giurista risponde

Disturbi della personalità e capacità di intendere e di volere Che rilevanza hanno i «disturbi della personalità» ai fini dell’accertamento della capacità di intendere e di volere?

Quesito con risposta a cura di Andrea Bonanno e Giulia Fanelli

 

Nel percorso di accertamento della capacità di intendere e di volere al momento del fatto, hanno rilievo precisi indici rivelatori non di un qualsiasi disturbo di personalità ma esclusivamente di condizioni definibili in termini di particolare serietà del disturbo, caratterizzato da intensità e gravità, idoneo a determinare una situazione di assetto psichico incontrollabile ed ingestibile che, incolpevolmente, rende l’agente incapace di esercitare il dovuto controllo dei propri atti, di conseguentemente indirizzarli, di percepire il disvalore sociale del fatto, di autonomamente, liberamente, autodeterminarsi. Ne consegue che, per converso, non possono avere rilievo a fini di imputabilità altre ‘anomalie caratteriali’, ‘disarmonie della personalità’, ‘alterazioni di tipo caratteriale’, ‘deviazioni del carattere e del sentimento’, quelle legate alla indole del soggetto che, pur attenendo alla sfera del processo psichico di determinazione, non si rivestano, tuttavia, delle connotazioni testé indicate e non attingano, quindi, a quel rilievo di incisività sulla capacità di auto determinazione del soggetto agente, nei termini e nella misura voluta dalla norma. – Cass., sez. I, 19 marzo 2024, n. 11539.

 La Corte di legittimità è chiamata a pronunciarsi sul riconoscimento del vizio di mente in caso di disturbo della personalità con discontrollo degli impulsi.

Con la sentenza impugnata, infatti, la Corte di Assise di Appello confermava la condanna emessa dal Giudice per le indagini preliminari relativamente al reato di omicidio pluriaggravato consumato all’interno di una drammatica situazione familiare, segnata dalla malattia mentale dell’imputato, affetto da anni da disturbi psichiatrici che lo rendevano violento nei confronti dei familiari.

Avverso la sentenza è stato proposto ricorso per Cassazione dal difensore dell’imputato con il quale si denunciava, tra gli altri motivi, la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’incapacità di intendere e volere in capo all’imputato.

Secondo il ricorrente, il mancato riconoscimento dell’infermità mentale si poneva in contraddizione anche con quanto evidenziato dallo stesso perito nominato dal primo Giudice, il quale aveva ravvisato in capo al medesimo disturbi della personalità ed, in particolare, un disturbo psichico che comporta discontrollo degli impulsi e improvvise e transeunti perdite della capacità di comprendere il significato e il valore o disvalore delle proprie condotte, emergente soprattutto in fase di forte stress.

Il ricorrente osservava come, secondo quanto precisato dalle Sezioni Unite della Cassazione con sent. 230317/2005, il termine infermità non allude solo ad una condizione patologica, ma a qualunque disturbo che, incidendo sulla psiche, comprometta irrimediabilmente la capacità di intendere di volere, con la conseguenza che anche il disturbo della personalità può escludere l’imputabilità del soggetto.

La Suprema Corte, nella decisione de qua, rigettando il ricorso, ha evidenziato che il concetto di “infermità” di cui agli artt. 88 e 89 c.p. è stato al centro di evoluzione giurisprudenziale estensiva: se, infatti, giurisprudenza piuttosto risalente tendeva a considerare rilevanti, ai fini del concetto, le sole patologie aventi substrato organico, da quasi due decenni la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto come, ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i “disturbi della personalità” – che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali – possono rientrare nel concetto di “infermità”, purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell’imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di “infermità” (Cass., Sez. Un., 25 gennaio 2005, n. 9163).

La decisione delle Sezioni Unite pone alla base del percorso di accertamento della capacità di intendere e di volere al momento del fatto la avvenuta emersione di precisi indici rivelatori non di un «qualsiasi» disturbo di personalità ma esclusivamente di condizioni definibili in termini di particolare serietà del disturbo, caratterizzato da intensità e gravità: deve trattarsi di un disturbo idoneo a determinare una situazione di assetto psichico incontrollabile ed ingestibile che, incolpevolmente, rende l’agente incapace di esercitare il dovuto controllo dei propri atti, di conseguentemente indirizzarli, di percepire il disvalore sociale del fatto, di autonomamente, liberamente, autodeterminarsi. Ne consegue che, per converso, non possono avere rilievo a fini di imputabilità altre ‘anomalie caratteriali’, ‘disarmonie della personalità’, ‘alterazioni di tipo caratteriale’, ‘deviazioni del carattere e del sentimento’, quelle legate alla indole del soggetto che, pur attenendo alla sfera del processo psichico di determinazione, non si rivestano, tuttavia, delle connotazioni indicate e non attingano, quindi, a quel rilievo di incisività sulla capacità di auto determinazione del soggetto agente, nei termini e nella misura voluta dalla norma.

Ebbene, ciò premesso, la Corte ha osservato che l’analisi svolta in sede di merito ha rettamente escluso la ricorrenza di reali indicatori di perdita del senso di realtà nel caso in esame, specie nella condotta posteriore alla consumazione del fatto, atteso che la prospettata incapacità di intendere e di volere del imputato si pone apertamente in contrasto con l’atteggiamento da costui tenuto nell’immediatezza del fatto, avendo da subito egli con cinismo fornito una versione dei fatti finalizzata a crearsi immediatamente una strategia difensiva.

Infine, occorre osservare come l’accertamento della capacità di intendere e di volere dell’imputato costituisca questione di fatto la cui valutazione compete al giudice di merito e si sottrae al sindacato di legittimità se esaurientemente motivata, anche con il solo richiamo alle valutazioni delle perizie, se immune da vizi logici e conforme ai criteri scientifici di tipo clinico e valutativo (Cass., sez. I, 17 gennaio 2014, n. 32373), salvi casi di cd. travisamento della prova.

*Contributo in tema di “Disturbi della personalità e capacità di intendere e di volere”, a cura di Andrea Bonanno e Giulia Fanelli, estratto da Obiettivo Magistrato n. 75 / Giugno 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

società benefit legge 208 2015

Società benefit: la guida completa Le società benefit, previste e disciplinate dalla legge n. 208/2015, perseguono fini di lucro e una o più finalità di “beneficio comune” operando in modo sostenibile

Società benefit: cosa sono

Le società benefit sono previste e disciplinate dalla legge n. 208/2015 (legge di stabilità 2016) commi 376-384.

Si tratta di società che, pur perseguendo finalità lucrative tipiche delle società commerciali, perseguono anche il “beneficio comune” utilizzando metodologie sostenibili nel rispetto delle persone e dell’ambiente.

La principale caratteristica distintiva di queste società è infatti il perseguimento del beneficio comune, che consiste nella riduzione dell’impatto negativo o nell’aumento di un effetto positivo nei confronti di uno o più categorie di stakeholders.

Gli stakeholders a cui fa riferimento la legge sono le persone, le comunità, il territorio, l’ambiente, i beni e le attività di tipo culturale e sociale, gli enti e le associazioni. A queste categorie si aggiungono gli “altri portatori di interessi”, ossia coloro che vengono coinvolti dall’attività della società in modo diretto o indiretto come i lavoratori, i clienti, i finanziatori i creditori, la pubblica amministrazione e la società civile.

Le società benefit acquisiscono tale qualifica e natura se inseriscono nell’oggetto sociale anche il perseguimento dello scopo del “beneficio comune”, senza per questo compromettere le finalità lucrative. Si tratta infatti di obiettivi destinati a camminare in parallelo.

Il mancato ed effettivo perseguimento del beneficio comune è sanzionato dal decreto legislativo n. 145/2007, che si occupa della pubblicità ingannevole e dal Codice del Consumo.

Forme giuridiche delle società benefit

Le società benefit possono avere la forma giuridica tipica delle società commerciali di persone e di capitali.

Le stesse pertanto possono essere costituite nella forma della società semplice, della società in nome collettivo, della società in accomandita semplice, della società per azioni, della società in accomandita per azioni, della società a responsabilità limitata, della società cooperativa e della mutua assicuratrice.

Le società benefit non possono invece acquisire la forma di impresa sociale o di società sportiva dilettantistica perché queste strutture giuridiche sono prive dello scopo di lucro.

Responsabile d’impatto e collegio sindacale

Le società benefit si caratterizzano anche per la presenza, all’interno dell’assetto societario, del   responsabile di impatto, che può essere anche più di uno.

Si tratta di una figura addetta al monitoraggio dell’allineamento delle attività svolte con gli obiettivi di beneficio comune dichiarati al momento della costituzione della società.

Il responsabile deve raccogliere e analizzare i dati sull’impatto dell’attività, deve seguire il processo di rendicontazione e di sostenibilità e deve provvedere alla comunicazione dei risultati raggiunti agli stakeholders.

A questa figura sono pertanto richieste competenze  multidisciplinari. Deve essere infatti esperto di gestione aziendale, di rendicontazione e di sostenibilità.

La valutazione di questa figura, così come il suo trattamento economico, sono in genere influenzati dal raggiungimento degli obiettivi di beneficio comune previsti, così come i risultati ottenuti in termini di sostenibilità ambientale, condizioni di lavoro, relazioni con la società.

Qualora la società benefit presenti una struttura che prevede la presenza del collegio sindacale, a quest’organo è affidato il compito di vigilare sul rispetto della legge e delle clausole statutarie.

Amministrazione della società

Il comma 380 impone di amministrare le società benefit in modo da bilanciare gli interessi dei soci con il perseguimento del beneficio comune e degli interessi delle categorie nei cui confronti operano, al fine di garantire la sostenibilità. Il mancato rispetto di queste regole di amministrazione può configurare un inadempimento degli amministratori per violazione dello statuto e della legge, in questo caso in tema di responsabilità degli amministrazioni si applicano le disposizioni del codice civile previste per ogni tipologia societaria.

Obbligo di redazione relazione annuale

Il comma 382 della legge n. 208/2015 impone inoltre alle società benefit l’obbligo di redigere una relazione annuale sul perseguimento del beneficio comune, che deve essere allegata al bilancio societario.

La relazione deve descrivere gli obiettivi specifici, le modalità e le azioni messe in atto dagli amministratori per perseguire il beneficio comune, indicando le cause di eventuali impedimenti o rallentamenti. Il documento deve contenere anche la valutazione dell’impatto, che è stato generato utilizzando lo standard di valutazione esterno, con le caratteristiche descritte nell’allegato 4 della legge, che comprende le diverse aree di valutazione indicate nell’allegato 5, sempre della legge n. 208/2015.

La relazione, che deve essere pubblicata sul sito della società, se presente, deve infine contenere una sezione dedicata alla descrizione degli obiettivi che la società intende perseguire nell’esercizio successivo.

alcoltest guida stato ebbrezza

Valido l’alcoltest anche con l’esofagite La Cassazione ha ritenuto che l’acalasia esofagea, patologia che determina il ristagno di liquidi nell’esofago, non ha alterato il risultato dell’alcoltest

Guida in stato di ebrezza

Nel caso di specie, la Corte di appello di Firenze aveva condannato l’imputato poiché ritenuto responsabile del reato di cui all’art.186, comma 2, del Dlgs 285/1992, per aver condotto l’auto in stato di ebbrezza a seguito dell’assunzione di bevande alcoliche.

Avverso tale decisione l’imputato aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, contestando, tra i vari motivi d’impugnazione che, il Giudice di merito lo aveva ritenuto responsabile per la suddetta fattispecie delittuosa, pur essendo egli affetto da “acalasia esofagea”, e cioè una patologia che, determinando il ristagno di liquidi, tra cui le sostanze alcoliche, nell’esofago, avrebbe alterato il risultato dell’alcoltest.

Irrilevanza della patologia

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 24096-2024, ha, per quanto specificamente attiene al suddetto motivo d’impugnazione, rigettato il ricorso proposto dall’imputato.

In particolare, la Corte ha condiviso gli esiti argomentativi cui era giunto il Giudice di merito nel ritenere irrilevante la patologia sofferta dall’imputato rispetto al risultato dell’alcoltest, il quale, a tal proposito, aveva fornito una motivazione congrua e lineare, nonché priva di contraddizioni palesi.

Stato di ebbrezza alcolica

Inoltre, ha proseguito la Corte lo stato di ebbrezza alcolica era stato comprovato anche da altri elementi, quali, ad esempio l’equilibrio precario, il linguaggio sconnesso, le pupille dilatate, gli occhi lucidi e un comportamento di sfida nei confronti degli operatori. Tali ultimi aspetti, ha spiegato la Corte, sono del tutto indipendenti dalla acalasia esofagea.

Allegati

direttiva ue riparazione elettrodomestici

Diritto alla riparazione degli elettrodomestici La nuova direttiva europea sul diritto alla riparazione degli elettrodomestici rappresenta un passo avanti nella promozione della sostenibilità e nella tutela dei consumatori

Direttiva UE diritto alla riparazione degli elettrodomestici

Il 30 maggio, il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato una direttiva rivoluzionaria sul diritto alla riparazione degli elettrodomestici. Questa normativa rappresenta un significativo passo avanti per i consumatori, che ora avranno maggiori possibilità di riparare i propri beni rotti o difettosi, riducendo la necessità di sostituirli.

La direttiva, in vigore venti giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, dovrà essere recepita dagli Stati membri entro due anni.

Obiettivi della Direttiva

L’introduzione di questa direttiva mira a raggiungere diversi obiettivi fondamentali:

  1. facilitare la riparazione: spesso i consumatori trovano complicato accedere ai servizi di riparazione, portandoli a preferire la sostituzione degli apparecchi. La nuova direttiva rende più agevole e rapido il processo di riparazione, incentivando i consumatori a riparare piuttosto che sostituire i loro elettrodomestici;
  2. combattere l’obsolescenza programmata: la direttiva affronta la problematica dell’obsolescenza programmata, pratica scorretta adottata da alcuni produttori per rendere difficile o impossibile reperire pezzi di ricambio. Con le nuove misure, i consumatori saranno maggiormente incentivati a riparare i propri beni.
  3. ridurre l’impatto ambientale: favorendo le riparazioni, la direttiva contribuisce a ridurre l’impatto ambientale derivante dalla produzione e dallo smaltimento di elettrodomestici. Ogni anno, i cittadini europei spendono circa 12 miliardi di euro per sostituire apparecchi anziché ripararli, producendo 35 milioni di tonnellate di rifiuti.

Misure specifiche della Direttiva

La direttiva introduce diverse misure concrete per raggiungere i suoi obiettivi:

  • piattaforma europea online per le Riparazioni: verrà creata una piattaforma online che permetterà ai consumatori di trovare facilmente riparatori qualificati nella propria località;
  • proroga della garanzia legale: in caso di riparazione di un prodotto difettoso, la garanzia legale verrà prorogata di 12 mesi;
  • riconsegna rapida: i prodotti riparati dovranno essere riconsegnati entro 30 giorni e, nel frattempo, i consumatori riceveranno un prodotto sostitutivo;
  • abolizione del divieto di componenti indipendenti: sarà possibile utilizzare componenti realizzati con la stampante 3D o acquistati da terze parti, e i produttori non potranno rifiutarsi di riparare dispositivi manipolati da terzi.

Impatti e prospettive per i consumatori e per l’ambiente

Questa direttiva è destinata a rivoluzionare il mercato europeo degli elettrodomestici, promuovendo pratiche più sostenibili e responsabili. I consumatori beneficeranno di un accesso più facile e conveniente ai servizi di riparazione e l’ambiente trarrà vantaggio da una significativa riduzione dei rifiuti elettronici. Inoltre, la direttiva apre la strada a nuove opportunità per le aziende specializzate in riparazioni e per i produttori che adotteranno pratiche più trasparenti e sostenibili.

Conclusione. La direttiva europea sul diritto alla riparazione rappresenta un passo fondamentale verso un’economia più circolare e sostenibile. Con l’attuazione di queste nuove regole, l’Unione Europea dimostra il suo impegno verso un futuro più verde e responsabile e si pone all’avanguardia nella lotta contro lo spreco e l’inquinamento, promuovendo un consumo più consapevole e sostenibile. I prossimi anni saranno cruciali per vedere l’implementazione di queste misure e i loro effetti positivi sulla società e sull’ambiente.

giurista risponde

Fideiussione prestata da confidi minore È valida la fideiussione prestata da un c.d. “confidi minore”, iscritto nell’elenco di cui all’art. 155, comma 4, TUB (ratione temporis applicabile alla fattispecie), nell’interesse di un proprio associato a garanzia di un credito derivante da un contratto non bancario?

Quesito con risposta a cura di Danilo Dimatteo, Elisa Succu, Teresa Raimo

 

La fideiussione prestata da un cd. “confidi minore, come il Consorzio ricorrente, soc. coop. r.l., iscritto nell’elenco di cui all’art. 155 , comma 4, T.u.b. (ratione temporis applicabile), nell’interesse di un proprio associato a garanzia di un credito derivante da un contratto non bancario, non è nulla per violazione di norma imperativa, non essendo la nullità prevista in modo testuale, né ricavabile indirettamente dalla previsione secondo la quale detti soggetti svolgono “esclusivamente” la “attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi a essa connessi o strumentali” per favorire il finanziamento da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario. Il rilascio di fideiussioni è attività non riservata a soggetti autorizzati (come gli intermediari finanziari ex art. 107 T.u.b. ), né preclusa alle società cooperative che operino in coerenza con l’oggetto sociale. –  Cass. Sez. Un. 15 marzo 2022, n. 8472.

Alla risposta indicata nella massima, le Sezioni Unite pervengono valorizzando una serie di elementi.

Anzitutto, rilevano che il rilascio di fideiussioni, diversamente dall’attività di concessione di finanziamenti, è un’attività non riservata a soggetti autorizzati, (come gli intermediari ex art. 107 TUB); né è preclusa alle società cooperative che operino in coerenza con l’oggetto sociale.

Il contratto sub iudice è, per l’appunto, una fideiussione di diritto comune non specificamente riservata agli intermediari autorizzati dal TUB e non può quindi dirsi – in mancanza di specifici divieti – proibita a un confidi minore. È vero che quest’ultimo, in mancanza di apposita iscrizione all’albo ex art. 106 TUB, non può svolgere operazioni riservate agli intermediari finanziari, ma nella fattispecie al consorzio non sono contestate tali attività, bensì il semplice fatto di aver stipulato una fideiussione.

Questa però non è un contratto bancario, né ha una disciplina ad hoc.

Al contrario tale negozio è regolato dal codice civile ed è identico sia se rilasciato da un intermediario, sia se concesso da un soggetto diverso.

Sotto altro profilo il fatto che il confidi minore debba svolgere “esclusivamente” l’attività di garanzia collettiva dei fidi non implica necessariamente un divieto assoluto, a pena di nullità, di attività diverse.

In sostanza il fatto di svolgere attività estranea all’oggetto sociale, in forma comunque non sistematica, non comporta la nullità dei negozi e/o contratti relativi (in tal senso vengono richiamate pronunce in tema di contratti assicurativi vedi Cass. 384/2018 o di affitto di azienda vedi Cass. 8499/2018).

In secondo luogo, si ricorda che la nullità virtuale posta dall’art. 1418, comma 1, c.c. è sì fondata sulla trasgressione di una norma imperativa ma non è insensibile al tipo di norma imperativa violata.

Al riguardo, è necessario, infatti, distinguere le regole di fattispecie dalle regole di condotta, riconnettendosi alla violazione delle prime la sanzione della nullità e alla violazione delle seconde il meccanismo della responsabilità, secondo il ben noto insegnamento del giudice della nomofilachia.

Occorre, quindi, individuare di volta in volta quali siano le norme imperative la cui violazione determini la nullità del contratto, non potendosi sostenere sempre una chiara equiparazione tra norma inderogabile e norma imperativa.

A tal proposito, si rammenta che la giurisprudenza ha dapprima classificato come imperative le disposizioni relative alla struttura essenziale e al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti; ha poi progressivamente esteso il campo della nullità anche alla violazione di norme che attengono a determinate condizioni oggettive o soggettive che direttamente o indirettamente vietano la stipula stessa del contratto. Il trend ultimo che si registra è compendiato dalle Sezioni Unite, le quali rendono manifesta la tendenza attuale di ritenere imperative le norme che operano «come strumento di reazione dell’ordinamento rispetto alle forme di programmazione negoziale lesive di valori giuridici fondamentali».

Non si può dimenticare, invero, che la nullità è la negazione dell’autonomia negoziale sì da dover essere contenuta nei limiti di una sanzione residuale ed estrema.

La nullità negoziale ex art. 1418, comma 1, c.c. deve discendere, allora, dalla violazione di norme aventi contenuti specifici, precisi e individuati non potendosi in caso contrario applicare una sanzione tanto grave, pena il rischio di violare contrapposti valori e principi di rango costituzionale come la libertà negoziale e la libera iniziativa economica.

Alla luce di tali considerazioni le Sezioni Unite concludono che non sussistono le caratteristiche per considerare la disposizione citata come imperativa; non può affermarsi, quindi, alcuna nullità per la fideiussione rilasciata.

fascicolo sanitario elettronico 2.0

Fascicolo sanitario elettronico  2.0 Come funziona il Fascicolo sanitario elettronico 2.0, nuovo traguardo della sanità digitale, quali vantaggi offre e come attivarlo 

Fascicolo sanitario elettronico 2.0: cos’è

Il Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0 è un registro elettronico che contiene al suo interno tutti i dati e i documenti digitali sanitari e socio-sanitari generati da fatti clinici del paziente. I dati riguardano referti di visite mediche, esami diagnostici, ricoveri ospedalieri, prescrizioni di farmaci e tanto altro ancora.

Riferimenti normativi

Il fascicolo sanitario elettronico è stato istituito dall’articolo 12 del decreto legge n. 179/2012.

Il decreto del ministero della Salute del 7 settembre 2023 ha dato attuazione alla norma suddetta.

Contenuto del fascicolo sanitario elettronico

Per comprendere al meglio i vantaggi di questo nuovo strumento è opportuno ricordare che il fascicolo sanitario elettronico contiene tantissime informazioni di natura sanitaria:

  • dati anagrafici e amministrativi del paziente (esenzioni, contatti, soggetti delegati);
  • vaccinazioni effettuate;
  • farmaci erogati e non erogati dal SSSN;
  • verbali del pronto soccorso;
  • lettere di dimissioni ospedaliere;
  • prescrizioni di visite mediche specialistiche;
  • prescrizioni farmaceutiche;
  • cartelle cliniche ospedaliere;
  • profilo sanitario sintetico: documento socio sanitario digitale redatto e aggiornato costantemente dal medico curante o dal pediatra che contiene il riassunto della storia clinica del paziente e il suo stato di salute attuale;
  • taccuino personale: sezione riservata del fascicolo a disposizione del paziente per integrare le informazioni presenti, modificarle, inserirle ed eliminarle. In relazione a queste informazioni il cittadino può scegliere se e a chi vuole renderle visibili.

Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0: vantaggi

Con il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) 2.0 la sanità compie un ulteriore passo in avanti verso la digitalizzazione. Il fascicolo rappresenta infatti uno strumento innovativo che permette ai cittadini di accedere alla la propria storia clinica con semplicità e sicurezza e di avere una comunicazione più efficiente con il proprio medico. Il Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0 presenta infatti molteplici vantaggi, sia per i cittadini che per gli operatori del settore sanitario. Vediamoli distintamente.

Vantaggi per i cittadini:

  • i cittadini hanno la possibilità di consultare in qualsiasi momento e da qualsiasi dispositivo la propria storia clinica;
  • i dati sanitari del singolo paziente sono conservati in modo sicuro e protetto, nel pieno rispetto della privacy;
  • i cittadini possono essere più coinvolti nelle decisioni che riguardano il proprio stato di salute.

Vantaggi per i professionisti sanitari:

  • i medici, accedendo al fascicolo sanitario del paziente, possono avere un quadro completo sullo stato di salute del paziente. In questo modo sono agevolati nella diagnosi, nella cura e nella presa in carico;
  • grazie al monitoraggio di visite ed esami i medici evitano di prescrivere controlli medici e diagnostici già effettuati in passato, ottimizzando in questo modo le risorse del Sistema Sanitario Nazionale ed evitando gli sprechi;
  • l’accesso rapido alle informazioni del paziente evita ai medici di dover fare richiesta alle varie strutture sanitarie che ne sono in possesso;
  • l’accesso alle informazioni complete del paziente riduce notevolmente il rischio di errore medico.

FSE 2.0: come si attiva

La procedura di attivazione del Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0 è molto semplice e completamente gratuita. Ci sono tre modalità distinte di attivazione:

E’ necessario però essere in possesso dello SPID o della CIE.

Come opporsi

In considerazione della natura dei dati contenuti nel fascicolo sanitario si ricorda infine che da lunedì 22 aprile 2024 fino al 30 giugno 2024 il cittadino può opporsi, come chiarito nel sito del Ministero della Salute “allinserimento automatico nel fascicolo dei dati e documenti sanitari generati da eventi clinici riferiti alle prestazioni erogate dal Servizio sanitario nazionale prima del 19 maggio 2020”. 

Tutti i dettagli della procedura da seguire sono presenti sul sito “Sistema Tessera sanitaria”.

social card 2024

Social Card: chi ne ha diritto e come ottenerla   Cos'è la carta “Dedicata a te”, a cosa serve, chi ne ha diritto e cosa fare per ottenere la Social Card 2024 per le famiglie in difficoltà

Social Card 2024: cos’è

La Social Card, misura confermata dalla legge di bilancio 2023 per il 2024, mira a sostenere le famiglie in difficoltà economica, erogando un contributo sotto forma di carta prepagata per l’acquisto di beni di prima necessità e il pagamento di alcune utenze. Per il 2024 sono stati stanziati 600 milioni di euro, che si vanno ad aggiungere alle risorse inutilizzate del 2023.

Il decreto del ministero dell’agricoltura, di concerto con il Mimit, recante le disposizioni attuative e applicative per la carta “Dedicata a te” è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 giugno 2024 e definisce in 12 articoli l’intervento che consente a più di un milione di famiglie di acquistare beni di prima necessità.

Requisiti soggettivi e oggettivi

Per avere diritto alla social card “Dedicata a te” è necessario essere in possesso dei seguenti requisiti:

  • essere titolari di un reddito ISEE non superiore a 15.000 euro annui;
  • avere la residenza in Italia;
  • avere la cittadinanza italiana o UE;
  • non essere titolari di altre forme di aiuto;
  • avere un figlio a carico.

Tutti i componenti del nucleo familiare (almeno 3 i componenti) devono essere, inoltre iscritti nell’anagrafe comunale e l’importo complessivo del contributo per ogni nucleo ammonta a 500 euro.

Il contributo non spetta ai nuclei che siano percettori di assegno di inclusione, reddito di cittadinanza o altre misure di inclusione sociale o sostegno alla povertà, Naspi e forme di integrazione salariale o di sostegno nel caso di disoccupazione involontaria, erogata dallo Stato.

Come richiedere la carta Dedicata a te

A differenza di altre misure di sostegno per le famiglie in difficoltà, la social card “Dedicata a te”non deve essere richiesta. Essa viene assegnata d’ufficio direttamente dai Comuni ai cittadini che ne hanno diritto, purché in possesso dei requisiti richiesti dalla legge.

Viene erogata tramite carte elettroniche prepagate e ricaricabili messe a disposizione da Poste Italiane e consegnate agli aventi diritto, previa prenotazione presso gli uffici postali abilitati.

Le carte sono operative con accredito del contributo a partire da settembre 2024 e il primo pagamento deve essere effettuato entro il 16 dicembre 2024, mentre l’intera somma va utilizzata entro il 28 febbraio 2025.

Per avere informazioni sulla spettanza della misura è necessario rivolgersi quindi al proprio Comune, consultare il sito web del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali https://www.lavoro.gov.it/ o il sito dell’INPS https://www.inps.it/it/it.html

A cosa serve

La social card è una carta elettronica che consente al titolare di acquistare beni di prima necessità e di sostenere alcune spese necessarie ossia:

  • generi alimentari;
  • prodotti per l’igiene personale e la casa;
  • farmaci;
  • bollette di luce, gas e acqua;
  • ricariche/abbonamenti servizi di trasporto pubblico;
  • canoni di locazione;
  • assegni di frequenza per studenti.

Importo e modalità di utilizzo

L’importo della Social Card per l’anno in corso, come anticipato, è di 500 euro per nucleo familiare. La carta viene erogata in un’unica soluzione, salvo diverse disposizioni da parte dei Comuni. È possibile prelevare contanti presso gli sportelli ATM o effettuare pagamenti elettronici presso i negozi e le attività convenzionate.

concorso 400 notai

Concorso notai: 400 posti Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il nuovo bando di concorso per 400 posti di notaio. Domande entro 30 giorni

Concorso notai 2024

E’ disponibile sul sito del Ministero l’avviso relativo al nuovo bando di concorso per 400 posti di notaio di cui al provvedimento del 12 giugno 2024, pubblicato in Gazzetta ufficiale n. 50, 4a serie speciale, Concorsi ed esami, il 21 giugno scorso.

Le domande vanno inviate esclusivamente per via telematica entro trenta giorni, a  decorrere dalla pubblicazione in GU, e redatte compilando l’apposito form,

Le prove

Previste prove scritte ed orali.

Esame scritto

In particolare, l’esame scritto consta di tre distinte prove teorico-pratiche, riguardanti un atto di ultima volontà e due atti tra vivi, di cui uno di diritto commerciale. In ciascun tema sono richiesti la compilazione dell’atto e lo svolgimento dei principi attinenti agli istituti giuridici relativi all’atto stesso.

Esame orale

L’esame orale consta invece di tre distinte prove sui seguenti gruppi di materie:

  • diritto civile, commerciale e volontaria giurisdizione, con particolare riguardo agli istituti giuridici in rapporto ai quali si esplica l’ufficio di notaio;
  • disposizioni sull’ordinamento del notariato e degli archivi notarili;
  • disposizioni concernenti i tributi sugli affari.

Diario d’esame

I candidati ai quali non sia stata comunicata l’esclusione dal concorso, sono tenuti a presentarsi per sostenere le prove scritte, a pena di decadenza, nel luogo, giorno ed ora indicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica – 4a serie speciale – “Concorsi ed Esami” del 13 settembre 2024.

Maggiori info sono disponibili anche sul sito del ministero della giustizia.

luogo aperto al pubblico

Luogo aperto al pubblico: cosa si intende La Cassazione spiega quando un luogo è da ritenersi "aperto al pubblico" e quando invece di "privata dimora"

Luogo aperto al pubblico

Per luogo aperto al pubblico deve intendersi quello frequentabile da un’intera categoria di persone o da un numero indeterminato di soggetti che abbiano la possibilità di accedervi. Così la prima sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 24119-2024.

La vicenda

Nella vicenda, un imputato veniva assolto dal Gip di Pesaro per la contravvenzione di cui all’art. 4 legge n. 10/1975 per aver portato fuori dalla stanza dell’albergo una forchetta da cucina occultandola nella tasca dei propri pantaloni. Il fatto veniva ritenuto insussistente, non essendo l’imputato mai uscito dalla hall dell’hotel, ma il procuratore adiva la Cassazione eccependo violazione di legge.

Luogo di privata dimora

Deduceva in particolare che il giudice di merito avesse errato nel qualificare la sala di ricevimento dell’albergo come “luogo di privata dimora”, trattandosi, invece, di un luogo aperto al pubblico nel quale non si svolgono atti della vita privata. A supporto del motivo, richiamava la distinzione tra «privata dimora» e «luogo aperto al pubblico» operata dalla giurisprudenza di legittimità in punto di delitto di cui all’art. 624bis cod. pen. Per cui, a suo dire, l’imputato era nella disponibilità dell’oggetto mentre si trovava all’interno della hall, ossia locale adibito a ricevimento del pubblico nella struttura ricettiva e, dunque, luogo aperto al pubblico.

Luogo privata dimora e luogo aperto al pubblico

Per gli Ermellini, il ricorso è fondato, in quanto, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale e conformemente a quanto ritenuto dal procuratore, la hall dell’albergo non è luogo di privata dimora ma luogo aperto al pubblico.
In tal senso, la Corte richiama l’orientamento secondo cui «ai fini della configurabilità del delitto di porto illegale di arma da fuoco, per “luogo aperto al pubblico” deve intendersi quello al quale chiunque può accedere a determinate condizioni, oppure quello frequentabile da un’intera categoria di persone o comunque da un numero indeterminato di soggetti che abbiano la possibilità giuridica e pratica di accedervi senza legittima opposizione di chi sul luogo esercita un potere di fatto o di diritto» (cfr. Cass. n. 22890/2013).

Con riguardo specifico alla nozione più generale di «luogo di privata dimora», ricorda inoltre la Corte, l’insegnamento del massimo organo nomofilattico afferma che «ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624 bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale» (cfr. SS.UU. n. 31345/2017).

Sono stati qualificati, ricorda ancora la S.C., come luoghi di privata dimora il locale adibito a spogliatoio di uno ‘stand’ fieristico, lo studio legale, il motopeschereccio dotato di cabine e bagni, mentre sono stati qualificati come luoghi aperti al pubblico: il circolo sportivo, la sala d’attesa di uno studio medico e proprio la hall di un albergo (cfr. Cass. n. 34454/2018), “luogo per definizione aperto al pubblico”.

Sentenza annullata con rinvio

Per cui dando continuità alla giurisprudenza consolidato, i giudici hanno ritenuto che il taglierino fosse stato portato dall’imputato in luogo aperto al pubblico e, dunque, il ricorso del procuratore va accolto e la sentenza di assoluzione annullata.

La parola passa al giudice del rinvio.

Allegati

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Assegno unico universale: la guida completa Cos’è l’assegno unico e universale, quali leggi lo disciplinano, requisiti soggettivi e reddituali per richiederlo, termine ultimo per fare domanda

Assegno unico e universale: cos’è

L’assegno unico e universale è stato previsto dalla legge n. 46/2021, che ha conferito la delega al Governo per riordinare, semplificare e rafforzare le misure a sostegno delle famiglie con figli a carico per favorire la natalità e l’occupazione femminile.

L’assegno è unico perché va a sostituire le misure precedentemente previste per i genitori con figli a carico, è universale perché si basa sul principio universalistico.

Questo beneficio economico infatti è riconosciuto su base progressiva a tutti i nuclei familiari con figli a carico. Il tutto ovviamente nei limiti delle risorse disponibili. L’assegno inoltre è modulato in base alla condizione economica del reddito familiare individuata tramite l’ISEE.

Esso inoltre può essere riconosciuto nella forma di credito d’imposta o di erogazione in danaro.

Assegno unico: quando spetta

L’articolo 2 della legge n. 46/2021 prevede il riconoscimento di un assegno mensile per ogni figlio di minore età a carico dei genitori a partire dal settimo mese di gravidanza.

Per i figli successivi al secondo l’assegno viene riconosciuto in misura maggiorata. La misura viene riconosciuta altresì per i figli maggiorenni a carico fino a 21 anni di età, con possibilità di corrispondere l’assegno direttamente al figlio, su sua richiesta, per favorirne l’autonomia. In quest’ultimo caso l’assegno spetta se il figlio maggiorenne frequenta un corso di formazione scolastico professionale, un corso di laurea o un tirocinio lavorativo (purché il reddito annuale lordo non superi gli 8000 euro lordi annuali), o è disoccupato e in cerca di lavoro presso un centro per l’impiego o un’agenzia per il lavoro o svolge infine servizio civile. La legge prevede maggiorazioni per situazioni particolari, come la disabilità del figlio o dei figli a carico, senza limiti di età.

Requisiti soggettivi del richiedente

L’assegno unico e universale viene riconosciuto se il richiedente presenta contestualmente i seguenti requisiti:

– essere cittadino italiano o europeo o suo familiare titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente. Se il richiedente è cittadino di un paese non europeo deve essere in possesso del permesso di soggiorno europeo per soggiornanti di lungo periodo o del permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di ricerca per la durata minima di un anno;

  • essere soggetto al pagamento dell’imposta sui redditi in Italia;
  • essere residente e domiciliato con figli a carico per tutta la durata di corresponsione dell’assegno;
  • essere stato o essere residente in Italia per almeno due anni, anche se non continuativi o essere titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o determinato della durata minima di due anni.

Sono previste deroghe a questi requisiti, da parte di una specifica commissione nazionale, in presenza di comprovate necessità collegate a casi del tutto particolari e comunque per periodi limitati, su proposta dei servizi sociali e sanitari locali.

Decorrenza e regole di dettaglio

Il decreto legislativo n. 230/2021 ha attuato la legge delega n. 46/2021 istituendo l’assegno unico e universale per i figli a carico e dettando le disposizioni di dettaglio della misura.

L’assegno, decorrente dal 1° marzo 2022 costituisce un beneficio riconosciuto mensilmente da marzo a febbraio dell’anno successivo ai nuclei familiari che presentano una determinata condizione economica risultante dall’indicatore della situazione economico equivalente (ISEE).

In assenza di ISEE il nucleo di riferimento viene accertato sulla base dei dati che vengono autodichiarati nella domanda.

L’assegno unico universale spetta in parti uguali a chi esercita la responsabilità genitoriale, salvo eccezioni. In caso di affidamento esclusivo infatti l’assegno, in assenza di un accordo tra le parti, viene corrisposto al genitore affidatario. Nel caso invece in cui sia stato nominato un tutore o un affidatario l’assegno viene riconosciuto nell’interesse esclusivo del tutelato o del minore in affido familiare.

Requisiti reddituali per l’assegno unico e universale

In base al decreto legislativo n. 230/2021 l’assegno unico universale spetta nella misura di 175 euro mensili per ogni figlio minorenne e per ogni figlio disabile senza limiti di età e nella misura di 85 euro per ogni figlio maggiorenne fino a 21 anni di età in presenza di un ISEE pari o inferiore ai 15.000 euro.

Gli importi suddetti si riducono gradualmente in presenza di un ISEE di 40.000 euro. Per ISEE superiori a 40.000 euro l’importo resta costante e senza maggiorazioni.

Per le mamme di età inferiore ai 21 anni sono previste delle maggiorazioni di 20 euro mensili per ogni figlio. Maggiorazioni sono previste anche quando entrambi i genitori siano titolari di reddito da lavoro o quando uno dei genitori sia deceduto al momento della presentazione della domanda. In questo caso la maggiorazione spetta fino a 5 anni dall’evento morte.

Maggiorazioni particolari sono previste anche per i nuclei con ISEE non superiore a 25.000 euro, come previsto dall’articolo 5 della legge n. 230/2021.

Come fare domanda

La domanda può essere presentata a partire dal 1° gennaio di ogni anno ed è riferita al periodo compreso tra il mese di marzo dell’anno di presentazione e il mese di febbraio dell’anno successivo. Può provvedere a tale incombenza un genitore o chi esercita la responsabilità genitoriale.

L’istanza può essere presentata:

  • online tramite SPID, CIE o CNS dal sito dell’INPS nel servizio dedicato “Assegno unico e universale per i figli a carico”;
  • presso gli istituti di patronato;
  • contattando il numero verde 803164, gratis da rete fissa o lo 06.164.164 (a pagamento da cellulare);
  • tramite l’app “INPS mobile”.

Erogazione dell’assegno

Presentata alla domanda l’assegno viene riconosciuta a partire dal mese successivo a quello di presentazione. Ferma restando la decorrenza l’INPS riconosce l’assegno entro il termine di 60 giorni dalla sua presentazione.

La corresponsione dell’assegno avviene tramite accredito su conto corrente bancario o tramite bonifico domiciliato, salvi casi particolari.

Assegno unico universale 2024: domanda e arretrati

Chi non lo avesse ancora fatto può presentare domanda per l’assegno unico universale entro il 30 giugno 2024. Chi rispetta questa scadenza può ottenere gli arretrati di marzo aprile e maggio.

La scadenza vale anche per chi deve aggiornare la sua situazione economica con conseguente rimodulazione della misura.

Chi non rispetterà la scadenza del 30 giugno 2024 non potrà ottenere il pagamento degli arretrati.

Pagamenti 2024: calendario INPS

Con il messaggio n. 2302 del 20 giugno 2024 l’INPS ha comunicato il calendario dei pagamenti dell’assegno unico e universale che verranno effettuati da luglio a dicembre 2024.