assegno di invalidità

Assegno di invalidità: va integrato anche con sistema contributivo La Corte costituzionale ha stabilito che l’assegno di invalidità deve essere integrato al minimo anche se calcolato interamente con il metodo contributivo

Integrazione assegno di invalidità

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 94/2025, ha dichiarato illegittima la norma che esclude l’integrazione al minimo per l’assegno di invalidità liquidato con il solo sistema contributivo. La questione di legittimità era stata sollevata dalla sezione lavoro della Cassazione, che aveva denunciato la violazione degli artt. 3 e 38, II comma, Cost.

La disciplina dell’integrazione al minimo e la Riforma Dini

L’art. 1, comma 16, della l. n. 335/1995 (Riforma Dini) ha escluso l’applicazione delle norme sull’integrazione al minimo per tutti i trattamenti pensionistici calcolati con il sistema contributivo. Tuttavia, la Corte ha ricordato che l’assegno ordinario di invalidità ha sempre avuto una disciplina peculiare e più favorevole rispetto alle altre prestazioni previdenziali.

Sin dalla sua introduzione nel 1984, l’assegno è stato concepito per fronteggiare situazioni di bisogno conseguenti alla riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo. Lo stesso prevede un’integrazione finanziata con la fiscalità generale, non con i contributi dei lavoratori.

Le ragioni della particolare tutela dell’assegno di invalidità

La Corte ha evidenziato che l’assegno ordinario di invalidità risponde a esigenze specifiche:

  • può essere necessario molto prima dell’età per accedere all’assegno sociale;

  • tutela soggetti che, per l’invalidità, hanno perso la capacità di generare un montante contributivo adeguato;

  • si rivolge a situazioni di bisogno meritevoli di particolare protezione costituzionale.

In assenza dell’integrazione al minimo, il lavoratore invalido con un assegno di importo ridotto rischia di rimanere per anni privo di un sostegno economico adeguato. Ciò specialmente se non possiede altri requisiti per accedere a prestazioni assistenziali.

La violazione del principio di uguaglianza

Secondo la Consulta, assimilare l’assegno ordinario di invalidità alle pensioni contributive ordinarie e sottrarlo all’integrazione al minimo determina un’irragionevole disparità di trattamento, in violazione dell’art. 3 Cost.

Il trattamento si differenzia per finalità e modalità di finanziamento dalle altre prestazioni previdenziali e non può essere ricondotto alla logica punitiva verso chi esce anticipatamente dal lavoro senza aver maturato un’adeguata anzianità contributiva.

Decorrenza differita degli effetti della sentenza

Pur dichiarando l’illegittimità costituzionale della norma, la Corte ha stabilito che gli effetti della decisione decorreranno dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Questa scelta è stata motivata dalla necessità di evitare un improvviso e ingente aggravio finanziario per lo Stato, dovuto al riconoscimento degli arretrati per il periodo anteriore.

cram down fiscale

Cram down fiscale  Cram down fiscale: che cos’è, per quali procedure di ristrutturazione del debito è previsto e quali vantaggi presenta

Cos’è il cram down fiscale

Il cram down fiscale è un’operazione “forzata” che riguarda le procedure di negoziazione dei crediti. Questo perché l’omologazione della proposta da parte del Tribunale si verifica nonostante il voto contrario o l’inerzia dell’Erario e degli Enti previdenziali creditori. L’espressione inglese cram down significa infatti “inghiottire a forza, buttare giù”.

Nel nostro ordinamento diverse disposizioni di legge prevedono il cram down fiscale in varie procedure. Vediamole distintamente.

Cram down fiscale e legge fallimentare

La legge fallimentare (Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 2679) prevede l’omologazione forzata del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti.

Concordato preventivo  

Il riferimento normativo è l’articolo 180. In base al comma 4 di questa norma il Tribunale può omologare il concordato preventivo anche se manca l’adesione dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie. Questa possibilità si concretizza quando tale adesione è determinante per il raggiungimento delle maggioranze previste dall’articolo 177 (maggioranza dei crediti ammessi al voto. Se sono presenti diverse classi di creditori occorre la maggioranza delle classi) e anche quando sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui all’articolo 161, terzo comma, la proposta di soddisfacimento per la predetta amministrazione o enti è ritenuta più conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.

Accordi di ristrutturazione del debito

L’altra norma della legge fallimentare che si occupa di cram down fiscale è l’articolo 182 bis. Il Tribunale, una volta risolte eventuali opposizioni, ha la facoltà di omologare l’accordo di ristrutturazione anche in assenza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti previdenziali e assistenziali obbligatori. Questa possibilità si concretizza a condizione che il loro consenso sia determinante per il raggiungimento della percentuale del 60% richiesta per l’accordo. Inoltre, è necessario che la proposta di soddisfacimento destinata a tali enti pubblici sia più vantaggiosa rispetto a ciò che otterrebbero in caso di alternativa liquidatoria, valutazione basata anche sulle risultanze della relazione del professionista.

Cram down fiscale e legge sul sovraindebitamento

Il cram down fiscale è contemplato anche dalla legge n. 3/2012, che si occupa anche della composizione della crisi da sovraindebitamento.

Accordo di composizione della crisi

L’articolo 12 di questa legge, al comma 3 quater prevede che il Tribunale possa comunque approvare l’accordo di composizione della crisi, anche se l’amministrazione finanziaria non ha aderito. Questa possibilità si verifica quando il consenso dell’amministrazione è decisivo per raggiungere le percentuali di voto previste dall’articolo 11, comma 2 (60%). Inoltre, l’approvazione è concessa solo se la proposta di soddisfacimento per l’amministrazione finanziaria, valutata anche sulla base della relazione dell’organismo di composizione della crisi, risulta più vantaggiosa rispetto all’alternativa di una liquidazione.

Cram down fiscale e Codice della Crisi e dell’insolvenza

Il cram down fiscale interessa anche il concordato minore e il concordato preventivo disciplinati dal Codice della Crisi e dell’insolvenza (decreto legislativo n. 14/2019).

Concordato minore

L’articolo 80 del Codice della crisi e dell’insolvenza, al comma 3 prevede che il giudice possa omologare il concordato minore anche se l’amministrazione finanziaria o gli enti previdenziali e assistenziali obbligatori non hanno dato la loro adesione. Questa possibilità si verifica quando il loro consenso è cruciale per raggiungere la percentuale richiesta dall’articolo 79, comma 1 (maggioranza dei crediti ammessi). Un’altra condizione è che la proposta di soddisfacimento per l’amministrazione o gli enti, basandosi anche sulle specifiche risultanze della relazione dell’OCC, sia più conveniente rispetto all’alternativa della liquidazione controllata.

Concordato preventivo

Per quanto riguarda infine il concordato preventivo, l’art. 112 del Codice della crisi e dell’insolvenza al comma 2 prevede che nel concordato in continuità aziendale, qualora una o più classi di creditori non siano d’accordo con la proposta, il Tribunale possa comunque procedere all’omologazione. Questo avviene su richiesta del debitore o, se ci sono proposte concorrenti, con il suo consenso (a meno che l’impresa non superi specifici requisiti). L’omologazione è possibile a condizione che ricorrano contemporaneamente diverse condizioni.

  • Il valore di liquidazione deve essere distribuito rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione.
  • Il valore che eccede quello di liquidazione deve essere distribuito in modo che i crediti delle classi dissenzienti ricevano un trattamento complessivamente non inferiore a quello delle classi dello stesso grado e più vantaggioso rispetto a quello delle classi di grado inferiore, fatte salve specifiche disposizioni.
  • È fondamentale che nessun creditore riceva un importo superiore al proprio credito effettivo.
  • Infine, la proposta deve essere approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una di queste sia composta da creditori con diritti di prelazione. In assenza di un’approvazione a maggioranza delle classi, la proposta può essere comunque omologata se approvata da almeno una classe di creditori che riceverebbe un importo non integrale del proprio credito e che verrebbe soddisfatta, in tutto o in parte, se l’ordine delle cause legittime di prelazione fosse applicato anche sul valore eccedente quello di liquidazione.

Vantaggi del cram down fiscale

Il cram down fiscale presenta indubbi vantaggi.

  • L’impresa ha la possibilità di omologare un piano di risanamento anche senza il consenso dell’Agenzia delle Entrate o dell’INPS. Prima del “cram down”, il dissenso dell’ente pubblico, spesso titolare di crediti consistenti, poteva bloccare intere procedure di risanamento, portando l’impresa alla liquidazione.
  • Il superamento del “veto” dell’amministrazione finanziaria favorisce la continuità dell’attività d’impresa. Evitare la liquidazione significa salvaguardare posti di lavoro, know-how, asset produttivi e il valore economico complessivo dell’azienda, con ricadute positive sull’economia.
  • Sapere che il dissenso del creditore pubblico non è un ostacolo insormontabile offre maggiore certezza e incentivo agli altri creditori (banche, fornitori, ecc.) a aderire al piano di ristrutturazione, perché aumenta le probabilità di successo dell’operazione.
  • Sebbene l’amministrazione finanziaria possa non ricevere il credito per intero, il “cram down” impone che il trattamento proposto sia più conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria. Questo significa che lo Stato e gli enti previdenziali recuperano comunque una parte del credito, cosa che non avverrebbe, o avverrebbe in misura minore, in caso di fallimento o liquidazione giudiziale.

 

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benefici previdenziali

Benefici previdenziali lavoratori invalidi: guida breve Benefici previdenziali lavoratori invalidi: una breve guida sulle agevolazioni previste dal nostro ordinamento

Benefici previdenziali per i lavoratori invalidi

Il nostro ordinamento prevede diversi benefici previdenziali per i lavoratori invalidi. Queste hanno il pregio di agevolare l’ accesso alla pensione e, in alcuni casi, di fornire maggiorazioni contributive. L’obiettivo finale è di supportare i lavoratori più vulnerabili.

Pensione di vecchiaia anticipata

I lavoratori dipendenti di datori privati con un’invalidità superiore all’80% possono chiedere di accedere alla pensione di vecchiaia anticipata.

I requisiti necessari per avere diritto questa agevolazione sono:

  • età anagrafica di 61 anni (uomini) e di 56 anni (donne);
  • almeno 20 anni di contributi.

Raggiunti i requisiti, occorre attendere 12 mesi. Questa misura è riservata ai dipendenti privati con contributi al 31 dicembre 1995. L’invalidità viene valutata secondo la Legge n. 222/1984.

Benefici previdenziali lavoratori invalidi: APE sociale

L’APE Sociale è una misura prevista per quei lavoratori che si trovano in condizioni di fragilità. Questa agevolazione si può chiedere a 63 anni e 5 mesi di età, se in possesso di 30 anni di contributi, in presenza di un’invalidità pari o superiore al 74%. Le donne beneficiano anche di una riduzione di 1 anno per ogni figlio (fino a massimo di 2 anni) sul requisito contributivo.

Pensione anticipata lavoratori precoci

I lavoratori precoci (almeno 12 mesi di contributi effettivi prima dei 19 anni) possono andare in pensione con soli 41 anni di contributi se hanno un’invalidità pari o superiore al 74%.

Benefici previdenziali lavoratori invalidi: opzione donna

Tra i benefici previdenziali per i lavoratori invalidi opzione donna consente alle lavoratrici con una invalidità pari o superiore al 74% di accedere alla pensione anticipata. La misura può essere richiesta dalle donne in possesso di 35 anni di contributi e 61 anni di età, accettando un ricalcolo contributivo dell’assegno. L’età si riduce di 1 anno per figlio (max 2 anni).

Pensione di inabilità

La pensione di inabilità è prevista in favore dei lavoratori del settore privato che abbiano perso totalmente e permanentemente la capacità lavorativa. Questa agevolazione richiede il raggiungimento del requisito contributivo minimo di 5 anni (di cui 3 negli ultimi 5 anni). Questa misura è incompatibile con qualsiasi attività lavorativa.

Nel settore pubblico, l’inabilità che comporta la corresponsione della pensione prevede la dispensa dal servizio.

L’inabilità si può configurare in due diverse modalità.

  • Inabilità assoluta a qualsiasi attività lavorativa (L. 335/95): richiede 5 anni di contributi (3 nel quinquennio precedente) e l’impossibilità totale e permanente di svolgere qualsiasi lavoro.
  • Inabilità assoluta alla mansione o a proficuo lavoro riguarda l’inidoneità assoluta e permanente alla propria mansione (dopo 15/20 anni di servizio a seconda dell’ente datore) o a svolgere un lavoro proficuo (dopo 15 anni di servizio).

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Assegno ordinario di invalidità 

L’assegno ordinario di invalidità è previsto sempre per i lavoratori del settore privato con capacità lavorativa ridotta a meno di un terzo. Come previsto per la pensione di inabilità è necessario essere in possesso di almeno 5 anni di contributi (di cui 3 negli ultimi 5 anni).

Maggiorazione contributiva di 2 mesi all’anno

I lavoratori dipendenti che presentano un’ invalidità superiore al 74% o che siano sordomuti hanno diritto a 2 mesi di contribuzione figurativa per ogni anno di lavoro effettivo presso amministrazioni pubbliche o aziende private, fino a un massimo di 5 anni aggiuntivi. Questo beneficio è utile per il diritto e la misura della pensione (nel sistema retributivo), ma non per il calcolo della quota contributiva. Si applica solo ai periodi di lavoro dipendente.

responsabilità erariale

Responsabilità erariale: in vigore la legge Responsabilità erariale: in vigore la legge di conversione che ha prorogato al 31 dicembre 2025 la limitazione alle ipotesi dolose

Responsabilità erariale: in GU la legge di conversione del dl 68

E’ stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale ed è in vigore dal 5 luglio 2025 la legge n. 100/2025 di conversione del decreto legge n. 68/2025 sulla responsabilità erariale che aveva ricevuto il via libera della Camera nella giornata dell’1 luglio scorso. Il testo differisce fino alla fine del 2025 il termine previsto dal dl n. 76/2020 in materia di limitazione della responsabilità erariale, alle ipotesi dolose. In Gazzetta anche il testo coordinato del dl n. 68/2025 e della relativa legge di conversione.

Responsabilità erariale: prorogata la disciplina speciale

In particolare il decreto n. 68/2025 differisce dal 25 aprile 2025 fino al 31 dicembre 2025 il termine indicato nel co. 2 dell’art. 21 del decreto legge n. 60/2020. Si ricorda che questo decreto, emanato durante la pandemia, aveva introdotto una deroga temporanea alla disciplina della responsabilità erariale, limitandola alle ipotesi dolose.

La norma, nella formulazione contenuta nell’articolo 21. co. 2 così disponeva: “1. All’articolo 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, dopo il primo periodo è inserito il seguente: “La prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso.”. 2. Limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 30 aprile 2025, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente.”

Efficacia retroattiva della deroga

Il decreto 68/2025 prevede inoltre l’efficacia retroattiva della disciplina, stabilendo che il regime derogatorio si applichi anche ai fatti commessi tra il 30 aprile 2025 e la data di entrata in vigore del decreto stesso, ossia il 12 maggio 2025.

Responsabilità erariale: cos’è

Si ricorda in breve che la responsabilità per danno erariale si configura ogni volta che un soggetto che agisce nella sua qualità di dipendente pubblico causa un danno alla pubblica amministrazione a causa di una gestione non efficiente o attraverso un uso inadeguato delle risorse.

L’art. 1 della legge n. 241/1990, che disciplina il procedimento amministrino, prevede infatti che l’attività amministrativa debba rispettare i principi di efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza.

La competenza giurisdizionale a giudicare i casi di responsabilità erariale è di competenza esclusiva della Corte dei Conti, che svolge funzioni consultive, amministrative, di controllo, ma anche di tipo giurisdizionale in materia di contabilità pubblica.

 

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contatori congedi parentali

Contatori congedi parentali: come funziona il nuovo servizio INPS Come funziona il nuovo servizio INPS dei contatori congedi parentali che consentono ai lavoratori e ai datori di lavoro di visualizzare i periodi fruiti in tempo reale

Contatori congedi parentali INPS

L’INPS ha introdotto un innovativo servizio digitale per agevolare la gestione dei congedi parentali. Dal 1° luglio 2025 è disponibile nel portale istituzionale una funzionalità che consente di consultare i contatori dei congedi parentali, ossia strumenti che permettono di verificare con immediatezza i periodi di congedo già utilizzati e quelli ancora disponibili.

Il servizio si inserisce in un più ampio progetto di digitalizzazione delle procedure legate alla tutela della genitorialità e punta a semplificare la relazione tra cittadini, imprese e Istituto.

Come funzionano i contatori dei congedi parentali

Il sistema dei contatori è integrato nella procedura di gestione delle domande di congedo parentale. In concreto, accedendo al servizio online, ciascun utente può:

  • Verificare i periodi fruiti di congedo parentale ordinario e prolungato;

  • Controllare i giorni residui spettanti per ciascun genitore;

  • Consultare il dettaglio delle autorizzazioni rilasciate;

  • Visualizzare i periodi eventualmente richiesti, ma non ancora autorizzati.

I dati sono aggiornati in tempo reale sulla base delle informazioni presenti negli archivi INPS, garantendo così un monitoraggio puntuale sia per i lavoratori dipendenti sia per i datori di lavoro che necessitano di verificare le spettanze residue.

Come accedere ai contatori

La consultazione dei contatori può avvenire esclusivamente in modalità telematica. Per accedere al servizio è necessario autenticarsi attraverso una delle seguenti modalità:

  • SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale);

  • CIE (Carta di Identità Elettronica);

  • CNS (Carta Nazionale dei Servizi).

Una volta effettuato l’accesso, si deve selezionare la voce “Congedi Parentali – Consultazione e gestione domande” e utilizzare la nuova sezione dedicata ai contatori.

Destinatari del servizio

Il servizio è rivolto a:

  • Lavoratori dipendenti privati che fruiscono di congedi parentali e prolungamenti per figli con disabilità;

  • Datori di lavoro, consulenti del lavoro e intermediari autorizzati, che possono consultare i contatori previa delega;

  • Patronati e soggetti abilitati all’assistenza per conto dei lavoratori.

In tutti i casi, è necessario che vi sia una posizione contributiva registrata negli archivi INPS e che siano state presentate domande di congedo parentale tramite i canali telematici istituzionali.

Istruzioni operative

Il nuovo servizio è stato illustrato nel messaggio INPS n. 2078 del 30 giugno 2025, che disciplina in dettaglio modalità di accesso, contenuti informativi e caratteristiche tecniche dei contatori. Il messaggio chiarisce anche che:

  • La consultazione dei contatori ha valore informativo;

  • In caso di incongruenze, il lavoratore può chiedere aggiornamenti agli uffici INPS competenti;

  • La funzionalità riguarda i congedi parentali disciplinati dal Decreto Legislativo n. 151/2001 e successive modifiche.

Vantaggi per lavoratori e aziende

Grazie ai contatori, lavoratori e aziende possono:

  • Ridurre i tempi di gestione delle richieste;

  • Prevenire errori nella fruizione dei periodi spettanti;

  • Avere piena trasparenza sulle spettanze residue e sulla situazione contributiva.

La digitalizzazione di questi dati si inserisce nella strategia INPS di semplificazione e innovazione dei servizi a supporto della genitorialità.

contrassegno identificativo

Contrassegno identificativo monopattini: il decreto del Mit Contrassegno identificativo monopattini elettrici: il decreto del MIt del 27.06.2025 ne definisce le caratteristiche e le combinazioni alfanumeriche

Contrassegno identificativo monopattini elettrici

Nella giornata di venerdì 27 giugno 2025 il Ministero della infrastrutture ha emanato il decreto n. 210  del 27 giugno 2025  che contiene la disciplina dei contrassegni identificativi dei monopattini elettrici.

Come disposto dall’art. 1 del provvedimento, il decreto disciplina:

  • la stampa dei contrassegni affinché gli stessi siano uniformi e inalterabili, per garantire la sicurezza (Allegato A)
  • i criteri da seguire per formare le varie combinazioni di numeri e lettere dei contrassegni, affinché ogni combinazione identifichi un solo monopattino (Allegato B).

Il decreto, una volta pubblicato sulla GU, entrerà in vigore decorso il termine di 15 giorni.

Contrassegno identificativo: caratteristiche

Il contrassegno identificativo di ogni monopattino:

  • è stampato dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato;
  • è personale, nel senso che la targa identifica la persona e non il monopattino;
  • ha una forma rettangolare (50 mm x 60 mm);
  • è stampato su un supporto in plastica adesivo e non rimovibile;
  • ha lo sfondo bianco mentre i caratteri sono neri;
  • contiene l’emblema dello Stato;
  • non può essere manomesso o contraffatto;
  • deve essere posizionato sul parafango posteriore del monopattino in modo che sia visibile e permanente. In assenza del parafango, deve essere posizionato nella parte anteriore del piantone a un’altezza compresa tra i 20 cm e 1,20 m dal suolo.

La previsione della “targa” per i monopattini elettrici mira a tutelare le vittime di incidenti causati dall’uso improprio del monopattino elettrico. Il contrassegno identificativo permetterà infatti di risalire al proprietario e quindi al corresponsabile, anche nel caso in cui il monopattino sia condotto da un altro soggetto.

Combinazioni alfanumeriche dei contrassegni

Per quanto riguarda invece le combinazioni alfanumeriche, l’allegato B del decreto prevede che il contrassegno debba riportare tre lettere e tre numeri.

Prossimo passo: obbligo assicurativo

L’obbligo del contrassegno identificativo arriva dopo l’obbligo di indossare il casco a bordo del monopattino. Il prossimo passo prevede l’introduzione dell’obbligo assicurativo anche per questi mezzi a propulsione elettrica.

 

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calunnia

Calunnia: guida al reato Calunnia: definizione, caratteristiche, natura, manifestazione, elemento soggettivo, punibilità, consumazione, sanzioni e Cassazione recente

Cos’è la calunnia?

La calunnia è un reato disciplinato dall’art. 368 c.p. Si tratta nello specifico di un delitto, che rientra nella categoria dei reati contro l’amministrazione della giustizia. La funzione di questo reato è duplice: mira a prevenire l’instaurazione di procedimenti penali infondati contro persone innocenti e tutela l’onore e la libertà personale degli individui ingiustamente accusati. Per questa ragione, la calunnia è considerata un reato “plurioffensivo”.

L’articolo 368 c.p. 

” 1. Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la  reclusione da due a sei anni. 

2. La pena è aumentata se s’incolpa taluno di un reato per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un’altra pena più grave.

3. La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo.”

Caratteristiche del reato di calunnia

Il reato di calunnia presenta le seguenti caratteristiche:

1) Natura del reato di calunnia

È un reato di pericolo, questo significa che non è necessario che l’accusa falsa porti effettivamente a una condanna o all’avvio di un processo penale; è sufficiente che esista la mera possibilità che l’autorità giudiziaria agisca in base alla falsa incolpazione.

2) Modalità di manifestazione 

La calunnia può manifestarsi in due forme principali:

  • Calunnia formale (o diretta): si verifica quando un’accusa di reato, consapevole di essere falsa e rivolta a una persona che si sa innocente, viene presentata attraverso atti formali come denunce, querele, richieste o istanze. Queste devono essere indirizzate all’Autorità Giudiziaria o a un’altra autorità che ha l’obbligo di riferire a quest’ultima. Rientrano in questa categoria anche le denunce anonime o sotto falso nome.
  • Calunnia materiale (o indiretta): consiste nella simulazione di tracce di un reato. In questo caso, il colpevole crea prove materiali o indizi falsi che tendono ad implicare erroneamente un individuo innocente in un crimine che non è mai avvenuto. Le tracce simulate devono essere tali da indicare inequivocabilmente il soggetto incolpato come autore del fatto.

3) Elemento soggettivo

Per la configurazione del reato è richiesto il “dolo” specifico, ovvero la piena consapevolezza e volontà di accusare falsamente una persona che si sa essere innocente. Non è sufficiente il dolo eventuale. Come chiarito dalla Cassazione n. 27098/2024 “perché sia integrato il dolo del delitto di calunnia occorre che colui che formula la falsa accusa abbia la certezza della innocenza dell’incolpato.”

4) Condizioni di punibilità 

L’azione non è punibile se il fatto denunciato o simulato non costituisce un reato (manca di tipicità legale) o se esiste una causa di giustificazione o un’esclusione della punibilità.

Il reato tuttavia può configurarsi anche se l’autorità giudiziaria deve svolgere un’indagine minima per accertare i fatti.

5) Consumazione

Il reato si consuma quando l’autorità riceve la falsa informazione (calunnia formale) o acquisisce le tracce simulate (calunnia materiale).

Come viene punito il reato di calunnia

Le pene previste per la calunnia dipendono dalla gravità della falsa accusa e dalle sue conseguenze:

La pena base è rappresentata dalla reclusione da due a sei anni.Sono previsti degli aumenti di pena nei seguenti casi:

  • l’accusato è incolpato di un reato per il quale la legge prevede una pena massima di reclusione superiore a dieci anni o una pena più grave;
  • la falsa accusa porta a una condanna alla reclusione superiore a cinque anni, la pena in questo caso è la reclusione da quattro a dodici anni.
  • la falsa accusa comporta una condanna all’ergastolo, la reclusione in questa ipotesi varia da sei a venti anni (storicamente, se derivava una condanna a morte, si applicava l’ergastolo a seguito dell’abrogazione della pena capitale).

Giurisprudenza

Cassazione n. 16651/2025: si configura il reato di calunnia e sussiste il dolo, in quanto provato dal fatto che il denunciante ha riportato solo fatti parziali. Questa condotta evidenzia la consapevolezza di accusare la persona offesa di un’inesistente tentata estorsione, pur sapendo della sua innocenza.

Cassazione n. 27098/2024: il giudizio per calunnia è autonomo rispetto a quello che riguarda il reato ascritto al calunniato. Anche una sentenza di proscioglimento definitiva a favore dell’incolpato non preclude al giudice del processo per calunnia di rivalutare i fatti. Il giudice può quindi accertare autonomamente la falsità della denuncia del calunniatore, riesaminando gli stessi fatti già oggetto del precedente giudizio.

Cassazione n. 21632/2022: la calunnia è un reato di pericolo che si perfeziona con una condotta (falsa denuncia o simulazione di tracce di reato) idonea a generare il concreto rischio di un’indagine penale contro un innocente. Non è necessario l’effettivo avvio del procedimento, ma la falsa accusa deve contenere gli elementi sufficienti per l’azione penale e non essere manifestamente inverosimile. L’elemento soggettivo richiede la consapevolezza da parte del calunniatore di incolpare una persona innocente, esponendola al rischio di un processo. Questa consapevolezza si desume dalle circostanze concrete dell’azione.

 

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giurista risponde

Delitto di rapina e configurabilità dell’attenuante (art. 62, co. 1, n. 4, c.p.) In relazione al delitto di rapina, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 4, c.p. qual è il momento in cui deve prendersi in considerazione l’entità del danno?

Quesito con risposta a cura di Sara Frattura, Raffaella Lofrano e Maria Lavinia Violo

 

Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante in esame, il momento in cui deve prendersi in considerazione l’entità del danno è quello della consumazione del reato, in quanto il danno non può divenire di speciale tenuità in conseguenza di eventi successivi (Cass., Sez. Un., 15 novembre 2024, n. 42124 – Delitto di rapina e configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 4, c.p.).

Nel caso di specie, la Corte di Appello di L’Aquila confermava la condanna alla pena irrogata dal Tribunale di Pescara con sentenza del 6 luglio 2022 per i reati di rapina aggravata e lesioni, unificati

dal vincolo della continuazione e previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla recidiva contestata.

Il ricorso è stato assegnato alla Seconda sezione, che, con ordinanza del 5 aprile 2024, n. 16364, ne disponeva la rimessione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618, comma 1, c.p.p., rilevando l’esistenza di contrasti interpretativi sia in ordine alla determinazione del termine a comparire nel giudizio di appello a far data dal 30 dicembre 2022 (che un orientamento individua in giorni venti ed un altro in giorni quaranta), sia all’individuazione – in presenza di un fenomeno di successione di leggi (l’art. 601 c.p.p., che disciplina gli atti preliminari al giudizio di appello, è stato in parte qua novellato dall’art. 34 D.Lgs. 150/2022) – dell’atto da valorizzare in concreto ai fini dell’applicazione del principio tempus regit actum.

Per quanto di interesse, la Corte di Appello avrebbe disatteso la richiesta di riconoscere all’imputato la circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 4, c.p., osservando genericamente che il profitto del reato consistette sia in un telefono cellulare che in una catenina di argento, oggetti il cui valore sommato supera i limiti entro i quali può essere riconosciuta tale attenuante.

La motivazione fornita sul punto dalla sentenza impugnata è inficiata da un errore di diritto, pur non determinante annullamento, che va, ai sensi dell’art. 619 c.p.p., corretto.

Invero, va ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale, ai fini della configurabilità, in relazione al delitto di rapina della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità di cui all’art. 62, comma 1, n. 4, c.p., non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, occorrendo valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia. Il delitto di rapina, ancorché incluso nel Titolo XIII del Libro II del codice penale, relativo ai delitti contro il patrimonio, ha in genere natura pluri-offensiva, in quanto il danno che ne deriva non incide soltanto sulla sfera patrimoniale, ma comprende anche gli aspetti lesivi della libertà fisica o psichica della persona offesa aggredita per la realizzazione del profitto.

Ne discende che, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante in esame, non può aversi riguardo unicamente al fatto che il bene materiale sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi al bene personale dell’integrità fisica e/o psichica della parte offesa contro la quale l’agente ha indirizzato l’attività violenta o minacciosa al fine di impossessarsi della cosa. La predetta circostanza potrà essere ritenuta sussistente, sulla base di un apprezzamento riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se immune da vizi logico-giuridici, soltanto nel caso in cui la valutazione complessiva dei pregiudizi arrecati ai beni tutelati risulti di speciale tenuità.

Deve, per completezza, evidenziarsi che il riferimento all’intervenuta restituzione del telefono cellulare è, comunque, privo di rilievo.

La giurisprudenza ha, infatti, già chiarito che, ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 4, c.p., il momento in cui deve prendersi in considerazione l’entità del danno è quello della consumazione del reato, in quanto il danno non può divenire di speciale tenuità in conseguenza di eventi successivi.

 

 

(*Contributo in tema di “Delitto di rapina e configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 4, c.p. ”, a cura di Sara Frattura, Raffaella Lofrano e Maria Lavinia Violo, estratto da Obiettivo Magistrato n. 85 / Maggio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

catasto

Catasto: cos’è e a cosa serve Catasto: cos’è, a cosa serve, normativa di riferimento, categoria e classe catastale, rendita catastale e visura catastale

Catasto: che cos’è?

Il catasto è un archivio in cui sono registrate tutte le proprietà immobiliari presenti in un Comune o in una provincia, con l’indicazione dei rispettivi proprietari. Il Catasto nasce per accertare la proprietà immobiliare, evidenziarne le mutazioni e determinare le imposte.

Esso si divide in due sezioni complementari:

  • il Catasto dei Terreni, che include i terreni agricoli e inedificati;
  • il Catasto dei Fabbricati (o Catasto Edilizio Urbano), che contiene le costruzioni civili, industriali e commerciali.

Normativa di riferimento

  • Legge n. 3682/1886: istituzione del catasto terreni (abrogato dal dl n. 200/2008 convertito dalla legge n. 9/2009)
  • Regio decreto n. 652/1939: formazione catasto edilizio urbano
  • DPR n. 1142/1949: regolamento di attuazione catasto edilizio urbano
  • Decreto Legge n. 557 /1993: istituzione del catasto fabbricati
  • Dlgs n. 300/1999: istituzione Agenzia del Territorio a cui è stata affidata la gestione dei dati catastali e i servizi connessi
  • Legge n. 135/2012: incorporazione dell’Agenzia del Territorio nell’Agenzia delle Entrate

Catasto: a cosa serve?

La finalità principale del Catasto è quella censire le proprietà immobiliari, aggiornarne i cambiamenti e fornire la base per l’imposizione fiscale. La gestione di queste banche dati è affidata all’Agenzia delle Entrate (ex Agenzia del Territorio). Nel Catasto Edilizio Urbano sono registrati i dati più rilevanti per ogni unità immobiliare:

  • l’identificazione catastale (Comune, sezione, numero di mappa, particella, subalterno);
  • l’indirizzo;
  • la classe di redditività;
  • la consistenza (vani o superficie netta);
  • la rendita catastale;
  • le categorie.

Il catasto e i documenti collegati allo stesso sono inoltre fondamentali per chi è interessato ad investire nel mercato immobiliare.

Categoria catastale

La categoria catastale definisce la tipologia di un’unità immobiliare all’interno di una zona censuaria, un’area omogenea in termini di redditività e caratteristiche socio-economiche. Le categorie, codificate con lettere da A a F, differiscono per la destinazione d’uso ordinaria e permanente dell’immobile, influenzandone la rendita.

I principali gruppi di categorie sono:

  • Gruppo A: abitazioni di vario tipo (signorile, civile, economica, popolare, ville, castelli, ecc.) e uffici/studi privati.
  • Gruppo B: edifici pubblici o ad uso collettivo (collegi, ospedali, prigioni, uffici pubblici, scuole, musei).
  • Gruppo C: immobili a destinazione commerciale e magazzini (negozi, laboratori, depositi, rimesse, stabilimenti balneari).

Le categorie catastali sono fondamentali per la tassazione immobiliare, in particolare per l’IMU. Ad esempio, l’IMU sull’abitazione principale è dovuta solo se l’immobile rientra nelle categorie considerate di lusso o di pregio (A1, A8 e A9).

Classe catastale

La classe catastale, invece, esprime il grado di redditività di un immobile all’interno della stessa categoria. È un indicatore che considera vari criteri come il livello delle finiture, i servizi in dotazione, la dimensione e la posizione dei vani, la luminosità e la funzionalità degli ambienti. Una classe catastale più elevata comporta una maggiore rendita catastale. L’attribuzione della classe avviene da parte dell’Agenzia delle Entrate in seguito alla domanda di accatastamento o alla dichiarazione di nuova costruzione/variazione urbana.

Rendita Catastale

La rendita catastale è il valore economico attribuito a ciascun immobile, sia esso fabbricato o terreno, calcolato dall’Agenzia delle Entrate. Essa rappresenta il reddito annuo “potenziale” che l’immobile può generare. È un dato essenziale per il calcolo di imposte come l’IMU. Per le categorie comprese nei gruppi A, B e C, la rendita viene calcolata moltiplicando la consistenza per la tariffa unitaria specifica per Comune, zona censuaria, categoria e classe. Per le categorie D ed E, la rendita è determinata tramite stima diretta.

Catasto: la visura catastale

La visura catastale è il documento chiave che fornisce tutte le informazioni relative a un edificio o unità immobiliare. Essa consente di consultare gli atti e i documenti catastali e di acquisire dati identificativi e reddituali dei beni immobili, i dati anagrafici dei proprietari, i dati grafici (mappa catastale, planimetrie) e gli atti di aggiornamento catastale. Per le unità immobiliari urbane a destinazione ordinaria, la visura include anche la superficie catastale dell’immobile.

 

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procura alle liti

Procura alle liti in lingua straniera: valida senza traduzione Le Sezioni Unite civili hanno stabilito che la procura speciale alle liti redatta in lingua straniera è valida anche senza traduzione, poiché l’obbligo dell’italiano riguarda solo gli atti processuali

La procura alle liti in lingua straniera non è nulla

Le Sezioni Unite civili della Cassazione, con la sentenza n. 17876 del 2025, hanno chiarito un principio di grande rilievo per la tutela del diritto di difesa: la procura speciale alle liti redatta in lingua straniera e rilasciata all’estero è pienamente valida, anche se priva di traduzione in italiano e di certificazione traduttiva.

Secondo la Corte, l’obbligo di utilizzare la lingua italiana si applica esclusivamente agli atti processuali in senso stretto e non a quelli prodromici, come la procura con cui si conferiscono i poteri al difensore.

L’ambito di applicazione dell’art. 122 c.p.c.

La Cassazione ha ricordato che l’art. 122, comma 1, c.p.c., impone l’uso della lingua italiana “in tutto il processo”. Tale prescrizione riguarda però solo gli atti che si formano nel processo e per il processo: atti processuali veri e propri, come le comparse, le memorie, i ricorsi e le sentenze.

La procura alle liti, pur strettamente collegata al processo, ha natura meramente strumentale e preparatoria. Per questo motivo, non è soggetta alla regola della redazione obbligatoria in italiano.

La traduzione non è requisito di validità

Imporre la traduzione della procura come condizione di validità integrerebbe un vincolo non previsto dalla legge. La Corte ha evidenziato che un simile obbligo costituirebbe un ostacolo sproporzionato al diritto di azione in giudizio, privo di adeguata giustificazione in termini di interesse pubblico.

In linea con il principio di tassatività delle nullità, sancito dall’art. 156 c.p.c., non è possibile estendere per analogia il requisito della lingua italiana a documenti che non siano atti processuali.

Il ruolo del giudice e l’art. 123 c.p.c.

La Suprema Corte ha chiarito che, se il documento prodotto in giudizio è in lingua straniera, il giudice può applicare l’art. 123 c.p.c.: è dunque sua facoltà, e non un obbligo, disporre la nomina di un traduttore.

Il giudice può decidere di non avvalersi del traduttore se comprende il contenuto dell’atto o se non esistono contestazioni sulla traduzione eventualmente allegata.

Il caso concreto e i principi di diritto affermati

La decisione nasce da un procedimento ereditario in cui una delle parti aveva eccepito la nullità della procura speciale rilasciata negli Stati Uniti e autenticata da un notaio della Florida, proprio per l’assenza della traduzione in italiano.

La Corte di Cassazione ha respinto l’eccezione, stabilendo due principi di diritto fondamentali:

  1. La procura speciale alle liti redatta in lingua straniera e rilasciata all’estero è valida anche senza traduzione né certificazione, perché la disciplina della lingua italiana si riferisce ai soli atti processuali.

  2. Il giudice può eventualmente nominare un traduttore se necessario per comprendere il contenuto dell’atto, ma non è tenuto a farlo in assenza di contestazioni o difficoltà interpretative.