pace contributiva 5 anni

Pace contributiva: si possono riscattare fino a 5 anni L'INPS fornisce chiarimenti sulla misura della pace contributiva reintrodotta dalla legge di bilancio 2024

Pace contributiva: cos’è

Pace contributiva: possibilità di riscattare fino a 5 anni di periodi contributivi utili per anticipare il diritto a pensione e incrementare l’assegno. E’ quanto spiega l’INPS con un comunicato stampa del 22 luglio 2024 pubblicato sul proprio sito, fornendo chiarimenti sulla misura reintrodotta dalla manovra 2024.

La disciplina

La Legge di Bilancio, in vigore dal primo gennaio ha reintrodotto, infatti, per il biennio 2024/2025 l’istituto della Pace contributiva, recepito dall’INPS con la circolare n. 69 del 2024, rivolto ai “contributivi puri”, ovvero coloro che non hanno contributi precedenti al Primo gennaio 1996.

La misura offre ai lavoratori la possibilità di aggiungere fino a 5 anni alla propria carriera contributiva tramite il riscatto di periodi non coperti da contribuzione.

Si tratta, chiarisce l’istituto di previdenza, di “una misura particolarmente utile per chi desidera aumentare il numero di anni di contribuzione, tenendo conto della possibilità di aggiungere ulteriori 5 anni per chi ha già fruito della misura sperimentale attiva nel triennio 2019/2021”.

I beneficiari

La misura in vigore si rivolge a tutti i contribuenti iscritti all’Assicurazione generale obbligatoria (Ago), alle sue forme sostitutive ed esclusive, alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, commercianti e artigiani, nonché agli iscritti alla Gestione separata.

È essenziale, tuttavia, che i periodi da riscattare non siano già coperti da contribuzione non solo nella cassa specifica, ma anche in altri fondi previdenziali.

Il periodo non coperto da contribuzione può essere ammesso a riscatto nella misura massima di 5 anni, anche non continuativi, e deve collocarsi in epoca successiva al 31 dicembre 1995 e precedente al Primo gennaio 2024, data di entrata in vigore della legge n. 213 del 2023 (Legge di Bilancio).

È importante sottolineare che possono essere riscattati solo i periodi scoperti da contribuzione obbligatoria che si trovano tra due periodi di lavoro.

Non è quindi possibile utilizzare la pace contributiva per i periodi precedenti alla prima occupazione.

Il vantaggio è che i periodi riscattati, che possono essere anche non continuativi ma comunque non superiori a 5 anni, vengono considerati sia ai fini dell’acquisizione del diritto alla pensione, sia per il calcolo dell’assegno pensionistico.

Inoltre, precisa l’INPS, “qualora si verifichi l’acquisizione di anzianità assicurativa antecedente al primo gennaio 1996 (es. accredito del servizio militare, maternità al di fuori del rapporto di lavoro, ecc.), il riscatto già effettuato attraverso la Pace contributiva verrà annullato d’ufficio, con successiva restituzione dei contributi.

Come chiedere la pace contributiva

La facoltà di fruire della pace contributiva può essere esercitata “a domanda” dell’assicurato, o dai suoi superstiti o parenti e affini entro il secondo grado, entro il 31 dicembre 2025.

Nel caso dei lavoratori del settore privato la domanda di pace contributiva potrà essere presentata anche dal datore di lavoro destinando, a tal fine, i premi di produzione spettanti al lavoratore stesso. In questo caso l’onere è deducibile dal reddito di impresa e da lavoro autonomo e rientra nell’ipotesi in cui non concorrono a formare reddito da lavoro dipendente i contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza a disposizioni di legge.

Differenze con la “vecchia” pace contributiva

Rispetto alla misura di pace contributiva in vigore nel biennio 2019-2021, la differenza di rilievo è che per la misura del 2024 non sarà possibile la detrazione al 50% della spesa sostenuta. Pertanto, per le domande di riscatto presentate dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2025, il contributo versato è fiscalmente deducibile dal reddito complessivo.

Riguardo il versamento dell’onere da riscatto è previsto sia il pagamento in un’unica soluzione dell’intera cifra o una rateizzazione fino ad un massimo di 120 rate mensili, ciascuna di importo non inferiore a 30 euro, senza applicazione di interessi.

Tuttavia, precisa ancora l’istituto, “la rateizzazione non può essere concessa se i contributi da riscatto devono essere utilizzati per la immediata liquidazione di una pensione diretta o indiretta o nel caso in cui gli stessi siano determinanti per l’accoglimento di una domanda di autorizzazione ai versamenti volontari; qualora ciò avvenga nel corso della dilazione già concessa, la somma ancora dovuta dovrà essere versata in unica soluzione”.

Domanda telematica

Per fruire della nuova misura è necessario presentare richiesta entro il 31 dicembre 2025, soltanto in via telematica tramite i consueti canali:

  • portale web dell’INPS, accessibili dal cittadino munito di SPID, Carta Nazionale dei Servizi, Carta di identità elettronica 3.0, PIN dispositivo rilasciato dall’Istituto solo per i residenti all’estero non in possesso di un documento di riconoscimento italiano. E’ possibile accedere all’area tematica dal seguente percorso: “Pensione e Previdenza” > “Ricongiunzioni e riscatti” > Area tematica “Portale dei servizi per la gestione della posizione assicurativa” > “Riscatti”;
  • Contact center multicanale, chiamando da telefono fisso il numero verde gratuito 803 164 o da telefono cellulare il numero 06 164164, a pagamento in base al piano tariffario del gestore telefonico;
  • Istituti di Patronato e intermediari dell’Istituto, attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi. Nel caso di presentazione della domanda da parte del datore di lavoro, le domande devono essere presentate utilizzando l’apposito modulo “AP135” disponibile online.

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Payback dispositivi medici: meccanismo corretto La Cofrte Costituzionale si è pronunciata con due sentenze sul "payback" per i dispositivi medici legittimando da un lato il meccanismo e bocciando dall'altro la rinuncia al contenzioso

Payback dispositivi medici: l’intervento della Consulta

Payback per i dispositivi medici, il meccanismo è corretto ma va bocciata la condizione della rinuncia al contenzioso. Questo, in sostanza, quanto affermato dalla Consulta che si è pronunciata, con due sentenze sul payback per i dispositivi medici. Le due sentenze della Corte Costituzionale, infatti, la n. 139-2024 e la n. 140-2024, hanno ad oggetto il meccanismo del payback, regolato da diverse norme di legge.

Payback: la disciplina

La disciplina principale è contenuta nell’art. 9-ter del decreto legge n. 78 del 2015. Le disposizioni di questo articolo stabiliscono un tetto alla spesa regionale per i dispositivi medici. Se la regione supera il tetto, le imprese che forniscono i dispositivi ai Servizi sanitari regionali sono tenute a contribuire parzialmente al ripiano dello sforamento. Per gli anni dal 2015 al 2018 è espressamente prevista la procedura di determinazione dell’ammontare del ripiano a carico delle singole imprese (comma 9-bis, inserito nel 2022 nell’art. 9-ter menzionato).

Vi sono poi le norme contenute nell’art. 8 del decreto legge n. 34 del 2023. Queste disposizioni hanno istituito un fondo statale da assegnare pro-quotaalle regioni che nel menzionato periodo abbiano superato il tetto di spesa. Esse hanno inoltre consentito alle imprese fornitrici dei dispositivi di versare solo il 48 per cento della rispettiva quota di ripiano, a condizione che rinunciassero a contestare in giudizio i provvedimenti relativi all’obbligo di pagamento.

La sentenza n. 139/2024

La Corte si è occupata dapprima, su ricorso della Regione Campania, delle disposizioni del 2023 e, con sentenza n. 139, le ha dichiarate incostituzionali nella parte in cui condizionavano la riduzione dell’onere a carico delle imprese alla rinuncia, da parte delle stesse, al contenzioso.

La conseguenza è che a tutte le imprese fornitrici è ora riconosciuta la riduzione dei rispettivi pagamenti al 48 per cento.

La sentenza n. 140/2024

Con la successiva sentenza n. 140/2024, invece, la Corte, su rimessione del TAR Lazio, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9-ter del decreto legge n. 78 del 2015, quanto al periodo 2015-2018.

La Corte ha precisato che, in relazione a tale periodo, il legislatore ha dettato una disciplina apposita per il ripiano dello sforamento dei tetti di spesa, e le regioni, con propri provvedimenti, hanno richiesto alle imprese le somme da esse dovute.

La sentenza ha rilevato che il payback presenta di per sé diverse criticità, ma non risulta irragionevole in riferimento all’art. 41 Cost., quanto al periodo 2015- 2018. Esso, infatti, pone a carico delle imprese per tale arco temporale un contributo solidaristico, correlabile a ragioni di utilità sociale, al fine di assicurare la dotazione di dispositivi medici necessaria alla tutela della salute in una situazione economico-finanziaria di grave difficoltà.

Payback non sproporzionato

Il meccanismo non risulta neppure sproporzionato, alla luce della significativa riduzione al 48 per cento dell’importo originariamente posto a carico delle imprese, riduzione ora riconosciuta incondizionatamente a tutte le aziende in virtù della citata sentenza n. 139 Inoltre, la Corte ha osservato che la disposizione censurata non contrasta con la riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost. per l’imposizione di prestazioni patrimoniali.

Infine, la sentenza 140 ha precisato che la disposizione censurata non ha natura retroattiva, in quanto il comma 9-bis dell’art. 9-ter, introdotto nel 2022, si è limitato a rendere operativo l’obbligo di ripiano a carico delle imprese fornitrici, senza influire, in modo costituzionalmente insostenibile, sull’affidamento che le parti private riponevano nel mantenimento del prezzo di vendita dei dispositivi medici.

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ncc via libera autorizzazioni

NCC: via libera alle autorizzazioni Importante intervento della Consulta sul servizio di noleggio con conducente (NCC): da Uber a Bolt, l'Italia si allinea all'Europa?

NCC: cade il divieto, l’Italia si allinea all’Europa?

NCC, via libera alle autorizzazioni. “Il divieto di rilasciare nuove autorizzazioni per il servizio di noleggio con conducente (NCC) sino alla piena operatività del registro informatico nazionale delle imprese titolari di licenza taxi e di autorizzazione NCC ha consentito, per oltre cinque anni, «all’autorità amministrativa di alzare una barriera all’ingresso dei nuovi operatori», compromettendo gravemente «la possibilità di incrementare la già carente offerta degli autoservizi pubblici non di linea»”. È quanto ha affermato la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 137-2024, accogliendo le questioni che aveva sollevato davanti a sé, e dichiarando illegittimo l’articolo 10-bis, comma 6, del decreto-legge n. 135 del 2018.

La sentenza, come si può intuire di importante portata, apre la strada alla diffusione anche nel nostro Paese dei servizi ormai quotidianamente utilizzati in tutta Europa: da Uber a Bolt per intenderci.

Decreto Mimit

In via preliminare, la sentenza ha chiarito che la recente adozione del decreto n. 203 del 2024 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che stabilisce la “piena operatività” dell’anzidetto registro informatico a decorrere da centottanta giorni dalla sua pubblicazione, «non ha alcuna incidenza sul presente giudizio, dal momento che le censure sono state prospettate sulla disposizione legislativa» in ragione della sua «struttura», a prescindere dalle evenienze «di fatto» e dalle «circostanze contingenti» attinenti alla sua concreta applicazione.

E ciò in quanto “è proprio la configurazione della disposizione censurata che ha consentito all’autorità amministrativa di bloccare l’ingresso dei nuovi operatori nel mercato del NCC semplicemente rinviando, «con il succedersi dei decreti (ovvero con la loro emanazione e la loro successiva sospensione), la piena operatività del registro informatico», come del resto ha dimostrato la concreta vicenda storica”.

Per cui è rimasta del tutto inascoltata – ha osservato la Corte – “la preoccupazione dell’Autorità garante delle concorrenza e del mercato (AGCM) volta a evidenziare che «l’ampliamento dell’offerta dei servizi pubblici non di linea risponde all’esigenza di far fronte ad una domanda elevata e ampiamente insoddisfatta, soprattutto nelle aree metropolitane, di regola caratterizzate da maggiore densità di traffico e dall’incapacità del trasporto pubblico di linea e del servizio taxi a coprire interamente i bisogni di mobilità della popolazione»”.

Grave pregiudizio alla collettività

La norma censurata ha pertanto causato, in modo sproporzionato, «un grave pregiudizio all’interesse della cittadinanza e dell’intera collettività». I servizi di autotrasporto non di linea, infatti, concorrono a dare effettività alla libertà di circolazione, «che è la condizione per l’esercizio di altri diritti, per cui la forte carenza dell’offerta» – che colloca l’Italia fra i Paesi europei meno attrezzati al riguardo – generata dal potere conformativo pubblico ha indebitamente compromesso «non solo il benessere del consumatore, ma qualcosa di più ampio, che attiene all’effettività nel godimento di alcuni diritti costituzionali, oltre che all’interesse allo sviluppo economico del Paese».

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Fondo TPL: legittimi i criteri di riparto tra regioni Fondo TPL: la Corte Costituzionale ritiene legittimi i criteri di riparto fra le regioni adottati in attesa della definizione di standard

Fondo TPL: criteri di riparto

Fondo TPL: sono legittimi i criteri di riparto tra le regioni. Così la Corte costituzionale, con la sentenza n. 133-2024, ha respinto le censure di illegittimità costituzionale promosse da tre Regioni (Piemonte, Veneto e Campania) nei confronti dell’art. 17, comma 1, del decreto-legge n. 104 del 2023, convertito nella legge n. 136 del 2023.

Tale disposizione è intervenuta a modificare ulteriormente i criteri di riparto fra le Regioni delle risorse del “Fondo per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario” (Fondo TPL), che erano stati introdotti dal decreto-legge n. 176 del 2022, convertito nella legge n. 6 del 2023, per superare il sistema incentrato sulla valorizzazione della spesa in precedenza sostenuta dalle singole Regioni per l’erogazione dei servizi in questione (cosiddetta “spesa storica”).

Il decreto legge 176/2022

A tal fine, nel decreto-legge n. 176 del 2022 si era disposto che le risorse stanziate dallo Stato sarebbero state assegnate alle Regioni, per una quota pari al 50 per cento, sulla base dei “costi standard” e, per la restante quota, sulla base dei “livelli adeguati dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale” (LAS), che avrebbero dovuto essere definiti con decreto interministeriale, previa intesa con Regioni ed enti locali in sede di Conferenza unificata.

La mancata adozione di tale decreto interministeriale “aveva reso urgente l’assunzione di un criterio correttivo del precedente sistema e, a tale scopo, la norma impugnata ha previsto: a) una applicazione immediata, ma solo parziale, del criterio del ‘costo standard’, computato però considerando il complesso dei servizi di trasporto pubblico locale erogati sul territorio di ciascuna Regione (costo standard totale); b) un regime transitorio volto a garantire, data la mancata adozione dei LAS, un’assegnazione di risorse non inferiore a quella risultante dalla ripartizione del fondo per l’anno 2020 (c.d. ‘clausola di garanzia’)”.

Le qlc

Le Regioni ricorrenti censurano le intervenute modifiche dei criteri di riparto in quanto le discriminerebbero nel finanziamento del servizio TPL, privilegiando quelle regioni che maggiormente sovvenzionano con risorse proprie i servizi di trasporto pubblico locale, con l’effetto di impedire alle prime, menomate nella loro autonomia finanziaria, l’erogazione di tutte le prestazioni da esse deliberate, in un ambito affidato alla competenza legislativa residuale regionale.

Sarebbero perciò violati, si legge, “gli artt. 117, 118 e 119, nonché, per i conseguenti gravi disagi per l’utenza e per l’impossibilità di offrire adeguata copertura alla spesa a suo tempo deliberata, gli artt. 97 e 81 della Costituzione”.

La decisione

La Corte costituzionale ha ritenuto non fondate tutte le censure. L’evoluzione della normativa – ancora non “a regime” in attesa della definizione dei LAS – e la successione dei criteri di riparto del Fondo rende non evidente la lesione prospettata dalle Regioni ricorrenti che, infatti, non hanno fornito documentazione di alcun genere comprovante l’impossibilità dello svolgimento delle funzioni per effetto della disposizione statale impugnata. Tuttavia, “quanto al finanziamento dei servizi di trasporto pubblico locale – la Corte ha auspicato che – si porti al più presto a conclusione il complesso iter di transizione ai costi e fabbisogni standard, prefigurato già dalla legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale”.

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stop mantenimento figlio

Stop mantenimento al figlio iscritto da 14 anni all’università Linea dura della Cassazione contro i figli "bamboccioni": non spetta il mantenimento al figlio ultratrentenne che in 14 anni di università ha dato solo un esame

Mantenimento figlio maggiorenne

Il figlio ultratrentenne, che ha trascorso 14 anni all’università sostenendo un solo esame, non ha più diritto all’assegno di mantenimento a carico del padre. Lo stesso non è stato in grado di dimostrare di essersi impegnato nel conseguire una qualificazione professionale o nella ricerca di un impiego per collocarsi nel mondo del lavoro e acquisire la propria indipendenza economica. Lo ha stabilito la corte di Cassazione nell’ordinanza n. 19955-2024.

Revoca mantenimento figlio

Nell’ambito di una procedura di separazione coniugale il Tribunale stabilisce a carico del padre l’obbligo di versare al figlio maggiorenne, ma non economicamente autosufficiente, il mantenimento di 500 euro mensili, oltre al pagamento del 70% delle spese straordinarie.

Alla separazione segue il divorzio e la sentenza riduce a 350 euro mensili il mantenimento dovuto dal padre al figlio maggiorenne, ma conserva il contributo nella misura del 70% delle spese straordinarie e l’assegnazione della casa familiare alla moglie, che convive con il figlio.

Il padre appella la decisione, chiedendo anche la revoca dell’assegno di mantenimento per il figlio.

Mancata ricerca di un lavoro

La Corte d’appello però respinge la richiesta, limitandosi a ridurre il mantenimento per il figlio a 200 euro mensili.

Per la Corte il mantenimento al figlio non deve essere ancorato al raggiungimento della maggiore età, ma a quello della autosufficienza economica. Per far cessare l’obbligo del mantenimento è sufficiente che il figlio percepisca delle entrate, anche derivanti da un lavoro non stabile o che lo stesso possegga un patrimonio tale da garantirgli un reddito corrispondente alla professionalità acquisita e che abbia un’appropriata collocazione nel contesto economico in cui lo stesso è inserito adeguata alle attitudini e alle aspirazioni.

Incontestato che il ragazzo ormai ultratrentenne risulti privo di un’occupazione lavorativa in grado di garantirgli la propria indipendenza economica. Lo stesso ha più volte cambiato percorso di studi e ha cercato lavoro, prestando attività presso la Croce Rossa senza però conseguire una stabilità lavorativa. In seguito ha lasciato l’università, è  tornato a vivere con la madre, ma ha avuto difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro anche a causa della sopravvenuta pandemia. Lo stesso è stato anche vittima di un infortunio, che ha comportato un intervento chirurgico e una prognosi di 60 giorni. Queste le ragioni per le quali la Corte, in considerazione dell’età del figlio, si è limitata a ridurre il mantenimento a 200 euro, lasciando invariata la misura del contributo per le spese straordinarie.

Il padre, insoddisfatto della decisione della Corte di Appello, la impugna di fronte alla Cassazione.

Onere della prova

Gli Ermellini ritengono fondato il motivo del ricorso con il quale il padre lamenta la mancata revoca del mantenimento dovuto al figlio. Per il ricorrente il fatto che il figlio abbia sostenuto un solo esame in 14 anni di università sufficiente a giustificare la revoca del mantenimento. Di fatto il figlio non ha mai dimostrato di aver messo in atto dei tentativi seri per trovare un’occupazione e collocarsi in modo stabile nel mondo del lavoro.

La Cassazione ricorda di aver affermato di recente che l’onere della prova relativa alle ragioni che fondano il mantenimento sono a carico del richiedente. Spetta infatti al figlio dimostrare di aver curato con impegno la propria preparazione professionale e tecnica o di essersi attivato nella ricerca di un lavoro. È sempre onere del richiedente inoltre provare la mancanza di indipendenza economica perché pre-condizione necessaria ai fini della richiesta del mantenimento.

L’onere della prova dei presupposti necessari per il mantenimento però è più facile quando il figlio ha da poco superato la maggiore età e negli anni successivi, soprattutto se ha iniziato un percorso di studi, perché in questo modo dimostra l’impegno di entrare a far parte del mondo degli adulti. Con l’avanzare dell’età l’onere della prova diventa più gravoso. La decisione sul mantenimento rende necessaria la valutazione del caso concreto e un’indagine sulle scelte di vita compiute e sull’impegno del figlio nell’acquisire una qualificazione professionale.

La decisione

Nel caso di specie la Corte di merito ha ritenuto conclusa la formazione universitaria del figlio anche senza il conseguimento di un risultato e ha ritenuto incontestato il fatto che lo stesso,  ultratrentenne, fosse senza lavoro e senza autonomia economica. La Corte non ha indagato se nel corso di tutti questi anni abbia comunque cercato una sua collocazione nel mondo del lavoro. La stessa si è accontentata nel considerare come esistenti e giustificate le difficoltà riscontrate negli ultimi anni e imputate al COVID, all’infortunio e alla crisi del mercato.

 

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spesa sanitaria regioni

Spesa sanitaria: le regioni possono andare oltre i limiti nazionali? La Consulta dichiara che la Sardegna può incrementare la spesa per le prestazioni sanitarie anche oltre i limiti nazionali in quanto finanzia integralmente il proprio SSN

Spesa sanitaria oltre i limiti nazionali

La Regione autonoma Sardegna può incrementare la spesa per prestazioni sanitarie anche oltre i limiti imposti dalle leggi nazionali, in quanto finanzia integralmente il proprio SSN. Così la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 141-2024, dichiarando la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 56 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 e dell’art. 5, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 21 del 2023.

Con tali disposizioni la Regione autonoma Sardegna, al fine di garantire i livelli essenziali di assistenza e ridurre i tempi di attesa, ha autorizzato l’incremento della spesa per l’acquisto di prestazioni sanitarie eccedendo i limiti previsti dalla normativa nazionale. Le disposizioni sono state ritenute dal giudice delle leggi costituzionalmente legittime.

SSN integralmente finanziato

Difatti, con riguardo ai vincoli di finanza pubblica recati dalla legislazione statale, seppure la Corte sia costante nel ritenere che essi si applicano, di regola, anche ai soggetti ad autonomia speciale e che i tetti di spesa costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, nel caso di specie, non si utilizzano per la Regione autonoma Sardegna che provvede integralmente al finanziamento del proprio servizio sanitario regionale.

Il finanziamento integrale degli oneri del servizio sanitario regionale a carico del bilancio sardo e l’assenza di condizioni che possano far ritenere di non poter applicare il predetto principio (ossia la sottoposizione a un piano di rientro dal disavanzo finanziario in materia sanitaria o la compromissione dei livelli essenziali delle prestazioni) comporta che lo Stato non possa intervenire con norme di coordinamento finanziario che incidano sulla competenza regionale nella allocazione della spesa sanitaria.

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agenzia entrate guida servizi

Agenzia delle Entrate: la guida con tutti i servizi Online la nuova guida ai servizi dell'Agenzia delle Entrate che spiega come fare per ottenere rimborsi, documenti o registrare contratti

Guida “I servizi dell’Agenzia delle Entrate”

L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato online la nuova guida ai servizi, che spiega come fare, ad esempio, per richiedere un rimborso, ottenere la tessera sanitaria, consultare la propria posizione fiscale o registrare un contratto di locazione direttamente online. Si tratta, spiegano dal fisco nel comunicato stampa ufficiale, di “uno strumento che consente di individuare rapidamente il servizio da utilizzare per le proprie esigenze, anche grazie ai link diretti che rimandano all’argomento d’interesse”.

Guida “I servizi dell’Agenzia delle Entrate” – pdf

I servizi disponibili online

La nuova Guida dell’Agenzia delle Entrate ha tra le sue finalità quella di illustrare, anche con esempi pratici, “la possibilità di accedere a tanti servizi comodamente da casa, senza doversi recare fisicamente in un ufficio: ad esempio, se si deve aprire una partita Iva, pagare un F24 o chiedere una correzione dei dati catastali di un immobile”.

Restano disponibili gli appuntamenti in presenza per le questioni più complesse o per quei cittadini che possono incontrare difficoltà nell’utilizzo degli altri canali.

Le soluzioni alternative al computer

Infatti, chi ha meno dimestichezza con il computer può utilizzare i canali tradizionali: ad esempio il telefono, chiamando l’Agenzia delle Entrate ai numeri 800.90.96.96 (da rete fissa), 0697617689 (da cellulare), 0039 0645470468 (dall’estero).

Inoltre, c’è sempre la possibilità di delegare una persona di fiducia.

 

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tregua estiva inps

Tregua estiva INPS Dal 26 luglio al 31 agosto l'INPS concede una tregua estiva a datori di lavoro, autonomi e intermediari sospendendo l'invio di note di rettifica e diffide di adempimento

Inps va in “vacanza”

Tregua estiva INPS per datori di lavoro, aziende, lavoratori autonomi e intermediari. Dal 26 luglio al 31 agosto l’Istituto di previdenza sospenderà l’inoltro di note di rettifica e diffide di adempimento, eccetto i casi prossimi alla prescrizione, e delle richieste di regolarizzazione del DurcOnline, nonchè la trasmissione dei crediti all’agente della riscossione. A renderlo noto è lo stesso istituto in un comunicato stampa diffuso in questi giorni.

Cosa è sospeso

L’Inps sospende le Note di rettifica e le Diffide di adempimento Per agevolare gli adempimenti delle aziende e dei loro intermediari, dal prossimo 26 luglio e fino al 31 agosto 2024 compreso, l’Inps sospenderà, dunque, l’inoltro delle notifiche delle Note di rettifica e delle Diffide di adempimento verso tutti i soggetti contribuenti, salvo i casi in cui sia prossimo il maturare del termine di prescrizione.

Sempre nello stesso periodo saranno sospese anche le elaborazioni delle richieste verso DurcOnLine per la verifica della regolarità contributiva, ai fini della fruizione dei benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale, tramite il sistema di Dichiarazione preventiva di agevolazione (D.P.A.).

Nel medesimo periodo, inoltre, sarà sospesa la trasmissione dei crediti all’Agente della riscossione.

 

violenza donne legge 168 2023

Violenza donne: la legge n. 168/2023 Le innovazioni della L. 168/2023, il clamore suscitato dal caso Cecchettin, l'iter legislativo e la ratio della legge

Il clamore suscitato dal «caso Cecchettin» e la L. 168/2023

L’aumento esponenziale degli omicidi di genere nel nostro Paese, spesso perpetrati con modalità agghiaccianti, come nel caso di Giulia Cecchettin, che ha destato sconcerto anche per la giovane età della vittima e per l’ambiente familiare in cui è maturato il delitto, ha indotto il Parlamento ad approvare celermente e all’unanimità la L. 168/2023.

In particolare, la L. 24-11-2023, n. 168, recante Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 24-11-2023, in vigore dal 9-12-2023, impone, per la rilevanza dei temi affrontati e per le numerose disposizioni introdotte, un primo approfondimento per consentirne l’immediata e puntuale applicazione. Il provvedimento si compone di 19 articoli.

Alla luce dell’aumento esponenziale degli omicidi di genere nel nostro Paese, l’obiettivo perseguito dal Governo è quello di rendere, da una parte, più efficace la protezione preventiva, rafforzando le misure contro la reiterazione dei reati a danno delle donne e inasprendo le pene nei confronti dei recidivi; dall’altra, di ampliare la tutela, in generale, delle vittime di violenza. Riveste, infatti, particolare importanza l’attenzione verso la prevenzione della violenza sulle donne, soprattutto rispetto alla commissione dei cosiddetti «reati spia», ovvero delitti che rappresentano indicatori di una violenza di genere per evitare che possano degenerare in comportamenti più gravi.

Tra gli interventi di maggior rilievo, troviamo il rafforzamento della misura di prevenzione dell’ammonimento del Questore e di informazione alle vittime di violenza; l’applicazione delle misure di prevenzione della sorveglianza speciale e dell’obbligo di soggiorno nel Comune di residenza o di dimora, anche agli indiziati di reati legati alla violenza contro le donne e alla violenza domestica; l’introduzione di norme finalizzate a velocizzare i processi in materia di violenza di genere e domestica, l’applicazione di misura cautelare personale e la possibilità di disporre l’applicabilità del controllo tramite il cd. braccialetto elettronico.

Rivestono, inoltre, particolare interesse anche le iniziative formative in materia di contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica nonché l’introduzione di una provvisionale, ovvero una somma di denaro liquidata preventivamente a titolo di ristoro anticipato in favore delle vittime di violenza.

La legge contiene, infine, la clausola di invarianza finanziaria, per cui dall’attuazione del provvedimento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Le principali modifiche contenute nella L. 168/2023

Si riportano di seguito, in maniera sintetica, le più rilevanti innovazioni disciplinari contenute nella legge, consistenti:

  • nell’ampliamento del novero dei reati per i quali il questore può disporre l’ammonimento del presunto responsabile di violenza domestica, ricomprendendovi anche i reati che possono assumere valenza sintomatica (cosiddetti «reati spia») quali le fattispecie di violenza privata, di minaccia aggravata, di atti persecutori, di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (il cd. revenge porn), di violazione di domicilio e di danneggiamento;
  • nell’aumento, fino a 1/3, delle pene dei reati che configurano una violenza domestica, specificamente elencati, se il fatto è commesso da soggetto già ammonito;
  • nella procedibilità d’ufficio, anche per alcuni reati che oggi richiederebbero la querela, qualora il fatto che integra la fattispecie è commesso, nell’ambito di violenza domestica, da soggetto già ammonito;
  • nella facoltà riconosciuta al prefetto di adottare misure di vigilanza dinamica qualora, per fatti riconducibili a reati di violenza domestica, emerga il pericolo di reiterazione delle condotte.

Novità in materia di misure di prevenzione personali per indiziati di gravi reati

Ulteriori novità sono tese al potenziamento delle misure di prevenzione e si sostanziano in modifiche al Codice antimafia.

Tali modifiche, peraltro, estendono l’applicabilità delle misure di prevenzione personali anche ai soggetti indiziati di alcuni gravi reati che ricorrono nell’ambito dei fenomeni della violenza di genere e domestica (reati di omicidio, lesioni gravi, deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, violenza sessuale).

Tra le novità, viene ampliato l’utilizzo della misura della sorveglianza speciale con le modalità del braccialetto elettronico, rispetto al quale l’obbligo di verificare preventivamente la disponibilità degli apparati da parte della polizia giudiziaria viene sostituito con quello di accertare previamente la fattibilità tecnica.

L’applicazione del braccialetto elettronico è comunque soggetta al consenso dell’interessato; in caso di diniego, è imposta l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi.

La priorità nei processi

Ulteriore elemento di novità è da individuarsi nel fatto che la L. 24-11-2023, n. 168 amplia le fattispecie per le quali è assicurata priorità nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi.

Detta priorità (già assicurata per i casi di maltrattamenti contro familiari e conviventi, violenza sessuale e atti persecutori) è estesa alle ipotesi di:

  • violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento;
  • costrizione o induzione al matrimonio, lesioni personali aggravate;
  • deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso;
  • interruzione di gravidanza non consensuale;
  • diffusione illecita di immagini o di video sessualmente espliciti;
  • stato di incapacità procurato mediante violenza laddove ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale.

L’arresto in flagranza differita e la provvisionale anticipata

Per effetto del provvedimento in esame è stato, altresì, reso possibile l’arresto in flagranza differita nei casi di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, di maltrattamenti contro familiari e conviventi, nonché di atti persecutori.

Tra le novità della legge, infine, si segnala l’introduzione della possibilità di corrispondere in favore della vittima di violenza di genere, oppure degli aventi diritto in caso di morte della vittima, una provvisionale, vale a dire una somma di denaro liquidata dal giudice, come anticipo sull’importo integrale che le spetterà in via definitiva.

L’iter legislativo e la ratio della legge

Il provvedimento, composto da 19 articoli, è diretto soprattutto alla prevenzione per evitare che i cosiddetti «reati spia» possano poi degenerare in fatti più gravi. E infatti l’inasprimento riguarda soprattutto chi è già stato destinatario dell’ammonimento e ricade nella stessa condotta, i cosiddetti recidivi.

L’intento del Governo è quello di:

  • rendere più veloci le valutazioni preventive sui rischi che corrono le potenziali vittime di femminicidio o di reati di violenza;
  • rendere più efficaci le azioni di protezione preventiva; rafforzare le misure contro la reiterazione dei reati a danno delle donne e la recidiva;
  • migliorare la tutela complessiva delle vittime di violenza.

Per ciò che concerne l’iter legislativo, come si vedrà, caratterizzato da una rapida approvazione, il relativo disegno di legge di iniziativa governativa n. 1294, recante Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica veniva presentato alla Camera dei Deputati il 12-7-2023.

L’esame in Commissione Giustizia iniziava il 6-9-2023 e si concludeva in poco più di un mese, il 19-10-2023. La Camera approvava all’unanimità il testo il 26-10-2023.

La Commissione giustizia del Senato della Repubblica esaminava il testo nella sola seduta del 21-11-2023 e il Senato lo approvava definitivamente il giorno successivo, il 22-11-2023, con votazione unanime. Negli interventi in Commissione e in aula si segnalava l’urgenza dell’intervento: «con riguardo ai provvedimenti in materia di violenza contro le donne dimostra quanto il tema, anche alla luce dei tristi e frequenti episodi di cronaca, sia per tutte le forze politiche di priorità assoluta. Anche nel dibattito svoltosi ieri in Commissione giustizia, tutti i Commissari hanno ribadito all’unanimità l’assoluta urgenza che il Parlamento approvi il prima possibile il disegno di legge, che rappresenta una prima risposta alla drammatica escalation di femminicidi alla quale stiamo assistendo».

Il Presidente della Repubblica promulgava la legge il 24-11-2023; lo stesso giorno il testo veniva pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

La celerità dell’approvazione, le ragioni su indicate e l’unanimità della votazione costituiscono chiari elementi di cui l’interprete deve tenere conto sia nell’esame del significato delle nuove norme, sia nella concreta attuazione.

Quanto, invece, alla ratio della legge, fin dall’epigrafe, con la medesima, per la prima volta il legislatore indica espressamente il contrasto alla violenza sulle donne (e non solo alla violenza di genere o domestica), prendendo atto del contenuto e delle finalità della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e contro la violenza domestica, ratificata ai sensi della L. 77/2013. La legge in esame, finalmente, menziona direttamente la citata Convenzione.

La relazione di accompagnamento al disegno di legge di iniziativa governativa n. 1294, poi divenuto legge con alcune modifiche, indica con chiarezza l’obiettivo: «contrastare il fenomeno della violenza sulle donne e della violenza domestica, spesso declassata a semplice conflittualità, e il reiterarsi di episodi di violenza che possono degenerare in condotte più gravi, finanche in femminicidi; il disegno di legge si muove […] nel solco delle considerazioni rappresentate nella Relazione finale (Doc. XXIIbis, n. 15, della XVIII legislatura) della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio nonché su ogni forma di violenza di genere».

Conclusioni

Il contrasto alla violenza domestica ed in particolare sulla donna è – e deve restare – una priorità del Legislatore.

La violenza di genere, soprattutto in ambito domestico, come abbiamo innanzi annotato, continua a far rilevare dei dati allarmanti, nonostante la fine dell’emergenza pandemica e le novità introdotte dalla L. 69/2019 (cd. Codice Rosso). Infatti, continuano a essere tantissime le donne costrette a subire violenze di ogni genere, sia fisiche che psicologiche. Ogni condotta che mira ad annientare la donna nella sua identità e libertà, non soltanto fisicamente, ma anche nella sua dimensione psicologica, sociale e professionale, è una violenza di genere ed è su questa che si misura il grado di civiltà di una comunità. È necessaria una reazione di condanna forte e chiara. Non esiste tolleranza né giustificazione alcuna per le condotte che ledono i diritti delle donne e la consapevolezza condivisa della gravità del problema, come spesso succede nel campo dei comportamenti sociali, costituisce il presupposto indispensabile perché, davvero, si realizzi un concreto cambiamento.

A fronte di tale ineludibile esigenza, l’intervento normativo qui esaminato pone una specifica attenzione all’inasprimento del trattamento sanzionatorio e soprattutto cautelare, in linea con le esigenze pubbliche di sicurezza.

Vengono inoltre previste norme che, seppur prive di rilievo processuale, introducono una tempistica serrata nella valutazione del rilievo cautelare di vicende spesso nebulose, tempistica la cui violazione, seppur priva di alcun rilievo processuale, potrà determinare altre forme di responsabilità.

A fronte di tale esigenza securitaria, marcata invece è l’esigenza di una crescita culturale e sociale che passi dalle formazioni intermedie secondo quanto riportato nel preambolo della Convenzione di Istanbul:

  • riconoscendo che il raggiungimento dell’uguaglianza di genere de jure e de facto è un elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne;
  • riconoscendo che la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione;
  • riconoscendo la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere, e riconoscendo altresì che la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini.

La legge in questione costituisce certamente un passo in avanti per il contrasto dell’odioso fenomeno di cui trattasi. Tuttavia, come ormai riconosciuto da tutte le parti politiche, è indispensabile anche un’operazione socio-culturale, lunga e difficile, che richiede l’intervento coordinato di tutti gli attori istituzionali. In primo luogo, dovrà essere potenziata ulteriormente con adeguati finanziamenti l’attività dei Centri Antiviolenza che sono in prima linea nel contrasto a tale fenomeno.

In conclusione, il fenomeno della violenza di genere ha nel nostro Paese consolidate radici culturali e psicologiche che potranno essere estirpate o quantomeno ridotte, solo con una forte azione sinergica posta in essere da parte di tutti i settori della società civile e che deve trovare il suo fulcro nelle scuole e, quindi, nella formazione dei nostri giovani.

La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci, è una violazione dei diritti umani e dunque, come tale, si tratta di una battaglia non solo delle donne ma un impegno di tutti coloro, donne e uomini, che credono nell’eguaglianza, nei diritti della persona e nella democrazia.

Processo penale telematico: cos’è e come funziona Processo penale telematico: l’informatizzazione della giustizia penale ha fatto un salto in avanti grazie alla normativa sul deposito degli atti

Cos’è il processo penale telematico

Il processo penale telematico può essere definito molto semplicemente come un processo penale basato sulla informatizzazione delle procedure che la legge pone a carico degli Uffici Giudiziari che compongono la Giustizia Penale nel suo complesso e degli avvocati.

PPT: evoluzione normativa

Di processo penale telematico (PPT) si parla in maniera strutturata a partire dal 2009. La svolta normativa più importante però si è realizzata nel corso del 2020, per limitare gli accessi  alle cancellerie. Dopo questa fase pandemica di emergenza il processo penale telematico è diventato uno degli obiettivi più importanti della riforma Cartabia del 2022, grazie al dlgs n. 150/2022, anche per la necessità di ridurre i tempi del processo e renderlo più efficiente, come richiesto dal P.N.R.R.

Le ultime riforme del processo penale hanno avuto come comune denominatore la digitalizzazione della giustizia, progetto che nasce dalla consapevolezza del passaggio dall’analogico al digitale per rendere la giustizia penale più efficiente, trasparente, rapida e accessibile.

Tralasciando le questioni più squisitamente tecniche relative agli atti nativi digitali e al fascicolo elettronico vediamo come, al momento, funziona il deposito degli atti nel processo penale, in base al decreto ministeriale che è entrato in vigore il 1 gennaio del 2024, perché la disciplina del deposito coinvolge l’aspetto principale del processo ossia la circolazione degli atti e dei documenti.

Deposito telematico

Il DM n. 217 del 29 dicembre 2023, pubblicato sulla GU il giorno successivo ed entrato in vigore dal 14 gennaio 2024, ha stabilito le regole per il deposito degli atti processuali penali.

Il decreto, se così si può dire, è destinato agli utenti abilitati interni (magistrati, cancellieri, addetti agli uffici dell’amministrazione della Giustizia) e a quelli abilitati esterni che si distinguono in pubblici (avvocatura dello Stato, avvocature distrettuali, procuratori e dipendenti pubblici di tutti i livelli che possono intervenire nel portale depositi) e privati, ossia gli avvocati.

Il deposito degli atti ai sensi della legge può essere effettuato solo attraverso il portale dei depositi telematici a cui si può accedere con Smartcard o SPID.

Disciplina transitoria e tappe del deposito telematico

La disciplina transitoria, che sta creando non pochi problemi, anche se destinata a restare in vigore solo per il 2024, prevede la convivenza di tre sistemi di deposito:

  1. attraverso il portale telematico;
  2. il deposito a mezzo pec;
  3. il deposito cartaceo “analogico”.

Dall’entrata in vigore del DM n. 217/2023, per la fase delle indagini preliminari gli avvocati potranno depositare in modalità telematica gli atti processuali, i documenti e le memorie indirizzati alla Procura della Repubblica preso il Tribunale, alla Procura Europea, all’ufficio GEP del Tribunale o alla Procura Generale, se si tratta di atti relativi a un procedimento di avocazione delle indagini.

Per quanto riguarda le altre fasi processuali, diverse quindi dalla indagini preliminari, salvo alcune eccezioni che prevedono modalità di deposito del tutto peculiari, si potranno depositare in modalità telematica tutti gli atti processuali indirizzati alla Corte di Appello, al Tribunale ordinario, al Giudice di Pace, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale, alla Procura Europea, alla Procura Generale presso Corte di Appello.

Per i procedimenti di prevenzione, esecuzione e che riguardano rapporti con le autorità straniere è necessario procedere al deposito cartaceo o a mezzo pec.

Dal 1° gennaio 2025 dovranno essere depositati solo in modalità telematica gli atti destinati alla Procura della Repubblica presso il Tribunale, alla Procura Europea e al Tribunale.

Dal 30 giugno 2025 dovranno essere depositati in modalità telematica gli atti destinati alla Procura Generale presso la Corte d’Appello, alla Corte d’Appello, alla Procura Generale presso la Corte di Cassazione e alla Corte di Cassazione.

Dal 1° gennaio 2026 per tutti i procedimenti, in ogni loro fase, andranno depositati telematicamente gli atti destinati alla Procura delle Repubblica presso il Tribunale dei Minori, al Tribunale dei minorenni, al Tribunale di sorveglianza, gli atti relativi ai procedimenti di prevenzione, ai procedimenti di esecuzione, ai rapporti con le autorità straniere e ai procedimenti del Giudice di Pace.

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