Bonus colonnine domestiche: via alle domande Dopo il decreto direttoriale del Mimit contenente le istruzioni per l'erogazione del bonus, dall'8 luglio aperte le prenotazioni per il bonus colonnine destinato a chi vuole installare un punto di ricarica presso la propria abitazione

Il bonus colonnine domestiche è un contributo che spetta a privati e condomini per l’acquisto e l’installazione di infrastrutture di potenza standard per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica effettuati da utenti domestici.

Con il decreto del Mimit del 12-6-2024 sono state definite, per l’anno 2024, le disposizioni procedurali per la concessione e l’erogazione di contributi per privati e condomini. Le date di avvio, per la prenotazione dei contributi, sono state rese note con avviso pubblicato sul sito del ministero e su quello di Invitalia. A partire dall’8 luglio 2024, ore 12, è possibile richiedere il bonus che copre l’80% del costo di acquisto e installazione delle infrastrutture di ricarica per privati e condomini.

Soggetti beneficiari e importo contributo

I soggetti beneficiari sono le persone fisiche residenti in Italia e i condomini per le parti di uso comune ex artt. 1117 e 1117- bis c.c.

Il contributo concedibile è pari all’80% del prezzo di acquisto e posa, nel limite massimo di euro 1.500 per persona fisica richiedente; il limite di spesa è innalzato a euro 8.000 in caso di posa in opera sulle parti comuni degli edifici condominiali di cui agli articoli 1117 e 1117- bis del codice civile.

Il contributo è erogato in unica soluzione e non è cumulabile con altre agevolazioni di carattere nazionale, regionale o dell’Unione Europea previste per la medesima spesa.

Spese ammissibili

Sono ammissibili al contributo le spese sostenute dai beneficiari, dal 1 gennaio 2024 al 31 dicembre 2024, relativamente all’annualità 2024, per l’acquisto dell’infrastruttura di ricarica e la relativa posa in opera, da effettuarsi a regola d’arte.

Tali spese possono comprendere:

  • l’acquisto e la messa in opera di infrastrutture di ricarica, ivi comprese – ove necessario – le spese per l’installazione delle colonnine, gli impianti elettrici, le opere edili strettamente necessarie, gli impianti e i dispositivi per il monitoraggio;
  • spese di progettazione, direzione lavori, sicurezza e collaudi; c) costi per la connessione alla rete elettrica, tramite attivazione di un nuovo POD (point of delivery).

Le spese, specifica il decreto, devono essere oggetto di pagamento tracciabile.

Come fare domanda

Il bonus colonnine domestiche è concesso sulla base di una procedura a sportello, le cui date di apertura e chiusura per il 2024 sono state pubblicate con avviso sul sito del Mimit. Come accennato, a partire da lunedì 8 luglio è possibile richiedere il contributo. Ciascun soggetto può presentare una sola domanda di accesso all’agevolazione.

L’istanza va presentata esclusivamente per via telematica, utilizzando la propria identità digitale tramite le credenziali SPID, CIE o carta nazionale dei servizi (CNS), mediante compilazione del modulo elettronico reso disponibile sul sistema informatico dedicato e seguendo la procedura guidata.

Entro novanta giorni dalla data di chiusura dello sportello, il Ministero emana il decreto di concessione ed erogazione dei contributi, nel rispetto dell’ordine cronologico di ricezione delle domande.

Ultimata la compilazione dell’istanza, il sistema informatico rilascia una ricevuta di registrazione per confermare la corretta presentazione della stessa.

Allegati

infortunio itinere inail

Infortunio in itinere: cos’è e come viene ristorato Cos’è l’infortunio in itinere, quando viene indennizzato dall’INAIL e come si calcola il danno differenziale in presenza anche di una responsabilità civile

Infortunio in itinere: la normativa

L’infortunio in itinere è una tipologia particolare di infortunio sul lavoro, che viene coperto e indennizzato dall’INAIL, l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro in base a quanto previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124/1965, contenente il “Testo Unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali”.

Infortunio in itinere: cos’è e quando è coperto

Ai sensi del comma 3 dell’art. 2 di detto Testo Unico, fatti salvi i casi di interruzione o deviazioni indipendenti dal lavoro o non necessitate, l’assicurazione comprende anche:

  • “gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro;
  • durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro;
  • e qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti.” 

L’interruzione e la deviazione devono intendersi intendono necessitate quando sono determinate da cause di forza maggiore, da esigenze essenziali e improrogabili o dall’adempimento di obblighi penalmente rilevanti. L’assicurazione opera e quindi copre i danni riportati anche nel caso in cui il lavoratore utilizzi un mezzo di trasporto privato, purché necessitato. L’uso del velocipede invece, per i positivi riflessi ambientali collegati al suo utilizzo, deve intendersi sempre necessitato.

Infortunio in itinere: quando non è coperto

Non sono coperti dall’assicurazione gli infortuni cagionati direttamente dall’abuso di alcol o di psicofarmaci o dall’uso di sostanze stupefacenti e allucinogeni per motivi non terapeutici.

L’assicurazione non copre inoltre l’infortunio del lavoratore conducente sprovvisto dell’abilitazione alla guida.

Alla luce delle eccezioni sopra analizzate non è coperto dall’assicurazione INAIL l’infortunio in itinere che si verifica:

  • in presenza di una deviazione o interruzione del percorso che non sono necessitate e che non dipendono dal lavoro;
  • quando il lavoratore, pur in assenza di una necessità, utilizzi il mezzo di trasporto privato;
  • quando la deviazione o l’interruzione del percorso non dipende da una causa di forza maggiore, da esigenze essenziali e improrogabili o dall’obbligo di adempiere un dovere di rilievo penale.

Indennizzo INAIL: danno e modalità di erogazione

Quando il lavoratore è vittima di un infortunio in itinere l’INAIL corrisponde l’indennizzo nelle seguenti modalità:

  • se la menomazione permanente riportata dal lavoratore è inferiore al 6% l’INAIL non corrisponde alcun indennizzo per la presenza di una franchigia;
  • se la menomazione permanente presenta un’entità compresa tra il 6% e il 15% l’indennizzo viene corrisposto in un’unica soluzione in capitale;
  • se la menomazione permanente riportata è compresa tra il 16% e il 100% l’indennizzo viene erogato tramite una rendita periodica.

Assicurazione e responsabilità civile

L’articolo 10 del D.P.R n. 1124/1965 prevede che l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro esoneri il datore di lavoro da un eventuale responsabilità civile. L’assicurazione permane   in presenza di una responsabilità civile di chi abbia riportato una condanna penale per il fatto  che ha causato l’infortunio e anche quando il datore debba rispondere civilmente nel caso in cui il fatto sia imputabile a coloro che egli abbia incaricato della direzione o della sorveglianza e questi soggetti siano condannati penalmente.

Il danno differenziale

Qualora un lavoratore riporti dei danni derivanti da un infortunio in itinere e venga accertata anche una responsabilità civile, il risarcimento civile, ai sensi dell’articolo 10 comma 7 del DPR n. 1124/1965 è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate dall’INAIL.

 Per danno differenziale si intende pertanto la misura del danno che si ottiene dalla differenza di quanto ottenuto dal lavoratore a titolo di indennizzo dall’INAIL e quanto dovuto dal responsabile civile. Questo meccanismo è previsto per evitare speculazioni ossia duplicazioni risarcitorie.

Il lavoratore infatti, per ottenere il risarcimento del danno differenziale, dimostrare di avere subito un danno ulteriore rispetto a quello per il quale riceve l’indennizzo INAIL.

L’istituto del danno differenziale si fonda sulla diversità strutturale dell’indennizzo INAIL e del risarcimento civilistico.

L’indennizzo INAIL infatti soddisfa l’esigenza sociale si assicurare al lavoratore infortunato i mezzi adeguati, il risarcimento del danno civilistico invece svolge la funzione di ristorare integralmente il danno subito.

Danno differenziale: voci di danno risarcibili

Le voci di danno che rientrano nel danno differenziale e che possono essere richieste in sede civile sono le seguenti:

  • danno biologico (inferiore al 6%): per la tutela della integrità psico fisica del lavoratore infortunato;
  • danno patrimoniale: comprensivo del danno emergente (spese vive sostenute, ad esempio per le visite mediche, i farmaci, ecc) e del lucro cessante, ossia il mancato guadagno causato dall’infortunio e derivante dall’impossibilità di lavorare;
  • danno morale: qualsiasi patimento o turbamento dell’animo umano conseguente al sinistro;
  • danno esistenziale: è quello che si concretizza nel cambiamento peggiorativo delle abitudini di vita e delle relazioni sociali.

Cassazione: comparazione tra poste omogenee

A chiarire nel dettaglio il criterio di liquidazione del danno differenziale è intervenuta la Cassazione con l’ordinanza n. 3694/2023.

Gli Ermellini ricordano che il danno differenziale è il frutto della  diversità strutturale e funzionale tra l’indennizzo INAIL e il risarcimento del danno civilistico.

Tale diversità non consente di ritenere l’indennità INAIL in grado di soddisfare integralmente il pregiudizio subito dal lavoratore infortunato.

Il giudice di merito pertanto, dopo aver liquidato il danno civilistico, deve compararlo con l’indennizzo INAIL nel rispetto del criterio delle poste omogenee, tenendo presente che l’indennizzo è in grado di ristorare solamente il danno biologico permanente e non i pregiudizi che compongono il danno non patrimoniale.

A tal fine occorre distinguere il danno non patrimoniale da quello patrimoniale comparando questo alla quota INAIL che viene rapportata alla retribuzione del lavoratore e alla capacità lavorativa specifica dello stesso.

In seguito, in relazione al danno non patrimoniale, dall’importo liquidato a titolo di danno civilistico vanno sottratte le voci escluse dalla copertura assicurativa ossia danno morale e danno biologico temporaneo per sottrarre poi dall’importo ricavato il valore capitale della quota della rendita INAIL che copre il solo danno biologico permanente.

In conclusione dall’importo complessivo del danno biologico va sottratto il valore capitale della rendita INAIL, ma solo il valore capitale della quota che ristora il danno biologico con esclusione di quella relativa alla retribuzione e alla capacità lavorativa specifica che indennizza il danno patrimoniale.

benefici vittime terrorismo

Vittime criminalità: benefici anche per i parenti dei mafiosi Per la Consulta è incostituzionale negare i benefici per i superstiti delle vittime della criminalità ai parenti e affini dei mafiosi

Benefici vittime terrorismo o criminalità

E’ incostituzionale negare in ogni caso i benefici previsti per i superstiti delle vittime del terrorismo o della criminalità organizzata ai parenti ed affini dei mafiosi. “I benefici previsti per i superstiti delle vittime del terrorismo o della criminalità organizzata non possono essere negati in ogni caso ai parenti e agli affini entro il quarto grado di persone sottoposte a misure di prevenzione o indagate per alcune tipologie di reato” ha deciso infatti la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 122-2024, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2-quinquies, comma 1, lettera a), del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151 (Misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all’immigrazione clandestina), inserito dalla legge di conversione 28 novembre 2008, n. 186, e successivamente modificato dall’art. 2, comma 21, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), limitatamente alle parole «parente o affine entro il quarto grado».

La disciplina

La disciplina richiamata nega in ogni caso i benefici previsti per i superstiti delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata a chi sia «coniuge, convivente, parente o affine entro il quarto grado di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento per l’applicazione o sia applicata una misura di prevenzione di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, ovvero di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento penale per uno dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale».

La questione di legittimità costituzionale

La Corte d’appello di Napoli aveva ritenuto irragionevole e lesiva del diritto di difesa la condizione ostativa assoluta, con esclusivo riguardo alla posizione dei parenti e degli affini fino al quarto grado.

Nell’accogliere la questione così sollevata, la Corte costituzionale ha osservato che la condizione ostativa riferita a parenti e affini, nella sua rigidità, travalica la finalità di procedere a una verifica rigorosa dell’estraneità dei beneficiari al contesto criminale. Verifica già imposta, in termini stringenti, dalla disciplina vigente, che richiede la radicale estraneità agli ambienti criminali.

No alla presunzione assoluta

Nell’introdurre una presunzione assoluta, la disposizione censurata non si fonda su una massima d’esperienza attendibile: proprio l’ampiezza del vincolo di parentela e di affinità considerato dalla legge consente di «ipotizzare in modo agevole che, al rapporto di parentela o di affinità fino al quarto grado, possa non corrispondere alcuna contiguità al circuito criminale». Il meccanismo presuntivo si rivela, inoltre, irragionevole, in quanto «pregiudica proprio coloro che si siano dissociati dal contesto familiare e, per tale scelta di vita, abbiano sperimentato l’isolamento e perdite dolorose», e si risolve in «uno stigma per l’appartenenza a un determinato nucleo familiare, anche quando non se ne condividano valori e stili di vita». La disposizione si pone in contrasto anche con il diritto di azione e di difesa tutelato dall’art. 24 Cost., in quanto impedisce «di dimostrare al soggetto interessato, con tutte le garanzie del giusto processo, di meritare appieno i benefici che lo Stato accorda», in un giudizio «che coinvolge le vite dei singoli e gli stessi valori fondamentali della convivenza civile».

La Corte ha ribadito che è imprescindibile un’attenta valutazione di meritevolezza dei beneficiari. In tale contesto, «i vincoli di parentela o di affinità richiedono un vaglio ancor più incisivo sull’assenza di ogni contatto con ambienti delinquenziali, sulla scelta di recidere i legami con la famiglia di appartenenza, su quell’estraneità che presuppone, in termini più netti e radicali, una condotta di vita incompatibile con le logiche e le gerarchie di valori invalse nel mondo criminale».

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giurista risponde

Divieto del questore uso cellulare Può il questore vietare il possesso e l’utilizzo del telefono cellulare, in quanto “apparato di comunicazione radiotrasmittente”, ai soggetti di cui all’art. 3, comma 4, D.Lgs. 159/2011?

Quesito con risposta a cura di Alessia Bruna Aloi, Beatrice Doretto, Antonino Ripepi, Serena Suma e Chiara Tapino

 

L’art. 3, comma 4, cod. antimafia va dunque dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 15 Cost., nella parte in cui – sul presupposto che il telefono cellulare rientra tra gli apparati di comunicazione radiotrasmittente – consente al questore di vietarne, in tutto o in parte, il possesso e l’utilizzo. – Corte cost. 12 gennaio 2023, n. 2.

Nel caso di specie, il Tribunale ordinario di Sassari ha dubitato, in riferimento agli artt. 3 e 15 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4, D.Lgs. 159/2011, nella parte in cui prevede che il questore, nell’adottare la misura di prevenzione dell’avviso orale rafforzato nei confronti di persone definitivamente condannate per delitti non colposi, possa vietare loro di possedere o utilizzare “qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente”, e perciò anche telefoni cellulari. Il possesso di questi ultimi, infatti, è oggi necessario per esercitare la libertà di comunicazione, che può essere limitata solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria, locuzione in cui non può essere compreso il questore. Inoltre, risulta violato il principio di eguaglianza poiché i soggetti destinatari di tale divieto sono trattati in modo ingiustamente deteriore rispetto ai soggetti menzionati dall’art. 4, D.Lgs. 159/2011, rispetto ai quali l’autorità giudiziaria può inibire la frequentazione di specifiche categorie di persone (ma non impedire ogni relazione sociale) e può vietare l’accesso a determinati luoghi d’incontro (ma non a tutti), sebbene la pericolosità degli stessi sia superiore rispetto alle persone indicate dall’art. 3, comma 4 dello stesso Decreto.

Analoga q.l.c. è stata sollevata dalla Corte di cassazione, sez. V penale, aggiungendo la ritenuta violazione dell’art. 21 Cost., che tutela la libertà di espressione anche nella sua dimensione passiva di libertà di ricevere informazioni, e dell’art. 117 Cost. in relazione agli artt. 8 e 10 CEDU, poiché il rispetto della vita privata e la libertà di espressione transitano anche attraverso la possibilità di accedere a internet.

La Corte costituzionale, premessa una ricostruzione del quadro normativo, ricostruisce il significato dell’espressione “qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente” aderendo all’orientamento di quella consolidata giurisprudenza di legittimità per cui il telefono cellulare rientra a pieno titolo nella predetta nozione. In questo senso depone il criterio testuale, che eliminerebbe ogni incertezza sull’intenzione del legislatore derivante dall’analisi dei lavori preparatori, nonché il significato strettamente tecnico dell’espressione “apparato di comunicazione radiotrasmittente”, ossia qualsiasi apparecchio in grado di inviare onde radio e di trasmetterle, o a un altro apparato analogo, o a un impianto in grado di riceverle (così anche Cass. 2 aprile 2021, n. 127793; Cass. Sez. Un. 2 maggio 2014, n. 9560).

Ne discende la fondatezza della q.l.c. relativa alla violazione dell’art. 15 Cost., in quanto la misura limitativa non è disposta con atto motivato dell’autorità giudiziaria, bensì, direttamente, dall’autorità amministrativa, cui è attribuito perciò un potere autonomo e discrezionale, senza la necessità di successiva comunicazione all’autorità giudiziaria. L’art. 3, comma 4, cod. antimafia viene dunque dichiarato costituzionalmente illegittimo e restano conseguentemente assorbite le qq.ll.cc. relative alla violazione degli artt. 3, 21 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 10 CEDU.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cass., sez. I, 2 aprile 2021, n. 127793; Cass., sez. I, 14 ottobre 2020, n. 28551;
Cass., sez. I, 17 giugno 2019, n. 26628; Cass., sez. I, 7 gennaio 2019, n. 314;
Cass., sez. I, 3 luglio 2014, n. 28796; Cass., sez. VII, 7 gennaio 2019, n. 294;
Cass. Sez. Un. 2 maggio 2014, n. 9560; Cass., sez. fer., 1 ottobre 2009, n. 38514
piattaforma digitale unificata avvocati

PDUA: dal 18 luglio la piattaforma gratis per gli avvocati Cassa Forense mette a disposizione degli iscritti PDUA, la nuova piattaforma cloud appositamente progettata e realizzata per le esigenze degli avvocati

PDUA: la piattaforma digitale unificata degli avvocati

Dal 18 luglio sarà attivo il nuovo servizio pensato su misura degli avvocati. Si tratta della piattaforma digitale unificata (PDUA) offerta gratuitamente a tutti gli iscritti da Cassa Forense.

Cosa si può fare con PDUA

Con PDUA si può:

  • accedere ai dati e ai documenti in qualunque momento e ovunque, da qualsiasi dispositivo, anche smartphone e tablet.
  • fruire di uno spazio personale cloud storage, dove creare, consultare e scaricare i fascicoli, le anagrafiche dei clienti, delle controparti e dei difensori, effettuare ricerche rapide all’interno del sistema grazie ai filtri di ricerca avanzati.
  • gestire il PCT – processo civile telematico: consultare i registri di cancelleria e, con il redattore, compilare gli atti ed effettuarne il deposito, caricando i documenti dal tuo pc oppure dal sistema documentale in cloud.
  • firmare digitalmente, usando i dispositivi personali, leggere e spedire le PEC tramite il client di posta integrato, ricevere le notifiche telematiche e le comunicazioni delle cancellerie giudiziarie.

L’agenda

Per ottimizzare la gestione del tempo, l’agenda di PDUA può essere collegata ai calendari personali esterni e, grazie alla sincronizzazione automatica, avere la visualizzazione giornaliera, settimanale o mensile degli impegni.  L’agenda si sincronizzera’ in automatico anche con i fascicoli personali presenti in Polisweb, rendendo così possibile scadenzare anche le udienze e gli adempimenti del processo civile telematico.

Direttamente da PDUA, tramite link, si può accedere agli altri processi telematici (penale, amministrativo e tributario), ed effettuare il pagamento delle spese di giustizia civili, generando gli avvisi di pagamento agli uffici giudiziari e scaricando le ricevute telematiche.

La vetrina

La piattaforma mette a disposizione delle software house la sezione Marketplace: una vetrina di prodotti di aziende terze che potranno integrare e implementare i servizi offerti.

Info su call center Cassa Forense

A partire dal 18 luglio, data in cui sarà presentato e attivato il servizio gratuito per tutti gli iscritti, il Call center di Cassa Forense (al numero 06.51435340) offre un servizio di assistenza telefonica dedicata per qualsiasi info, attivo dal lunedì al venerdì dalle ore 8 alle ore 19, il sabato dalle ore 8.00 alle ore 13.00.

disdetta contratto locazione

Disdetta contratto di locazione La disdetta consente di non rinnovare il contratto di locazione alla scadenza concordata tra le parti, vediamo come funziona nei principali tipi di contratto

Disdetta del contratto di locazione: cos’è

La disdetta del contratto di locazione è un istituto giuridico che consente di non rinnovare il contratto stipulato alla scadenza contrattuale concordata. La disdetta non deve essere confusa con il recesso, che consente di porre fine al contratto in anticipo in presenza di gravi motivi.

La disdetta, con cui si comunica il desiderio di non rinnovare il contratto, è un diritto che la legge disciplina dettagliatamente quando spetta al locatore, al fine di tutelare il conduttore, che è la parte debole del contratto. Vediamo in quali casi e come si deve procedere per dare la disdetta di un contratto di locazione in modo corretto.

Locazioni di immobili: durata e rinnovo

Per comprendere il perché della disdetta è necessario precisare che nel nostro ordinamento i principali contratti di locazione immobiliari ad uso abitativo sono disciplinati dalla legge n. 431/1998 e che gli stessi hanno durate diverse:

  • contratti di locazione di durata non inferiore a quattro anni rinnovabili per altri quattro anni (4+4);
  • contratti di locazione a canone concordato della durata minima di tre anni rinnovabile di altri due (3+2).

Regole e termini particolari per la disdetta e il recesso sono previsti per i contratti di locazione ad uso transitorio e per gli studenti universitari.

Disdetta nelle locazioni 4+4

Per i contratti di locazione di durata non inferiore a 4 anni rinnovabili per un periodo di altri 4 la legge prevede che il secondo rinnovo possa venire meno se il locatore manifesti l’intenzione di adibire l’immobile ad usi particolari, di effettuare sullo stesso delle opere o di venderlo in modi e a condizioni particolari.

Alla seconda scadenza del contratto sia il locatore che il conduttore possono infatti decidere di rinnovarlo a nuove condizioni oppure di rinunciare, comunicando la propria intenzione all’altra parte con lettera raccomandata da inviare almeno sei mesi prima della scadenza. Chi riceve la lettera deve  rispondere a sua volta con lettera raccomandata nel termine di 60 giorni dal ricevimento.

Disdetta nelle locazioni a canone concordato 3+2

I contratti di locazione a canone concordato invece non possono avere una durata inferiore ai 3 anni. Alla prima scadenza del contratto, se le parti non si accordano sul rinnovo, il contratto è prorogato di diritto per altri 2 anni a meno che il locatore non intenda dare disdetta per adibire l’immobile a determinati usi, effettuare sullo stesso delle opere o venderlo a determinate condizioni e nel rispetto di determinate modalità. Quando scade il periodo di proroga biennale del contratto sia il locatore che il conduttore possono decidere di rinnovarlo a nuove condizioni o rinunciare a rinnovo dell’accordo comunicando la propria intenzione all’altra parte con lettera raccomandata da inviare almeno sei mesi prima della scadenza.

Disdetta del locatore: condizioni e modalità

Nei contratti di locazione 4+4 e 3+2 il locatore alla prima scadenza del contratto può quindi negare il rinnovo previa comunicazione al conduttore almeno sei mesi prima per i seguenti motivi:

  • volontà di destinare l’immobile ad uso abitativo commerciale, artigianale, professionale proprio o del coniuge, dei genitori, dei figli o dei parenti entro il secondo grado;
  • volontà del locatore persona giuridica società o ente pubblico di destinare l’immobile all’esercizio di attività con finalità pubbliche, sociali mutualistiche, cooperative, assistenziali, culturali o di culto purché contestualmente offra al conduttore un altro immobile;
  • il conduttore ha la piena disponibilità di un altro immobile libero nello stesso comune;
  • l’immobile locato fa parte di un edificio gravemente danneggiato, che necessita di essere ricostruito o di cui deve essere assicurata alla stabilità e la presenza del conduttore impedisce i lavori;
  • l’immobile è compreso all’interno di un fabbricato che necessita di essere integralmente ristrutturato, demolito o trasformato o sopraelevato (se collocato all’ultimo piano) e per ragioni tecniche è necessario che l’appartamento venga sgomberato;
  • il conduttore non occupa continuativamente l’immobile senza un giustificato motivo e senza una successione legittima nel contratto;
  • il locatore vuole vendere l’immobile a terzi e non ha la proprietà di altri immobili a parte quello già adibito ad abitazione. In questo caso però la legge prevede in favore del conduttore un diritto di prelazione all’acquisto.

Il recesso del conduttore

In relazione ai due principali tipi di locazione immobiliare ad uso abitativo analizzati ovvero il 4+4 e il 3+2, anche il conduttore può decidere di porre fine al contratto anzi tempo. La legge però, in questo caso, non richiede motivazioni particolari, come per il locatore. Il conduttore infatti, in base a quanto previsto dal comma 6 dall’articolo 3 della legge n. 431/1998, può recedere in qualsiasi momento dall’accordo in presenza di gravi motivi, dando un  preavviso di 6 mesi al locatore.

La norma non precisa quali siano i gravi motivi che giustifichino il recesso del conduttore. Per fortuna la giurisprudenza nel tempo ha colmato questo vuoto. La Cassazione ad esempio ha identificato il grave motivo con l’incendio che colpisce l’immobile e che lo rende inservibile alle esigenze del conduttore. Un altro grave motivo è rappresentato dall’inadempimento del locatore nel procedere alle necessarie riparazioni dell’immobile locato. Altri gravi motivi sono stati identificati con la perdita del lavoro da parte del conduttore, con la presenza di problemi familiari gravi e tali da richiedere il trasferimento del conduttore, con il disinteresse manifestato dal locatore in relazione a gravi problemi strutturali dell’edificio, che non lo rendono sicuro per le esigenze abitative del conduttore.

La lettera di disdetta

Per manifestare adeguatamente la volontà di non rinnovare il contratto di locazione la legge richiede l’invio formale di una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno (o pec) da inviare almeno sei mesi rispetto alla scadenza.

Nella lettera di disdetta non possono mancare i seguenti dati essenziali:

  • i motivi per i quali si intende dare la disdetta;
  • i dati identificativi del contratto di locazione;
  • la data di decorrenza della disdetta.
convocazione assemblea condominio

Convocazione assemblea condominiale: modi e tempi Come avviene la convocazione dell’assemblea condominiale: modalità e tempi da rispettare per non incorrere nell’annullabilità della delibera

Convocazione assemblea:  art. 66 disp. att. c.c.

La convocazione dell’assemblea condominiale è disciplinata dettagliatamente dall’art. 66 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile.

La norma regolamenta le convocazioni ordinarie e straordinarie, i tempi e le modalità con cui deve essere effettuata la comunicazione e i limiti che la legge pone a questo istituto.

Assemblea condominiale: tipologie e poteri di iniziativa

L’assemblea condominiale può essere convocata con cadenza annuale in via ordinaria per deliberare sulle questioni indicate dall’art. 1135 c.c.:

  • conferma dell’amministratore e del suo compenso;
  • approvazione del preventivo di spesa annuale e ripartizione degli importi tra i condomini;
  • approvazione del rendiconto e impiego dell’eventuale residuo attivo dell’attività di gestione;
  • decisione sulla necessità di realizzare opere di manutenzione straordinaria o innovazioni da apportate all’edificio condominiale.

L’assemblea straordinaria

L’assemblea straordinaria può essere convocata dall’amministratore quando è necessario o quando ne facciano richiesta due condomini che rappresentino un sesto del valore del fabbricato condominiale.

Se trascorrono inutilmente 10 giorni dalla richiesta della convocazione i condomini richiedenti possono provvedere in autonomia alla convocazione.

Qualora manchi l’amministratore sia l’assemblea condominiale ordinaria che quella straordinaria, può essere convocata su iniziativa di ogni condomino.

Avviso di convocazione: contenuto e comunicazione

L’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale deve contenere l’indicazione specifica e dettagliata degli argomenti che verranno discussi nell’ordine del giorno oltre all’indicazione del luogo e dell’ora in cui si terrà la riunione.

Per quanto riguarda i tempi l’avviso di convocazione deve essere comunicato almeno 5 giorni prima rispetto alla data che è stata fissata per l’assemblea in prima convocazione.

Le modalità consentite per la comunicazione dell’avviso di convocazione sono diverse. La convocazione può essere effettuata infatti a mezzo posta raccomandata, con posta elettronica certificata, mezzo fax o tramite consegna a mano.

E’ facoltà dell’amministratore di condominio fissare più riunioni a distanza ravvicinata per fare in modo che l’assemblea si svolga in tempi brevi, comunicandolo con un unico avviso, nel quale dovrà indicare specificamente tutte le date e gli orari dell’assemblee.

Assemblee di seconda convocazione: i termini da rispettare

L’articolo 66 disp. att. c.c prevede un limite per quanto riguarda le assemblee di seconda convocazione, le quali non si possono tenere nello stesso giorno stabilito per l’assemblea di prima convocazione.

Ai sensi dell’articolo 1136 c.c, qualora l’assemblea in prima convocazione non possa deliberare per mancanza del numero legale richiesto dalla legge, quella in seconda convocazione delibera deve tenersi il giorno successivo a quello di prima convocazione e comunque entro e non oltre il decimo giorno successivo all’assemblea di prima convocazione.

Assemblea in modalità video-conferenza

Qualora lo svolgimento dell’assemblea dovesse avvenire in modalità video conferenza l’avviso di convocazione deve indicare la piattaforma elettronica su cui si svolgerà la riunione e l’orario di inizio della stessa. Questa modalità di svolgimento, così come la partecipazione all’assemblea, sono consentite anche quando il regolamento condominiale non le preveda espressamente. In questo caso il verbale, una volta che è stato redatto dal segretario e trascritto dal Presidente, viene trasmesso sia all’amministratore che a tutti i condomini, nelle stesse modalità viste per la convocazione, ovvero mediante raccomandata, a mezzo pec, via fax o consegna a mano.

Delibera annullabile per problemi legati alla convocazione

Le regole dettate dal codice civile sulla convocazione, qualora non rispettate, rendono annullabile la delibera. Il comma 3 dell’articolo 66 disp. att. c.c stabilisce infatti che, in caso di  mancata convocazione, convocazione tardiva rispetto ai termini previsti o incompleta, la delibera è annullabile su richiesta dei dissenzienti o degli assenti che non sono stati convocati nel rispetto delle regole previste.

tribunale famiglia cartabia

Tribunale per le famiglie: rinviato a ottobre 2025 Rinviata di un anno l'entrata in vigore del tribunale per le famiglie. La norma contenuta nel decreto carcere sicuro ne fa slittare l'operatività ad ottobre 2025

Slitta di un anno il tribunale per le famiglie

Il decreto “carcere sicuro” approvato il 3 luglio 2024 dal Consiglio dei ministri, su proposta del guardasigilli Carlo Nordio e del presidente del consiglio Giorgia Meloni, oltre alla serie di misure dedicate al personale penitenziario e ai detenuti, contiene anche una norma che rinvia di un anno l’entrata in vigore del Tribunale delle persone e della famiglia previsto dalla Riforma Cartabia.

La decisione è stata presa dopo aver ascoltato le doglianze della magistratura e dell’avvocatura che hanno rilevato, tra i vari problemi attuativi della riforma, l’assenza di fondi sufficienti.

Proroga per carenza di fondi e personale

Si ritiene che la proroga ad ottobre del 2025 consentirà di porre rimedio agli aspetti più critici della riforma messe in luce anche dai magistrati dei minori.

Alla carenza dei fondi necessari si accompagna infatti la carenza di personale necessaria per fronteggiare i cambiamenti introdotti, sia in relazione ai provvedimenti ordinari che a quelli urgenti.

Incremento magistrati specializzati

L’ex ministro Cartabia aveva infatti previsto la necessità di incrementare di 292 unità i magistrati, di 2130 le unità di personale amministrativo e di 47le  unità addette ai ruoli dirigenziali.

Un altro problema segnalato dagli addetti ai lavori è rappresentato dalla mancata specializzazione dei magistrati in materia e dalla abolizione di decisioni collettive sulla responsabilità genitoriale.

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Limitatori di velocità obbligatori Dal 7 luglio 2024 scatta l’obbligo per le case automobilistiche di installare sulle autovetture di nuova immatricolazione i limitatori di velocità

Limitatori velocità: dal 7 luglio scatta l’obbligo di installazione

Dal 7 luglio 2024 tutte le case autonomistiche avranno l’obbligo di installare sulle automobili di nuova immatricolazione specifiche apparecchiature finalizzate al controllo della velocità come previsto dal Regolamento Europeo 2019/2144.

Adattatori intelligenti

L’Intelligent Speed Assistance (adattamento intelligente della velocità) è un sistema che aiuta il conducente a mantenere la velocità più adeguata all’ambiente stradale, fornendo un segnale apposito.Tali adattatori o limitatori di velocità, così come gli altri strumenti per la sicurezza stradale previsti dallo stesso regolamento, perseguono lo scopo di ridurre gli incidenti stradali mortali dovuti al superamento dei limiti di velocità.

Limitatori di velocità: come funzionano

I limitatori di velocità sono capaci di rilevare il superamento del limite di velocità previsto sullo specifico tratto stradale di percorrenza, incrociando i dati del GPS con quelli registrati dalle telecamere presenti sulla vettura e in grado di leggere la segnalazione stradale, compresa quella, ovviamente, che stabilisce i limiti di velocità.

I limitatore di velocità non sarà in grado di rallentare automaticamente il veicolo. Questo strumento è piuttosto un allarme, che può essere emanato attraverso segnali sonori, vibrazioni o altre forme di stimolazione sensoriale, per consentire al conducente di tenere sempre le mani sul volante, senza inutili distrazioni.

Possibilità di disattivazione e requisiti minimi

I limitatori di velocità potranno comunque essere disattivati anche se, installati di default sul veicolo e attivati dall’accensione dello stesso, in base a quanto sancito dal considerando numero 11 del regolamento, il quale prevede che Dovrebbe essere possibile disattivare ladattamento intelligente della velocità, per esempio, quando il conducente riceve falsi avvisi o risposte inadeguate a causa di condizioni metereologiche inclementi, segnaletica orizzontale temporanea contraddittoria in zone di lavori o segnali stradali fuorvianti, difettosi o mancanti. Tale possibilità di disattivazione dovrebbe essere sotto il controllo del conducente. Dovrebbe consentire che ladattamento intelligente della velocità sia disattivato per il tempo necessario e che sia riattivato con facilità dal conducente. Quando il sistema disattivato, possono essere forniti informazioni su limite di velocità. Il sistema dovrebbe essere sempre attiva al momento dellaccensione del veicolo del conducente dovrebbe sempre sapere se il sistema è attivato o disattivato.” 

A questa caratteristica si sommano i requisiti minimi degli adattatori di velocità richiesti dall’articolo 6 del Regolamento:

  • deve essere possibile informare il conducente tramite il comando dell’acceleratore o altro segnale che limite di velocità è stato superato;
  • il segnale dedicato si basa su informazioni relative a limiti di velocità tramite l’osservazione della segnaletica stradale, dei segnali provenienti dall’infrastruttura stradale o dai dati di cartografia digitale o entrambi, disponibili sul veicolo;
  • i sistemi non devono pregiudicare la possibilità per i conducenti di superare la velocità del veicolo suggerita al sistema;
  • gli obiettivi in termini di prestazione devono essere stabiliti al fine di evitare o minimizzare il tasso di errore, conformemente alle condizioni reali di guida.

Obblighi di omologazione

Il Regolamento impone ai costruttori di omologare i veicoli ma anche i sistemi di sicurezza in modo conforme a quanto previsto dallo stesso e dagli atti delegati di esecuzione.

I costruttori inoltre devono garantire che i veicoli e i sistemi di sicurezza siano conformi a quanto stabilito dall’allegato 2 del regolamento e alle procedure di prova stabilite dagli atti delegati così come alle procedure uniformi e alle specifiche tecniche sancite negli atti di esecuzione del Regolamento.

Allegati

banca dati sentenze tributarie

Sentenze tributarie: al via la banca dati Attivo il servizio di ricerca della banca dati della giurisprudenza tributaria di merito del Mef

La banca dati delle sentenze tributarie

È attivo il servizio di ricerca e consultazione della banca dati della giurisprudenza tributaria di merito del Ministero dell’economia e delle finanze, gestito dal Dipartimento della Giustizia Tributaria.

L’avvio sperimentale del servizio, finalizzato ad assicurare la conoscenza del precedente giurisprudenziale, è stato finanziato, rende noto il Mef, parzialmente con fondi europei nell’ambito di un progetto partecipato dal Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria e dal Ministero dell’economia e delle finanze.

Sentenze dal 2021

La banca dati si basa su una piattaforma digitale innovativa che offre un accesso semplificato e intuitivo per la consultazione delle sentenze tributarie di primo e secondo grado, native digitali e pseudoanonimizzate.
Il servizio, che attualmente consente la consultazione delle sentenze native digitali depositate dal 2021 al 2023, sarà progressivamente e costantemente aggiornato con le sentenze native digitali pubblicate dal 2024 ed analogiche depositate dal 2021.

Implementazioni del servizio

Sono in corso, inoltre, implementazioni finalizzate non solo a consentire la ricerca delle ordinanze emesse dagli organi della giustizia tributaria di rinvio alle Corti superiori (Corte costituzionale, Corte di Cassazione e Corte di giustizia dell’Unione Europea), ma anche alla possibilità, previo accordo con la Suprema Corte di Cassazione, di verificare l’eventuale presenza del ricorso di legittimità e della relativa decisione con riguardo alla sentenza di merito oggetto di consultazione.