assegno circolare

Assegno circolare: la guida Assegno circolare: cos'è, normativa, funzionamento e differenze con l'assegno bancario e giurisprudenza rilevante

Cos’è l’assegno circolare

L’assegno circolare è uno strumento di pagamento sicuro e garantito, emesso direttamente da un istituto di credito a favore di un beneficiario. Si tratta di una forma di pagamento particolarmente utilizzata in transazioni rilevanti, come l’acquisto di immobili o veicoli, proprio per l’elevata affidabilità rispetto ad altri strumenti come l’assegno bancario.

L’assegno circolare è un titolo di credito a vista, che comporta l’impegno della banca emittente a pagare una somma determinata al beneficiario indicato. Diversamente dall’assegno bancario, che viene emesso da un correntista e potrebbe essere scoperto, questo assegno  offre una garanzia di pagamento, in quanto la banca verifica la disponibilità dei fondi prima di emetterlo.

Caratteristiche principali

Da quanto detto  emerge che le principali caratteristiche dell’assegno circolare sono le seguenti:

  • sicurezza: perché la banca garantisce il pagamento;
  • non trasferibilità: salvo esplicita indicazione, l’assegno circolare non può essere girato a terzi;
  • validità: l’articolo 84 del Regio decreto n. 1736/1933 che contiene anche le disposizioni sull’assegno circolare stabilisce che se il possessore non presenta l’assegno per il pagamento entro 30 giorni dalla sue emissione decade dall’azione di regresso. Il termine invece per agire contro l’emittente si prescrive nel termine di 3 anni dalla sua emissione. Decorsi tre anni e fino a 10 il rimborso può essere chiesto esclusivamente al soggetto che ne aveva chiesto l’emissione.

Normativa di riferimento

La disciplina degli assegni circolari è contenuta nel Regio Decreto n. 1736 del 21 dicembre 1933 (“Legge Assegni”), che regolamenta sia gli assegni bancari che quelli circolari. In particolare:

  • 1 e ss. R.D. 1736/1933: definiscono le caratteristiche generali degli assegni.
  • 84 R.D. 1736/1933: disciplina i termini dell’azione di regresso e dell’azione contro l’emittente.
  • Lgs. n. 231/2007: stabilisce i limiti sull’uso del contante e degli strumenti assimilati, inclusi gli assegni circolari, per la prevenzione del riciclaggio.

Come funziona l’assegno circolare

Il richiedente si reca presso la banca e deposita l’importo da trasferire, ameno che non abbia un contro corrente su cui addebitare l’importo. La banca emette l’assegno intestato al beneficiario indicato, garantendo la copertura.

Il beneficiario a questo punto può:

  • presentare l’assegno allo sportello della banca emittente per l’incasso immediato;
  • depositare l’assegno sul proprio conto corrente, con tempi di accredito variabili.

Rischi legati all’assegno circolare

Nonostante l’assegno circolare sia considerato uno degli strumenti di pagamento più sicuri, esistono alcuni rischi:

  • Assegni falsi o contraffatti: esistono tecniche sofisticate per creare assegni apparentemente autentici. È sempre consigliabile verificarne la validità presso la banca emittente.
  • Smarrimento o furto: l’assegno può essere incassato solo dal beneficiario, ma in caso di furto o smarrimento è necessario agire prontamente con una denuncia e richiedere il blocco.
  • Frode del doppio incasso: anche se raro, il beneficiario potrebbe tentare di incassare l’assegno presso più istituti. Le banche, però, applicano sistemi di controllo per prevenire queste frodi.

Differenza tra assegno circolare e assegno bancario

Caratteristica Assegno Circolare Assegno Bancario
Emittente Banca Correntista della banca
Garanzia di pagamento Totale, fondi verificati prima dell’emissione Nessuna garanzia, possibile scoperto
Utilizzo principale Grandi transazioni (immobili, veicoli) Pagamenti quotidiani e operazioni ordinarie
Tempi di incasso Immediato o rapido Variabili, possibile rischio di mancato pagamento
Rischi Contraffazione o smarrimento Assegno scoperto, firma irregolare, fondi insufficienti

Giurisprudenza sull’assegno circolare

La giurisprudenza ha chiarito vari aspetti legati all’assegno circolare:

Cassazione SU n. 40256/2018: a seguito dell’abrogazione dell’art. 485 c.p. e della riformulazione dell’art. 491 c.p. ad opera del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, la falsificazione di un assegno bancario recante la clausola di non trasferibilità non costituisce più reato, configurandosi come illecito civile.

Cassazione n. 23390/2024: se un assegno circolare non presenta segni evidenti di contraffazione e il documento di identità del presentatore è privo di elementi sospetti che ne mettano in dubbio l’autenticità, il cassiere adempie al proprio dovere di diligenza, in assenza di altre anomalie rilevanti, verificando semplicemente che le generalità anagrafiche riportate nel documento di identità corrispondano esattamente a quelle indicate nell’assegno.

Cassazione n. 21053/2024: il pagamento con assegno circolare estingue l’obbligazione pecuniaria senza necessità di accordo preventivo o quietanza liberatoria, poiché è un mezzo alternativo al contante e garantito dalla provvista.

 

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auto per disabili

Auto per disabili: la detrazione vale anche con la permuta L'Agenzia delle Entrate chiarisce che si può beneficiare della detrazione auto per disabili anche se parte del pagamento avviene con permuta di veicolo usato

Detrazione fiscale auto per disabili

Auto per disabili: ok alla detrazione anche con la permuta dell’usato. L’Agenzia delle entrate, con la risoluzione n. 11 del 7 febbraio 2025, chiarisce che è possibile beneficiare della detrazione Irpef del 19% sull’intero costo di un’auto acquistata per il trasporto di persone con disabilità, anche se parte del pagamento avviene tramite la permuta di un veicolo usato.

Il quesito

Il quesito sottoposto all’Agenzia riguardava l’acquisto di un’auto per il trasporto del figlio disabile dell’istante. In tale occasione, l’uomo aveva venduto al concessionario un veicolo usato il cui ”valore”, evidenziato nel «contratto di ordine di acquisto dell’auto», era stato utilizzato a scomputo dell’importo dovuto per l’acquisto del nuovo veicolo saldato con bonifico bancario. Ciò posto, il contribuente chiede alle Entrate se, ai fini della detrazione di cui all’articolo 15, comma 1, lett. c), del TUIR (Dpr n. 917/1986), spettante per le spese sostenute per l’acquisto dei mezzi di locomozione dei soggetti disabili, il beneficio fiscale spetta anche con riferimento al ”valore” del veicolo “concesso in permuta al concessionario in occasione dell’acquisto, scomputato dal prezzo di acquisto della nuova autovettura”.

La detrazione Irpef sull’auto per disabili

L’Agenzia ricorda preliminarmente che, l’articolo 15, comma 1, lett. c), del TUIR prevede una detrazione dall’imposta lorda (IRPEF), calcolata su una spesa massima di 18.075,99 euro, sostenuta per l’acquisto dei mezzi di locomozione dei soggetti disabili di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.

La detrazione spetta sul costo di acquisto del veicolo (nuovo o usato) e sulle spese di riparazione imputabili a manutenzione straordinaria. Sono, quindi, escluse quelle di ordinaria manutenzione, quali il premio assicurativo, il carburante, il lubrificante, gli pneumatici e le spese in genere riconducibili alla normale manutenzione del veicolo. La detrazione pari al 19 per cento è determinata sul predetto limite di spesa con riferimento all’acquisto di un solo veicolo in un periodo di 4 anni (decorrente dalla data di acquisto). Concorrono al raggiungimento del limite di spesa di euro 18.075,99 anche le spese di riparazione del veicolo, purché sostenute entro i 4 anni dall’acquisto del veicolo stesso.

Documentazione richiesta per la detrazione

Per garantire la tracciabilità dell’acquisto e poter usufruire della detrazione, il contribuente deve conservare:

  • Il contratto di acquisto del veicolo nuovo, con il prezzo totale dell’auto.
  • L’atto di vendita del veicolo usato o la fattura d’acquisto che riporti il valore della permuta.
  • La ricevuta del pagamento della caparra e del saldo (se effettuati con metodi tracciabili come bonifico bancario o carta di credito).

La normativa prevede che per la detrazione siano validi solo i pagamenti effettuati tramite bonifico bancario, postale o altri metodi tracciabili riconosciuti.

Quali veicoli sono ammessi all’agevolazione

I mezzi di trasporto che rientrano nell’agevolazione fiscale sono:

  • Motoveicoli e autoveicoli adattati per persone con limitazioni motorie permanenti.
  • Veicoli non adattati per il trasporto di persone con handicap psichico o mentale grave, con diritto all’indennità di accompagnamento.
  • Autoveicoli non adattati per il trasporto di persone non vedenti o sorde.

Il parere dell’Agenzia delle Entrate

Alla luce delle premesse normative, le Entrate esaminano il caso di specie, ossia “l’ipotesi in cui, in occasione dell’acquisto del nuovo veicolo, il soggetto acquirente vende al concessionario un veicolo usato concordandone un ”valore” e l’importo corrispondente a tale ‘valore’ è utilizzato a scomputo dell’importo dovuto a saldo per l’acquisto del nuovo veicolo”.

In tal caso, dunque, conclude il fisco, “poiché il pagamento per l’acquisto del veicolo nuovo viene effettuato in parte in denaro e in parte mediante la ”vendita’ del veicolo usato, ‘compensando’, in tal modo, i reciproci rapporti di debito e credito delle parti contraenti, la spesa deve considerarsi sostenuta per il suo intero ammontare”.

interrogatorio di garanzia

Interrogatorio di garanzia L'interrogatorio di garanzia: cos’è qual è la normativa, come si svolge la procedura e quali sono le finalità

Cos’è l’interrogatorio di garanzia?

L’interrogatorio di garanzia è un istituto di procedura penale finalizzato a garantire i diritti della persona sottoposta a misura cautelare personale. Questo strumento è fondamentale per assicurare che l’indagato sia informato delle accuse a suo carico e abbia la possibilità di difendersi sin dalle fasi iniziali del procedimento penale.

Normativa di riferimento

L’interrogatorio di garanzia è disciplinato dall’art. 294 c.p.p., che stabilisce le modalità e i tempi entro cui deve essere effettuato. La normativa prevede che l’interrogatorio venga svolto dal giudice entro cinque giorni dall’esecuzione della misura cautelare, salvo proroghe giustificate da particolari esigenze.

Con la riforma Cartabia (D.lgs. n. 150/2022), sono state introdotte modifiche volte a rafforzare le garanzie difensive, migliorando la trasparenza e l’efficacia del procedimento. L’interrogatorio può oggi svolgersi a distanza se il difensore o la persona sottoposta alla misura cautelare ne facciano richiesta. Il nuovo comma 6 bis invece prevede che l’interrogatorio possa essere documentato anche con mezzi di riproduzione audiovisiva e, in caso di indisponibilità, con mezzi di riproduzione fonografica.

Come si procede all’interrogatorio di garanzia?

  1. Notifica della misura cautelare: l’indagato riceve la notifica della misura cautelare e viene informato del diritto di essere assistito da un difensore.
  2. Fissazione dell’interrogatorio: il giudice fissa l’interrogatorio entro cinque giorni dall’inizio della esecuzione della custodia, salvo proroghe.
  3. Svolgimento dell’interrogatorio: durante l’interrogatorio, il giudice illustra all’indagato le ragioni della misura cautelare e ascolta le sue dichiarazioni.
  4. Presenza del difensore: l’indagato ha il diritto di essere assistito dal proprio difensore di fiducia o, in mancanza, da un difensore d’ufficio.

Svolgimento dell’interrogatorio di garanzia

L’interrogatorio si svolge in presenza del giudice, del pubblico ministero e del difensore dell’indagato. Il giudice informa l’indagato dei fatti contestati e delle prove raccolte, garantendo il diritto di replica. L’indagato può scegliere di rispondere alle domande o avvalersi della facoltà di non rispondere.

Finalità e modalità dell’interrogatorio di garanzia

L’interrogatorio di garanzia realizza precise finalità:

  • informare l’indagato delle accuse e delle prove raccolte;
  • consentire la difesa dell’indagato sin dalle prime fasi del procedimento;
  • verificare la legittimità della misura cautelare adottata;
  • valutare eventuali richieste di revoca o modifica della misura cautelare.

Le modalità dell’interrogatorio sono disciplinate dagli articoli 64 e 65 c.p.c Esse prevedono, tra l’altro, il divieto di utilizzare metodi o tecniche capaci di influenzare la libertà, di alterare il ricorso o la capacità di valutazione dei fatti da parte dell’interrogato.

Giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza italiana ha chiarito vari aspetti dell’interrogatorio di garanzia.

  • Cassazione n. 2241/2025: la brevità del termine tra la notifica dell’avviso di deposito e l’interrogatorio di garanzia non determina nullità, poiché prevale l’interesse a un immediato contatto tra indagato e giudice per verificare i presupposti della misura cautelare. Le esigenze difensive possono essere tutelate con un’istanza di differimento entro cinque giorni o con richiesta di revoca per inefficacia dell’ La congruità del termine va valutata considerando la presenza del difensore e la possibilità di un’adeguata assistenza, tenendo conto di distanza, mezzi di comunicazione e tempi di esame degli atti.
  • Cassazione n. 29330/2024: richiamo il principio sancito dalla SU n. 15069/2023, ossia che “la traduzione dell’ordinanza cautelare è essenziale all’esercizio delle prerogative difensive del soggetto alloglotta che non conosce la lingua italiana. La comprensione dei motivi per i quali è intervenuta la privazione della libertà personale costituisce, infatti, una condizione preliminare all’esercizio di queste prerogative e tale comprensione «presuppone la conoscenza linguistica, diretta o mediata da un interprete, delle accuse» (pag. 16 della motivazione). Secondo il supremo Collegio – che richiama sul punto la sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 1993 – solo in questo modo è possibile assicurare «una garanzia essenziale al godimento di un diritto fondamentale di difesa.”
  • Cassazione n. 42638/2023: La nuova disciplina, nel prevedere l’interrogatorio “a distanza”, richiede in primo luogo la previa richiesta dell’interessato e la successiva autorizzazione del giudice. La previa richiesta di parte, in virtù del richiamo che il comma quinto opera al comma quarto del medesimo articolo, appare quindi un requisito necessario affinché il giudice piuttosto che procedere alla delega dell’interrogatorio, assuma l’interrogatorio attraverso il video collegamento.”

 

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giurista risponde

Peculato d’uso: configurabilità Può considerarsi integrata la fattispecie di peculato in caso di utilizzo, da parte del pubblico funzionario, di un bene del quale abbia la disponibilità per ragione del suo ruolo, qualora ciò avvenga per un interesse privato ma senza che venga distolta dalla sua destinazione istituzionale?

Quesito con risposta a cura di Mariarosaria Cristofaro e Serena Ramirez

 

Il delitto di peculato non sussiste quando l’uso concomitante della cosa per finalità private ed istituzionali non determini un apprezzabile pregiudizio economico o funzionale per l’amministrazione (Cass., sez. VI, 28 ottobre 2024, n. 39546).

La Corte di Cassazione è chiamata a pronunciarsi in merito alla corretta configurabilità del delitto di cui all’art. 314, comma 2, c.p.

Il ricorrente, assolto in primo grado per insussistenza dei reati ascrittogli e condannato in secondo grado, denuncia l’assenza di motivazione rafforzata in punto di elemento oggettivo e soggettivo del reato, nonché il vizio di motivazione in punto di offensività delle condotte.

Secondo quanto prospettato dalla difesa, in primis le automobili utilizzate non erano mai state distolte dalla loro destinazione istituzionale e, quindi, sottratte alla sfera di dominio dell’ente pubblico a cui, peraltro, non è stato arrecato alcun pregiudizio, né un danno economico. In secondo luogo, quanto alla natura dolosa della condotta, non è riscontrabile alcuna volontà di appropriarsi di un bene dell’Amministrazione, sicché si tratterebbe di un mero errore sul fatto costituente reato e non di errore su legge extra penale che, in quanto tale, è inescusabile.

I giudici della Sesta Sezione, nell’accogliere il ricorso, hanno ribadito i principi dettati dalla Sezioni Unite in tema di peculato. L’art. 314, c.p. tutela tanto il patrimonio della P.A., quanto l’interesse alla legalità, imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, per cui il reato è configurabile tutte le volte in cui tale interesse sia leso pur in assenza di un danno patrimoniale (Cass. 25 giugno 2019, n. 38691 e Cass. 20 dicembre 2012, n. 19054). Il disvalore del peculato deve essere ravvisato nell’abuso del possesso della cosa. Precisamente, la fattispecie in esame si ritiene sussistente quando il pubblico funzionario sfrutti la disponibilità della cosa e la distolga dal suo scopo istituzionale e questo può accadere anche in assenza di un pregiudizio economico per l’ente pubblico.

Chiarita la ratio della norma incriminatrice, i giudici di legittimità hanno escluso che l’uso concomitante della cosa per finalità private ed istituzionali costituisca peculato, almeno nella misura in cui non determini un apprezzabile pregiudizio economico o funzionale per l’amministrazione.

Alla luce di questi principi, la Corte ha assolto l’imputato del reato contestatogli.

 

(*Contributo in tema di “Peculato d’uso”, a cura di Mariarosaria Cristofaro e Serena Ramirez, estratto da Obiettivo Magistrato n. 80 / Dicembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

Scioglimento del condominio possibile se l’edificio è autonomo Scioglimento del condominio: possibile solo se l’edificio o gli edifici presentano le caratteristiche tipiche degli edifici autonomi 

Scioglimento del condominio

L’autorità giudiziaria può disporre lo scioglimento del condominio se l’edificio risulta divisibile in parti del tutto autonome. Lo ha sancito il Tribunale di Pavia con la sentenza n. 134/2025 in cui richiama gli articoli 61 e 62 delle disposizioni di attuazione del codice civile a supporto della propria decisione.

Scioglimento condominio: impianti in comune

Alcuni condomini agiscono in giudizio per chiedere lo scioglimento di un edificio condominiale. Gli attori chiedono la divisone, in particolare, di due corpi evidenziati nelle tabelle allegate agli atti di causa. L’obiettivo del scioglimento consiste nella creazione di due condomini autonomi, fatta eccezione per l’impianto fognario e di quello per l’illuminazione del cortile. Gli attori precisano infatti che questi impianti resteranno in comunione tra i due condomini che nasceranno dopo lo scioglimento.

Altri condomini però si oppongono alla richiesta di scioglimento perché all’esito dell’istruzione della causa gli attori avrebbero richiesto “di mantenere in comune una maggiore estensione di beni” rinunciando così parzialmente alla domanda iniziale. Essi precisano inoltre che alcuni punti del regolamento condominiale, richiamato nei vari contratti di compravendita delle unità immobiliari, impedirebbero lo scioglimento.

Edifici autonomi: scioglimento possibile

Il Tribunale competente nell’accogliere la domanda attorea di scioglimento richiama il contenuto dell’articolo 61 delle disposizioni di attuazione del Codice civile. La norma nello specifico prevede che: “Qualora un edificio o un gruppo di edifici appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio può essere sciolto e i comproprietari di ciascuna parte possono costituirsi in condominio separato. Lo scioglimento è deliberato dall’assemblea con la maggioranza prescritta dal secondo comma dell’articolo 1136 del codice, o è disposto dall’autorità giudiziaria su domanda di almeno un terzo dei comproprietari di quella parte dell’edificio della quale si chiede la separazione”.

Il successivo articolo 62 disp. att. c.c., precisa invece che lo scioglimento di un condominio composto da più edifici può essere disposto anche se restano in comune alcune delle cose comuni indicate nell’articolo 1117 del codice civile. Se poi la divisione necessita della modifica dello stato delle cose e per sistemare i locali o le dipendenze tra i condomini servono delle opere di intervento, allora la maggioranza necessaria per deliberare lo scioglimento è quella indicata dal comma 5 dell’articolo 1136 c.c. ovveroun numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore delledificio.” 

Come rileva il Tribunale, nel caso di specie il condominio risulta composto da due edifici. Il primo è composto da 8 villette a schiera, il secondo da 8 villette a schiera e 4 appartamenti. Sei comproprietari su dodici chiede lo scioglimento di modo che sussiste il requisito numerico posto dall’art. 61 citato pari al 30%.”

Il Tribunale rileva inoltre che la CTU ha accertato lautonomia strutturale degli edifici da sciogliere, i quali, anche se simili, non presentano elementi strutturali per sostenere i carichi di entrambi.  Questa caratteristica è fondamentale ai fini dello scioglimento. La Cassazione infatti in diverse sentenza ha affermato che L’autorità giudiziaria può disporre lo scioglimento del condominio, ai sensi degli artt. 61 e 62 disp. att. cod. civ., solo quando l’immobile sia divisibile in parti strutturalmente autonome.” 

Disposizioni contrattuali e regolamentari invariate

Il Tribunale nel respingere le eccezioni sollevate dai condomini contrarie allo scioglimento del condominio rileva quindi che la richiesta degli attori debba essere accolta.

Il Tribunale quindi dispone lo scioglimento del condomino, accerta e dichiara come parti comuni gli impianti della fognatura e quello di illuminazione del cortile. Le precedenti disposizioni contrattuali e regolamentari riguardanti le servitù e la gestione delle aree comuni restano invariate dopo lo scioglimento del condominio, senza alterare gli obblighi e i diritti stabiliti dal regolamento condominiale.

 

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ausiliari del giudice

Ausiliari del giudice: incostituzionale la riduzione degli onorari Nel caso dei compensi agli ausiliari del giudice, la riduzione per le vacazioni successive alla prima è contraria alla Costituzione

Compensi ausiliari del giudice: la Consulta

In materia di onorari degli ausiliari del giudice, nel caso di compensi a tempo per l’attività prestata, il sistema di calcolo basato sulla vacazione, unità di misura pari a due ore di impegno del professionista, non può distinguere tra la prima vacazione e quelle successive. La riduzione per le vacazioni successive alla prima è contraria alla Costituzione. È quanto ha deciso la Consulta con la sentenza n. 16 del 2025, depositata ieri, con la quale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’articolo 4, secondo comma, della legge 8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria), nella parte in cui, per le vacazioni successive alla prima, dispone la liquidazione di un onorario inferiore a quello stabilito per la prima vacazione.

La qlc

La questione era stata sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 111 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze, che aveva censurato la norma perché l’entità «irrisoria» degli attuali onorari darebbe luogo ad un assetto normativo che sacrifica il diritto all’adeguata remunerazione del professionista e lede la garanzia dell’equo processo, non assicurando a tal fine la qualità minima della prestazione dell’ausiliare.

Normativa manifestamente irragionevole

Per la Corte la previsione normativa in oggetto è manifestamente irragionevole, in quanto impone una diversificazione dei compensi legati al susseguirsi delle vacazioni, peraltro già scarsamente remunerate, in un quadro di ormai sistematica omissione dell’onere di adeguamento periodico dei compensi.

Lo “scarto significativo” tra la prima vacazione e le successive – osserva il giudice delle leggi – accentua l’assoluta sproporzione tra l’entità del compenso da riconoscersi all’ausiliare e il valore della sua prestazione, pur nel legittimo scopo perseguito di contenimento dei costi del processo.

Istituto della vacazione e previsione tabellare

La Corte ha sottolineato che l’istituto della vacazione in realtà non è più normato, nella novellata disciplina degli onorari a tempo, di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, ormai interamente affidata, insieme a quella degli onorari fissi e variabili, alla previsione tabellare.

Il giudice rimettente aveva censurato anche l’articolo 50, comma 3, del citato D.P.R. nella parte in cui prevede che le tabelle relative agli onorari a tempo individuino il compenso del professionista. La Corte ha dichiarato inammissibile tale questione per irrilevanza nel procedimento principale, rilevando che tale disposizione, pur formalmente in vigore, disciplinerà in concreto la materia solo a seguito dell’adozione del regolamento ministeriale introduttivo del nuovo sistema tabellare, di cui al comma 1 dello stesso articolo 50, adozione non ancora intervenuta.

pensione di invalidità

Pensione di invalidità, la Cassazione chiarisce quando spetta Pensione di invalidità: la Suprema Corte stabilisce che è legittimo il riconoscimento del beneficio anche quando il soggetto è impedito a compiere i gesti quotidiani della vita

Pensione di invalidità: i chiarimenti della Cassazione

La sezione lavoro della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2744/2025, ha fornito un’importante precisazione in tema di pensione di invalidità, stabilendo che è legittimo il riconoscimento del beneficio quando il soggetto è impedito a compiere i gesti quotidiani della vita.

La vicenda

Nella vicenda, il tribunale di Rovereto, all’esito di opposizione ad ATP accertava il diritto di una bambina all’indennità di accompagnamento per minorenni ex articolo 3 comma 1 legge provincia 7 del 1998, revocata all’esito di revisione amministrativa, e condannava la Provincia a pagare la prestazione nonché l’Azienda Pubblica Servizi Sanitari a riconoscere “ogni indennità erogazione o privilegio o servizio” consequenziali a detta invalidità.
Avverso tale sentenza ricorreva APSS deducendo, tra l’altro, violazione dell’articolo 2 legge 118 del 1971 e 3 legge provincia 7 del 1998, per avere la Corte territoriale trascurato che la c.t.u. richiamata non solo era relativa ad altro giudizio, ma riguardava solo la frequenza, e per avere ritenuto rilevante la mera difficoltà da parte della minore a compiere gli atti quotidiani, laddove occorreva invece l’impossibilità di compiere i detti atti quotidiani.

Il principio sancito dalla Cassazione

Per la S.C., la doglianza è infondata in quanto “il giudice – quale peritus peritorum che, in quanto tale, per la soluzione di questioni di natura tecnica o scientifica, non ha alcun obbligo di nominare un consulente d’ufficio, potendo ricorrere alle conoscenze specialistiche acquisite
direttamente attraverso studi o ricerche personali, e ben può invece, esaminando direttamente la documentazione su cui si basa la relazione del consulente tecnico, disattenderne le
argomentazioni, in quanto sorrette da motivazioni contraddittorie, o sostituirle con proprie diverse, tratte da personali cognizioni tecniche”.

Per altro verso, sentenziano gli Ermellini, le considerazioni tecniche dell’altra c.t.u. sono state calate in concreto dalla Corte nella situazione specifica della bambina, portatrice, nel caso di specie, “non di una mera difficoltà ma di una vera e propria impossibilità di compiere gli atti quotidiani senza assistenza. La Corte espressamente dice che le patologie “incidono su aspetti essenziali della vita sociale della persona e determinano ripercussioni talmente gravi
sulla stessa e sui suoi familiari da far ritenere integrate le condizioni per il riconoscimento della prestazione richiesta”.
Tale valutazione, “peraltro sindacabile in sede di legittimità solo entro ristretti limiti – per i giudici – è del tutto da condividere, per l’importanza della funzione che veniva in questione”. Per cui il ricorso è rigettato.

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bonus pubblicità

Bonus pubblicità: ultima chiamata Scade oggi 10 febbraio 2025, a mezzanotte, il termine per inviare la dichiarazione sostitutiva necessaria ad ottenere il bonus pubblicità

Bonus pubblicità in scadenza

Ultima chiamata per il bonus pubblicità 2024: le imprese, i lavoratori autonomi e gli enti non commerciali hanno tempo fino alla mezzanotte di oggi, 10 febbraio 2025, per inviare la dichiarazione sostitutiva necessaria a confermare gli investimenti pubblicitari incrementali effettuati lo scorso anno. La comunicazione deve essere trasmessa telematicamente tramite l’area riservata del sito dell’Agenzia delle entrate, utilizzando le credenziali SPID, CNS, CIE o, dove previsto, le credenziali Entratel/Fisconline.

Cos’è il bonus pubblicità

Si ricorda che il bonus pubblicità è una misura agevolativa destinata alle imprese, ai lavoratori autonomi e agli enti non commerciali in relazione agli investimenti effettuati in campagne pubblicitarie sulla stampa quotidiana e periodica, anche online (articolo 57-bis, Dl 50/2017).
Per beneficiarne, è necessario che l’ammontare complessivo degli investimenti pubblicitari realizzati superi almeno dell’1% l’importo degli analoghi investimenti effettuati nell’anno precedente, spiega l’Agenzia delle Entrate.

L’incentivo consiste in un credito d’imposta pari al 75% del valore incrementale degli investimenti realizzati.

Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito internet del Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Modello e istruzioni

Sul sito ufficiale dell’Agenzia delle entrate, nella sezione dedicata al bonus pubblicità, sono disponibili sia il modello da compilare sia le relative istruzioni operative.

Si tratta dello stesso modulo utilizzato per la “Comunicazione per l’accesso al credito d’imposta”, con la differenza che, in questa fase, sarà necessario selezionare la casella relativa alla “Dichiarazione sostitutiva degli investimenti effettuati”.

Come funziona il bonus

Il credito d’imposta rientra nel regime degli aiuti de minimis ed è concesso entro i limiti delle risorse finanziarie disponibili. L’ammontare effettivo del bonus spettante è determinato da un provvedimento del Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria, pubblicato sul sito istituzionale.

Modalità di utilizzo del credito d’imposta

Il bonus pubblicità può essere fruito esclusivamente in compensazione, utilizzando il modello F24 con il codice tributo “6900”, tramite i servizi telematici dell’Agenzia delle entrate. L’utilizzo del credito sarà possibile a partire dal quinto giorno lavorativo successivo alla pubblicazione dell’elenco dei beneficiari ammessi.

Scadenza prorogata per il 2025

In via eccezionale, la scadenza per l’invio della dichiarazione sostitutiva è stata prorogata al 10 febbraio 2025 con provvedimento del Capo del Dipartimento per l’informazione e l’editoria del 20 dicembre 2024, poiché il termine ordinario del 9 febbraio cadeva di domenica.

illecito per l'avvocato

Illecito per l’avvocato che offende i membri del Cdd Scatta l'illecito deontologico per l'avvocato che usa espressioni sconvenienti ed offensive rivolte ai membri del CDD in una memoria difensiva

Avvocato offende CDD

Illecito per l’avvocato che offende i membri del CDD accusandoli di superficialità. “Configura – infatti – l’illecito di cui agli artt. 9 e 52 CDF da parte del difensore dell’incolpato l’aver utilizzato, in una memoria difensiva redatta nell’espletamento del mandato, espressioni sconvenienti e offensive rivolte ai membri del Consiglio Distrettuale di Disciplina accusati di ‘comportamento approssimativo e superficiale’, di una ‘posizione preconcetta’ e di una ‘forzata mancanza di obiettività’ verso l’incolpato, descrivendo inoltre come ‘sterili’ le deduzioni dell’Organo di Disciplina”. Così il Consiglio Distrettuale di Disciplina di Napoli nella decisione n. 19/2024 pubblicata il 9 febbraio 2025 sul sito del Codice deontologico.

No alla scriminante ex art. 598 c.p.

“Il principio di tutela del diritto di difesa non giustifica l’uso di espressioni denigratorie o lesive della dignità altrui, anche quando utilizzate nell’ambito di un atto difensivo” afferma infatti il Consiglio di disciplina.

La scriminante di cui all’art. 598 c.p., che esclude la punibilità per le espressioni offensive utilizzate in giudizio, invero, “si applica solo se tali espressioni riguardano l’oggetto diretto della controversia e risultano strettamente pertinenti alla difesa”.

La decisione

Nel caso di specie, la scriminante di cui all’art. 598 c.p. non è stata ritenuta sussistente poiché le affermazioni riguardavano valutazioni personali dei membri del Collegio e non elementi tecnici della controversia. Per cui, l’illecito per l’avvocato è confermato.

 

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Corte Costituzionale: ok a cinque referendum La Corte Costituzionale ha depositato le sentenze 11-15 che sanciscono l'ammissibilità di cinque quesiti referendari

Ok a 5 referendum

Via libera della Corte costituzionale a 5 referendum in materia di cittadinanza, Jobs Act, indennità licenziamenti illegittimi, contratti di lavoro a termine e responsabilità dell’imprenditore committente. Unico no al referendum sull’autonomia differenziata che, con la sentenza n. 10/2025 è stato dichiarato inammissibile.

Referendum cittadinanza

La richiesta referendaria in materia di cittadinanza ritenuta ammissibile è diretta ad abrogare, congiuntamente, l’intero articolo 9, comma 1, lettera f), della legge numero 91 del 1992 e, limitatamente ad alcune parole, l’articolo 9, comma 1, lettera b).

La combinazione delle due diverse abrogazioni avrebbe quale esito che tutti gli stranieri maggiorenni con cittadinanza di uno Stato non appartenente all’Unione europea potrebbero presentare richiesta di concessione della cittadinanza italiana dopo cinque anni di residenza legale in Italia.

La Corte Costituzionale ha affermato, con la sentenza n. 11/2025, che il quesito è omogeneo, chiaro e univoco. “All’elettore, infatti, è proposta una scelta facilmente intellegibile in ordine agli anni di residenza nel territorio della Repubblica necessari, per il maggiorenne cittadino di uno Stato non appartenente all’UE, per poter presentare domanda di concessione della cittadinanza italiana: dieci, come attualmente previsto, o cinque, come eventualmente disporrebbe la legge in caso di approvazione del referendum abrogativo”.

La richiesta referendaria non contraddice neppure la natura abrogativa del referendum, che la Corte Costituzionale ha costantemente ritenuto non può essere utilizzato per costruire, attraverso il quesito, nuove norme non ricavabili dall’ordinamento. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la nuova regola non sarebbe del tutto estranea al contesto normativo di riferimento. In caso di approvazione del referendum abrogativo, infatti, verrebbe a essere modificato esclusivamente il tempo di residenza legale necessario per poter presentare la domanda di cittadinanza – pari a cinque anni – restando invece fermi i soggetti che potranno fare la richiesta, i restanti requisiti per presentarla (la residenza nel territorio della Repubblica e l’adeguata conoscenza della lingua italiana), nonché la natura di atto discrezionale di “alta amministrazione” del provvedimento di concessione della cittadinanza.

Referendum Jobs Act

È ammissibile la richiesta di referendum sull’abrogazione del decreto delegato attuativo del Jobs Act n. 23/2015 in tema di licenziamenti illegittimi. La Corte costituzionale con la sentenza numero 12 del 2025 ha precisato: la «circostanza che all’esito dell’approvazione del quesito abrogativo il risultato di un ampliamento delle garanzie per il lavoratore non si verificherebbe in realtà in tutte le ipotesi di invalidità» del licenziamento, perché per alcune di queste (e in particolare nel caso del licenziamento intimato al lavoratore assente per malattia o infortunio, oppure intimato per disabilità fisica o psichica a un lavoratore che non versava in realtà in tale condizione) «si avrebbe, invece, un arretramento di tutela», non inficia la chiarezza, l’omogeneità e l’univocità della richiesta di referendum. Il quesito referendario chiama, infatti, il corpo elettorale «a una valutazione complessiva e generale, che può anche prescindere dalle specifiche e differenti disposizioni normative, senza perdere la propria matrice unitaria». Questa è ravvisabile, ha evidenziato la Consulta, «nel profilo teleologico sotteso al quesito referendario, mirante all’abrogazione di un corpus organico di norme e funzionale alla reductio ad unum, senza più la divisione tra prima e dopo la data del 7 marzo 2015, della disciplina sanzionatoria dei licenziamenti illegittimi, con la riespansione della disciplina pregressa, valevole per tutti i dipendenti», a prescindere dalla data della loro assunzione. Rimane, pertanto, salvaguardato, ha concluso la Corte, «un nesso di coerenza tra il mezzo e il fine referendario», ciò che esclude che si sia in presenza di «un uso artificioso del referendum abrogativo».

Referendum indennità da licenziamento illegittimo

Ammissibile, inoltre, il referendum sulla misura massima dell’indennità da licenziamento illegittimo.

Con la sentenza n. 13/2025, la Consulta ha dichiarato l’ammissibilità del referendum popolare per l’abrogazione dell’articolo 8 della legge numero 604 del 1966, limitatamente alle parole che stabiliscono una misura massima (pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto) per la liquidazione dell’indennità da licenziamento illegittimo.

In motivazione, la Corte ha precisato che la norma oggetto del quesito referendario trova oggi applicazione, a seguito delle modifiche intervenute nella legislazione in materia, nei confronti dei soli lavoratori assunti alle dipendenze delle cosiddette “piccole imprese” (ossia, presso datori di lavoro che non raggiungono la soglia dimensionale indicata dall’articolo 18, ottavo comma, dello Statuto dei lavoratori) prima del 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del decreto legislativo numero 23 del 2015, attuativo della legge sul Jobs act.

A parere della Corte, il quesito in esame non incontra i limiti di cui all’articolo 75 della Costituzione e risponde ai requisiti di chiarezza, univocità e omogeneità, in quanto pone una chiara alternativa all’elettore: mantenere l’attuale misura massima dell’indennità, ovvero rimuoverla per consentire al giudice di quantificare, senza più tale ostacolo, un ristoro equo con congruo effetto deterrente.

Referendum contratti di lavoro a termine

Con la sentenza n. 14/2025, la Corte Costituzionale ha altresì dichiarato ammissibile la richiesta di referendum abrogativo denominata «Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi».

Il quesito referendario riguarda l’abrogazione di alcune previsioni (articoli 19, commi 1, 1-bis e 4, e 21, comma 01, del decreto legislativo numero 81 del 2015) che attualmente consentono la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato (e anche la loro proroga e/o il rinnovo) fino a un anno senza dover fornire alcuna giustificazione, e, per quelli di durata superiore, sulla base di una giustificazione individuata dalle parti, anche se non prevista né dalla legge, né dai contratti collettivi stipulati dai sindacati più rappresentativi a livello nazionale. Le norme oggetto del quesito non rientrano fra le leggi per cui la Costituzione, all’articolo 75, esclude che si possa richiedere referendum abrogativo. Il quesito, inoltre, soddisfa tutti i requisiti (di chiarezza, omogeneità, univocità) richiesti per consentire all’elettore di esercitare una scelta libera e consapevole. Esso, infatti, è formulato nei termini di un’alternativa secca: da un lato, abrogare le disposizioni vigenti, con conseguente estensione ai rapporti di lavoro di durata infrannuale dell’obbligo di giustificazione dell’apposizione del termine oggi sussistente per la stipulazione di contratti di lavoro di durata superiore all’anno e il necessario riferimento, per tutti i contratti a termine, alle sole cause giustificative previste dalla legge o dai contratti collettivi; dall’altro, conservare la normativa vigente, che, all’opposto, ne liberalizza l’impiego.

Referendum responsabilità imprenditore committente

Infine, con la sentenza numero 15/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato ammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’articolo 26, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, numero 81, limitatamente alle parole «Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.», dichiarata conforme a legge dall’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Cassazione, con ordinanza del 12 dicembre 2024.

La Corte ha osservato che la norma oggetto del quesito non interferisce con le materie per le quali l’articolo 75, secondo comma, della Costituzione preclude il ricorso all’istituto del referendum abrogativo.

Il quesito rispetta i requisiti di chiarezza e semplicità, essenziali per garantire il popolo nell’esercizio del suo potere sovrano.

Dalla formulazione del quesito si evince in modo inequivocabile la finalità di rafforzare la responsabilità dell’imprenditore committente. “Il quesito tende a un esito lineare e pone al corpo elettorale un’alternativa netta: «il mantenimento dell’attuale assetto della responsabilità solidale, contraddistinto da deroghe significative, o l’integrale riespansione di tale responsabilità, senza alcuna eccezione per i danni prodotti dai rischi tipici delle attività delle imprese appaltatrici e subappaltatrici»”. È dunque garantita, conclude la Consulta, “quella scelta chiara e consapevole, che il giudizio di ammissibilità demandato alla Corte costituzionale è chiamato a salvaguardare”.