TFR e TFS: nuova procedura online L'INPS ha dettato le istruzioni per la nuova procedura per l'inoltro delle domande telematiche di riscatto TFS e TFR
TFS/TFR: nuova procedura di riscatto online
E’ disponibile sul sito dell’INPS, la nuova procedura che consente all’iscritto e agli enti datori di lavoro (solo per le amministrazioni statali), l’inoltro delle domande telematiche per il riscatto del trattamento di fine servizio (TFS) e del trattamento di fine rapporto (TFR). E’ lo stesso istituto a dettare le istruzioni con il messaggio n. 2243/2024.
Funzionalità disponibili per il cittadino
In particolare, le funzionalità disponibili per il cittadino sono le seguenti:
- domanda di riscatto ai fini TFS/TFR (solo per gli iscritti all’ex INADEL);
- richiesta di anticipata estinzione delle rate residue di riscatto ai fini TFS/TFR (solo per gli iscritti all’ex INADEL);
- registrazione dell’avvenuto pagamento di anticipata estinzione (sia per gli iscritti all’ex ENPAS che per gli iscritti all’ex INADEL);
- richiesta di esonero dal pagamento delle rate residue di riscatto ai fini TFS/TFR (solo per gli iscritti all’ex INADEL);
- rinuncia al riscatto ai fini TFS/TFR (sia per gli iscritti all’ex ENPAS che per gli iscritti all’ex INADEL);
- consultazione delle domande inoltrate (sia per gli iscritti all’ex ENPAS sia per gli iscritti all’ex INADEL).
Funzionalità disponibili per il datore di lavoro
Le funzionalità disponibili per l’Ente datore di lavoro, invece, sono le seguenti:
- domanda di riscatto ai fini TFS/TFR (solo per le Amministrazioni statali-iscritti ex ENPAS);
- richiesta di anticipata estinzione delle rate residue di riscatto ai fini TFS/TFR (solo per le Amministrazioni statali-iscritti ex ENPAS);
- richiesta di esonero dal pagamento delle rate residue di riscatto ai fini TFS/TFR (solo per le Amministrazioni statali-iscritti ex ENPAS);
- nuova domanda di riscatto ai fini TFS/TFR a rettifica della precedente già inoltrata (solo per le Amministrazioni statali-iscritti ex ENPAS);
- consultazione delle domande inoltrate (solo per le Amministrazioni statali-iscritti ex ENPAS).
Come accedere alla nuova procedura
La nuova procedura online è disponibile, comunica l’istituto sul proprio sito, accedendo tramite SPID, almeno di Livello 2, CNS, CIE 3.0, PIN dispositivo (rilasciato dall’Istituto solo per i residenti all’estero non in possesso di un documento di riconoscimento italiano e, pertanto, impossibilitati a richiedere le credenziali SPID) ed eIDAS (electronic IDentification Authentication and Signature), digitando nel campo “Ricerca” della homepage le parole “Riscatti TFS e TFR”.
Le istanze di riscatto TFS/TFR già inoltrate sono accessibili alla voce di menu “Consultazione domande inoltrate” della procedura; il manuale è consultabile nell’apposita sezione “Manuali” del sito istituzionale.
Gli utenti possono utilizzare anche i servizi offerti dagli Istituti di Patronato riconosciuti dalla legge o chiamare il Contact Center Integrato al numero verde 803164 (gratuito da rete fissa) o il numero 06164164 (da rete mobile a pagamento in base alla tariffa applicata dai diversi gestori).
Pec non funzionante: nuovo deposito entro 20 giorni Se la parte decade incolpevolmente dalla facoltà di depositare, la stessa può nuovamente depositare, entro venti giorni o domandare la rimessione in termini
Assenza di una delle pec previste per il deposito telematico
Il caso in esame prende avvio da un contenzioso avente ad oggetto il prestito di una somma di denaro da parte della banca e la connessa richiesta da parte del cliente, destinatario della stessa, di riduzione dell’ipoteca in ragione della riduzione del debito residuo.
Per quanto qui rileva, all’esito del giudizio di merito, la Banca, controricorrente dinanzi alla Corte di Cassazione, dopo aver notificato il controricorso, aveva depositato due istanze di remissione in termini, rilevando che il controricorso era stato depositato via pec e che il depositante, dopo avere ricevuto il messaggio di “avvenuta consegna”, non aveva ricevuto nessun ulteriore messaggio di superamento dei controlli automatici e manuali (c.d. “terza” e “quarta” busta). Solo successivamente, aveva appreso che nessun ricorso risultava pervenuto.
Deposito del controricorso avvenuto tempestivamente
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 16552/2024, ha ripercorso i fatti e le doglianze formulate in relazione all’istanza di remissione, affermando che, secondo la normativa vigente ratione temporis “il deposito telematico di atti del processo civile avvia una procedura informatica all’esito della quale il depositante deve ricevere quattro messaggi di posta elettronica certificata (PEC)”, vale a dire:
- il messaggio che attesta l’inoltro del deposito (ricevuta di accettazione, comunemente detta “RAC”);
- il messaggio di avvenuta consegna del messaggio alla posta elettronica dell’ufficio giudiziario ricevente (ricevuta di avvenuta consegna, comunemente detta “RdAC”);
- il messaggio attestante il superamento dei controlli automatici da parte del gestore del sistema informatico dell’ufficio giudiziario ricevente (c.d. “terza PEC”);
- il messaggio attestante il superamento dei controlli manuali, a cura della Cancelleria dell’ufficio giudiziario ricevente, e la definitiva accettazione del deposito e conseguente visibilità al giudice ed alle controparti (c.d. “quarta PEC”).
Inoltre, l’art. 13 del d.m. 21.2.2011 n. 44, così come vigente all’epoca dei fatti, da un lato prevedeva che il deposito telematico nel processo civile si intendesse ricevuto dall’ufficio “nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia”; e dall’altro stabiliva che “il gestore dei servizi telematici restituisce al mittente l’esito dei controlli effettuati dal dominio giustizia nonché dagli operatori della cancelleria o della segreteria, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 34”.
Ricevuta di avvenuta consegna
Posto tale quadro normativo, la Corte di legittimità ha rilevato che l’orientamento formatosi sull’argomento in seno alla stessa riteneva che, ai fini della tempestività del deposito, era sufficiente la generazione da parte del sistema della ricevuta di avvenuta consegna, fermo restando che tale ricevuta aveva solo un effetto “prenotativo”, mentre l’efficacia del deposito restava “subordinata al superamento dei successivi controlli automatici e manuali; se questi andranno a buon fine, il deposito si riterrà compiuto sin dal momento della generazione della ricevuta di avvenuta consegna; se invece i suddetti controlli non andassero a buon fine, invece, il deposito non potrà dirsi effettuato”.
Nuovo deposito telematico
Per quanto atteneva, invece, ai rimedi attivabili dalla parte che era incolpevolmente decaduta dalla facoltà di depositare l’atto, a causa della mancata o tardiva generazione della terza o della quarta PEC, era consentito alla stessa, o di procedere nuovamente al deposito, entro venti giorni decorrenti dal momento in cui il depositante aveva appreso dell’esito negativo del precedente deposito, oppure di domandare la rimessione in termini se erano risultate incolpevoli sia la violazione del termine per il deposito, sia la mancata ripresa della procedura.
Rimessione in termini
Facendo applicazione delle suddette regole e linee interpretative, la Corte ha ritenuto che, nel caso di specie, l’insuccesso del primo tentativo di deposito fu incolpevole. Rispetto a tale circostanza la Banca aveva ripreso la procedura di deposito in un termine che poteva ritenersi ragionevole. Con la conseguenza che il controricorso depositato con l’istanza di rimessione in termini aveva prodotto “gli effetti di un rinnovato e tempestivo deposito”.
Riciclaggio: tenuità del fatto sempre esclusa La Cassazione ricorda che la particolare tenuità del fatto è esclusa nel reato di riciclaggio
Particolare tenuità del fatto
La particolare tenuità del fatto è sempre esclusa per il riciclaggio. Lo ricorda la seconda sezione penale della Cassazione, nella sentenza n. 23743-2024.
Nella vicenda, la Corte d’appello di Brescia confermava la condanna di alcuni soggetti per il reato di riciclaggio.
Uno degli imputati ricorreva avverso il Palazzaccio, tramite il proprio difensore, deducendo, tra l’altro, violazione di legge, in quanto non sarebbe stata valutata la possibilità di riconoscere la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p. in relazione al reato di riciclaggio, ove diversamente qualificato.
Reato di riciclaggio e art. 131-bis c.p.
Per la Cassazione, però, la doglianza è manifestamente infondata in quanto “il reato di riciclaggio contestato, correttamente qualificato, non consente l’applicazione del beneficio richiesto”.
Attenuanti generiche
Nulla di fatto neanche in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, giacchè la Corte d’appello in coerenza con la giurisprudenza di legittimità, aveva rilevato l’assenza di elementi positivi idonei a consentire al riconoscimento del beneficio.
Inammissibilità del ricorso
Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e la condanna anche al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma determinata equitativamente in tremila euro.
Allegati
Servizio di guardia medica e visita domiciliare Commette reato il sanitario in servizio di guardia medica che si rifiuti di eseguire una visita domiciliare?
Quesito con risposta a cura di Andrea Bonanno e Giulia Fanelli
Integra il delitto di rifiuto di atti di ufficio la condotta del sanitario in servizio di guardia medica che, pur richiesto, decida di non eseguire l’intervento domiciliare urgente per accertarsi delle effettive condizioni di salute del paziente, nonostante gli venga prospettata una sintomatologia grave, trattandosi di un reato di pericolo per il quale a nulla rileva che lo stato di salute del paziente si riveli in concreto meno grave di quanto potesse prevedersi. – Cass., sez. VI, 15 marzo 2024, n. 11085.
Nel caso di specie, la Suprema Corte è intervenuta in merito al reato di rifiuto di atti di ufficio, vagliando la responsabilità penale del medico in servizio di guardia medica che si rifiuti di eseguire una visita domiciliare urgente richiesta dal paziente.
In particolare, la Corte di Appello confermava la pronuncia con la quale il Tribunale, previa assoluzione per il delitto di omicidio colposo, aveva condannato un medico per il reato di omissioni in atti di ufficio, perché, nella qualità di medico di guardia dell’Asl, aveva rifiutato di eseguire una visita domiciliare, nonostante le riferite gravi condizioni di salute del paziente, limitandosi a diagnosticare telefonicamente una gastroenterite che, successivamente, risultava essere un infarto che portava al decesso dell’uomo.
Avverso tale sentenza il medico ha presentato ricorso dinnanzi alla Corte di Cassazione con atto sottoscritto dal proprio difensore.
In particolare, il ricorrente denunziava la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del reato di cui all’ art. 328 c.p. attesa la mancanza sia dell’indebito rifiuto – posto che la scelta del medico di provvedere o meno a visita domiciliare costituisce un atto discrezionale – sia del dolo del reato – in quanto il ricorrente, avendo colposamente errato la diagnosi, non era consapevole delle reali condizioni del paziente e, quindi, non si era rappresentato una situazione che imponesse il dovere di attivarsi.
La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso parzialmente fondato e ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio.
In relazione alla configurabilità del reato di rifiuto di atti di ufficio, la Suprema Corte ha evidenziato che l’art. 13, D.P.R. 41/1991 stabilisce che il medico in servizio di guardia deve rimanere a disposizione «per effettuare gli interventi domiciliari a livello territoriale che gli saranno richiesti» e durante il turno «è tenuto ad effettuare al più presto tutti gli interventi che gli siano richiesti direttamente dagli utenti». È di tutta evidenza che, in base alla norma citata, la necessità e l’urgenza di effettuare una visita domiciliare spetti alla valutazione discrezionale del sanitario di guardia, sia sulla base della sintomatologia riferitagli che sulla base della propria esperienza. Tale valutazione, però, è sindacabile dal giudice di merito, in forza degli elementi di prova sottoposti al suo esame, per accertare se la valutazione del sanitario sia stata correttamente effettuata sulla base di dati di ragionevolezza, desumibili dallo specifico contesto e dai protocolli sanitari applicabili, oppure costituisca un pretesto per giustificare l’inadempimento dei propri doveri (Cass., sez. VI, 29 luglio 2019, n. 34535; Cass., sez. VI, 30 ottobre 2012, n. 23817).
Costituisce, pertanto, consolidato orientamento interpretativo di questa Corte quello secondo il quale integra il delitto di rifiuto di atti di ufficio la condotta del sanitario in servizio di guardia medica che, pur richiesto, decida di non eseguire l’intervento domiciliare urgente per accertarsi delle effettive condizioni di salute del paziente, nonostante gli venga prospettata una sintomatologia grave, trattandosi di un reato di pericolo per il quale a nulla rileva che lo stato di salute del paziente si riveli in concreto meno grave di quanto potesse prevedersi. In sostanza, il delitto è integrato ogniqualvolta il medico di turno, pubblico ufficiale, a fronte ad una riferita sintomatologia ingravescente e alla richiesta di soccorso, che presenti inequivoci connotati di gravità e di allarme, neghi un atto non ritardabile, quale appunto quello di un accurato esame clinico volto ad accertare le effettive condizioni del paziente (Cass., sez. VI, 23 maggio 2023, n. 29927; Cass., sez. VI, 30 ottobre 2012, n. 23817; Cass., sez. VI, 5 giugno 2007, n. 31670).
Nel caso in esame, la motivazione della sentenza di secondo grado, dopo aver correttamente escluso che la condotta di tipo omissivo della ricorrente avesse causalmente determinato la morte del paziente, ha spiegato che l’ostinato rifiuto del medico di eseguire la visita domiciliare andasse qualificato come rifiuto di atti di ufficio. Nonostante la perizia disposta in primo grado avesse ritenuto che i sintomi rappresentati telefonicamente dovessero indurre ragionevolmente a considerare la possibilità teorica che fosse in atto una patologia cardio-vascolare di natura ischemica, la dottoressa aveva diagnosticato una semplice gastroenterite (ritenuta dai periti «francamente erronea»), e non aveva ritenuto necessario eseguire la visita domiciliare sebbene solo il rilevamento di parametri obiettivi (quali la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca, il ritmo cardiaco, la cianosi) avrebbe consentito di comprendere, in concreto, la patologia del paziente.
Quanto alla doglianza riguardante l’insussistenza del dolo del reato, la Suprema Corte ha ritenuto le argomentazioni esposte dalla Corte di merito correttamente fondate sull’indebito e consapevole rifiuto della ricorrente di svolgere l’intervento domiciliare urgente, in assenza di altre esigenze dei servizio (quali, ad esempio, contemporanee richieste di intervento urgente), a fronte dell’ inequivoca gravità e chiarezza della sintomatologia esposta, per sincerarsi personalmente, pur nel dubbio, delle effettive condizioni del paziente e dell’eventuale situazione di pericolo in cui questi si trovava o meno, in base ad un esame clinico diretto. Ai fini della configurabilità dell’elemento psicologico del reato, costituito dal dolo generico, è dunque vero che non basta la generica negligenza, ma è sufficiente che l’agente abbia la consapevolezza che il proprio contegno omissivo violi i doveri impostigli (Cass., sez. VI, 15 giugno 2021, n. 33565) tra i quali rientrano quelli delineati nel sopracitato art. 13, D.P.R. 41/1991 la cui necessità va valutata secondo criteri di ragionevolezza desumibili dalla situazione in concreto rappresentata.
Il modello CAI non ha valore di piena prova La Cassazione ricorda che la CAI sottoscritta dai conducenti determina una presunzione che il sinistro si sia svolto con le modalità e le conseguenze indicate sul modulo
Modulo Contestazione Amichevole d’Incidente (CAI)
Nel caso in esame, il giudizio di merito aveva avuto ad oggetto la richiesta di risarcimento del danno nell’ambito di un sinistro stradale che vedeva coinvolte tre autovetture che erano state coinvolte in un tamponamento a catena.
Per quanto qui rileva, la compagnia assicuratrice, nei confronti della quale era stata avanzata la domanda risarcitoria, aveva rilevato come fosse onere della richiedente dimostrare le modalità con cui si erano svolti i fatti contestati; rispetto a tale onere, aveva evidenziato l’assicuratrice, la richiedente si era limitata a produrre il modello CAI (contestazione amichevole d’incidente) sottoscritto da entrambi i conducenti.
Tale documento, in difetto di riscontro provenienti da altri elementi di prova, era stato ritenuto insufficiente dal Tribunale, in funzione di giudice di secondo grado, a fornire la prova del fatto dedotto a sostegno della domanda risarcitoria avanzata.
Invero, il Tribunale aveva ritenuto che il modello CAI non avesse valore di piena prova nemmeno nei confronti di chi l’aveva prodotto, poiché le dichiarazioni ivi contenute possono essere liberamente valutate dal giudice.
Avverso tale decisione l’appellante aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.
Il modulo CAI può essere fatto valere solo dai sottoscriventi
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 15431-2024, ha rigettato il ricorso proposto e ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
Per quanto in particolare rileva nel presente esame, la Corte ha rilevato che “l’art. 143, comma 2, del d.lgs. n. 209 del 2005 è chiaro nell’affermare che la C.A.I. sottoscritta da entrambi i conducenti determina una presunzione, salvo prova contraria da parte dell’impresa di assicurazione, che il sinistro si sia svolto con le modalità e le conseguenze indicate su quel modulo”.
Presunzione di prova
Rispetto alla suddetta previsione normativa, la Corte ha evidenziato che, essendo prevista una presunzione di prova fino prova contraria, la società assicuratrice ben potrebbe superarla fornendo appunto la prova necessaria a tal fine. Anche tale ultima prova ricade dunque sulla società assicuratrice e non sul danneggiato, come erroneamente affermato dalla sentenza impugnata.
La Corte ha poi ribadito quanto già affermato dal Giudice di merito e dalla costante giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, ovvero che il modello CAI non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti di chi lo produce, poiché le dichiarazioni ivi contenute possono essere liberamente apprezzate dal giudice.
Valore confessorio
In questo senso, il libero convincimento del giudice sul valore confessorio del CAI, in quanto proveniente da un litisconsorte necessario, non è in contrasto con le norme sopracitate che conferiscono al modello CAI, firmato da entrambi i conducenti, il valore di una presunzione iuris tantum che l’assicuratore può superare.
Quanto sopra, ha spiegato la Corte, serve anche a comprendere l’interpretazione delle norme sul valore del CAI e del principio di litisconsorzio necessario, a proposito della responsabilità derivante da circolazione stradale.
La decisione della Cassazione
Nel caso di specie, la Corte ha concluso il proprio esame rilevando come la ricorrente- danneggiata (cessionaria del credito del secondo tamponato) non poteva far valere nei confronti dell’assicuratore alcun modello CAI, posto che il creditore cedente non aveva firmato alcunché (o, almeno, nessuno ha sostenuto il contrario) e quindi, in questo senso, non aveva preso parte alla redazione e sottoscrizione del suddetto documento.
Allegati
Affini del sindaco: col divorzio cadono le incompatibilità La Corte Costituzionale ha stabilito che con lo scioglimento del matrimonio, da cui deriva vincolo di affinità, viene meno l'incompatibilità a ricoprire incarichi in giunta e come vicesindaco
Divorzio e affinità
Con lo scioglimento del matrimonio da cui deriva un vincolo di affinità con il sindaco, viene meno l’incompatibilità a ricoprire la carica di componente della giunta municipale e quella di vicesindaco. Così ha deciso la Corte Costituzionale con la sentenza n. 107-2024, depositata oggi, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 64, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) nella parte in cui prevede l’incompatibilità per gli affini entro il terzo grado del sindaco, o del presidente della Giunta provinciale, a far parte della relativa Giunta, e a essere nominati rappresentanti del comune o della provincia, ove il rapporto di coniugio dal quale il vincolo di affinità è stato determinato sia cessato.
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La questione era stata sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 51 Cost., dalla prima sezione civile della Cassazione, che aveva ravvisato la violazione, ad opera della suddetta norma, del diritto all’elettorato passivo e la irragionevolezza intrinseca di una previsione che, in modo incoerente con il sistema, sortisce l’effetto di consentire l’accesso ad un ufficio pubblico politico all’ex coniuge di un amministratore locale, ma non all’ex affine.
Il caso riguardava il coniuge divorziato della sorella del sindaco di un comune, il quale aveva proposto ricorso nei confronti della sentenza d’appello di Napoli che, in riforma della decisione di primo grado, aveva dichiarato l’incompatibilità a partecipare alla giunta municipale e a ricoprire la carica di vicesindaco dell’ex coniuge della sorella del sindaco.
Le censure della Cassazione
Nella specie, risulta manifestamente irragionevole, secondo la Corte, che, “mentre l’ex coniuge del sindaco non è soggetto alle incompatibilità in esame, lo sia l’affine anche dopo che il rapporto di coniugio dal quale il vincolo di affinità è derivato sia cessato, così sganciandosi del tutto la sussistenza della causa di incompatibilità dal rapporto di riferimento”.
In realtà, la Cassazione aveva censurato l’art. 78, terzo comma, c.c. – che stabilisce in via generale l’incidenza sul vincolo di affinità degli eventi della morte del coniuge e della dichiarazione di nullità del matrimonio senza occuparsi degli effetti del divorzio – «implicitamente richiamato dall’art. 64, comma 4, T.U.E.L.».
Il giudice delle leggi ha ritenuto, invece, per l’«elevato grado di specificità» della disciplina dettata in punto di incompatibilità, di circoscrivere il proprio sindacato all’art. 64 citato, quale specifica declinazione di una regola che non vive se non nei diversi contesti di riferimento. Poiché nelle varie situazioni previste dall’ordinamento lo status di affine può, di volta in volta, produrre effetti di attribuzione o di limitazione di un diritto, cui corrisponde di volta in volta un bilanciamento operato dal legislatore, la Corte costituzionale afferma che le censure sulla legittimità delle norme in contestazione devono essere portate direttamente alla disciplina specialistica di settore.
La decisione
Ciò posto, il giudice delle leggi ha ritenuto, si legge nella nota stampa ufficiale, “che l’art. 64, comma 4, citato, nella parte in cui prevede l’incompatibilità per gli affini entro il terzo grado del sindaco, o del presidente della Giunta provinciale, a far parte della relativa Giunta, e a essere nominati rappresentanti del comune o della provincia, anche se il rapporto di coniugio dal quale il vincolo di affinità è stato determinato sia cessato, si ponga in contrasto con l’art. 51 Cost., che disciplina il diritto di elettorato passivo, da ricondurre alla sfera dei diritti inviolabili sanciti dall’art. 2 Cost., e in relazione al quale le cause di incompatibilità sono conformi a Costituzione solo nella misura in cui non introducano differenze di trattamento tra categorie omogenee di soggetti che non siano manifestamente irragionevoli e sproporzionate”.
Allegati
Premierato: primo sì alla riforma Il Senato ha approvato la riforma del premierato per l'elezione diretta del presidente del Consiglio. Serviranno altri 3 passaggi in Parlamento per l'approvazione definitiva della riforma costituzionale
Riforma Premierato, sì del Senato
Primo via libera dal Senato alla riforma Meloni per l’elezione diretta del presidente del Consiglio: il ddl “premierato“, infatti, ha ricevuto il sì di palazzo Madama, in prima lettura, con 109 voti a favore, 77 contrari e un’astensione. Compatta la protesta delle opposizioni che scendono in piazza e promettono battaglia anche nei successivi passaggi parlamentari.
Iter del ddl
Il ddl di riforma, trattandosi di riforma costituzionale, necessita ora di altre passaggi parlamentari per l’approvazione definitiva.
Il provvedimento passa, intanto, all’esame della Camera.
I punti chiave della riforma del premierato
Tra i punti chiave della riforma, il rafforzamento della stabilità del governo e l’abolizione della nomina dei senatori a vita, ma soprattutto l’elezione diretta del premier, a suffragio universale e per cinque anni, per non più di due legislature consecutive (elevabili a tre laddove nelle precedenti abbia ricoperto l’incarico per un periodo inferiore a sette anni e sei mesi).
Per approfondimenti vai allo speciale sul Premierato
Avvocati: online la procedura per l’invio del modello 5 Cassa Forense rende noto che è attiva dal 17 giugno la procedura per l'invio dei modelli 5, 5bis e 5ter
Modello 5/2024 procedura online
E’ attiva dal 17 giugno 2024, la procedura per la compilazione dei modelli 5/2024, 5bis/2024 e 5ter/2024. Lo rende noto Cassa Forense sul proprio sito informando che l’invio delle comunicazioni dei dati reddituali dell’anno 2023 per gli iscritti va effettuato entro il 30 settembre.
Modello 5/2024
Il Modello 5/2024, in particolare, dovrà essere inviato entro il 30 settembre da tutti gli iscritti agli Albi Professionali Forensi anche per frazione di anno e dai Praticanti iscritti alla Cassa a decorrere dal 2023 o da anni precedenti. Ai fini della compilazione e dell’invio del modello basta collegarsi al sito internet www.cassaforense.it, sezione “Accessi riservati” – “Posizione personale” – “Modello 5 individuale”, con il proprio codice meccanografico e il codice PIN.
Modello 5bis/2024
Il Modello 5bis/2024, relativo alla comunicazione dei dati reddituali dell’anno 2023, dovrà essere inviato dalle Associazioni tra Professionisti e Società tra professionisti comprendenti almeno un soggetto iscritto agli Albi Professionali Forensi, anche per frazione di anno e dai Praticanti iscritti alla Cassa a decorrere dal 2023 o da anni precedenti. L’invio va effettuato da ogni società/associazione collegandosi al sito della Cassa, nella sezione “Accessi riservati” – “Posizione personale” – “Modello 5 Bis, Associazioni professionali”, con il proprio codice meccanografico e il codice PIN personale.
Modello 5ter/2024
Il Modello 5ter/2024, relativo alla comunicazione dei dati reddituali dell’anno 2023, infine, dovrà essere inviato dalle Società Tra Avvocati che risultano iscritte nell’anno 2023, anche per frazione di anno, nella Sezione Speciale dell’Albo. Anche in tal caso, il rappresentante della società potrà collegarsi al sito della Cassa, sezione “Accessi riservati” – “Società Tra Avvocati”, con il codice meccanografico e il codice PIN della Società rilasciati dopo la registrazione della stessa tramite la procedura disponibile sul sito.
Call center
Per ulteriori informazioni, Cassa Forense mette a disposizione degli iscritti il proprio call center al numero 06 51435340.
Danno da ritardo della PA: occorre la prova Il Consiglio di Stato ha ricordato che il danno da ritardo non può essere presunto juris et de jure, poiché, per fondare la responsabilità ex art. 2043 c.c., è necessaria la verifica dei presupposti di carattere soggettivo e oggettivo
Ritardo nella conclusione del procedimento
Nell’ambito di un procedimento amministrativo, il privato interessato al provvedimento finale aveva lamentato che l’atto amministrativo fosse stato adottato successivamente al tempo massimo entro il quale l’amministrazione competente avrebbe dovuto esprimere il parere attraverso apposita conferenza di servizi.
Posto quanto sopra, l’interessato aveva proposto ricorso dinanzi al TAR per la Puglia, chiedendo il risarcimento del danno conseguente al ritardo nella conclusione del procedimento teso al rilascio dell’autorizzazione richiesta.
Il Tar per la Puglia, sul rilievo che fosse mancata “la prova circa la sussistenza dei presupposti di carattere oggettivo (esistenza del danno ingiusto, nesso causale, determinazione dell’ammontare del ristoro) e di carattere soggettivo (dolo o colpa dell’Amministrazione danneggiante) della domanda proposta in giudizio”, aveva respinto il ricorso proposto.
Avverso tale decisione la società interessata aveva appellato la sentenza per “illegittimità ed erroneità – violazione dell’art. 269, comma 3, del d.lgs n. 152/2006 – violazione dell’art. 2-bis della legge n. 241 del 1990 – eccesso di potere per motivazione lacunosa illogica e travisante inversione onere della prova”.
Il danno da ritardo della PA
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 3375-2024, ha respinto l’appello proposto e ha condannato la società appellante al pagamento delle spese di giudizio.
Il Consiglio di Stato ha anzitutto precisato che “La domanda risarcitoria azionata dalla società (…) va qualificata quale “danno da ritardo” ex art. 2-bis della legge n. 241 del 1990, conseguente alla mancata conclusione, nel termine previsto, del procedimento di rilascio della autorizzazione”.
Per quanto qui rileva il Consiglio di Stato ha ripercorso la giurisprudenza amministrativa formatasi sul punto, secondo cui “il danno da ritardo risarcibile non può essere presunto juris et de jure, quale effetto automatico del semplice scorrere del tempo, ma è necessaria la verifica della sussistenza dei presupposti di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante) e oggettivo (ingiustizia del danno, nesso causale, prova del pregiudizio subito), richiesti dalla menzionata norma codicistica per fondare la responsabilità ex art. 2043 c.c.”.
Nella medesima direzione, ha ricordato il Consiglio di Stato, la giurisprudenza amministrativa ha affermato che, sul piano delle conseguenze, il fatto lesivo “deve essere collegato da un nesso da causalità ai pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali lamentati; dal punto di vista dell’onere probatorio, il mero superamento del termine per la conclusione del procedimento non integra, inoltre, piena prova del danno”.
La decisione
Posto tale consolidato orientamento giurisprudenziale, il Giudice amministrativo ha evidenziato che, nel caso di specie, il privato non aveva adeguatamente provato “il nesso di causalità tra la condotta della Provincia (id est, ritardo procedimentale) e l’evento asseritamente dannoso (mancata realizzazione dell’impianto), in termini di causalità efficiente”.
Inoltre, ha concluso il Consiglio di Stato, la società non aveva comunque comprovato l’elemento soggettivo della colpa dell’amministrazione.
Sulla scorta di quanto sopra, pertanto, il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello.