passo carrabile

Passo carrabile Passo carrabile: guida completa sulla normativa, la richiesta, le voci di costo da sostenere e le sanzioni per chi trasgredisce

Cos’è il passo carrabile

Il passo carrabile, detto anche passo carraio, è un elemento fondamentale della viabilità urbana e privata. La sua regolamentazione è contenuta negli articoli 3 e 22 del Codice della Strada (Decreto legislativo n. 285/1992).

Articoli 3 e 22 del Codice della Strada

Il passo carrabile è l’accesso a un’area privata destinata alla sosta o al transito di veicoli dalla pubblica via. Si tratta di un’area che interrompe il marciapiede o la carreggiata e che richiede un’autorizzazione specifica per impedire la sosta dei veicoli davanti all’accesso.

L’articolo 3 del Codice della Strada lo definisce come “un accesso ad area laterale idonea al transito di veicoli” e l’articolo 22 stabilisce che la sua installazione è soggetta a specifica autorizzazione del Comune.

Come si richiede il passo carrabile e quanto costa

Per ottenerlo è necessario presentare una domanda al Comune di competenza, allegando:

  • modulo di richiesta fornito dal Comune;
  • planimetria dell’area privata con la posizione dell’accesso;
  • documentazione fotografica dello stato attuale;
  • dichiarazione di proprietà o consenso del proprietario.

L’autorizzazione è soggetta a valutazione tecnica da parte degli uffici comunali, che verificano la conformità urbanistica e la viabilistica dell’accesso.

Costi per l’autorizzazione

I costi variano in base al Comune e alla tipologia del passo carrabile. Le principali voci di spesa sono rappresentate:

  • dai diritti di segreteria, bolli, spese di istruttoria e sopralluogo;
  • dagli oneri per loccupazione di suolo pubblico (TOSAP o COSAP): il costo annuo dipende dalla metratura e dal regolamento comunale, anche se è bene sapere che alcuni Comuni hanno abolito questa tassa;
  • dal costo del cartello segnaletico;
  • dal costo eventualmente richiesto per la tassa di rinnovo annuale. 

Come deve essere il segnale di passo carrabile?

Il cartello è obbligatorio e deve rispettare le seguenti caratteristiche:

  • deve essere di forma rettangolare;
  • deve avere lo sfondo bianco con il bordo nero;
  • deve contenere la scritta “Passo carrabile” in nero, il numero dell’autorizzazione comunale, il Comune di rilascio e il simbolo del divieto di sosta (circolare con sfondo blu e barra rossa).

Il cartello deve essere ben visibile e posizionato frontalmente all’accesso. La mancanza del segnale rende inefficace il divieto di sosta.

Quali sono le multe per i trasgressori?

Il Codice della Strada all’art. 158, comma 5 prevede per chi parcheggia allo sbocco del passo carrabile;

  • multe da 41 a 168 euro (art. 158 CdS) per i ciclomotori e da 87 a 344 per i restanti veicoli;

Se il proprietario di un passo carrabile trova un veicolo in sosta irregolare, può chiamare la Polizia Municipale, che procederà all’irrogazione della sanzione e alla rimozione del mezzo.

 

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donazione indiretta

Donazione indiretta La donazione indiretta: cos’è, qual è normativa e come funziona, quali sono gli effetti e quale forma è richiesta

Cos’è la donazione indiretta

La donazione indiretta è una forma di liberalità che si realizza attraverso atti o negozi giuridici che, pur non avendo la forma tipica della donazione, producono effetti equivalenti. A differenza della donazione diretta, che richiede un atto formale e pubblico, la donazione indiretta si manifesta in operazioni quotidiane, come il pagamento di un debito altrui o l’acquisto di un bene intestato a un terzo.

Normativa di riferimento

La disciplina è rappresentata principalmente sull’articolo 809 del Codice Civile, il quale stabilisce che le liberalità che risultano da atti diversi dalla donazione sono soggette alle norme sulle donazioni nella misura in cui queste siano compatibili. Pertanto, le donazioni indirette devono rispettare le norme sulle donazioni in termini di revocabilità e impugnabilità, ma non necessitano della forma solenne richiesta per le donazioni dirette.

Come funziona la donazione indiretta

La donazione indiretta si realizza attraverso atti che comportano un arricchimento patrimoniale per il beneficiario senza un corrispettivo. Alcuni esempi comuni includono:

  • il pagamento di un debito altrui senza obbligo di rimborso;
  • l’acquisto di un bene intestato a un terzo;
  • la rinuncia a un diritto a favore di un altro soggetto.

L’elemento distintivo dell’istituto è l’animus donandi, ovvero l’intenzione di arricchire il beneficiario senza richiedere nulla in cambio.

Effetti della donazione indiretta

Gli effetti di questo tipo particolare di donazione sono simili a quelli della donazione diretta, in quanto comportano un arricchimento del beneficiario. Tuttavia, non essendo soggetta agli stessi requisiti formali, la donazione indiretta può essere più difficile da contestare. Tuttavia, resta soggetta alle norme in materia di revocazione per ingratitudine (art. 801 c.c.), sopravvenienza di figli (art. 803 c.c.) e riduzione per poter integrare la quota dovuta ai legittimari (art.  553 e s. C.c).

Forma della donazione indiretta

A differenza della donazione diretta, che richiede l’atto pubblico con la presenza di due testimoni (art. 782 c.c.), la donazione indiretta non è soggetta a forme particolari. Tuttavia, è consigliabile documentare adeguatamente l’operazione per evitare contestazioni future, soprattutto in ambito successorio.

Giurisprudenza recente

La giurisprudenza italiana ha spesso affrontato il tema delle donazioni indirette, chiarendo i confini e le implicazioni di tali atti. Ad esempio:

Cassazione n. 9379/2020: La donazione indiretta si realizza attraverso un atto che, pur non assumendo formalmente la veste di una donazione, è caratterizzato da uno spirito di liberalità e comporta un arricchimento gratuito del beneficiario. L’intento donativo, tuttavia, non è immediatamente evidente ma deve essere desunto indirettamente da un’attenta valutazione delle specifiche circostanze del caso concreto. Tale accertamento deve avvenire nel rispetto delle regole processuali, richiedendo che gli elementi probatori siano dedotti e dimostrati in modo corretto e tempestivo in giudizio.

Cassazione n° 7442/2024: in materia di imposta sulle donazioni, l’interpretazione dell’art. 56-bis del D. Lgs. implica che le liberalità diverse dalle donazioni formali – ovvero quegli atti che determinano un arricchimento del beneficiario a fronte di un impoverimento del donante, senza rispettare la forma solenne prevista dall’art. 760 c.c. – costituiscono espressione di capacità contributiva e, pertanto, sono soggette a tassazione. Sebbene non vi sia un obbligo di registrazione, tali liberalità possono essere accertate e assoggettate all’imposta qualora emergano da dichiarazioni rese dall’interessato nell’ambito di procedimenti di accertamento tributario e superino le attuali soglie di esenzione.

Cassazione n. 16329/2024: se un soggetto acquista un immobile con denaro proprio, ma lo intesta a un’altra persona, che intende beneficiare, la compravendita funge da mero strumento per il trasferimento del bene. In tal caso, si configura una donazione indiretta dell’immobile stesso e non del denaro impiegato per l’acquisto.Tuttavia, non si può parlare di donazione indiretta dell’immobile se il donante contribuisce solo in parte al pagamento del prezzo. In questa circostanza, il trasferimento del denaro rappresenta un atto autonomo e non uno strumento per realizzare la liberalità dell’intero immobile, a meno che il disponente non ne sostenga integralmente il costo.

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Nessun mantenimento alla ex se non cerca lavoro Mantenimento alla ex: non è dovuto l’assegno alla moglie che, per età e capacità, può mantenersi da sola ma non si attiva per cercare lavoro

Assegno di mantenimento alla ex

La Cassazione, con l’ordinanza n. 3354/2025, ha deciso che l’assegno di mantenimento alla ex è dovuto se dimostra di aver cercato attivamente lavoro senza successo. La capacità lavorativa è un criterio essenziale per determinare il diritto all’assegno. È responsabilità del richiedente fornire prove di un’infruttuosa ricerca occupazionale. L’assegno, previsto dall’articolo 156 del codice civile, difende la solidarietà coniugale ma non copre ciò che il coniuge potrebbe ottenere autonomamente. Nel caso specifico, la richiesta della ex moglie è stata respinta poiché non ha dimostrato di aver cercato lavoro e ha rifiutato ingiustificatamente un’offerta.

Mantenimento post-separazione: art. 156 c.c.

Il Tribunale si esprime in prima istanza sulla separazione personale di due coniugi. Il marito contesta la decisione, chiedendo che la colpa della separazione venga attribuita alla moglie e che la richiesta di mantenimento venga respinta. La moglie non ha infatti soddisfatto le condizioni dell’articolo 156 c.c., che richiedono l’assenza di redditi adeguati. In giudizio, la moglie chiede il rigetto delle richieste del marito e che un terzo creditore del coniuge le paghi le somme dovute come mantenimento.

Mantenimento negato senza ricerca attiva

La Corte rigetta invece le richieste della moglie, accogliendo parzialmente quelle del marito. L’indagine istruttoria non permette alla Corte di stabilire se la fine del matrimonio sia attribuibile a uno o entrambi i coniugi. Tuttavia, riguardo al mantenimento richiesto dalla moglie, esso viene negato poiché ha rifiutato un’offerta lavorativa senza giustificazioni e non ha cercato attivamente lavoro. La donna si è limitata a inviare un curriculum a una banca, lamentando difficoltà nel trovare occupazione per mancanza di un mezzo proprio. Secondo la Corte l’assegno non è dovuto data la giovane età della richiedente, la breve durata del matrimonio e l’assenza di figli. L’assegno mensile di 250 euro decretato dal Tribunale non è giustificabile poiché non è stato neanche dimostrato il tenore di vita durante il matrimonio durato solo quattro anni.

Differenze economiche e difficoltà lavorative

La parte soccombente ricorre in Cassazione sottolineando che il marito possiede un notevole patrimonio immobiliare e un reddito adeguato mentre lei  durante il matrimonio si occupava della casa e della famiglia. Tra i due esisteva una significativa disparità economica e patrimoniale; inoltre va considerata la sua difficoltà nel trovare lavoro in Calabria, regione nota per problemi occupazionali.

Mantenimento alla ex escluso se capace di lavorare

La Cassazione però rigetta il ricorso sottolineando il mancato sforzo nella ricerca lavorativa da parte della moglie. Gli Ermellini ribadiscono che in tema di separazione dei coniugi, spetta al richiedente dimostrare lattivazione sul mercato del lavoro compatibile con le proprie capacità professionali in assenza di adeguati redditi propri. L’assegno previsto dall’articolo 156 c.c., pur esprimendo un dovere solidaristico, non può comprendere ciò che ordinariamente ci si può procurare autonomamente.

Per la Cassazione quindi le differenze reddituali non sono rilevanti se manca la prova della ricerca attiva di impiego; nel caso specifico è stato provato semmai il rifiuto ingiustificato dell’offerta lavorativa proposta.

 

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patto commissorio

Patto commissorio Il patto commissorio: definizione, normativa e giurisprudenza, il divieto di cui all’art. 2744 del codice civile

Cos’è il patto commissorio

Il patto commissorio è un accordo stipulato tra creditore e debitore che prevede la possibilità per il creditore di acquisire automaticamente la proprietà di un bene dato in garanzia nel caso in cui il debitore non adempia alla propria obbligazione. Questo meccanismo consente al creditore di soddisfare il proprio credito senza dover ricorrere alle ordinarie procedure esecutive.

Normativa di riferimento

Il patto commissorio è disciplinato dall’articolo 2744 del codice civile italiano, che stabilisce il divieto di stipulare tali accordi. La norma recita: “È nullo il patto con il quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore”.

Questo divieto è finalizzato a proteggere il debitore da possibili abusi da parte del creditore, evitando che quest’ultimo possa appropriarsi di beni di valore superiore rispetto al credito vantato.

Come funziona

Il funzionamento del patto commissorio prevede che, in caso di inadempimento del debitore, il creditore acquisisca direttamente la proprietà del bene dato in garanzia, senza necessità di procedere a una valutazione del bene o a una procedura giudiziale. Tuttavia, questa pratica è vietata dalla legge italiana, rendendo nullo qualsiasi accordo che contempli tale meccanismo.

Il divieto del patto commissorio e le sue implicazioni

Il divieto sancito dall’art. 2744 c.c. ha importanti implicazioni pratiche:

  1. Tutela del debitore: Il divieto impedisce al creditore di ottenere un arricchimento ingiustificato a discapito del debitore.
  2. Necessità di procedure esecutive: In caso di inadempimento, il creditore deve ricorrere alle ordinarie procedure di esecuzione forzata per soddisfare il proprio credito.
  3. Nullità del patto: Qualsiasi patto che preveda il trasferimento automatico della proprietà del bene in caso di inadempimento è considerato nullo.

Differenza tra patto commissorio e patto marciano

A differenza del patto commissorio, il patto marciano è considerato lecito in quanto prevede la valutazione del bene al momento dell’inadempimento e la restituzione dell’eventuale eccedenza al debitore. Questo garantisce un equilibrio tra le parti, evitando l’appropriazione ingiusta del bene da parte del creditore.

Giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza italiana ha spesso ribadito il divieto del patto commissorio e chiarito i suoi limiti applicativi:

  • Civ., Sez. III, n. 11545/2013: Ha ribadito che il divieto del patto commissorio si applica a tutte le forme di garanzia reale, inclusi pegno e ipoteca.
  • Civ., Sez. I, n. 19211/2017: Ha chiarito che anche gli accordi che, pur non configurandosi formalmente come patti commissori, ne riproducono gli effetti sono da considerarsi nulli.
  • Civ., Sez. II, n. 30214/2020: Ha stabilito che il divieto si applica anche ai contratti atipici che prevedono il trasferimento automatico della proprietà del bene in caso di inadempimento.

 

liberatoria

Liberatoria: guida e modello Liberatoria: cos’è, come e quando viene utilizzata e modulo in bianco da compilare per l'autorizzazione all'uso di immagini e riprese video

Cos’è una liberatoria?

La liberatoria è un documento con cui una persona concede il proprio consenso a terzi per svolgere una determinata attività o per utilizzare materiali, informazioni o contenuti che la riguardano. Rappresenta uno strumento legale fondamentale per evitare conflitti e garantire che tutte le parti coinvolte abbiano chiari i diritti e gli obblighi in relazione all’oggetto della liberatoria.

A che cosa serve?

La liberatoria ha molteplici scopi, tra cui:

  • consentire l’utilizzo di immagini, video o contenuti personali da parte di aziende, organizzazioni o individui;
  • autorizzare lo svolgimento di attività che potrebbero coinvolgere rischi, come eventi sportivi o manifestazioni;
  • permettere la cessione o l’utilizzo di opere protette da diritto d’autore;
  • sollevare una parte da responsabilità in caso di danni o contestazioni legate a un’attività specifica.

Firmare una liberatoria garantisce trasparenza tra le parti, prevenendo eventuali controversie legali.

Quali tipologie di liberatoria esistono?

Esistono diverse tipologie di liberatorie, a seconda dell’ambito di applicazione. Tra le più comuni troviamo quelle:

  • per luso dellimmagine: autorizza l’utilizzo di foto o video per scopi pubblicitari, editoriali o commerciali. È obbligatoria quando si intende pubblicare contenuti in cui una persona è riconoscibile.
  • per attività sportive: esonera gli organizzatori da responsabilità per eventuali danni o incidenti occorsi durante la partecipazione a un evento sportivo.
  • per il diritto dautore: permette l’utilizzo di opere creative come testi, fotografie o musiche protette da copyright.
  • per responsabilità civile: utilizzata in ambiti diversi per sollevare una parte da responsabilità legate a danni o perdite.

Esempio di modulo di liberatoria

Ecco un esempio di modulo di liberatoria per l’uso dell’immagine:

MODULO DI LIBERATORIA PER LUSO DELLIMMAGINE

Io sottoscritto/a ______________________________, nato/a il ____________, a ________________ e residente in ____________________________,

autorizzo __________________________________________________________ (nome dell’organizzazione o individuo) all’utilizzo delle mie immagini fotografiche e/o riprese video per scopi __________________ (specificare: es. pubblicitari, editoriali, commerciali) senza limiti di tempo né restrizioni geografiche.

Dichiaro inoltre di non avere nulla a pretendere in relazione all’utilizzo del suddetto materiale, rinunciando a qualsiasi richiesta economica o rivendicazione futura.

Luogo e data: __________________

Firma: ________________________

Licenziamento disciplinare: valide le giustificazioni inviate entro 5 giorni La Cassazione chiarisce che in caso di licenziamento disciplinare il termine dei 5 giorni si riferisce all’invio delle giustificazioni

Licenziamento disciplinare e giustificazioni lavoratore

In tema di licenziamento disciplinare, sono da considerarsi valide le giustificazioni trasmesse dal lavoratore entro 5 giorni. Il termine di decadenza, infatti, è relativo al momento dell’invio e non a quello della ricezione delle giustificazioni stesse da parte del datore di lavoro. Non solo. Il datore di lavoro non può adottare provvedimenti disciplinari senza previa audizione del lavoratore. Questi i principi che si ricavano dall’ordinanza n. 2066/2025 della sezione lavoro della Cassazione.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d’appello confermava la misura del licenziamento per giusta causa comminata a un lavoratore a seguito di contestazione disciplinare.

L’uomo adiva il Palazzaccio lamentando, tra l’altro, che la Corte territoriale, condividendo quanto già considerato in primo grado, aveva ritenuto tardive le giustificazioni da lui rese all’azienda a mezzo pec.

La decisione

La Cassazione ritiene la doglianza fondata, citando sia la prescrizione normativa di cui all’art. 7 comma 2 dello Statuto dei Lavoratori che l’art. 8 del CCNL Metalmeccanica aziende industriali.

Inoltre, osservano i giudici di piazza Cavour, è stato giò affermato che “il dato letterale del secondo comma, ove si fa riferimento alla presentazione delle giustificazioni e non anche alla ricezione delle stesse da parte datoriale, è sufficientemente chiaro, orientando l’attività ermeneutica nel senso di attribuire alle parti sociali l’intento di riferire il termine di decadenza per l’esercizio del diritto di difesa da parte del lavoratore, al momento dell’invio delle giustificazioni e non della ricezione delle medesime da parte del datore di lavoro, non potendo prospettarsi ragionevoli dubbi sull’effettiva portata del significato della clausola” (cfr. Cass. n. 32607/2018; n. 12360/2014).

Vertendosi in tema di decadenza, secondo i principi enunciati in sede di legittimità (cfr. in termini Cass. Sez. Un. 14/4/2010 n. 8830; Cass. 24/3/2011 n. 6757), inoltre, “l’effetto impeditivo di esse va collegato al compimento da parte del soggetto, unicamente dell’attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione demandato ad un servizio – idoneo a garantire un adeguato affidamento – sottratto alla sua ingerenza, in ragione di un equo e ragionevole bilanciamento degli interessi coinvolti (vedi Cass. 16/7/2018 n. 18823)”. Per cui, “il termine di cinque giorni dalla contestazione dell’addebito, prima della cui scadenza è preclusa, ai sensi dell’art. 7, quinto comma, della legge n. 300 del 1970, la possibilità di irrogazione della sanzione disciplinare, è chiaramente funzionale ad esigenze di tutela dell’incolpato (Cass. S.U. 7/5/2003 n. 6900)”.

Più di recente, infine affermano gli Ermellini, cassando la sentenza con rinvio, è stato ribadito li principio di diritto “secondo cui il datore di lavoro che intenda adottare una sanzione disciplinare non può omettere l’audizione del lavoratore incolpato che, nel termine di cui all’art. 7, comma 5, st. lav., ne abbia fatto espressa ed inequivocabile richiesta contestualmente alla comunicazione di giustificazioni scritte, anche se queste appaiano di per sé ampie ed esaustive” (cfr. Cass. n. 12272/2023).

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malversazione a danno

Malversazione a danno dello Stato Il reato di malversazione a danno dello Stato: normativa, caratteristiche, aspetti procedurali e giurisprudenza

Malversazione a danno dello Stato: in cosa consiste

Il reato di malversazione a danno dello Stato è previsto e punito dall’art. 316-bis del codice penale italiano. Questo reato si configura quando un soggetto, avendo ricevuto contributi, sovvenzioni o finanziamenti pubblici, utilizza tali risorse per scopi diversi da quelli per cui erano stati concessi. Si tratta di un illecito che mira a tutelare l’integrità e la corretta destinazione delle risorse pubbliche.

Quando viene integrato il reato di malversazione?

Il reato si integra quando:

  1. Erogazione di fondi pubblici: il soggetto riceve contributi, sovvenzioni o finanziamenti da parte dello Stato o di altri enti pubblici;
  2. Destinazione illecita: le risorse ricevute vengono utilizzate per finalità diverse da quelle previste dai bandi o dai contratti di concessione;
  3. Assenza di restituzione: il mancato utilizzo conforme delle somme non è accompagnato dalla restituzione dei fondi.

Non è necessario che il comportamento abbia causato un danno economico all’amministrazione pubblica; è sufficiente l’uso difforme rispetto alle finalità stabilite.

Come viene punita la malversazione

L’art. 316-bis c.p. prevede la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni per chiunque commetta il reato. La pena può variare in base alla gravità del fatto e alla quantità di risorse indebitamente utilizzate. In alcuni casi, possono essere applicate pene accessorie, come l’interdizione dai pubblici uffici.

Aspetti procedurali del reato di malversazione

  • Competenza: la competenza per il giudizio è generalmente del tribunale ordinario.
  • Indagini preliminari: le indagini sono condotte dalla Procura della Repubblica, con il supporto della Guardia di Finanza per le verifiche contabili.
  • Prescrizione: il reato di malversazione si prescrive in sei anni, salvo interruzioni dovute a atti processuali.
  • Restituzione e attenuanti: la restituzione spontanea delle somme può costituire una circostanza attenuante, riducendo la pena.

Giurisprudenza malversazione

La giurisprudenza italiana ha fornito chiarimenti importanti sull’applicazione dell’art. 316-bis c.p.:

Cassazione n. 3770/2025: “con il decreto-legge 25 febbraio n. 2022, n. 13, (c.d. decreto frodi) convertito nella L. n.25/22 sono state introdotte alcune modifiche alla formulazione letterale dell’art. 316-bis cod. pen.:

  • le parole «a danno dello Stato» sono sostituite dalle seguenti: «di erogazioni pubbliche»;
  • al primo comma, le parole da «o finanziamenti» a «finalità» sono sostituite dalle seguenti: «, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, destinati alla realizzazione di una o più finalità, non li destina alle finalità previste».

La nuova previsione normativa ricomprende anche il tipo di finanziamento ottenuto dall’imputato che, pur provenendo da un istituto bancario privato, era stato erogato in forza non di una valutazione del merito del credito, ma della verifica dei presupposti della convenzione intercorsa con lo Stato, di cui il soggetto privato opera come longa manus.”

Cassazione n. 11732/2024: Il delitto di malversazione ex art. 316-bis c.p. si perfeziona al momento della scadenza del termine essenziale previsto dal contratto per la realizzazione dell’opera o del servizio per cui i fondi sono stati erogati. Tuttavia, può consumarsi anche prima, qualora risulti impossibile destinare le risorse alla finalità pubblica prevista, ad esempio a causa della violazione di vincoli o condizioni ulteriori, la cui inosservanza comprometta irrimediabilmente la tutela garantita dalla norma.

Cassazione n. 23927/2023: il reato di malversazione di erogazioni pubbliche consiste nell’omessa destinazione delle somme ricevute agli scopi previsti, distinguendosi così dalla truffa aggravata, che si configura quando l’ottenimento dei fondi avviene inducendo in errore l’ente erogatore mediante artifici o raggiri.

 

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pensioni anticipate

Pensioni anticipate Inps: al via le domande telematiche Pensioni anticipate: l’Inps comunica di aver aggiornato le procedure per presentare le domande 2025 per Opzione Donna, Quota 103 e APE Social

Pensioni anticipate Inps

Al via la presentazione delle domande 2025 per le pensioni anticipate. Con il messaggio n. 502/2025, l’Inps ha comunicato di aver aggiornato le procedure online per la presentazione delle istanze per Opzione Donna 2025, Ape Social e Quota 103. Le tre forme di pensione anticipata sono state prorogate dalla Legge di Bilancio 2025 (legge 207/2024). L’Istituto ha quindi implementato il sistema di gestione delle domande e fornito le relative indicazioni operative.

Domande pensioni

Le domande telematiche di pensione anticipata Opzione donna, pensione anticipata flessibile e certificazione di Ape sociale, spiega l’Inps nel messaggio possono essere presentate direttamente dal sito internet dell’istituto, accedendo tramite SPID, CIE o eIDAS, attraverso il servizio “Domanda Pensione, Ricostituzione, Ratei, Certificazioni, APE Sociale e Beneficio precoci”, accedendo all’area tematica e, infine, selezionando la voce “Nuova prestazione pensionistica” o “Certificati”. Oppure utilizzando i servizi offerti dai patronati o ancora contattando il Contact Center Multicanale al numero verde 803 164, gratuito da telefono fisso, o al numero 06 164 164 da cellulare, a pagamento in base alla tariffa applicata dal proprio gestore.

 

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avvocato cassazionista

Illecito spacciarsi per avvocato cassazionista senza iscrizione all’albo speciale Il Consiglio Nazionale Forense rammenta che è illecito fregiarsi del titolo di avvocato cassazionista senza essere iscritto nell'albo speciale

Avvocato cassazionista, albo speciale

Illecito fregiarsi del titolo di avvocato cassazionista senza essere iscritto nell’albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori. E’ quanto afferma il Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 312/2024, pubblicata il 23 gennaio 2025 sul sito del Codice deontologico, rigettando il ricorso di un legale avverso la sanzione di 6 mesi di sospensione dall’esercizio della professione forense irrogata dal CDD di Palermo.

“La condotta dell’avvocato che utilizzi, nella carta intestata del proprio studio, il titolo di avvocato cassazionista pur non avendo mai effettivamente conseguito detto titolo, integra gli estremi della violazione prevista e sanzionata dall’art. 36 cdf” afferma quindi il CNF.

A nulla rileva, peraltro, “che lo stesso presenti tutti i requisiti formali e sostanziali per aver diritto al detto titolo e manchi soltanto la formale iscrizione”.

Riduzione della sanzione

Esclusa, altresì, la riduzione della sanzione disciplinare per l’incolpato che non mostra alcuna consapevolezza del proprio errore. “L’ammissione della propria responsabilità da parte dell’incolpato può essere valorizzata nell’ambito del complessivo giudizio relativo alla sua personalità ai fini della determinazione della giusta sanzione in senso più mite; attenuazione che invece deve escludersi ove, per converso, l’incolpato non mostri alcuna resipiscenza” aggiunge infatti il CNF, rigettando anche tale doglianza.

mepa

MePA: il Mercato elettronico della Pubblica Amministrazione MePA: il mercato elettronico della Pubblica Amministrazione grazie al quale le PA possono acquistare in modo trasparente beni e servizi 

Cos’è il MePA?

Il MePA, acronimo di Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione. Si tratta di una piattaforma digitale gestita da Consip che permette alle amministrazioni pubbliche di effettuare acquisti di beni, servizi e lavori sotto soglia comunitaria in modo semplificato, trasparente ed efficace. Il MePA è uno strumento innovativo, che modernizza i processi di approvvigionamento della PA, garantendo trasparenza e competitività.

Qual è la normativa di riferimento

Il MePA trova fondamento nel DPR n. 101/2002, che ha introdotto l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di utilizzare strumenti elettronici per gli acquisti sotto soglia comunitaria.

Tra le altre normative rilevanti, si segnalano:

  • Codice dei contratti pubblici (D.lgs. n. 50/2016): regolamenta le modalità di approvvigionamento delle amministrazioni pubbliche, confermando l’obbligo di utilizzare piattaforme elettroniche per garantire trasparenza e legalità.
  • Direttive europee sugli appalti pubblici (2014/24/UE e 2014/25/UE): prevedono l’adozione di strumenti elettronici per la gestione degli appalti pubblici, in linea con gli obiettivi del MePA.
  • Legge di bilancio: ogni anno può introdurre disposizioni specifiche per rafforzare o ampliare le funzionalità della piattaforma.

Come funziona il MePA

Il MePA è una piattaforma digitale accessibile a fornitori e amministrazioni pubbliche tramite registrazione sul portale Consip. Ecco come funziona:

  • Registrazione: le imprese interessate a vendere i propri beni e servizi si registrano al MePA, inserendo le informazioni richieste e certificando il possesso dei requisiti richiesti. Le amministrazioni pubbliche si iscrivono per accedere ai cataloghi e avviare procedure di acquisto.
  • Catalogo elettronico: i fornitori possono pubblicare i propri beni e servizi nel catalogo della piattaforma. Le amministrazioni possono consultare il catalogo, confrontare le offerte e selezionare i prodotti che soddisfano le loro esigenze.

Fase di acquisto: modalità

  • Ordine diretto (ODA): consente alle amministrazioni di acquistare direttamente dal catalogo senza ulteriori procedure.
  • Richiesta di offerta (RDO): permette di richiedere offerte personalizzate ai fornitori registrati, promuovendo la competizione e il risparmio.

Trasparenza e tracciabilità

Ogni fase del processo di acquisto viene registrata digitalmente, garantendo la massima trasparenza e semplificando eventuali controlli.

I vantaggi del MePA

Il MePA offre numerosi vantaggi sia per la Pubblica Amministrazione che per i fornitori.

  • Trasparenza: tutti i processi sono tracciati e accessibili, riducendo il rischio di irregolarità.
  • Efficienza: la piattaforma semplifica e velocizza le procedure di acquisto, riducendo i tempi e i costi amministrativi.
  • Competitività: promuove il confronto tra offerte, assicurando migliori condizioni economiche per la PA.
  • Accesso al mercato: consente anche alle piccole e medie imprese di partecipare alle forniture pubbliche.

 

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