atto amministrativo

Atto amministrativo valido anche senza firma Atto amministrativo: l'assenza di formale sottoscrizione non elide la possibilità di attribuire comunque la provenienza dell'atto alla competente PA

Atto amministrativo senza firma

E’ valido l’atto amministrativo senza firma se il responsabile è comunque individuabile. Questo quanto si ricava dalla sentenza n. 8141/2024 del Consiglio di Stato.

La vicenda

A ricorrere a palazzo Spada, è una donna che aveva chiesto l’assegnazione in regolarizzazione di un alloggio ERP abusivamente occupato.

La domanda veniva rigettata, dal Comune di Barletta, per assenza del “presupposto temporale” ossia l’abusiva occupazione dell’immobile per almeno un triennio precedente alla entrata in vigore della legge regionale n. 10 del 2014.

Il provvedimento veniva impugnato dinanzi al TAR Bari il quale rigettava il ricorso della richiedente per le seguenti ragioni: pur in assenza di firma autografa, il provvedimento di rigetto risulta comunque attribuibile alla competente PA; non è stata fornita la benché minima dimostrazione circa l’abusiva occupazione dell’alloggio nel triennio precedente all’entrata in vigore della legge regionale citata.

L’appello

Da qui l’appello, dove la donna si doleva dell’erroneità della sentenza nella parte in cui non sarebbe stato considerato che alcuna firma digitale sarebbe stata apposta sul gravato provvedimento. In ogni caso, anche a voler ritenere apposta la firma digitale, l’atto non era poi stato trasmesso in via telematica ma soltanto a mezzo del messo notificatore.

L’assenza di formale sottoscrizione

“L’assenza di formale sottoscrizione del provvedimento di rigetto non elide la possibilità di attribuire comunque, all’amministrazione comunale appellata, la effettiva provenienza del medesimo atto” afferma preliminarmente il Consiglio di Stato.

Al riguardo, prosegue il giudice amministrativo, la giurisprudenza sull’assenza di firma dei provvedimenti tributari o amministrativi in generale, è pacifica nell’affermare che “Sebbene la firma apposta in calce ad un provvedimento o ad un atto amministrativo costituisce lo strumento per la sua concreta attribuibilità, psichica e giuridica, all’agente amministrativo che risulta averlo formalmente adottato, è pur vero che la giurisprudenza ha recentemente (e condivisibilmente) osservato, anche in omaggio al più generale principio di correttezza e buona fede cui debbono essere improntati i rapporti tra pubblica amministrazione e cittadino, che non solo la ‘non leggibilità’ della firma, ma anche la stessa autografia della sottoscrizione non possono costituire requisiti di validità dell’atto amministrativo, ove concorrano elementi testuali (indicazione dell’ente competente, qualifica, ufficio di appartenenza del funzionario che ha adottato la determinazione, emergenti anche dal complesso dei documenti che lo accompagnano), che permettono di individuare la sua sicura provenienza (C.d.S., sez. IV, 7 luglio 200, n. 4356; sez. VI, 29 luglio 2009, n. 4712)”.

La decisione

La giurisprudenza ha anche rilevato (Cass. sez. lav., 10 giugno 2009, n. 13375) che “l’atto amministrativo esiste come tale allorché i dati emergenti dal procedimento amministrativo consentano comunque di ritenerne la sicura provenienza dall’amministrazione e la sua attribuibilità a chi deve esserne l’autore secondo le norme positive, salva la facoltà dell’interessato di chiedere al giudice l’accertamento dell’effettiva provenienza dell’atto stesso dal soggetto autorizzato a firmarlo” (Cons. Stato, sez. V, 2 gennaio 2024, n. 29; n. 3119/2012).

Pertanto, l’appello è infondato e va rigettato. Spese compensate.

mantenimento al figlio maggiorenne

Mantenimento al figlio maggiorenne che si disinteressa del padre Mantenimento al figlio maggiorenne: dovuto se non è economicamente autosufficiente, non rileva che si disinteressi del padre

Mantenimento al figlio maggiorenne

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 3552/2025, ha ribadito un principio fondamentale in materia di mantenimento al figlio maggiorenne non autosufficiente. L’obbligo del genitore non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma richiede un’accurata verifica della situazione economica e lavorativa del figlio, anche se questo non dimostra interesse per il genitore obbligato.

Revoca del mantenimento del figlio maggiorenne

Un padre chiede la revoca dell’assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne perché economicamente indipendente. L’uomo lamenta inoltre il disinteresse del figlio per il suo stato di salute, a causa del quale, da anni subisce interventi chirurgici. Il Tribunale respinge la richiesta, perché di fatto il giovane non ha ancora raggiunto un’indipendenza economica stabile. La Corte d’Appello conferma in gran parte la decisione, sottolineando che l’obbligo di mantenimento si protrae in assenza di autosufficienza economica.

Non rileva il rapporto affettivo

La Cassazione ritiene inammissibile il ricorso del padre, evidenziando alcuni aspetti del diritto al mantenimento dei figli.

Il genitore deve continuare a garantire il supporto economico fino a quando il figlio non ottiene un’adeguata autosufficienza finanziaria. Il giudice deve verificare l’effettivo inserimento nel mondo del lavoro, valutando il tipo di occupazione, la stabilità del reddito e le prospettive future del giovane. Il diritto del figlio a ricevere l’assegno non dipende dalla qualità del rapporto con il genitore obbligato. L’eventuale distanza affettiva non costituisce infatti motivo valido per interrompere il sostegno economico. Per ottenere la revoca dell’assegno, il genitore deve provare piuttosto un significativo peggioramento delle proprie condizioni finanziarie. Nel caso in esame, però tale prova non è stata fornita.

Autosufficienza economica

La decisione della Cassazione conferma un orientamento consolidato. Il mantenimento del figlio maggiorenne resta cioè un obbligo fino a quando non si accerta una reale autosufficienza economica. Il disinteresse affettivo vero il genitore obbligato non incide sulla persistenza dell’assegno, poiché il diritto al mantenimento è di natura patrimoniale e non morale. I genitori che desiderano ottenere la revoca dell’assegno devono dimostrare con prove concrete il raggiungimento dell’autonomia economica del figlio. Inoltre, eventuali difficoltà finanziarie del genitore devono essere adeguatamente documentate per incidere sulla decisione del giudice.

La Cassazione ribadisce in sostanza il principio di responsabilità genitoriale, sottolineando l’importanza di garantire ai figli le condizioni necessarie per una reale indipendenza economica, a prescindere dalla relazione affettiva con gli stessi.

 

Leggi anche: Mantenimento figli maggiorenni: dovuto anche se fuori casa

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rottamazione-quater

Rottamazione-quater: i vantaggi dell’addebito diretto L'Agenzia delle Entrate spiega come gestire le scadenze della rottamazione-quater con l'addebito diretto

Rottamazione quater 2025

La rottamazione-quater delle cartelle esattoriali prosegue anche nel 2025, con le nuove rate previste a partire da fine febbraio. L’Agenzia delle Entrate, tramite la propria rivista online FiscoOggi spiega come gestire meglio le scadenze con l’addebito diretto sul conto corrente, al fine di “evitare dimenticanze e restare sempre in regola con i pagamenti”.

Cos’è la Rottamazione-quater e chi può beneficiarne

La Definizione agevolata, si ricorda, riguarda i carichi affidati all’agente della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 30 giugno 2022. Introdotta dalla legge di bilancio 2023 (legge n. 197/2022), consente ai contribuenti di pagare solo:

  • l’importo dovuto a titolo di capitale;
  • le spese per eventuali procedure esecutive e i diritti di notifica.

Non sono invece dovuti:

  • sanzioni e interessi di mora;
  • somme aggiuntive come l’aggio.

Perché scegliere la domiciliazione bancaria

Attivando la domiciliazione bancaria, spiegano le Entrate, i pagamenti vengono effettuati automaticamente alle scadenze previste, riducendo il rischio di perdere i benefici della Definizione agevolata.

Il mancato pagamento di una rata, anche se solo parziale o tardivo, comporta invero la decadenza dai vantaggi previsti dalla definizione agevolata, tra cui la cancellazione di sanzioni e interessi.

Come attivare l’addebito diretto

L’attivazione della domiciliazione bancaria, spiega ancora il fisco, può essere effettuata online tramite il sito ufficiale dell’Agenzia delle entrate-Riscossione.

È possibile accedere al servizio con le credenziali SPID, CIE (Carta d’identità elettronica), CNS (Carta nazionale dei servizi) o, per gli intermediari fiscali, con le credenziali dell’Agenzia delle entrate.

Una volta effettuato l’accesso, occorre collegarsi alla sezione “Definizione agevolata” e selezionare il servizio “Attiva/revoca mandato SDD piani di Definizione agevolata”. Quindi, visualizzare il riepilogo dei propri piani di pagamento e compilare la richiesta di addebito diretto per il piano desiderato.

Dati richiesti per la domiciliazione bancaria

Al fine di completare la richiesta, sarà necessario inserire:

  • Dati anagrafici del contribuente.
  • Indirizzo e-mail per ricevere la conferma dell’attivazione.
  • IBAN del conto corrente su cui verranno addebitate le rate.

Il contribuente deve dichiarare, inoltre, di essere il titolare del conto corrente o di essere autorizzato a operare su di esso. In caso di conto corrente intestato a un’altra persona, è necessario fornire i dati del titolare e allegare una Dichiarazione di consenso all’addebito, firmata dal titolare stesso, insieme a una copia del suo documento di riconoscimento.

Tempistiche dell’attivazione

Effettuato l’invio della richiesta, il sistema invierà una e-mail di presa in carico della domanda e, successivamente, con altra mail, confermerà l’attivazione del servizio e indicherà la prima rata che verrà addebitata sul conto.

Per garantire che la domiciliazione sia valida per la rata più imminente, la conferma dell’attivazione deve essere ricevuta almeno 10 giorni lavorativi prima della scadenza.

Calendario delle rate per la Rottamazione-quater

I contribuenti che hanno aderito alla Rottamazione-quater hanno potuto dilazionare il pagamento fino a 18 rate in 5 anni.

Nel 2025 sono previste le seguenti scadenze:

  • 28 febbraio 2025
  • 31 maggio 2025
  • 31 luglio 2025
  • 30 novembre 2025
dichiarazione di successione

Dichiarazione di successione 2025: nuovo modello L'Agenzia delle Entrate ha approvato il nuovo modello per la presentazione della dichiarazione di successione 2025 utilizzabile per le successioni aperte a partire dal 1° gennaio

Dichiarazione di successione: nuovo modello

L’Agenzia delle Entrate, con il provvedimento del 13 febbraio 2025, ha annunciato l’approvazione del nuovo modello per la presentazione della dichiarazione di successione e delle relative istruzioni per la compilazione e specifiche tecniche. Le modifiche recepiscono le ultime disposizioni normative, introdotte dal D.Lgs. 18 settembre 2024, n. 139, in vigore dal 1° gennaio 2025, che aggiornano la disciplina dell’imposta di successione.

Principali novità del modello

L’adeguamento del modello introduce importanti aggiornamenti, tra cui:

Autoliquidazione imposta di successione

È stata inserita una nuova sezione dedicata alla dichiarazione dell’imposta autoliquidata, in attuazione del D.Lgs. n. 139/2024 concernente la riforma fiscale delle imposte indirette diverse dall’iva. Per consentire l’indicazione dell’imposta, così autoliquidata, e la gestione delle relative modalità di pagamento come previsto dalle nuove disposizioni, nel quadro della dichiarazione di successione riservato alla liquidazione delle somme dovute è stata inserita una specifica sezione nel quadro EF.

Tassazione dei Trust

Il nuovo modello recepisce anche aggiornamenti normativi in materia di tassazione dei trust istituiti per testamento. In merito, è stato previsto il pagamento delle imposte ipo-catastali in misura fissa, nonché l’opzione per il pagamento dell’imposta di successione, autoliquidata, in occasione della presentazione della dichiarazione, in luogo del momento in cui avviene il trasferimento dei beni e diritti ai beneficiari finali.

Servizi ipocatastali, sistema sanzionatorio, volture

Vengono, inoltre, attuate le disposizioni sulle nuove modalità di tassazione dei tributi speciali relativamente ai servizi ipotecari e catastali e alla richiesta di “Attestazione di avvenuta presentazione della dichiarazione”.

Con riguardo al sistema sanzionatorio tributario, infine, sono state recepite le disposizioni introdotte dal decreto legislativo 14 giugno 2024, n. 87, relativamente al tardivo pagamento dell’imposta di successione, delle imposte ipocatastali e degli altri tributi autoliquidati.

Infine, nel modello dichiarativo è stato riorganizzato il quadro EI, contenente le dichiarazioni sostitutive di atto notorio necessarie per le volture catastali nei casi di “passaggi senza atti legali” e di “discordanza dati intestatario” degli immobili.

Quando e come utilizzare il nuovo modello

Il nuovo modello di dichiarazione di successione è obbligatorio per le successioni aperte dal 1° gennaio 2025. 
Le istruzioni aggiornate e le nuove specifiche tecniche sono disponibili sul sito dell’Agenzia delle Entrate.

licenziato chi usa

Licenziato chi usa l’auto aziendale per fini privati La Cassazione ha chiarito che può essere legittimamente licenziato chi utilizza l'auto aziendale per scopi privati durante l'orario lavorativo

Uso privato dell’auto aziendale

La sezione lavoro della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3607/2025, ha chiarito che il prestatore di lavoro può essere legittimamente licenziato chi usa l’auto aziendale per scopi privati durante l’orario lavorativo.

La vicenda

I fatti hanno per protagonista un dipendente – di una società consortile operante nel trattamento delle acque reflue civili e industriali) che per fini extra-lavorativi in orario di lavoro, in più episodi utilizzava il mezzo aziendale, riducendo così in modo fraudolento il tempo della prestazione lavorativa e creando una “situazione di apparenza lavorativa”.

Veniva aperto procedimento disciplinare a seguito del quale all’uomo veniva irrogato licenziamento.

Il ricorso in Cassazione

Da qui l’impugnativa che veniva rigettata sia in primo che in secondo grado e il ricorso in Cassazione, innanzi alla quale il lavoratore lamenta diverse doglianze, tra cui l’illegittimità dell’attività investigativa svolta dall’azienda, per avere incaricato un’agenzia privata per controllare le mansioni svolte dallo stesso all’esterno dell’impianto contra legem (artt. 2, 3, 4 legge n. 300/1970). Sostiene, inoltre, che dal controllo investigativo non è emersa alcuna fattispecie penalmente rilevante e non sono state individuate condotte riconducibili a
responsabilità aquiliana. Infine, violazione della privacy e omesso esame di fatti decisivi, per mancata considerazione della genericità e faziosità della relazione investigativa, svolta da agenzia privata retribuita dal datore di lavoro.

La relazione investigativa

Sul fronte dei controlli del datore di lavoro, anche a mezzo di agenzia investigativa, la Corte ritiene che la sentenza impugnata sia conforme alla costante giurisprudenza di legittimità (richiamata espressamente in motivazione), secondo cui tali controlli “sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo, non potendo, invece, avere ad oggetto l’adempimento/inadempimento della prestazione lavorativa, in ragione del divieto di cui agli artt. 2 e 3 St. lav. (v. Cass. n. 6174/2019, П. 4670/2019, п. 15094/2018, п. 8373/2018); cfr. anche Cass. n. 6468/2024, n. 10636/2017).
Nella fattispecie di causa il controllo non era diretto a verificare le modalità di adempimento della prestazione lavorativa, bensì la condotta fraudolenta di assenza del dipendente dal luogo di lavoro, nonostante la timbratura del badge.

No alla violazione della privacy

Neppure sussiste, proseguono dal Palazzaccio, la lamentata violazione della privacy del dipendente, seguito nei suoi spostamenti, in quanto il controllo era effettuato in luoghi pubblici e finalizzato ad accertare le cause dell’allontanamento. “L’attività fraudolenta è stata ravvisata nella falsa attestazione della presenza in servizio e nell’utilizzo personale del mezzo aziendale, nonostante il lavoratore fosse autorizzato a usare detto mezzo solo per motivi attinenti all’attività lavorativa; ciò prescinde dall’integrazione di una fattispecie di reato o dalla quantificazione del danno, comunque riscontrabile nell’utilizzo improprio della vettura e
dell’orario lavorativo retribuito”.

Dichiarate inammissibili anche le altre doglianze, il ricorso è, pertanto, rigettato e il licenziamento confermato.

 

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consulente red

Consulente RED: il nuovo servizio INPS per i pensionati Consulente RED è il nuovo servizio messo a disposizione online dall'INPS: un assistente virtuale che supporta nella consultazione dei dati

Consulente RED: online il nuovo servizio

Consulente RED è il nuovo servizio INPS dedicato ai pensionati. Online da qualche giorno, consente di consultare i dati reddituali rilevanti utilizzati dall’istituto per la determinazione del diritto e della misura delle prestazioni collegate al reddito erogate provvisoriamente in via anticipata, a partire dai redditi relativi all’anno di imposta 2022.

Come funziona il servizio

Con il messaggio n. 525 dell’11 febbraio 2025, l’INPS ha descritto le caratteristiche del servizio, realizzato nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che mette a disposizione un assistente virtuale in grado di supportare l’utente nella consultazione dei dati.

Come accedere al servizio

È possibile accedere al servizio tramite la pagina Consulente RED o l’area personale MyINPS. In alternativa, i pensionati possono ricevere assistenza dai patronati, che devono essere prima autorizzati tramite un mandato firmato digitalmente.

 

Leggi anche la guida Modello RED: cos’è, a cosa serve, quando si presenta

esame avvocato 2024

Esame avvocato 2024: indicazioni e valutazioni prova orale Il ministero della Giustizia ha emanato verbale contenente l’individuazione e la condivisione dei criteri di valutazione relativi alla prova orale

Esame avvocato 2024

Con il verbale n. 3/2025, il Ministero della Giustizia ha emanato i criteri di svolgimento e di valutazione della prova orale per l’esame avvocato 2024.

Come si svolge la prova orale

La prova orale, rammenta innanzitutto via Arenula, è divisa in tre fasi ma va valutata nella sua unicità e deve svolgersi in unico contesto:

  • Prima fase: esame e discussione di una questione pratico-applicativa, nella forma della soluzione di un caso, che postuli conoscenze di diritto sostanziale e di diritto processuale, in materia scelta preventivamente dal candidato tra le seguenti: diritto civile, diritto penale e diritto amministrativo;
  • Seconda fase: discussione di brevi questioni che dimostrino le capacità argomentative e di analisi giuridica del candidato relative a tre materie, di cui una di diritto processuale, scelte preventivamente dal candidato tra le seguenti: diritto civile, diritto penale, diritto amministrativo, diritto processuale civile, diritto processuale penale;
  • Terza fase: dimostrazione di conoscenza dell’ordinamento forense e dei diritti e doveri dell’avvocato.

La valutazione della prova orale

Quanto alla valutazione della prova orale, il verbale conferma i criteri normativamente previsti:

a) chiarezza, logicità e rigore metodologico dell’esposizione;

b) dimostrazione della concreta capacità di soluzione di specifici problemi giuridici;

c) dimostrazione della conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti giuridici trattati;

d) dimostrazione della capacità di cogliere eventuali profili di interdisciplinarietà;

e) dimostrazione della padronanza delle tecniche di persuasione e argomentazione.

A tali criteri può aggiungersi la capacità di sintesi dimostrata dal candidato.

Durata e punteggio complessivo

“Fermo il disposto dell’art. 9 del bando, che attribuisce alla sottocommissione il compito di determinare la durata complessiva della prova orale, può ritenersi ragionevole ed equo prevedere, oltre al termine di 30 minuti (dal momento della fine della dettatura del quesito) per l’esame preliminare del quesito della prima fase dell’orale, la previsione di un ulteriore termine per la esposizione di 60-70 minuti totali per tutte e tre le fasi”.

Complessivamente, dunque, la durata dovrebbe attestarsi “in non più di 90-100 minuti complessivi dalla fine della dettatura del quesito relativo alla prima fase”.

Il giudizio che contiene la dichiarazione di idoneità o di inidoneità alla professione di avvocato sarà espresso dopo l’ultima fase dell’orale.

Ai fini dell’abilitazione è necessario conseguire nelle prove orali il punteggio complessivo di 105. Non è possibile la compensazione con voti al di sotto del 18 in ciascuna materia orale.

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legittimo il "raffreddamento"

Legittimo il “raffreddamento” della rivalutazione delle pensioni Per la Corte Costituzionale è legittimo il "raffreddamento" della rivalutazione automatica delle pensioni introdotto dalla legge di bilancio per il 2023

Rivalutazione automatica pensioni e raffreddamento

Legittimo il “raffreddamento” della rivalutazione automatica delle pensioni introdotto dalla legge di bilancio per il 2023. La legge, infatti, nell’introdurre misure di “raffreddamento” della rivalutazione automatica delle pensioni superiori a quattro volte il minimo INPS, non ha leso i principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza posti a garanzia dei trattamenti pensionistici. E’ quanto ha deciso la Corte costituzionale, con la sentenza n. 19/2025, dichiarando non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate da alcune sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti.

Legittimo il “raffreddamento”

Secondo la Corte, il meccanismo legislativo non è irragionevole perché salvaguarda integralmente le pensioni di più modesta entità e, per un periodo limitato, riduce progressivamente la percentuale di indicizzazione di tutte le altre al crescere degli importi dei trattamenti, in ragione della maggiore resistenza delle pensioni più elevate rispetto agli effetti dell’inflazione.

“Le scelte del legislatore – afferma il giudice delle leggi – risultano coerenti con le finalità di politica economica, chiaramente emergenti dai lavori preparatori e legittimamente perseguite, volte a contrastare anche gli effetti di una improvvisa spinta inflazionistica incidente soprattutto sulle classi sociali meno abbienti. Delle perdite subite dalle pensioni non integralmente rivalutate, del resto, il legislatore potrà tenere conto in caso di eventuali future manovre sull’indicizzazione dei medesimi trattamenti”.

deprezzamento immobile

Deprezzamento immobile: indennizzo per casa vicino autostrada La Cassazione dà ragione ad una coppia che aveva fatto causa per ottenere l'indennizzo per il deprezzamento immobile causato dal rumore del traffico autostradale

Indennizzo per deprezzamento immobile

Il deprezzamento di un immobile causato dalle immissioni di rumore derivanti dal traffico autostradale può essere oggetto di risarcimento anche in assenza di esproprio del terreno o dell’edificio. La Cassazione, con l’ordinanza n. 631/2025, ha confermato il diritto di una coppia savonese a ricevere un indennizzo per la riduzione del valore del bene, commisurato all’indennità di esproprio, basandosi sulla normativa civilistica sulle immissioni.

Il caso in esame

Nella vicenda, sia in primo che in secondo grado, venivano accolte le doglianze della coppia tese ad ottenere un indennizzo per il deprezzamento dell’immobile a causa della vicinanza all’autostrada. Ritenendo intollerabili le immissioni di rumore che interessavano la proprietà degli appellanti ed atteso che le misure di mitigazione richieste, oltre a comportare enormi problemi tecnici di attuazione, non sarebbero risolutive, la Corte territoriale accoglieva parzialmente l’appello e condannava la società autostradale a risarcire il danno da deprezzamento dell’immobile quantificato per equivalente ai sensi dell’art. 2058, comma 2, c.c. in Euro 951.252,03, oltre alle spese di primo e secondo grado di giudizio.

La società adiva il Palazzaccio, assumendo che la normativa corretta da applicare fosse quella pubblicistica, sui limiti di accettabilità del rumore individuati dal D.P.R. 142/2004, richiamati e fatti propri dall’art. 6 ter della legge 27 febbraio 2009 n. 13 di conversione del decreto-legge 30 dicembre 2008 n. 208.

Immissioni acustiche

Tuttavia, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, ribadendo il proprio orientamento consolidato. Invero, “in tema di immissioni acustiche (nella specie, come nel caso in esame, provenienti da circolazione stradale), viene in rilievo l’art. 844 c.c., che detta una regola concepita per risolvere i conflitti di interesse tra usi diversi di unità immobiliari contigue qualora le immissioni superino la normale tollerabilità e che, solo in caso di svolgimento di attività produttive, consente l’elevazione della soglia di tollerabilità, sempre che non venga in gioco il diritto fondamentale alla salute, da considerarsi valore comunque prevalente rispetto a qualsiasi esigenza della produzione, in quanto funzionale al diritto ad una normale qualità della vita (Cass. Sez. 1, 12/07/2016 n. 14180; in senso conforme, Cass Sez. 2, n. 35856 del 2017)”.

Più volte la Cassazione si occupata della materia delle immissioni sonore provocate dal traffico veicolare o comunque da attività connesse ai trasporti o alla produzione ed è sempre pervenuta alla conclusione che “in tema di immissioni acustiche, la differenziazione tra tutela civilistica e tutela amministrativa mantiene la sua attualità, diversità di tutele a cui non può aprioristicamente attribuirsi una portata derogatoria e limitativa dell’art. 844 c.c., con l’effetto di escludere l’accertamento in concreto del superamento del limite della normale tollerabilità, dovendo comunque ritenersi prevalente, alla luce di interpretazione costituzionalmente orientata, il soddisfacimento una dell’interesse ad una normale qualità della vita rispetto alle esigenze della produzione (cfr. tra tante, Cass. Sez. 3, 7/10/2016 n. 20198; Cass. Sez. 3, 16/10/2015 n. 20927)”.

La decisione

La Corte d’appello di Genova, per piazza Cavour, si è attenuta puntualmente ai principi di diritto sopra enunciati, avendo ritenuto non dirimente l’osservanza delle normative tecniche speciali, avendo accertato, nella specie, il superamento dei parametri secondo il criterio del c.d. “differenziale comparativo”, di cui alla disciplina “generale” dettata dall’art. 4, comma 1, del DPCM 14 novembre 1997 e concluso per l’intollerabilità delle immissioni che interessano la proprietà de qua.

In conclusione, il ricorso della società è rigettato.

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violenza sessuale

Violenza sessuale anche senza contatto fisico Violenza sessuale: per integrare il reato è sufficiente la costrizione, non occorre il contatto fisico tra reo e persona offesa

Violenza sessuale: non occorre il contatto fisico

La violenza sessuale si configura anche senza contatto fisico. L’agente lede l’autodeterminazione della vittima con violenza, minaccia o induzione. La costrizione o l’induzione a subire atti sessuali, può avvenire anche senza contatto fisico diretto. Lo ha specificato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 5688/2025.

Reato “costringere” la collega ad atti di autoerotismo

Il Tribunale di primo grado ritiene un soggetto responsabile di diversi illeciti penali ai danni della persona offesa. Tra questi figurano il reato di atti persecutori, estorsione e violenza sessuale. Quest’ultimo reato si sarebbe configurato perché l’imputato avrebbe costretto la sua collega, un’animatrice turistica, a compiere atti di autoerotismo ripresi in un video che l’uomo avrebbe poi diffuso.

Non c’è reato se manca il contatto fisico

L’imputato nel contestare il reato di violenza sessuale, rileva la totale assenza di un contatto fisico con la persona offesa. A sua difesa l’uomo invoca l’interpretazione più restrittiva della nozione di violenza sessuale per la quale “la nozione di atti sessuali racchiude in sé i concetti di congiunzione carnale e quella di atti di libidine.”

Violenza sessuale: costrizione della libertà sessuale

La Cassazione nel rigettare il ricorso dell’imputato fornisce alcune importanti precisazioni sul reato di cui all’art. 609 bis c.p. La violenza sessuale non implica necessariamente un contatto fisico tra l’aggressore e la vittima. Essa si verifica quando l’aggressore compromette la capacità della vittima di autodeterminarsi, costringendola o persuadendola a eseguire o subire azioni sessuali.

La giurisprudenza sottolinea che il contatto fisico non è un requisito essenziale per la configurazione del reato. Ciò che conta è il coinvolgimento fisico della vittima, obbligata o indotta a partecipare o subire atti sessuali contro la sua volontà.La protezione della libertà sessuale individuale è l’interesse giuridico in questione. La violenza si manifesta attraverso qualsiasi atto che comprometta questa libertà, sia esso caratterizzato da un contatto diretto fisico oppure no.

L’aspetto psicologico del reato risiede nella consapevolezza e volontà di compiere un atto che invade e danneggia la libertà sessuale della vittima. Non è necessario che l’aggressore agisca con lo scopo di soddisfare i propri desideri sessuali; possono esserci diversi obiettivi, come la violenza fisica, l’umiliazione morale o il disprezzo pubblico.

La minaccia di divulgare immagini intime, ad esempio, può configurare il reato di violenza sessuale se si costringe la vittima a eseguire atti di autoerotismo. In questo caso, la libertà sessuale della vittima risulta violata, indipendentemente dalla presenza fisica o virtuale dell’aggressore.

La definizione di “atto sessuale” è oggettiva e non dipende dalle intenzioni dell’aggressore. È sufficiente che l’atto sia oggettivamente in grado di compromettere la libertà sessuale della vittima.

 

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