omesso mantenimento figli reato

Punibile il padre che non mantiene i figli per anni La Cassazione chiarisce che la causa di esclusione di cui all’art. 131-bis c.p., è applicabile al reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, solo se l’omesso versamento abbia carattere di mera occasionalità

Reato art. 570-bis c.p.

Nel caso in esame la Corte di appello di Torino aveva ritenuto che il padre fosse penalmente responsabile, ai sensi dell’art. 570 bis c.p., per non aver versato quanto stabilito in sede giudiziale alla figlia minore a titolo di mantenimento, attenuando poi il trattamento sanzionatorio in ragione delle riconosciute attenuanti generiche.

Avverso tale decisione il genitore condannato aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di cassazione contestando, in particolare, l’omesso riconoscimento in suo favore, da parte del Giudice di merito, della causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p.

Occasionalità dell’omesso versamento ai fini della non punibilità

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 22806-2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Rispetto alla suddetta contestazione, la Corte ha in particolare affermato che “la causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. è applicabile al reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare a condizione che l’omissione corresponsione del contributo al mantenimento abbia carattere di mera occasionalità”.

Ne consegue pertanto che, nell’ipotesi in cui la condotta illecita contestata si protragga nel tempo e si sostanzi in reiterate omissioni nel versamento del mantenimento “essendo l’abitualità nel comportamento ostativa al riconoscimento del beneficio e irrilevante la particolare tenuità di ogni singola azione od omissione, la causa di non punibilità in questione non potrà trovare applicazione”.

No alla tenuità del fatto

Nel caso in esame, l’imputato aveva protratto la condotta illecita per tre anni consecutivi con la conseguenza, ha affermato la Corte, che tale comportamento risulta inconciliabile con l’applicabilità dell’art. 131- bis c.p.

 

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concorso giudici tributari

Giudici tributari: pubblicato il bando di concorso Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il concorso pubblico per esami per la copertura di 146 posti di magistrati tributari a tempo indeterminato. Domande entro il 7 luglio

Concorso 146 giudici tributari

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 46 del 7.6.2024 è stato pubblicato il provvedimento del Ministero dell’Economia e delle Finanze con cui è stato indetto l’atteso bando di concorso “per la copertura di complessivi centoquarantasei posti di giudici tributari, a tempo indeterminato”.

Chi può partecipare al concorso

L’art. 2 del bando individua i requisiti richiesti per poter accedere al concorso, tra i quali viene in rilievo il possesso, alla data di presentazione della domanda, “del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, ovvero del diploma di laurea magistrale in Scienze dell’economia (classe LM-56) o in Scienze economico-aziendali (classe LM-77) o di titoli degli ordinamenti previgenti a questi equiparati”.

Come presentare domanda

La domanda di partecipazione al concorso deve essere inviata esclusivamente per via telematica; a tal proposito il candidato dovrà autenticarsi con SPID/CIE/CNS/eIDAS, mediante la compilazione del form di candidatura sul Portale unico del reclutamento «inPA», previa registrazione sullo stesso portale.

La domanda potrà essere presentata entro il 7 luglio 2024.

L’art. 3 del bando disciplina poi in maniera dettagliata il contenuto e le modalità di compilazione della domanda di partecipazione.

Le prove

L’art. 6 del bando disciplina le modalità di svolgimento della prova preselettiva, della quale verrà data comunicazione in GU 4ª Serie speciale «Concorsi ed esami» – n. 78 del 27 settembre 2024, nonché sul sito istituzionale del Mef.

La prova preselettiva

La prova preselettiva consiste nella soluzione di 75 quesiti a risposta multipla da risolvere nel tempo massimo di 60 minuti, nelle seguenti materie:

  • diritto civile (quindici quesiti);
  • diritto processuale civile (quindici quesiti);
  • diritto tributario (quindici quesiti);
  • diritto processuale tributario (quindici quesiti);
  • diritto commerciale (quindici quesiti).

Alla prova preselettiva verranno attribuiti i seguenti punteggi:

  • +1 punto per ogni risposta esatta;
  • -0,33 punti per ogni risposta errata o multipla;
  • 0 punti per ogni mancata risposta.

La prova scritta

Alla prova scritta è ammesso un numero di candidati pari a tre volte i posti messi a concorso. Accedono, altresì, alla prova scritta coloro che hanno riportato lo stesso punteggio dell’ultimo candidato che risulta ammesso.

La prova scritta consiste nello svolgimento di due elaborati, tra i seguenti:

  • elaborato teorico vertente sul diritto tributario;
  • elaborato teorico vertente sul diritto civile o commerciale;
  • prova teorico-pratica consistente nella redazione di una sentenza in materia tributaria.

Saranno ammessi alla prova orale i candidati che otterranno un punteggio non inferiore a diciotto trentesimi in ciascun elaborato della prova scritta.

La prova orale

L’ultima prova concorsuale, ovvero quella orale, verte sulle seguenti materie:

  • diritto tributario e diritto processuale tributario;
  • diritto civile e diritto processuale civile;
  • diritto penale tributario;
  • diritto costituzionale e diritto amministrativo;
  • diritto commerciale;
  • diritto dell’Unione europea;
  • contabilità aziendale e bilancio;
  • elementi di informatica giuridica;
  • colloquio in una lingua straniera, indicata dal candidato all’atto della domanda di partecipazione al concorso, scelta fra le seguenti: inglese, spagnolo, francese e tedesco.

Conseguono l’idoneità i candidati che otterranno un punteggio non inferiore a “sei decimi in ciascuna delle materie della prova orale, e un giudizio di sufficienza nel colloquio nella lingua straniera prescelta, e comunque una votazione complessiva – tra prova scritta e prova orale – non inferiore a novanta punti. Non sono ammesse frazioni di punto”.

I titoli di preferenza del concorso giudici tributari

L’art. 12 individua, a parità di merito, quali sono i titoli di preferenza nel concorso per giudici tributari, tra cui rilevano i seguenti:

  • avere svolto, con esito positivo, l’ulteriore periodo di perfezionamento presso l’ufficio per il processo ai sensi dell’art. 50, comma 1-quater, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114;
  • avere completato, con esito positivo, il tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari ai sensi dell’art. 37, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, pur non facendo parte dell’ufficio per il processo, ai sensi dell’art. 50, comma 1-quinquies, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114;
  • aver svolto, con esito positivo, lo stage presso gli uffici giudiziari ai sensi dell’art. 73, comma 14, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98;
  • essere titolare o avere svolto incarichi di collaborazione conferiti da ANPAL Servizi S.p.a., in attuazione di quanto disposto dall’art. 12, comma 3, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26.

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rivalutazione pensione avvocati

Avvocati: pensioni rivalutate del 5,4% Approvato dai ministeri l'adeguamento Istat 2024 delle pensioni erogate da Cassa Forense agli avvocati

Adeguamento Istat 2024

Il Ministero del Lavoro, di concerto con i Ministeri della Giustizia e dell’Economia e Finanze, ha approvato la rivalutazione ISTAT per il 2024 delle pensioni erogate da Cassa Forense, nella misura del 5,4%, sulla base della variazione dell’indice dei prezzi rispetto al 2023, elaborata dall’ISTAT. Lo ha reso noto l’ente previdenziale degli avvocati con un comunicato pubblicato sul proprio sito.

Le altre rivalutazioni

Nella stessa misura del 5,4% saranno rivalutati il tetto reddituale e i coefficienti utili ai fini del calcolo delle pensioni, nonché gli importi dei contributi minimi nei seguenti termini:

  • contributo minimo soggettivo per il 2024: euro 3.355,00 (importo del 2023 = euro 3.185,00 maggiorato della rivalutazione ISTAT del 5,4%).
  • contributo minimo integrativo per il 2024: euro 850,00 (importo del 2023 = euro 805,00, maggiorato della rivalutazione ISTAT del 5,4%).

Pagamento contributi minimi

La Cassa ricorda, inoltre, che “è possibile generare e stampare i moduli di pagamento dei contributi minimi 2024 per le scadenze previste collegandosi al sito internet della Cassa Forense www.cassaforense.it tramite la sezione “Accessi riservati/posizione personale” e utilizzando i codici personali Pin e Meccanografico”.

Le prime tre rate, a titolo di acconto, saranno calcolate sulla base della contribuzione dell’anno 2023 non rivalutata, mentre la quarta rata, il 30 settembre, verrà determinata a saldo e includerà la rivalutazione ISTAT (+5,4%) e il contributo di maternità.

I contributi minimi, ad ogni modo, possono essere pagati in un’unica soluzione entro il 30 settembre, senza sanzioni.

Rivalutazione pensioni da giugno

Quanto alla rivalutazione delle pensioni, informa infine la Cassa, già dal mese di giugno saranno pagati i nuovi importi, unitamente agli arretrati maturati dal 1° gennaio 2024.

correttivo codice crisi impresa

Crisi d’impresa: approvato il terzo correttivo Il provvedimento approvato dal Governo rappresenta il terzo intervento correttivo al Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, inserendosi nell'ambito dell'attuazione degli obblighi previsti dal PNRR

Correttivo Codice della crisi

Nella seduta del 10 giugno u.s., il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della Giustizia, ha approvato, in esame preliminare, uno schema di decreto legislativo contenente le disposizioni integrative e correttivo al Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019 n. 14.

Il Ministro della Giustizia ha reso noto che “Con l’intervento di oggi in materia di crisi d’impresa e di insolvenza, il Governo tende la mano ad aziende e professionisti in difficoltà. L’obiettivo di questo correttivo è fare in modo che – proprio come avviene per una malattia – l’eventuale crisi possa essere individuata e affrontata il prima possibile. Facendo chiarezza su molti istituti, da un lato infatti aiutiamo le imprese a non muoversi troppo tardi, dall’altro rafforziamo gli strumenti preventivi e stragiudiziali di esame della difficoltà dell’impresa e di ricerca delle possibili soluzioni. È un altro impegno del Pnrr rispettato e un concreto aiuto al nostro sistema produttivo”.

Di cosa si occupa il terzo correttivo al Codice della crisi

Il decreto legislativo in esame introduce il terzo correttivo al Codice e si prefigge di correggere alcuni difetti di coordinamento normativo venuti in rilievo a seguito dei precedenti correttivi, di porre rimedio ad alcuni errori materiali e ad aggiornare la normativa di riferimento, nonché di fornire chiarimenti di natura interpretativa.

Transazioni fiscali e composizione negoziale

Nell’ambito del cosiddetto correttivo-ter sono state introdotte delle misure in tema fiscale, legate alla transazione, anche al fine di realizzare un migliore coordinamento delle misure volte a fronteggiare la crisi d’impresa.

Tra le novità più rilevanti dello schema decreto legislativo in esame, emerge la possibilità di liquidare in prededuzione i crediti sorti durante la liquidazione giudiziale o controllata, o successivamente alla domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza.

La composizione negoziata è accessibile, non solo ad imprese in stato di crisi o insolvenza, ma anche a quelle in condizioni di mero squilibrio finanziario; nell’ambito della composizione negoziata è inoltre prevista la possibilità di proporre la transazione fiscale tra il debitore e le agenzie fiscali dei tributi, quali imposte dirette come IRES e IRAP, e per le ritenute d’acconto, ad eccezione dei tributi che costituiscono risorse proprie dell’Unione Europea, quali ad esempio l’IVA e i debiti previdenziali. La transazione consente di procedere al pagamento del debito fiscale sia parzialmente che in maniera dilazionata.

L’accordo in questione viene automaticamente annullato qualora, successivamente al suo raggiungimento, è stata avviata una procedura di liquidazione, viene effettuato un accertamento di insolvenza, o se l’imprenditore non completa i pagamenti previsti entro 60 giorni dalla scadenza stabilita nell’accordo.

Accordi di ristrutturazione

Il decreto in esame si occupa anche di disciplinare le condizioni al ricorrere delle quali il Tribunale può autorizzare l’omologazione degli accordi di ristrutturazione, anche in assenza dell’adesione delle Agenzie fiscali e/o dell’INPS.

In particolare, il Tribunale ha la facoltà di autorizzare l’omologazione degli accordi di ristrutturazione, a condizione che:

  • l’accordo non abbia carattere liquidatorio;
  • i crediti vantati dai creditori che aderiscono alla ristrutturazione rappresentano almeno un quarto del totale dei debiti, e il soddisfacimento dei crediti tributari e contributivi non deve essere inferiore al 60%;
  • il trattamento riservato all’Amministrazione finanziaria o agli enti previdenziali deve essere equivalente o superiore a quello che otterrebbero in caso di liquidazione giudiziale;
  • l’adesione dei creditori pubblici deve essere decisiva per il raggiungimento delle soglie di efficacia degli accordi.

Il ruolo dei professionisti

Nel decreto legislativo in esame, i professionisti assumono un ruolo centrale nel processo di gestione e risanamento delle imprese in crisi.

I professionisti, iscritti in albi professionali, sono infatti chiamati a intervenire in varie fasi del processo di crisi, dall’identificazione precoce delle criticità, fino alla loro risoluzione attraverso misure di risanamento.

Inoltre, la formazione e l’esperienza acquisite in ruoli, quali l’attestatore, il curatore, il commissario giudiziale o il liquidatore giudiziale, negli ultimi cinque anni, sono validi per consentire l’iscrizione dei professionisti all’elenco dei gestori della crisi, consolidando ulteriormente il ruolo dei professionisti nel quadro legislativo di riferimento.

La segnalazione anticipata delle crisi di impresa

Altra modifica rilevante riguarda la segnalazione anticipata delle crisi di impresa, poiché lo schema di decreto introduce l’attenuazione o l’esclusione della responsabilità dei sindaci che abbiano segnalato tempestivamente le condizioni di crisi di cui siano venuti a conoscenza all’organo amministrativo.

web scraping

Web scraping: le linee guida del Garante Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il provvedimento del Garante privacy contenente le indicazioni per difendere i dati personali dal web scraping

Intelligenza artificiale e web scraping

Il Garante privacy ha pubblicato le indicazioni per difendere i dati personali pubblicati online da soggetti pubblici e privati in qualità di titolari del trattamento dal web scraping, la raccolta indiscriminata di dati personali su internet, effettuata, da terzi, con lo scopo di addestrare i modelli di Intelligenza artificiale generativa (IAG). Il documento tiene conto dei contributi ricevuti dall’Autorità nell’ambito dell’indagine conoscitiva, deliberata lo scorso dicembre ed è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 7 giugno 2024.

In attesa di pronunciarsi, all’esito di alcune istruttorie già avviate tra le quali quella nei confronti di OpenAI, sulla liceità del web scraping di dati personali effettuato sulla base del legittimo interesse, l’Autorità ha ritenuto necessario fornire a quanti pubblicano online dati personali in qualità di titolari del trattamento talune prime indicazioni sull’esigenza di compiere alcune valutazioni in ordine all’esigenza di adottare accorgimenti idonei a impedire o, almeno, ostacolare il web scraping.

Misure da adottare

Nel documento l’Autorità suggerisce alcune tra le misure concrete da adottare: la creazione di aree riservate, accessibili solo previa registrazione, in modo da sottrarre i dati dalla pubblica disponibilità; l’inserimento di clausole anti-scraping nei termini di servizio dei siti; il monitoraggio del traffico verso le pagine web per individuare eventuali flussi anomali di dati in entrata e in uscita; interventi specifici sui bot utilizzando, tra le altre, le soluzioni tecnologiche rese disponibili dalle stesse società responsabili del web scraping (es: l’intervento sul file robots.txt.).

Si tratta di misure non obbligatorie che i titolari del trattamento dovranno valutare, sulla base del principio di accountability, se mettere in atto per prevenire o mitigare, in maniera selettiva, gli effetti del web scraping, in considerazione di una serie di elementi: lo stato dell’arte tecnologico; i costi di attuazione, in particolare per le PMI.

giurista risponde

Contratti di fideiussione e antitrust È possibile per il giudice rilevare d’ufficio la nullità in caso di contratti di fideiussione che riproducono clausole violative della disciplina antitrust?

Quesito con risposta a cura di Carmela Qualiano e Davide Venturi

 

Nel caso di contratti di fideiussione che abbiano recepito clausole nate da intese anticoncorrenziali la sanzione predisposta è quella della nullità parziale. Il generale favore per la conservazione degli atti di autonomia negoziale, ancorché difformi dallo schema legale, tuttavia, comporta l’eccezionalità dell’estensione all’intero contratto della nullità che colpisce la singola clausola. In conseguenza di ciò è a carico di chi ha interesse a far cadere in toto l’assetto di interessi programmato fornire la prova dell’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre resta precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero atto. – Cass., sez. III, 13 marzo 2024, n. 6685.

La sentenza in commento aderisce, confermandolo, all’orientamento giurisprudenziale avallato da Cass., Sez. Un., 30 dicembre 2021, n. 41994 la quale ha affermato, in esito ad una puntuale ricognizione della normativa nazionale e comunitaria, che i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate nulle in relazione alle clausole contrastanti con la normativa antitrust sono, a loro volta, parzialmente nulli. Tale nullità parziale è, tra le diverse opzioni di tutela riconoscibili in capo al cliente fideiussore, quella che perviene a risultati più in linea con le finalità e gli obiettivi della normativa antitrust apparendo anche idonea a salvaguardare il generale principio di conservazione del contratto.

Sulla base di ciò la Cassazione ha disatteso il motivo di ricorso che postulava la violazione dell’art. 1421 c.c. affermando che, mentre il giudice davanti al quale viene proposta la domanda di nullità integrale del contratto deve rilevarne d’ufficio la nullità solo parziale, ad esso è precluso rilevare la nullità totale in mancanza di dimostrazione dell’interdipendenza dell’ intero contratto dalla parte o dalla clausola nulla.

Il ricorrente, poi, invoca la mancata considerazione del comportamento della società di leasing che, in spregio del principio di buona fede e correttezza, avrebbe gestito il contratto senza preoccuparsi di non ledere gli interessi del fideiussore, evidenziando la violazione delle garanzie di cui agli artt. 1955 e 1956 c.c. La Cassazione, tuttavia, ricorda che la non correttezza della società concedente non porta, da sola, alla liberazione del fideiussore. Occorre, infatti, che da essa sia derivato un pregiudizio non solo economico ma propriamente giuridico che si sostanzia nella perdita del diritto di surrogazione ex art. 1949 c.c. o di regresso ex art. 1950 c.c. non essendo sufficiente la mera maggiore difficoltà di attuarlo derivante dalle diminuite capacità satisfattive del debitore (così anche Cass. 19 febbraio 2020, n. 4175).

*Contributo in tema di “Contratti di fideiussione e antitrust”, a cura di Carmela Qualiano e Davide Venturi, estratto da Obiettivo Magistrato n. 74 / Maggio 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

pensami pensione

PensAMi: il simulatore INPS per la pensione Cos'è e come funziona il servizio INPS che propone i possibili scenari pensionistici per ogni tipo di utente

Cos’è PensAMi

PensAMi (Pensione a Misura) è un servizio web offerto dall’INPS che consente di simulare il proprio personale possibile scenario pensionistico senza bisogno di registrazione.
Basta inserire pochi dati anagrafici e relativi alla contribuzione, per ottenere le informazioni relative alle pensioni cui è possibile accedere sia nelle singole gestioni previdenziali, sia cumulando tutta la contribuzione.
Non solo. Il simulatore consente anche di scoprire se, avvalendosi di alcuni istituti (riscatto laurea, periodi esteri, maternità, ecc.), si può anticipare l’accesso alla pensione. Tramite note e link di approfondimento, inoltre, Pensami è uno strumento utile per conoscere il sistema previdenziale italiano.

A chi è rivolto

Il servizio è rivolto a tutti gli utenti. Lo strumento permette a chiunque, infatti, senza autenticazione, di verificare i possibili scenari pensionistici, fornendo una sorta di consulenza pensionistica “fai da te” per scoprire come e quando andare in pensione cumulando la contribuzione.

Come funziona Pensami

Il simulatore fornisce informazioni sui trattamenti pensionistici diretti valorizzando la contribuzione presente nelle varie gestioni previdenziali (Fondo pensioni lavoratori dipendenti; gestione artigiani; gestione separata, casse professionali, ecc.).

Pensami, avverte l’INPS, “non fornisce informazioni sugli importi delle pensioni né sulle pensioni previste per determinate categorie di lavoratori (es. piloti, poligrafici, militari, ecc.)”. Nè utilizza “le informazioni presenti nella banca dati dell’INPS”; è l’utente a dover inserire i dati per simulare gli scenari pensionistici.

I risultati sono basati esclusivamente sulle risposte fornite dall’utente e sono forniti in modo anonimo, non hanno valore né certificativo né costitutivo del diritto.

Rilascio aggiornamento 2024

Nell’ambito delle attività progettuali previste dal PNRR, con il messaggio 2180 del 10 giugno 2024, l’INPS ha comunicato il rilascio dell’aggiornamento del simulatore degli scenari pensionistici al quale si accede senza registrazione, anche tramite l’applicazione per dispositivi mobili “INPS Mobile”, per Android e iOS.

In particolare, comunica l’istituto, “sono stati aggiornati gli adeguamenti agli incrementi alla speranza di vita dei requisiti pensionistici sulla base dello scenario demografico ISTAT mediano (base 2022) ripreso nella nota di aggiornamento del 24° rapporto 2023, relativo alle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario elaborato dalla Ragioneria Generale dello Stato”.

Inoltre, è stato aggiornato, per l’anno 2024, l’importo massimo della pensione anticipata flessibile maturata sulla base dei requisiti perfezionati entro il 31 dicembre 2023, da porre in pagamento fino al compimento dell’età richiesta per la pensione di vecchiaia.

Sono in fase di elaborazione gli aggiornamenti del servizio volti a recepire le novità in materia pensionistica introdotte dalla legge di bilancio 2024.

Vai alla pagina del servizio sul sito INPS

institore art. 2203 codice civile

Institore: chi è e cosa fa Chi è e cosa fa l’institore, quali sono i suoi rapporti con l’imprenditore preponente, quali i suoi poteri e le sue responsabilità. In particolare: la procura institoria

Chi è e cosa fa l’institore

L’institore è un soggetto incaricato dall’imprenditore a gestire un’impresa commerciale o un particolare ramo di essa o una sua sede secondaria.

L’incarico viene conferito con un particolare negozio giuridico, chiamato procura institoria e afferisce ad un generale potere di gestione dell’impresa e non a specifici atti.

Che differenza c’è tra institore e procuratore

Diversamente dal potere di gestione proprio dell’institore, individuato dall’art. 2203 del codice civile nei termini sopra esaminati, il procuratore ha invece dei poteri più limitati, che riguardano specifici atti.

Le funzioni di institore, inoltre, sono assimilabili a quelle di un dirigente, avendo egli dei veri e propri poteri direttivi, decisionali e di rappresentanza generale, mentre lo stesso non si può dire dei procuratori.

Entrambe le figure, comunque, sono comunemente considerate come dei lavoratori subordinati ai sensi dell’art. 2094 c.c., in quanto retribuiti dall’imprenditore e legati a questi da un rapporto continuativo. In termini più generici, di solito, l’institore e il procuratore (e altresì il commesso) vengono definiti come gli ausiliari dell’imprenditore.

Poteri dell’institore

A norma dell’art. 2204 c.c., l’institore ha il potere di compiere tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa (eccetto quelli esclusi da eventuali limiti contenuti nella procura).

L’alienazione e l’ipoteca di immobili, però, devono essere espressamente autorizzate dal proponente.

L’institore ha, inoltre, il potere di rappresentanza giudiziale dell’imprenditore. A questo riguardo, va precisato che, da un lato, l’institore può agire non solo con riferimento agli affari da lui compiuti, ma in generale per tutto ciò che afferisce all’impresa da lui gestita. Dall’altro, il suo potere di rappresentanza giudiziale non può essere limitato relativamente al lato passivo: l’institore, cioè, può essere sempre chiamato in giudizio dal terzo coinvolto con lui in un affare.

L’institore è inoltre tenuto, con l’imprenditore, all’osservanza delle norme relative all’iscrizione nel registro delle imprese e alla corretta tenuta delle scritture contabili.

Come si nomina un institore?

La procura institoria è l’atto con cui l’imprenditore prepone l’institore quale gestore della propria azienda, o di un ramo di essa.

Tale atto deve essere autenticato da un pubblico ufficiale come il notaio e successivamente trascritto presso il registro delle imprese (sebbene il rapporto institorio possa essere dimostrato, da chi ne abbia interesse, anche in assenza della procura).

I caratteri di pubblicità che caratterizzano l’atto di procura con cui viene incaricato l’institore rispondono ad un’esigenza di tutela dell’affidamento dei terzi che concludono affari, o che siano coinvolti in qualsiasi tipo di rapporto giuridico, con l’institore.

Non a caso, il codice dedica particolare attenzione sia alla disciplina della responsabilità dell’institore (e dell’imprenditore), sia alla trascrizione dei limiti al potere di rappresentanza contemplati nella procura institoria.

La procura institoria e le responsabilità dell’institore

In particolare, il secondo comma dell’art. 2206 dispone che, in mancanza dell’iscrizione della procura nel registro delle imprese, la rappresentanza dell’institore è da considerarsi generale. Ciò significa che le eventuali limitazioni concordate tra imprenditore e institore non saranno opponibili ai terzi, a meno che non si dimostri che il terzo ne era a conoscenza quando ha concluso l’affare.

Inoltre, a norma dell’art. 2207 c.c., se, successivamente all’iscrizione della procura, l’imprenditore intende apportarvi delle limitazioni, anche tali atti limitativi del potere institorio dovranno essere iscritti nel registro delle imprese, pena l’inopponibilità delle limitazioni ai terzi. Di conseguenza, in assenza di pubblicità, l’imprenditore rimane obbligato per gli atti dell’institore che superino i suoi poteri.

Riguardo alla responsabilità dell’institore, infine, l’art. 2208 c.c. chiarisce che la stessa è personale quando quest’ultimo non metta il terzo in condizioni di conoscere l’esistenza del rapporto institorio; in un’ottica di maggiore tutela dell’affidamento, al terzo è riconosciuta, comunque, azione contro l’imprenditore per gli atti compiuti dall’institore che siano pertinenti all’esercizio dell’impresa. In tal caso, l’imprenditore conserva, al contempo, il diritto di agire in regresso nei confronti dell’institore che abbia agito per il proprio interesse.

quota tfr

Quota TFR coniuge divorziato: quando spetta La quota al TFR del coniuge lavoratore spetta al coniuge divorziato che non sia passato a nuove nozze e sia titolare dell’assegno di divorzio

Quota TFR coniuge divorziato: la norma

L’articolo 12 bis della legge n. 898 del 1970 stabilisce che il coniuge, nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, ha diritto a una quota dell’indennità di fine rapporto (TFR) percepita dall’altro coniuge. Tuttavia, questo diritto è soggetto a specifici requisiti. Vediamo insieme cosa prevede la legge e quali sono i dettagli cruciali per ottenere questa quota.

Requisiti per il diritto alla quota TFR

Affinché il coniuge divorziato abbia diritto a una percentuale del TFR lo stesso non deve essere passato a nuove nozze. Questo è il primo requisito fondamentale previsto dalla normativa.

Il secondo requisito che la legge richiede per avere diritto a una quota del TFR, è la titolarità dell’assegno di divorzio. Il coniuge divorziato deve essere cioè titolare di un assegno divorzile ai sensi dell’articolo 5 della stessa legge. Senza l’assegno divorzile, il diritto alla percentuale del TFR non sussiste.

La misura della quota TFR

La quota percentuale della quota TFR spettante al coniuge divorziato è pari al 40% dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio. Questo significa che la quota viene calcolata solo per gli anni di lavoro in cui i coniugi sono rimasti sposati.

Tempi della richiesta

Un aspetto che spesso è fonte di confusione è la tempistica della richiesta di divorzio in relazione al diritto al TFR.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 5553/1999 ha chiarito che affinché il coniuge divorato possa avere diritto alla quota del TFR, è necessario che la domanda di divorzio sia stata presentata prima che, in capo al lavoratore, sorga il diritto al percepimento del TFR.

Con la sentenza n. 4360/2023, la Cassazione ha ulteriormente chiarito due aspetti cruciali:

  • il diritto del lavoratore al TFR sorge quando cessa il rapporto di lavoro, senza che assuma rilievo la data in cui il TFR viene materialmente incassato. Dalla cessazione del rapporto decorre anche la prescrizione del diritto a chiedere il pagamento del TFR;
  • il momento invece in cui la domanda di divorzio deve intendersi presentata coincide con la data del deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale competente. Se il ricorso viene depositato dopo la cessazione del rapporto di lavoro del coniuge, il diritto alla percentuale del TFR non sussiste.

Consideriamo un caso specifico per comprendere meglio. Se il rapporto di lavoro del coniuge viene a cessare il 10 giungo 2024 luglio 2024, l’altro coniuge non avrà diritto a una percentuale del TFR se il ricorso per il divorzio viene depositato in cancelleria dopo questa data.

Quando non spetta la quota di TFR

Alla luce di quanto sopra detto si può concludere che la quota TFR del coniuge lavoratore non spetta al coniuge divorziato a cui non sia stato riconosciuto il diritto all’assegno di divorzio e al coniuge che, dopo il divorzio, sia passato a nuove nozze. La quota inoltre non spetta se la domanda di divorzio viene presentata dopo che, in capo al coniuge lavoratore, sia maturato il diritto al TFR.

decreto caivano

Decreto Caivano Il decreto Caivano contiene misure di contrasto alla criminalità giovanile, all’abbandono scolastico e al degrado urbano nelle aree più esposte del territorio

Decreto Caivano: la ratio

Il “Decreto Caivano” è stato emanato dal governo italiano come risposta urgente a una serie di episodi di criminalità giovanile e degrado urbano che hanno colpito alcune zone del paese, tra cui il comune di Caivano, in provincia di Napoli. Il decreto n. 123/2023, convertito in legge con modifiche, rappresenta un tentativo di affrontare problematiche sociali e di sicurezza in modo strutturato. Esso mira a contrastare fenomeni di criminalità minorile, degrado urbano e sociale in aree particolarmente colpite da questi problemi. L’obiettivo principale è ripristinare la sicurezza e promuovere la riqualificazione sociale ed economica attraverso interventi mirati.

Principali misure del decreto Caivano

Il decreto contempla una serie di misure multidimensionali, tra le quali assumono un particolare rilievo quelle dedicate ai minori.

Daspo urbano: il provvedimento lo estende a coloro che hanno compiuto gli anni 14. Viene introdotto anche il Daspo Willy per contrastare i fenomeni di movida violenta.

Lotta ai reati in materia di sostanze stupefacenti e di armi. Più elevate le sanzioni per il porto d’armi e lo spaccio di sostanze stupefacenti, per il quale la pena massima sale a cinque anni. Introdotto il reato di pubblica intimidazione attraverso luso delle armi, che viene punito con il carcere da tre a otto anni.

Prevenzione della violenza giovanile anche tramite l’avviso orale, che vale per i minori maggiori di 14 anni.

Divieti per dispositivi di telecomunicazioni e sistemi informatici: per chi ha violato l’avviso orale viene previsto il divieto di utilizzo di dispositivi di comunicazione.

Ammonimento per i minori di età compresa tra i 12e i 14 anni qualora commettano gravi reati.

Il processo penale minorile viene riformato. Previste nuove misure di natura cautelare e percorsi di rieducazione.

Regole nuove per i minori coinvolti in reati di particolare gravità come quelli relativi al traffico di sostanze stupefacenti o mafia. Rafforzata nel contempo la sicurezza all’interno degli istituti penali per i minorenni.

Viene ampliata lofferta educativa all’interno delle scuole meridionali e vengono adottate nuove misure al fine di contrastare il fenomeno dell’abbandono scolastico.

A tutela dei minori che utilizzano dispositivi informatici viene introdotto l’obbligo, a carico dei siti pornografici, di adottare i sistemi che consentano di accertare la maggiore età dell’utente.

Durante il processo di conversione in legge, il testo originario del Decreto Caivano è stato modificato per migliorare l’efficacia delle misure proposte e rispondere alle critiche e ai suggerimenti emersi dal dibattito pubblico e parlamentare.

Il decreto, nella sua versione convertita in legge con modifiche, rappresenta un tentativo significativo di affrontare problemi complessi di criminalità e degrado urbano attraverso un approccio integrato e multidimensionale. Le modifiche apportate durante il processo legislativo hanno migliorato il testo originale.

Sono stati introdotti meccanismi di partecipazione attiva delle comunità locali nella pianificazione e nell’attuazione degli interventi.

È stata rafforzata la tutela dei diritti civili dei residenti, con l’introduzione di garanzie per evitare abusi.

Viene previsto un potenziamento del supporto psicologico e sociale per le vittime di reati e per i minori coinvolti in situazioni di rischio.

Implicazioni per le comunità interessate

La versione definitiva del Decreto Caivano ha indubbie e significative implicazioni per le comunità coinvolte.

Le misure adottate mirano a migliorare la sicurezza pubblica e a ridurre il crimine nelle aree colpite. L’aumento della presenza delle forze dell’ordine e l’uso di tecnologie avanzate contribuiscono a un controllo più efficace del territorio.

Gli interventi di riqualificazione urbana e i progetti educativi e formativi sono volti a migliorare le condizioni sociali ed economiche, offrendo nuove opportunità ai giovani e alle famiglie.

Il coinvolgimento attivo delle comunità locali nella pianificazione e nell’attuazione degli interventi favorisce un approccio più inclusivo e partecipativo, aumentando la coesione sociale e il senso di appartenenza.

La legge prevede infine  meccanismi di monitoraggio e valutazione che garantiranno l’adattamento delle misure alle esigenze reali delle comunità, promuovendo una sostenibilità a lungo termine degli interventi.

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