopraelencati soggetti;
  • tutti gli eventuali numeri telefonici, e-mail, ecc.
  • se l’unità immobiliare è locata, anche i dati del conduttore;
  • in caso di comunione, i riferimenti del rappresentante della comunione;
  • i dati catastali di ogni singola unità immobiliare, ecc.

Obblighi dell’amministratore

L’Amministratore periodicamente deve richiedere a tutti i condomini se vi sono state o meno variazioni su ogni singola unità immobiliare, in particolare ad ogni rinnovo del mandato o in caso di lavori che prevedano eventuali sgravi fiscali, ed a chi certificare la detrazione da comunicare poi, in via telematica, all’Agenzia delle Entrate.

Senza contare che l’art. 63 Disp. Att. ultimo comma c.c. prevede che : “Chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l’avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all’amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto”. Meglio sarebbe stato porre a carico del notaio rogante questo ultimo adempimento. Ma tant’è.

Mancato aggiornamento del registro

Non si può ignorare che l’articolo 1130 del Cod. Civ., con il quale si istituisce il registro di anagrafica condominiale, è un articolo derogabile, pertanto, qualora un regolamento condominiale di qualsiasi natura deroghi a tale norma, bisognerà adottare quanto previsto dallo stesso.
L’aggiornamento di detto registro è molto importante tanto che esso può essere grave motivo per la revoca dell’Amministratore (Art. 1129 Cod. Civ.), oltre al fatto che sarà particolarmente utile a gestire eventuali emergenze in occasione di calamità naturali.

Fac-simile di scheda registro anagrafe condominiale

CONDOMINIO:  DI VIA ………………………………………………..IN NAPOLI

Ai sensi dell’art. 10 comma 6 della Riforma del Condominio – Legge 11.12.2012 n°220 (G.U. 293 del 17.12.2012) Il conferimento dei dati, tranne quelli indicati con * , è obbligatorio e ogni variazione dovrà essere comunicata in forma scritta entro 30gg. all’amministratore. In caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, l’amministratore richiederà con lettera raccomandata le informazioni necessarie alla tenuta del registro di anagrafe. Decorsi trenta giorni, in caso di omessa o incompleta risposta, l’amministratore acquisirà le informazioni necessarie addebitandone il costo ai proprietari.

DATI ANAGRAFICI DICHIARANTE:

Signor/Signora/Soc.:________________________________________________nato/a________________

il_________________ e residente (o sede) in____________________Via ___________________________

n°______codice fiscale:______________________________________tel.:__________________________

cell.:__________________________________ E-mail*__________________________________________

PEC*__________________________________________________________________________________

Recapito alternativo per corrispondenza:_________________________________________________________________________

In qualità di: □ proprietario □ Comproprietario (al ……..%) □ Usufruttuario □ Nudo proprietario

□ Autorizzo l’invio di qualsiasi comunicazione anche le convocazioni di assemblea attraverso la posta elettronica agli indirizzi sopra specificati

DATI ANAGRAFICI DI ULTERIORI TITOLARI:

Signor/Signora/Soc.:________________________________________________nato/a________________

il_________________ e residente (o sede) in____________________Via ___________________________

n°______codice fiscale:______________________________________tel.:__________________________

cell.:__________________________________ E-mail*__________________________________________

PEC*__________________________________________________________________________________

Recapito alternativo per corrispondenza:_________________________________________________________________________

In qualità di: □ proprietario □ Comproprietario (al ……..%) □ Usufruttuario □ Nudo proprietario

□ Autorizzo l’invio di qualsiasi comunicazione anche le convocazioni di assemblea attraverso la posta elettronica agli indirizzi sopra specificati

UNITA’ IMMOBILIARI – DATI CATASTALI

  1. a) Unità immobiliare n°_______________________Scala_______________Piano__________________Interno_______________

Destinazione d’uso____________________________________Foglio________Partic./mappale_______________Sub.___

Condotto in locazione? □ SI □ NO

  1. b) Unità immobiliare n°_______________________Scala_______________Piano__________________Interno____________

Destinazione d’uso____________________________________Foglio________Partic./mappale_______________Sub.___

Condotto in locazione? □ SI □ NO

DATI RELATIVI AL CONTRATTO DI LOCAZIONE /COMODATO (qualora esistente):

L’unità immobiliare (a;b;c;d) ___________è stata concessa in locazione/comodato dal_________________

al sig./sig.ra/ditta_____________________________codice fiscale_________________________________

Residente a_____________________________Via________________________________________________n. _____

Telefono:_____________________________________cell:_______________________________________

Recapito alternativo per corrispondenza:___________________________________________________________________

 

TUTELA DELLA PRIVACY: Vedi informativa ai sensi degli articoli 13 e 14 del regolamento (UE) 2016/679 – GDPR- qui allegata.

 

DATA: ____________________ FIRMA DEL DICHIARANTE:______________________________

 

Oltre ai dati sopra menzionati, il registro dell’anagrafica condominiale si compone di tutti quegli atti inerenti la sicurezza del condominio e quindi, anche di tutta la documentazione riguardante le manutenzioni e verifiche periodiche degli impianti.
Appare ovvio che i dati progettuali dell’edificio e tutti gli elaborati grafici devono essere parte integrante del registro di anagrafica condominiale.

ragionevole durata procedimento amministrativo

Il principio di ragionevole durata del procedimento amministrativo Principio di ragionevole durata del procedimento amministrativo: se il procedimento è ablatorio o sanzionatorio  il termine non deve superare i 10 anni

Termini del procedimento amministrativo: legge 241/1990

Il principio di ragionevole durata del procedimento amministrativo è sancito dagli articoli 1 e 2 della legge n. 241/1990 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”. L’azione della PA deve essere infatti improntata ai criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza e ai sensi dell’articolo 2, in base alla tipologia di provvedimento da adottare,  il procedimento deve concludersi entro il termine di 30 giorni, 90 giorni, 180 giorni, che decorrono “dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte”.   

Ragionevole durata dei procedimenti ablatori e sanzionatori

Come ricordato però dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 408/2022 anche “lart. 97 Cost. contiene in sé limplicita valorizzazione (o addirittura formulazione) del principio della ragionevole durata del procedimento amministrativo; principio operante nellordinamento quale diritto vivente, soprattutto per i casi di procedimenti ablatori, sanzionatori e/o di procedimenti di controllo volti alladozione di atti di ritiro.” 

Questo perché il rispetto dei termini assicura  anche il rispetto del principio di certezza del diritto in quando il decorso eccessivo del tempo crea incertezza e incide  sulle scelte di vita delle persone e delle imprese.

Termine decennale

Sul principio di ragionevole durata del processo amministrativo in presenza di un atto di revoca della PA si è espresso di recente il TAR della Campania, nella sentenza n. 1876/2024. La decisione ha posto fine alla controversia avente ad oggetto la revoca del beneficio amministrativo, affermando che il procedimento è stato eccessivamente lungo. La concessione provvisoria del beneficio è avvenuta nel 2004, mentre la procedura di revoca è iniziata solo nel 2018, concludendosi definitivamente nel 2019. Questo lungo intervallo di tempo è stato ritenuto in violazione del principio di ragionevole durata del procedimento amministrativo.

Secondo la giurisprudenza, l’amministrazione deve rispettare la durata ragionevole del procedimento, soprattutto quando si tratta di procedimenti sanzionatori o ablatori che incidono sui diritti dei privati. La legge prevede che ogni procedimento amministrativo debba concludersi entro un termine prefissato, con conseguenze per la responsabilità dell’amministrazione in caso di ritardo.

La riforma Madia del 2014 e il Decreto Semplificazioni del 2020 hanno ulteriormente rafforzato questo principio, stabilendo termini perentori per l’adozione dei provvedimenti di secondo grado e prevedendo l’inefficacia di provvedimenti tardivi in determinate ipotesi.

In questo caso, la clausola di provvisorietà del provvedimento che aveva accordato la concessione del contributo va interpretata come una condizione risolutiva, che permette all’amministrazione di recuperare le somme erogate in caso di esito negativo del controllo. Tuttavia, tale clausola non può essere utilizzata per procrastinare sine die il potere di controllo dell’amministrazione, in quanto contraria ai principi di buona fede, correttezza e ragionevole durata del procedimento. Di conseguenza, la clausola in questione deve essere considerata illegittima nella parte in cui consente una durata indefinita del procedimento di verifica.

La giurisprudenza

Il TAR esamina varie possibili soluzioni per determinare un termine ragionevole per la conclusione del procedimento di controllo:

  1. applicare il termine generale di 30 giorni previsto dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990;
  2. applicare l’art. 21 quinquies della stessa legge, che consente la revoca dei provvedimenti senza limiti di tempo, ma con obbligo di indennizzo;
  3. applicare l’art. 21 nonies, che prevede un termine massimo di 12 mesi per l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti;
  4. applicare il termine quinquennale previsto dall’art. 28 della legge n. 689 del 1981 per i procedimenti sanzionatori.

Il Collegio ritiene che né l’art. 21 quinquies né l’art. 21 nonies siano applicabili in questo caso, poiché il provvedimento revocato non era illegittimo. Neanche il termine generale di 30 giorni è ritenuto applicabile, poiché non è perentorio.

Pertanto, la durata ragionevole del procedimento deve essere determinata considerando altri parametri, come il termine di prescrizione decennale per l’azione di ripetizione di indebito o il termine quinquennale per i procedimenti sanzionatori.

La giurisprudenza europea sottolinea che il superamento del termine ragionevole può costituire un motivo di annullamento delle decisioni amministrative solo se pregiudica i diritti della difesa.

Inoltre, la Corte Costituzionale italiana ha affermato che la durata del procedimento deve essere contenuta entro limiti temporali ragionevoli per garantire la certezza giuridica e l’effettività del diritto di difesa.

Al termine delle suddette considerazioni il Collegio stabilisce che per i procedimenti afflittivi, come quello di revoca del caso di specie, il termine ragionevole può essere il termine decennale, che corrisponde al termine di prescrizione per l’azione di ripetizione di indebito.

giurista risponde

Accesso agli atti ente di diritto privato Sono accessibili gli atti di un ente di diritto privato che svolge attività di pubblico interesse?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Sì, sono accessibili gli atti di un ente di diritto privato che svolge attività di pubblico interesse, limitatamente a tali attività. – Cons. Stato, sez. V, 20 marzo 2024, n. 2694.

Preliminarmente con riguardo alla vicenda in esame, la quinta Sezione del Consiglio di Stato ricorda che l’art. 22, comma 1, lett. e), della L. 241/1990, ammette l’accesso agli atti “limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario”.

L’interesse all’ostensione degli atti inerenti all’attività di pubblico interesse può discendere da notizie di stampa, le quali devono ritenersi idonee, in assenza di dati ed elementi conoscitivi più specifici e dettagliati, a radicare l’interesse, concreto e attuale all’accesso degli atti richiesti, potendo essere i medesimi potenzialmente idonei a consentire la violazione delle prescrizioni di legge che impongono di remunerare le prestazioni professionali con un equo compenso.

Nel caso in esame la Sezione ha ritenuto che, pur muovendo dalla natura privatistica di ASMEL (Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali – è un’associazione senza scopo di lucro costituita da comuni e altri enti pubblici, tra i cui scopi rientra, tra l’altro, quello “di implementare soluzioni per il conseguimento di obiettivi di semplificazione amministrativa e di contenimento della spesa nell’ambito dei procedimenti di acquisizione di beni e servizi”), l’attività dalla stessa posta in essere, nel sottoscrivere l’accordo quadro di cui è stata chiesta l’ostensione, sia di pubblico interesse. Ha statuito che sono ostensibili l’accordo quadro e tutti gli altri atti, nella disponibilità della stessa, richiesti dall’ordine degli avvocati di Roma, quale ente esponenziale della categoria degli avvocati.

*Contributo in tema di “Accesso agli atti”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 74 / Maggio 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

adempimento collaborativo riforma fiscale

Adempimento collaborativo: il nuovo codice di condotta In Gazzetta Ufficiale i decreti del ministero dell'economia e delle finanze che, nell'ambito della riforma fiscale, modificano il regime dell'adempimento collaborativo

Decreti adempimento collaborativo

Nella Gazzetta Ufficiale n. 132 del 7 giugno 2024 sono stati pubblicati due decreti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, incentrati sull’adempimento collaborativo:

  • il Decreto del 29 aprile 2024, intitolato “Approvazione del codice di condotta per i contribuenti aderenti al regime di adempimento collaborativo”;
  • il Decreto del 20 maggio 2024, che introduce modifiche significative al decreto del 15 giugno 2016 sull’interpello per i contribuenti che aderiscono a questo regime.

Le nuove disposizioni mirano a rafforzare la trasparenza e la collaborazione tra contribuenti e Amministrazione finanziaria, favorendo un ambiente fiscale basato sulla fiducia reciproca e sulla certezza del diritto. Questi cambiamenti rappresentano un passo significativo verso un sistema fiscale più equo e trasparente, promuovendo una cultura di compliance responsabile e proattiva.

Adempimento collaborativo e riforma fiscale

Il Decreto Legislativo n. 221/2023, in vigore dal 18 gennaio 2024, ha riformulato il Decreto Legislativo n. 128/2015, ridefinendo il regime di adempimento collaborativo (cooperative compliance). Questo regime, riservato ai contribuenti con un volume di affari o ricavi non inferiore a 750 milioni di euro per l’anno 2024, vedrà una progressiva riduzione della soglia fino a 100 milioni di euro entro il 2028.

Questi cambiamenti, introdotti dall’articolo 17 della Legge 9 agosto 2023, n. 111, mirano a consolidare un rapporto di fiducia e collaborazione tra l’Amministrazione finanziaria e i contribuenti. Il nuovo regime enfatizza un dialogo costante e preventivo con l’Agenzia delle Entrate, promuovendo un ambiente di maggiore trasparenza e certezza del diritto.

Nuovo Codice di condotta contribuenti

Il Decreto Ministeriale del 29 aprile 2024 introduce il nuovo Codice di condotta per i contribuenti aderenti al regime di adempimento collaborativo. Questo codice, conforme al Decreto Legislativo n. 221/2023, stabilisce gli impegni reciproci tra i contribuenti e l’amministrazione finanziaria. La sottoscrizione del Codice avviene al momento dell’ammissione al regime e vincola le parti dal periodo d’imposta in cui viene inviata la domanda di adesione.

I principali impegni includono:

  • cessazione delle politiche di riduzione del carico fiscale: i contribuenti devono abbandonare pratiche aziendali finalizzate principalmente alla minimizzazione delle imposte;
  • adozione di pratiche di trasparenza e cooperazione: le aziende devono promuovere una cultura di trasparenza e cooperazione con l’Amministrazione finanziaria.

Le società già aderenti al regime devono conformarsi al Codice entro il 5 ottobre 2024, come previsto dalle disposizioni transitorie del decreto.

Doveri dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate, nel contesto del regime di adempimento collaborativo, deve rispettare rigorosi obblighi di riservatezza. Le informazioni raccolte nel corso del rapporto con i contribuenti sono protette dal segreto d’ufficio e trattate con la massima cautela.

L’Agenzia si impegna a collaborare in modo trasparente, proteggere i dati acquisiti e utilizzare le informazioni sui rischi fiscali solo per le verifiche relative al regime collaborativo. Inoltre, evita di avviare controlli basati su informazioni acquisite per periodi antecedenti all’ingresso nel regime.

Impegni dei contribuenti

I contribuenti che vengono ammessi al regime di adempimento collaborativo devono aderire a standard elevati di legalità e di trasparenza, includendo:

  • trasparenza fiscale e comportamento etico: promuovere una cultura aziendale fondata sul rispetto delle regole in materia fiscale;
  • bassa propensione al rischio fiscale: rispettare le regole fiscali, della trasparenza e prevenzione della frode fiscale;
  • gestione efficace del rischio fiscale e della Tax compliance: implementare sistemi di controllo del rischio fiscale integrati nella governance aziendale;
  • rapporto trasparente con le autorità fiscali: favorire un dialogo costruttivo e trasparente con l’Amministrazione finanziaria.

Interpello: le novità

Il Decreto Ministeriale del 20 maggio 2024 apporta importanti novità al procedimento di interpello, rafforzando il contraddittorio e assicurando maggiore trasparenza.

Esso introduce ex novo l’articolo 9-bis, che prevede una procedura dettagliata per l’invito al contraddittorio in caso di risposta sfavorevole all’istanza di interpello.Prima di procedere alla notifica di una decisione sfavorevole, l’ufficio deve comunicare al contribuente una sorta di schema di risposta preliminare, concedendo al contribuente almeno 30 giorni per presentare osservazioni.

Il nuovo articolo 9-ter regola infine il contraddittorio nelle comunicazioni di rischio fiscale, garantendo al contribuente un termine di trenta giorni per le osservazioni.

tamponamento a catena responsabilità

Tamponamento a catena: chi è responsabile? La Cassazione ha chiarito che, in caso di tamponamento a catena tra veicoli in movimento, si ha presunzione “iuris tantum” di colpa, in egual misura, dei conducenti di ciascuna coppia di veicoli, tamponante e tamponato

Tamponamento a catena: il caso

Nel caso in esame il Giudice di merito si era occupato di una richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti da un incidente stradale.

In particolare, la Corte d’appello di Catania, dopo aver rivalutato le risultanze istruttorie che avevano condotto il Giudice di prime cure ad accogliere la richiesta risarcitoria avanzata dall’attore, aveva ritenuto che i fatti così come si erano svolti, integravano una fattispecie di “tamponamento a catena su autostrada di veicoli in movimento”, con la conseguenza che, in applicazione della costante giurisprudenza di legittimità formatosi sul punto, doveva trovare applicazione la presunzione iuris tantum di colpa a carico del conducente di ciascuno dei veicoli tamponanti, fondata sull’inosservanza della distanza di sicurezza rispetto al veicolo antistante.

Sulla scorta di tali regole probatorie, la Corte territoriale aveva rigettato la richiesta risarcitoria dell’originario attore e aveva accolto la domanda riconvenzionale del convenuto in primo grado.

Avverso tale decisione l’originario attore aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.

La colpa dei conducenti si presume in egual misura

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 15923-2024, ha accolto, per quanto qui rileva ed in relazione alla fattispecie di tamponamento a catena, il motivo d’impugnazione formulato dal ricorrente con cui veniva fatta valere la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 149 CdS, 1223, 2043 e 2054 c.c.

In particolare, la Corte ha rilevato che “mentre nel caso di scontri successivi tra veicoli facenti parte di una colonna in sosta, unico responsabile degli effetti delle collisioni è il conducente che le abbia determinate, tamponando da tergo l’ultimo dei veicoli della colonna stessa, nella diversa ipotesi di tamponamento a catena tra veicoli in movimento trova applicazione l’art. 2054, seconda comma, cod. civ., con conseguente presunzione “iuris tantum” di colpa in egual misura di entrambi i conducenti di ciascuna coppia di veicoli (tamponante e tamponato)”. Tale presunzione è fondata sul mancato rispetto della distanza di sicurezza rispetto al veicolo che precede.

Presunzione di colpa in egual misura tra i conducenti

Sulla scorta di quanto sopra, la Cassazione ha pertanto rilevato che, nel caso di specie, l’esclusiva responsabilità a carico del tamponante poteva ritenersi integrata solo se fosse venuto in rilievo un caso di tamponamento tra veicoli incolonnati in sosta.

Mentre, avendo la Corte territoriale ritenuto integrata la diversa fattispecie del tamponamento a catena tra veicoli in movimento, doveva, al contrario, trovare applicazione la regola della presunzione di colpa in egual misura tra i conducenti, con conseguente riduzione della somma risarcitoria posta a carico del ricorrente.

Allegati

decreto Priolo

Decreto Priolo: misure legittime solo se temporanee La Corte Costituzionale esamina la disciplina derogatoria alla luce della riforma degli artt. 9 e 41 Cost. ritenendola legittima solo se non superiore a 36 mesi

Decreto Priolo: l’intervento della Consulta

Una disciplina derogatoria rispetto alla normativa ordinaria di tutela della salute e dell’ambiente, in relazione ad attività produttive di interesse strategico nazionale, è costituzionalmente legittima solo se temporanea. E’ quanto ha affermato la Consulta, con la sentenza n. 105/2024, pronunciandosi sul decreto Priolo alla luce della riforma degli artt. 9 e 41 della Costituzione.

La questione di legittimità costituzionale

“Misure governative che impongono la prosecuzione di attività produttive di rilievo strategico per l’economia nazionale o la salvaguardia dei livelli occupazionali, nonostante il sequestro degli impianti ordinato dall’autorità giudiziaria, sono costituzionalmente legittime soltanto per il tempo strettamente necessario per portare a compimento gli indispensabili interventi di risanamento ambientale” ha specificato la Corte, esaminando la qlc sollevata dal Gip di Siracusa, nell’ambito di un procedimento relativo al sequestro degli impianti di depurazione di Priolo Gargallo, che a sua volta si iscrive in una più ampia indagine per disastro ambientale, ipotizzato a carico di varie aziende petrolchimiche operanti nella zona.

La questione concerneva una norma contenuta nel decreto-legge n. 2 del 2023, che autorizza il Governo, in caso di sequestro di impianti necessari ad assicurare la continuità produttiva di stabilimenti di interesse strategico nazionale, ad adottare “misure di bilanciamento” che consentano di salvaguardare la salute e l’ambiente senza sacrificare gli interessi economici nazionale e la salvaguardia dell’occupazione.

Per il Gip che aveva disposto il sequestro degli impianti di depurazione, “questo schema normativo non garantirebbe adeguata tutela alla vita, alla salute umana e all’ambiente, vincolandolo ad autorizzare la prosecuzione dell’attività anche quando, a suo giudizio, le misure adottate risultino insufficienti rispetto alle esigenze di tutela di questi interessi”.

Misure temporanee non oltre i 36 mesi

La Corte ha anzitutto osservato che una lettura attenta della normativa sottoposta al suo esame conferma che, “una volta che siano state adottate le misure in questione, il giudice che ha disposto il sequestro è tenuto ad autorizzare la prosecuzione dell’attività degli impianti, senza poter rimettere in discussione le scelte del Governo”. Nel vagliare la legittimità costituzionale di tale meccanismo, il giudice delle leggi ha ricordato che “la recente riforma costituzionale del 2022 ha attribuito espresso e autonomo rilievo, nel nuovo testo dell’art. 9, alla tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. Inoltre, la riforma ha esplicitamente chiarito che la tutela della salute e dell’ambiente costituisce un limite alla stessa libertà di iniziativa economica”.

Date queste indicazioni, la Corte da un lato ha ritenuto non incompatibile con la Costituzione la previsione della possibilità per il Governo di dettare direttamente, in una situazione di crisi e in via provvisoria, misure conformi alla legislazione vigente, che consentano di assicurare continuità produttiva a uno stabilimento di interesse strategico nazionale, contenendo il più possibile i rischi per l’ambiente, la salute e la sicurezza dei lavoratori. Dall’altro lato, tuttavia, tali misure dovranno comunque “tendere a realizzare un rapido risanamento della situazione di compromissione ambientale o di potenziale pregiudizio alla salute determinato dall’attività delle aziende sequestrate”, e non invece “a consentirne indefinitamente la prosecuzione attraverso un semplice abbassamento del livello di tutela di tali beni”.

La decisione

In applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto costituzionalmente illegittima la mancata previsione, nella norma esaminata, di un termine massimo di 36 mesi di operatività delle misure in questione. Entro questo termine, occorrerà in ogni caso assicurare il completo superamento delle criticità riscontrate in sede di sequestro e ripristinare gli ordinari meccanismi autorizzatori previsti dalla legislazione vigente.

licenziamento superamento periodo comporto

Licenziamento: esclusi dal comporto i giorni di day hospital La Cassazione ha affermato che la nozione di ricovero doveva ritenersi comprensiva sia del ricovero ospedaliero vero e proprio, che si protrae per almeno 24 ore, sia del ricovero di durata giornaliera

Licenziamento per superamento del comporto

La vicenda in esame prende avvio dall’annullato del licenziamento intimato alla dipendente per superamento del periodo di comporto.

Al termine del giudizio di merito instaurato in relazione alla suddetta vicenda, la Corte territoriale aveva ritenuto che nessun onere di comunicazione degli accessi al pronto soccorso e del ricovero gravava sul dipendente, data la valenza puramente oggettiva dell’assenza per malattia, ai sensi dell’art. 2110 c.c. e che, pertanto, una volta sottratti i giorni di ricovero (comprensivi degli accessi al pronto soccorso), il recesso risultava intimato prima del superamento del periodo massimo di conservazione del posto di lavoro contrattualmente previsto ed era quindi nullo, per violazione della norma imperativa di cui all’art. 2110, comma 2 c.c.

Avverso tale sentenza società datrice di lavoro aveva proposto ricorso per Cassazione.

Non si computano i giorni di day hospital

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 15845-2024, ha rigettato il ricorso proposto e ha condannato la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità.

A tal proposito, la Corte, per quanto qui rileva, ha esaminato il quadro normativo di riferimento, con particolare riguardo all’art. 38 del D.P.C.M. 12 gennaio 2017, ove è stabilito che “Il Servizio sanitario nazionale garantisce le prestazioni assistenziali in regime di ricovero ordinario ai soggetti che, in presenza di problemi o patologie acute, necessitano di assistenza medico-infermieristica prolungata nel corso della giornata, osservazione medico-infermieristica per 24 ore e immediata accessibilità alle prestazioni stesse”.

L’art. 42 prevede invece che “Nell’ambito delle attività di day hospital medico il Servizio sanitario nazionale garantisce le prestazioni assistenziali programmabili appartenenti a branche specialistiche diverse, volte ad affrontare patologie o problemi acuti che richiedono inquadramento diagnostico, terapia, accertamenti clinici, diagnostici o strumentali, nonché assistenza medico infermieristica prolungata, non eseguibili in ambulatorio. L’attività di day hospital si articola in uno o più accessi di durata limitata ad una sola parte della giornata, senza necessità di pernottamento”.

Sulla scorta di quanto sopra riferito, la Corte ha pertanto rilevato che “il ricovero ospedaliero si caratterizza per una durata di almeno 24 ore e presuppone, quindi, un pernottamento nella struttura sanitaria. Il day hospital ha invece una durata giornaliera, senza pernottamento, e si realizza attraverso uno o più accessi di durata limitata anche ad una sola parte della giornata”.

Alla luce del suddetto quadro normativo, la Corte ha esaminato il C.C.N.L. applicabile al caso di specie per stabilire se le parti sociali avevano adoperato le locuzioni “ricovero ospedaliero” e “day hospital” in maniera tassativa, escludendo altre forme di ricovero giornaliero, oppure in maniera esemplificativa, sì da comprendere anche altre possibili forme di ricovero presso le strutture sanitarie. Rispetto a tale dubbio interpretativo, la Corte ha riferito che l’espressione adoperata nel C.C.N.L. applicato “sottenda una nozione ampia di “ricovero”, comprensiva sia del “ricovero ospedaliero” vero e proprio che si protrae per almeno 24 ore e sia del ricovero di durata giornaliera. Infatti, non è logicamente plausibile che l’esclusione dal computo ai fini del comporto sia stata prevista solo per i giorni di day hospital e non per altre ipotesi ad esso completamente assimilabili, come ad esempio il “day surgery””.

La decisione

Ne consegue dunque che la Corte d’appello aveva correttamente interpretato il C.C.N.L. in esame, nel senso di escludere dal computo del comporto anche i giorni di accesso al pronto al soccorso, con la conseguenza che il ricorso della società datrice non può ritenersi fondato in relazione a tale doglianza.

Allegati

guida senza patente

Guida senza patente: due volte in un biennio è reato La Cassazione rammenta che il reato di guida senza patente, nell'ipotesi aggravata dalla recidiva nel biennio, non è stato depenalizzato

Guida senza patente

La guida senza patente per due volte in un biennio costituisce reato a tutti gli effetti in quanto condotta non penalizzata. Lo ha confermato la sesta sezione penale della Cassazione con sentenza n. 23043-2024.

Nella vicenda, la Corte d’appello di Milano disponeva consegna all’autorità giudiziaria di Romania, di uno straniero destinatario di un mandato di arresto europeo per il reato di guida senza patente, già condannato per lo stesso reato alla pena di otto mesi di reclusione.

L’uomo adiva il Palazzaccio lamentando violazione di legge quanto al principio della doppia incriminazione. Il tema attiene ala necessità per l’ordinamento interno, ai fini della rilevanza penale della condotta di guida senza patente, che sussista la recidiva nel biennio precedente alla data di commissione del reato per cui si procede. Assume, inoltre, che la Corte di appello avrebbe dovuto dare esecuzione non solo alla sentenza del 2022 ma anche a quella del 2019 in quanto quest’ultima sarebbe il presupposto necessario affinché si configuri li reato per li quale è stata disposta la consegna.

Doppia punibilità

Per gli Ermellini il ricorso è inammissibile.

In più occasioni la giurisprudenza ha chiarito, premettono infatti, che “per la sussistenza del requisito della doppia punibilità di cui all’art. 7 della legge n. 69 del 2005, è necessario che l’ordinamento italiano contempli come reato, al momento della decisione sulla domanda dello Stato di emissione, il fatto per il quale la consegna è richiesta (cfr. Cass. n. 5749/2016).

Depenalizzazione reato guida senza patente

Inoltre, aggiungono i giudici, “la depenalizzazione dei reati puniti con la sola pena pecuniaria, prevista dall’art. 1, d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, non si estende alle ipotesi aggravate punite con la pena detentiva, le quali, a seguito della trasformazione in illecito amministrativo delle fattispecie base, si configurano quali autonome figure di reato”.

Ne discende che “solo la fattispecie di guida senza patente, nell’ipotesi aggravata dalla recidiva nel biennio, non è stata depenalizzata dall’art. 1 d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 e si configura, pertanto, come fattispecie autonoma di reato di cui la recidiva integra un elemento costitutivo”.
Per l’integrazione della recidiva nel biennio, “idonea, ai sensi dell’art. 5 d.lgs. 5 gennaio 2016, .n 8, ad escludere il reato dall’area della depenalizzazione – precisa altresì la S.C. – non è sufficiente che sia intervenuta la mera contestazione dell’illecito depenalizzato, ma è necessario che questo sia stato definitivamente accertato”.

La condanna

Nel caso di specie, la Corte di appello dunque ritengono da piazza Cavour “ha fatto corretta applicazione dei principi indicati, avendo disposto la consegna, da una parte, limitatamente all’unico fatto che, per l’ordinamento interno, costituisce reato e per il quale, quindi, sussiste il requisito della doppia punibilità di cui all’art. 7 della legge n. 69 del 2005, e, dall’altra, in relazione alla sola pena di un anno di reclusione inflitta dal Tribunale romeno in ordine al fatto in questione.
Dichiarati inammissibili anche gli altri motivi, la S.C. condanna il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali e a 3mila euro in favore della Cassa delle ammende.

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audio guida ciechi inps

Verbali di invalidità: il nuovo servizio Inps L'Inps ha reso noto di aver attivato il nuovo servizio di audio-guida personalizzata per i destinatari di verbali di cecità parziale e totale

Audio-guida per non vedenti

Nuovo servizio di audio-guida personalizzata e interattiva per i destinatari di verbali di cecità parziale e totale. E’ l’INPS a illustrare con il messaggio n. 2184/2024 la novità nell’ambito del PNRR.

L’audio-guida personalizzata e interattiva per i non vedenti, già in uso per l’utenza, segue a ruota gli altri servizi partiti in via sperimentale già nel dicembre scorso per gli invalidi civili.

Come funziona l’audio-guida

Il nuovo servizio mette a disposizione degli utenti le informazioni relative al giudizio medico-legale espresso e i dati più importanti riportati nel verbale sanitario, compreso l’eventuale riconoscimento di prestazioni economiche e le agevolazioni fiscali previste per legge. I contenuti sono stati altresì personalizzati con riferimento al nome del soggetto, ai diritti e agli obblighi nascenti dall’accertamento sanitario.

I servizi promossi tramite gli appositi link (call to action), spiega l’Inps, sono:

  • il servizio di Download del codice QRcode attestante lo status di invalidità civile (per richiedere subito le agevolazioni previste per legge);
  • il nuovo “Portale della disabilità” (punto di accesso unico alle informazioni e ai servizi in tema di invalidità civile, cecità civile, sordità, disabilità di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68, e handicap di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, per facilitare l’interazione degli utenti con l’Istituto);
  • il servizio “Fascicolo previdenziale” (per la verifica delle prestazioni erogate);
  • il servizio di richiesta “Deleghe identità digitale”;
  • il servizio di “Cassetta postale online” (per visualizzare/salvare la raccomandata inviata con allegato il verbale sanitario);
  • il servizio per richiedere la Disability card, che viene presentato con il relativo link di accesso al servizio solo nelle video-guide destinate a chi ne ha diritto.

Canali di accesso al servizio

L’utente con disabilità visiva in attesa di emissione del verbale sanitario, che abbia inserito i propri contatti nella sezione “Gestione consensi” dell’area riservata “MyINPS” con l’adesione ai Servizi Proattivi, riceve una notifica SMS o e-mail, non appena viene emesso il verbale, e trova depositato nella sua area riservata l’avviso “Il tuo verbale sanitario è stato emesso”, contenente un “Personal URL” che gli dà accesso all’audio-guida personalizzata con i dati principali del suo verbale sanitario.

Il testo della notifica SMS o e-mail invita l’utente ad accedere dal portale istituzionale www.inps.it all’area riservata “MyINPS”, autenticandosi con la propria identità digitale SPID, almeno di Livello 2, CNS o CIE 3.0.

L’utente, letto tramite “Jaws” il testo dell’avviso, interagendo con il link può aprire la propria audio-guida. Nella pagina del servizio trova un breve testo introduttivo che lo guida nell’ascolto delle tracce audio personalizzate e lo invita a utilizzare i link di accesso diretto ai servizi online dell’INPS dedicati.

Il servizio di audio-guida è accessibile anche mediante i servizi di notifica dell’avviso depositati nell’app “INPS Mobile” e nell’app “IO”. Pertanto, i destinatari possono accedere all’audio-guida tramite il link presente all’interno dell’avviso notificato anche dal proprio smartphone e tablet.

Il servizio di audio-guida resta a disposizione di ogni destinatario per sei mesi dall’emissione del verbale.

Infine, ricorda l’Inps, “l’aggiornamento dei propri contatti cellulare/e-mail nella sezione ‘Gestione consensi’ dell’area riservata MyINPS, con l’adesione ai Servizi Proattivi, è condizione necessaria per abilitare l’Istituto all’invio delle notifiche SMS/e-mail”.

equo compenso avvocati

Avvocati: equo compenso non retroattivo La Cassazione ha precisato che le norme sull’equo compenso professionale, in quanto successive alla convenzione oggetto di giudizio, non possono essere applicate retroattivamente

Crediti professionali avvocati

La vicenda che ci occupa prende avvio dal giudizio instaurato da uno studio legale per ottenere il pagamento, tramite 29 decreti ingiuntivi, dei crediti professionali allo stesso spettanti sulla base di una convenzione sottoscritta con un cliente. Il cliente si era opposto ed il Giudice di Pace adito aveva parzialmente accolto tale opposizione, ritenendo applicabile l’ultima convenzione sottoscritta dalle parti e “in ragione del pagamento stragiudiziale intervenuto, revocava i ventinove decreti ingiuntivi, considerando che l’importo versato per ciascuno di essi fosse superiore al dovuto”.

Avverso tale decisione lo studio legale aveva proposto appello dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, il quale confermava gli esiti cui era giunto il Giudice di Pace.

Anche tale ultimo provvedimento giudiziario veniva impugnato dai legali dinanzi alla Corte di Cassazione.

Applicazione non retroattiva dell’equo compenso

La Corte di Cassazione, con ordinanza n.15407-2024, ha rigettato il ricorso proposto e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Nel presente esame, assume particolare rilievo il motivo d’impugnazione formulato dallo studio legale in ordine alla ritenuta nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per violazione dell’art. 345 c.p.c. con riferimento agli artt. 1341 c.c. e 13 bis legge n. 247 del 2012 “per non avere il Giudice di merito preliminarmente verificato la validità anche ai sensi dell’art. 13 bis, c.d. legge sull’equo compenso, della convenzione”.

La Corte ha ritenuto non fondata tale doglianza poiché “L’invocato art. 13-bis della legge n. 247 del 2012 è stato introdotto dal d.l. 16 ottobre 2017, n. 148, convertito con modificazioni dalla l. 4 dicembre 2017, n. 172, quindi dopo la stipulazione della convenzione di cui trattasi – che entrambe le parti hanno indicato esser avvenuta nel 2013”.

Convenzioni compensi avvocati

Nella specie e per quanto qui rileva, la suddetta disposizione stabilisce che il compenso degli avvocati nei rapporti professionali regolati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività esclusive di avvocato, in favore di imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, si presumono unilateralmente predisposte dalle imprese suddette. La norma prevede altresì che si considerano vessatorie le clausole contenute nelle ripetute convenzioni che determinano, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico dell’avvocato.

Posto quanto sopra, il Giudice di legittimità ha concluso il proprio esame sul punto, affermando che la norma citata dal ricorrente “in quanto successiva alla convenzione di cui è causa, non poteva applicarsi retroattivamente. Né la norma introdotta dal d.l. n. 148 del 2017 ha valenza interpretativa, per farne discendere l’effetto dell’applicabilità retroattiva in mancanza dell’espressa previsione nel senso dell’interpretazione autentica e dei presupposti di incertezza applicativa di norme anteriori, che ne avrebbero giustificato l’adozione”.

Leggi anche Equo compenso avvocati: norma in Gazzetta

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