tachimetro partite iva

Tachimetro Partite Iva: cos’è e come funziona Tachimetro Partite Iva: strumento di verifica dell’affidabilità fiscale che incentiva il ricorso al concordato preventivo biennale

Tachimetro Partite Iva: cos’è

Il tachimetro Partite Iva, pensato e realizzato da Sogei e Agenzia delle Entrate, è un meccanismo di valutazione, che attribuisce un punteggio all’affidabilità fiscale del contribuente.

L’Agenzia delle Entrate, tramite il tachimetro, vuole incentivare il ricorso al concordato preventivo biennale a cui si può aderire entro il 31 ottobre 2024 e premiare le condotte virtuose dei contribuenti.

Dal punto di vista pratico il tachimetro è una funzionalità presente nel cassetto fiscale, che consente di tenere sotto controllo la propria situazione fiscale dal 20 settembre 2024.

Una volta attivato, il tachimetro mostra un indicatore che misura il rischio di evasione fiscale del singolo contribuente.

Esso tiene conto, ai fini del conteggio, delle incongruenze tra i dati che il contribuente dichiara e quelli medi del settore a cui appartiene. Il punteggio rappresenta il livello di rischio di evasione del singolo.

Riferimento normativo

Il tachimetro Partite Iva è uno degli strumenti di controllo preventivo previsti dalla legge n. 238/2021. Il fine è quello di ridurre l’evasione fiscale perché il contribuente può capire in tempo reale la propria posizione fiscale, il rischio che ne è associato e rimediare agli errori commessi.

In questo modo i controlli diventano più efficaci, il sistema fiscale più trasparente e i soggetti in regole non subiscono pressioni.

Come funziona il tachimetro Partite Iva

Il tachimetro si basa su un meccanismo di attribuzione di un punteggio che varia dal valore 0 al valore 10. Questi valori sono suddivisi in tre fasce. A ogni fascia, di colore diverso, corrisponde un grado di affidabilità diversa.

  • La fascia di colore rosso, che comprende un punteggio che varia da 0 a 5,99 corrisponde un indice di scarsa affidabilità fiscale. I contribuenti compresi in questa fascia possono migliorare il punteggio dichiarando ulteriori elementi positivi previa verifica dei dati dichiarati.
  • La fascia di colore giallo, che varia da 6 a 7,99, corrisponde a un grado di affidabilità media e suggerisce quali potrebbero essere le anomalie che precludono l’accesso ad alcuni benefici premiali. Poiché il gradi di affidabilità non è elevato è sempre consigliabile effettuare delle verifiche e correggere eventuali errori.
  • La fascia di colore verde che si riferisce a un punteggio compreso tra 8 e 10 è quella a cui appartengono i contribuenti virtuosi. Essi possono accedere a benefici premiali.

Chi conserva un punteggio basso rischia meno controlli perché non viene inserito nelle liste dei controlli.

Vantaggi del tachimetro Partite Iva

Chi adotta il tachimetro e aderisce al concordato preventivo biennale beneficia di tutta una serie di vantaggi molto interessanti:

  • esonero dalla garanzia per rimborsi Iva fino a 70.000,00 euro;
  • possibilità di optare per un imposta sostitutiva con aliquote che variano dal 10% al 15% sul reddito d’impresa o di lavoro autonomo che eccede il reddito dichiarato nel periodo di imposta 2023;
  • calcolo delle imposte sui redditi e dell’IRAP sulla base delle proposte di concordato 2024 e 2025.

Da un punto di vista più generale il tachimetro riduce la pressione fiscale nel suo complesso, realizzando nel contempo un miglioramento dei saldi di finanza pubblica grazie all’emersione di redditi non dichiarati.

 

Leggi anche: “Concordato preventivo biennale: le istruzioni del fisco

contributi cassa forense

Contributi Cassa Forense in scadenza: cosa c’è da sapere Scadono oggi 30 settembre 2024 una serie di adempimenti previdenziali per gli avvocati e i praticanti iscritti alla Cassa Forense

Contributi Cassa Forense: scadenza 30 settembre

Contributi Cassa Forense: scadono oggi 30 settembre una serie di adempimenti contributivi e previdenziali per gli avvocati e i praticanti iscritti. Lo ricorda lo stesso ente previdenziale con una nota riepilogativa.

Modello 5/2024

Per gli iscritti agli Albi Forensi nel 2023 o i praticanti iscritti alla Cassa per l’anno 2023, c’è tempo fino a 30 settembre 2024, per inviare il Modello 5.

L’invio è semplice: basta accedere alla propria area riservata sul sito della Cassa qui. Il modello si ricorda va inviato esclusivamente in via telematica.

Pagamento della 4ª rata dei contributi minimi obbligatori

La quarta rata dei contributi minimi per il 2024 è disponibile per il pagamento, nella propria area riservata. L’importo, salvo agevolazioni/riduzioni per i neo iscritti, è di euro 1.310,76 (comprensivo del contributo di maternità euro 96,76 e dell’aggiornamento istat +5,4%).

Il pagamento può essere effettuato tramite pagoPA (anche con ForenseCard) o generando il Modello F24. Per chi utilizza il modello cartaceo, potrebbero essere generati spiega la Cassa, “2 modelli F24in triplice copia (tot. 6 fogli), qualora si sia tenuti al pagamento di tutte e tre le tipologie di contributi obbligatori: soggettivo, integrativo e maternità”.

Utilizzo di crediti per compensazioni

Per chi possiede crediti nei confronti dell’Erario o per il patrocinio a spese dello Stato, è possibile sfruttare l’F24WEB telematico per compensarli, tramite accesso ai canali Entratel o Fisconline.

Sulla piattaforma PCC (per patrocinio) sono previste le due finestre temporali disponibili per esercitare opzione di compensazione: dal 1° marzo al 30 aprile e dal 1° settembre al  31 ottobre.

Assistenza

Per qualsiasi dubbio o domanda, è possibile consultare il sito www.cassaforense.it oppure contattare il Call Center al numero 06/51.43.53.40, disponibile anche via email, chat o WhatsApp.

 

Leggi le altre news della categoria Professioni

responsabilità amministrativa da reato

Responsabilità amministrativa da reato nei gruppi d’impresa Il reato commesso nell’interesse o vantaggio di una società del gruppo d’impresa determina l’integrazione della responsabilità amministrativa ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 a carico di tutte le società del gruppo d’impresa?

Gruppo d’impresa e d.lgs. n. 231/2001

Ad oggi il mercato globale preferisce alla “singola grande impresa” la costituzione di una struttura organizzativa che permetta un ampliamento dell’operatività aziendale tra più soggetti societari, ossia, il gruppo d’impresa (più società formalmente e giuridicamente autonome, soggette ad una direzione unitaria da parte di una società capogruppo o holding per il perseguimento di uno scopo comune, il c.d. interesse di gruppo).

Il decreto legislativo n. 231/2001 (“il Decreto”) si pone in un sistema normativo che parte da una valutazione monistica dell’ente e nulla dispone in merito al gruppo d’impresa. L’art. 1 del Decreto, infatti, nell’elencazione dei destinatari non menziona la realtà societaria costituita da separate soggettività.

Responsabilità amministrativa da reato

Nonostante il Decreto non preveda alcuna disposizione in merito, l’analisi della terminologia normativa utilizzata negli articoli dello stesso (ente – singolo organo societario) presuppone una negazione della diffusione automatica della responsabilità amministrativa da reato all’interno del gruppo d’impresa qualora un soggetto (di cui all’art 5 del Decreto[1]) commetta uno o più reati[2] nell’interesse o vantaggio della realtà societaria di appartenenza.

Il confine dell’imputabilità solo ad una delle società “costituenti” del gruppo d’impresa si desume dalla constatazione che a differenza della qualificazione economica di gruppo, soggetto unico atto a perseguire un fine comune, in diritto le società per quanto correlate tra loro sono individuabili come entità autonome e indipendenti, dotate di una propria soggettività giuridica.

L’estensione della responsabilità amministrativa da reato ai sensi del Decreto a più società del gruppo d’impresa sussiste solo qualora il reato sia stato commesso grazie al concorso tra più soggetti, i cui intenti per natura identici (prefigurazione di un interesse o vantaggio a favore dell’ente), si differenziano per la diversificazione dei destinatari (diverse società del gruppo d’impresa).

Non imputabilità delle società della holding

In conclusione, le “società componenti” (holding o controllate), quindi, non saranno mai imputabili solo in ragione della loro mera appartenenza al gruppo d’impresa, le stesse, infatti, al fine di godere dell’opportunità di esenzione dalla responsabilità amministrativa da reato ai sensi del Decreto sono tenute a fornire “elementi probatori” tali da dimostrare di avere adottato una politica aziendale repressiva delle condotte delittuose perseguibili nel proprio e singolare contesto societario.

Al riguardo, giova rilevare che ai sensi degli artt. 6 e 7 del Decreto uno degli “elementi probatori” tale da fornire l’opportunità di esenzione dalla responsabilità amministrativa da reato consiste nella predisposizione di un modello di organizzazione, gestione e controllo nel quale sono riportate le policies etiche ed organizzative in linea alla realtà aziendale di cui la “singola” società è protagonista.

L’adozione di un modello di organizzazione, gestione e controllo “comunitario” del gruppo d’impresa, quindi, non è una soluzione conforme alla normativa prevista dal Decreto, in quanto, la differenza di contesti, attività ed operazioni delle società del gruppo d’impresa non permetterebbe di adottare una “modalità d’azione” concretamente repressiva dei reati previsti dallo stesso.

 

[1] “L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).”

[2] Fattispecie di illecito tassativamente richiamate dagli articoli del Decreto (c.d. reati presupposto).

whistleblowing

Whistleblowing: riorganizzazione struttura come atto ritorsivo È possibile qualificare la riorganizzazione della struttura organizzativa come atto ritorsivo contro il segnalante ai sensi del d.lgs. n. 24/2023 (“Attuazione della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali”)?

La delibera ANAC

Con la delibera n. 380/2024 del 30 luglio (pubblicata il 20 settembre 2024), l’ANAC ha dichiarato ritorsivi i provvedimenti assunti dal direttore di un’agenzia pubblica nei confronti di un dirigente. Il direttore avrebbe, infatti, assunto comportamenti punitivi sul dirigente tali da impattare negativamente sulle attribuzioni e sulla posizione del dirigente. L’ANAC a seguito di istruttoria ha comminato al direttore una sanzione pecuniaria di 10.000,00 euro.

In particolare, il dirigente aveva segnalato al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza dell’agenzia, in cui egli lavorava, alcuni presunti illeciti a carico del direttore dell’ agenzia, tra cui: (i) l’attribuzione di incarichi in violazione della procedura interna dell’agenzia e (ii) un presunto conflitto di interessi consistente nel fatto che  il direttore risultava comproprietario di una società erogatrice di servizi molti dei quali assimilabili per natura a quelli forniti dall’agenzia.

Atti ritorsivi

A seguito di tale segnalazione, il dirigente aveva iniziato ad essere vittima di gravi atti ritorsivi nei suoi confronti.  Tra i più eclatanti: la rimozione della sua posizione lavorativa – avvenuta mediante disposizioni di formale riorganizzazione della struttura, adottate alcuni giorni dopo la segnalazione e proseguite nelle settimane successive – nonché una valutazione delle performance molto negativa, dopo anni di punteggi elevati.

Il dirigente aveva quindi segnalato tali condotte, in prima battuta, mediante il canale di segnalazione interna di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 24/2023[1] e, non avendo ricevuto riscontro, successivamente all’ANAC, chiedendo l’accertamento della natura ritorsiva dei comportamenti subiti.

Dirigente qualificato come whistleblower

L’ANAC, a seguito di una approfondita istruttoria, ha ritenuto che:

  • la segnalazione ricevuta integrava pienamente i presupposti normativi per qualificare il dirigente come whistleblower ai sensi del d.lgs. n. 24/2023 e, quindi, per applicare la tutela normativamente prevista;
  • il canale di segnalazione interna all’agenzia non aveva garantito la dovuta riservatezza del segnalante;
  • la rotazione del personale nelle posizioni dirigenziali – giustificazione adottata dal direttore a fondamento degli atti di riorganizzazione – era unicamente un espediente utilizzato per danneggiare il segnalante;
  • nelle memorie presentate dal direttore non era stata indicata alcuna prova a discarico.

La nuova disciplina del D.Lgs. 24/2023

L’importanza della delibera ANAC si nota in particolare con riferimento a due profili che sono estrinsecazione dell’applicazione della nuova disciplina di cui al d.lgs. n. 24/2023:

  • L’ANAC ha infatti sanzionato direttamente l’autore della ritorsione (ossia il direttore dell’agenzia), con applicazione di una sanzione pecuniaria, in considerazione dell’uso distorto della funzione da lui esercitata;
  • nonostante il caso oggetto di decisione sia relativo a una disposizione previgente (articolo 54-bis, del Dlgs 165/2001, oggi abrogato), le relative previsioni sono state incorporate ed estese nell’articolo 21 del d.lgs. n.24/2023. Restano pienamente attuali i parametri in base ai quali è stata applicata dall’ANAC la tutela del segnalante contro gli atti ritorsivi nel rapporto di lavoro, così come la sanzione contro l’autore della ritorsione.

Il d.lgs. n. 24/2023, infatti, prevede espressamente che i lavoratori del settore pubblico e privato possono comunicare all’ANAC le ritorsioni che ritengono di aver subito (articolo 19, primo comma), con apertura dell’istruttoria (rispetto alla quale l’ANAC può avvalersi dell’Ispettorato della funzione pubblica e dell’Ispettorato nazionale del lavoro). Inoltre, se viene accertata la natura ritorsiva di una condotta nei confronti del segnalante, i relativi atti sono affetti da nullità (articolo 19, terzo comma) e l’ANAC può applicare una sanzione pecuniaria sino a 50.000 euro direttamente a carico del responsabile della ritorsione (articolo 21, numero 1, lettera a).

Riorganizzazione struttura vale come atto ritorsivo

In conclusione, alla luce della nuova delibera ANAC è stato stabilito che la riorganizzazione della struttura organizzativa può essere considerata come un atto ritorsivo nei confronti del segnalante se e quando sia utilizzata come mero espediente per danneggiare lo stesso e la misura di riorganizzazione sia stata attuata “per mere ragioni di opportunità” da parte del soggetto agente.

 

[1] Giova rilevare che il canale di segnalazione interna affinché sia conforme alle esigenze imposte dal d.lgs. n. 24/2023 deve prevedere strumenti di trasmissione-ricezione delle segnalazioni che garantiscano, anche attraverso il ricorso alla crittografia, la riservatezza (i) dell’identità della persona segnalante, (ii) della persona coinvolta, (iii) della persona comunque menzionata nella segnalazione, (iv) del contenuto della stessa e (v) della relativa documentazione. La gestione di siffatto canale deve essere affidata una persona o a un ufficio interno autonomo con personale specificamente formato ovvero a un soggetto esterno che si dimostri, parimenti, autonomo e dotato di risorse formate da impiegare nel processo.

aiga

Riforma laurea giurisprudenza: le proposte di Aiga L'Associazione dei Giovani Avvocati ha presentato al ministero dell'Università le proposte di riforma del percorso universitario in giurisprudenza

Inserire come insegnamenti essenziali, nel corso di Giurisprudenza, corsi di scrittura e informatica giuridica, redazione di contratti, legal english, nonché l’insegnamento di materie che vadano sempre più incontro alla domanda dei servizi legali (IA, Privacy, Smart Contracts), con la possibilità per gli studenti di svolgere tirocini curriculari all’interno di studi legali. Queste le proposte di riforma che l’Associazione Italiana Giovani Avvocati (Aiga), guida dal presidente nazionale Carlo Foglieni, ha presentato ha presentato nei giorni scorsi al capo di gabinetto del ministro dell’Università, Marcello Panucci.

Si tratta di proposte che mirano a rendere il percorso universitario più “professionalizzante”, che guardi a un mondo del lavoro in continua evoluzione.

All’incontro, la delegazione AIGA era composta, oltre che dal presidente Foglieni, da Roberto Scotti, componente della Giunta Nazionale coordinatore della consulta praticanti, Giulia Pesce e Marco Mancini, rispettivamente coordinatori dei Dipartimenti accesso alla professione e rapporti con Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR).

L’incontro, ha concluso Foglieni “segna l’inizio di un percorso di confronto e collaborazione tra AIGA e Ministero dell’Università, con l’obiettivo di modernizzare e potenziare il ciclo di studi in giurisprudenza, allineandolo alle richieste del mercato e garantendo ai futuri avvocati una preparazione più al passo con i tempi”.

decreto omnibus

Decreto Omnibus: lotta al pezzotto e stretta contro le VPN Decreto Omnibus: per la lotta alla pirateria che danneggia il mondo del calcio due emendamenti intervengono contro le VPN

Pezzotto: gli interventi contro la pirateria

Decreto omnibus contro le VPN. Continua la lotta alla pirateria dopo il pezzotto, oggetto di diversi interventi per tutelare il mondo del calcio. La misura adottata più di recente è rappresentata dalla “Piracy Shield”. Si tratta della piattaforma che gestisce automaticamente le segnalazioni che seguono l’ordine cautelare dell’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni.

Un protocollo siglato da Agcom, la Guardia di Finanza e la Procura di Roma prevede invece l’identificazione e la possibilità di sanzionare gli utilizzatori del decoder che riescono ad accedere illegalmente ai contenuti delle Tv a pagamento. Ci sono però altre novità in arrivo sulla lotta alla pirateria.

Decreto omnibus: stretta anche per le VPN

Presso il Senato della Repubblica è in fase di conversione in legge il decreto omnibus n. 113/2024. Al momento il testo è in corso di esame in commissione dal 26 settembre 2024. In questa sede i senatori Damiani (Forza Italia) Loris e Zedda (entrambi di Fratelli d’Italia) hanno presentato due emendamenti, dichiarati inizialmente inammissibili.

Decreto omnibus: reclusione per omessa o tardiva segnalazione

L’emendamento 6.0.36  interviene sul testo di legge n. 633/1941. Dopo l’articolo 174 quinques l’emendamento aggiungerebbe l’articolo 174 sexies. La nuova norma impone in sostanza ai provider di segnalare alle autorità competenti gli illeciti, ma anche i casi in cui vi sia il dubbio di ritrasmissione illecita di contenuti, disponendo la pena della reclusione fino a un anno se la segnalazione viene omessa o effettuata con ritardo.

Piracy Shield per VPN e DNS

L’emendamento 6.0.35 interviene invece sulla formulazione letterale dell’articolo 2 della legge n. 93/2023 che contiene le disposizioni sulla prevenzione e repressione della diffusione illecita di contenuti tutelati dal diritto d’autore tramite le reti di comunicazione elettronica.

Come cambierebbe la norma

Sulla base delle modifiche proposte (evidenziate in grassetto) le disposizioni interessate dalla modifica contenute nell’articolo 2 assumerebbero il seguente tenore:

1. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, di seguito denominata «Autorità», con proprio provvedimento, ordina ai prestatori di servizi, compresi i prestatori di accesso alla rete, di disabilitare l’accesso a contenuti diffusi abusivamente mediante il blocco della risoluzione DNS dei nomi di dominio e il blocco dell’instradamento del traffico di rete verso gli indirizzi IP prevalentemente destinati ad attività illecite.”

“3. con provvedimento cautelare adottato con procedimento abbreviato senza contraddittorio, l’Autorità ordina ai prestatori di servizi, compresi i prestatori di servizi di accesso alla rete, e i fornitori di servizi di VPN e quelli di DNS alternativi, ovunque residenti ed ovunque localizzati (…)”

… LAutorità, con proprio regolamento, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, disciplina il procedimento cautelare abbreviato di cui al presente comma, assicurandone la necessaria tempestività e garantendo strumenti di reclamo al soggetto destinatario del provvedimento  “garantendo altresì ad ogni soggetto che dimostri di possedere un interesse qualificato la possibilità di chiedere la revoca dei provvedimenti di inibizione all’accesso, per documentata carenza dei requisiti di legge, anche sopravvenuta.

“5. Il provvedimento di disabilitazione di cui al comma 1 è notificato immediatamente dall’Autorità ai prestatori di servizi di accesso alla rete, compresi i fornitori di servizi di VPN e a quelli di DNS alternativi, ovunque residenti ed ovunque localizzati …

“I soggetti gestori di motori di ricerca e i fornitori di servizi della società dell’informazione, nel caso in cui non siano coinvolti nell’accessibilità del sito web o dei servizi illegali, provvedono comunque entro il medesimo termine massimo di 30 minuti dalla notificazione del provvedimento di disabilitazione, ad adottare tutte le misure tecniche utili ad ostacolare la visibilità dei contenuti illeciti…”

Questo emendamento prevede in sostanza che i VPN e i DNS dovranno recepire i blocchi della Piracy Shield.

Limiti quantitativi di IP e FQDN: stop dopo il 1° anno

All’articolo 2 l’emendamento aggiunge inoltre il nuovo comma 8: L’Autorità, limitatamente al primo anno di funzionamento della piattaforma, può fissare limiti quantitativi massimi di IP ed FQDN che possono essere oggetto di blocco contemporaneamente. Decorso il primo anno di operatività della piattaforma nessun limite quantitativo è consentito”.

Il nuovo comma 8 prevede in pratica l’eliminazione del limite di IP da bloccare dopo il primo anno di funzionamento della piattaforma.

 

Leggi anche: Decreto Omnibus in vigore dal 10 agosto

L’assoluzione penale non esclude il risarcimento La Cassazione conferma la linea rigorosa: l’assoluzione nel giudizio penale non esclude il risarcimento del danno in ambito civile

Responsabilità penale, civile e risarcitoria

La Cassazione, con la sentenza del 19 settembre 2024 n. 25200, si è pronunziata sulla vicenda di un ragazzo deceduto per folgorazione a causa di un lampione della rete pubblica che presentava dei fili scoperti su cui si era appoggiato per andare a recuperare un pallone da calcio.

Al di là della triste vicenda, si pone il problema non solo della responsabilità penale, ma anche di quella civile e risarcitoria ex art. 2051 cod. civ.  da ripartire tra diversi responsabili (Comune/direttore dell’ufficio tecnico; direttore dei lavori della ditta esecutrice dell’impianto; ditta incaricata della manutenzione) e del rapporto tra responsabilità civile e penale.

Assoluzione penale

In relazione a tali fatti, sul fronte penale per omicidio colposo, vi sono stati tre procedimenti: uno nei confronti del responsabile dell’ufficio tecnico del Comune, un altro nei confronti del direttore dei lavori titolare della ditta esecutrice dell’impianto di illuminazione che serviva il piazzale ed un terzo nei confronti della ditta con cui il Comune aveva stipulato una convenzione avente ad oggetto la manutenzione degli impianti di illuminazione siti sul territorio comunale. I primi due procedimenti si concludevano con pronuncia assolutoria, mentre il terzo per condanna per omicidio colposo.

Responsabilità ex art. 2051 c.c.

Sul fronte civile, invece, la questione principale riguarda l’individuazione della responsabilità ex art. 2051 cod. civ. del Comune, anche in relazione all’eventuale giudicato penale di assoluzione.

Giova rilevare che è ammissibile intentare un giudizio civile anche in caso di sentenza di assoluzione in materia penale: l’assoluzione dell’imputato non preclude la possibilità di pervenire, nel giudizio di risarcimento dei danni, a sentenza di condanna. Ciò anche in considerazione del diverso atteggiarsi sia dell’elemento della colpa che delle modalità di accertamento del nesso di causalità materiale, in ambito civile.

Invero, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione “perché il fatto non sussiste” implica che nessuno degli elementi integrativi della fattispecie criminosa sia stato provato e, entro questi limiti, esplica efficacia di giudicato nel giudizio civile, sempre che la parte nei cui confronti l’imputato intende farla valere si sia costituita, quale parte civile, nel processo penale.

Nel caso di specie, nel processo penale il Comune, citato come responsabile civile, era chiamato a rispondere del fatto penalmente illecito contestato al funzionario, mentre nel processo civile il Comune è stato chiamato a rispondere per il fatto proprio in relazione alla custodia di un bene di proprietà comunale.

La colpa dei singoli dipendenti del Comune è irrilevante ai fini del titolo di responsabilità di quest’ultimo, la quale è pressoché obiettiva e prescinde dalle condotte negligenti dei singoli.

Inoltre, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. non è sufficiente – ed è anzi del tutto irrilevante – la dimostrazione dell’assenza di colpa da parte del custode, ma si richiede la prova positiva della causa esterna (fatto materiale, fatto del terzo, fatto dello stesso danneggiato) che – quanto ai fatti materiali e del terzo, per imprevedibilità, eccezionalità, inevitabilità, nonché, quanto a quelli del danneggiato, per anche sola sua colpa – sia completamente estranea alla sfera di controllo del custode, restando così a carico di quest’ultimo anche il danno derivante da causa rimasta ignota.

Esclusione della responsabilità

Quanto alla responsabilità civile del Comune, la responsabilità del custode può essere esclusa:

  1. dalla prova del caso fortuito (che appartiene alla categoria dei fatti giuridici), senza intermediazione di alcun elemento soggettivo;
  2. dalla dimostrazione della rilevanza causale, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno delle condotte del danneggiato o di un terzo, caratterizzate, rispettivamente la prima dalla colpa ex 1227 cod. civ. (bastando la colpa del leso) o la seconda dalle oggettive imprevedibilità e non prevedibilità rispetto all’evento pregiudizievole.

Nesso causale tra cosa in custodia ed evento

Ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., il Comune è custode dell’immobile e dei suoi impianti fissi e come tale responsabile oggettivamente.

Ai fini della configurabilità di responsabilità, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa e senza che rilevi a riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza.

Responsabilità del custode: confermata la linea rigorosa

La sentenza si inserisce nel solco della giurisprudenza consolidata in materia di responsabilità da cose in custodia, confermando l’orientamento rigoroso nei confronti degli enti pubblici.

La decisione sottolinea l’importanza della manutenzione degli impianti pubblici e la necessità per i Comuni di adottare misure preventive adeguate. Il fatto che il lampione fosse privo di corpo illuminante e in condizioni fatiscenti evidenzia una grave carenza nella manutenzione, che ha portato alla tragica conseguenza.

In conclusione, la sentenza non solo sancisce che è ammissibile, nonostante una sentenza di assoluzione in ambito penale,  essere condannati al risarcimento dei danni in ambito civile ma questa decisione della Cassazione rafforza la posizione dei cittadini nei confronti degli enti pubblici, imponendo a questi ultimi un elevato standard di diligenza nella gestione e manutenzione dei beni di loro proprietà.

bonus mamma

Bonus mamma: com’è e come sarà Bonus mamma: fino al 2026 esonero totale dei contributi per mamme con tre figli, fino al 31 dicembre 2024 per mamme con due figli

Bonus mamma: esonero contributivo totale

Il bonus mamma è un beneficio contributivo che la legge di bilancio 2024 n. 213/2023  ha previsto per favorire la natalità e il lavoro femminile.

Il comma 180 dell’articolo 1 prevede che per i periodi di paga compresi tra il 1° gennaio 2024 fino al 31 dicembre 2026, alle lavoratrici madri di tre o più figli, che hanno un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato (escluso quello domestico) spetti un esonero contributivo del 100%.

L’esonero riguarda la quota dei contributi dovuti per invalidità, vecchiaia e superstiti, che sono a carico del lavoratore fino al compimento del 18° anno di età del figlio più piccolo.

Limite annuo dell’esonero contributivo

Il limite annuo dell’esonero è fissato in 3000 euro. L’importo va comunque riparametrato su base mensile.

Facendo un rapido calcolo, e quindi dividendo l’importo annuo di 3000 euro per 12 mensilità l’importo mensile massimo di esonero contributivo è di 250,00 euro.

Esonero in via sperimentale per le mamme con due figli

Il comma 181 dell’art. 1 della legge di bilancio 2024 prevede inoltre, in via sperimentale, in relazione ai periodi di paga compresi tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2024, l’esonero contributivo totale anche per le lavoratrici madri di due figli e con un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato fino al compimento del 10° anno di vita dei figlio più piccolo. Da questo esonero sono esclusi però i rapporti di lavoro domestico.

Esonero contributivo: come fare?

Con la circolare n. 27 del 31 gennaio 2024 l’INPS ha fornito le istruzioni sugli aspetti pratici della misura. Il documento dispone che le lavoratrici in possesso dei requisiti richiesti per ottenere l’esonero possano comunicare al loro datore di lavoro la volontà di avvalersene. A tal fine devono comunicare il numero dei figli e per ciascuno di essi il codice fiscale. I datori di lavoro possono quindi esporre nelle denunce retributive l’esonero spettante alla lavoratrice.

In alternativa, la lavoratrice potrà comunicare direttamente all’INPS il numero dei figli e i codici fiscali di ciascuno, compilando un applicativo dedicato.

Il messaggio INPS del 6 maggio 2024 n. 1702 ha infatti comunicato il rilascio dell’applicazione denominata “Utility esonero lavoratrici madri” il cui utilizzo è limitato alle lavoratrici fruitrici del bonus i cui figli non abbiano i codici fiscali inseriti nel flusso Uniemens.

Bonus mamma: compatibilità con esoneri a carico del datore

Poiché il bonus mamma va a sgravare la lavoratrice dal pagamento dei contributi dovuti per la sua quota, esso è compatibile con gli esoneri contributivi previsti per i datori di lavoro.

Il bonus mamma è alternativo però all’esonero sulla quota dei contributi previdenziali dovuti per invalidità, vecchiaia e superstiti, ossia sulla quota IVS, che sono sempre a carico del lavoratore, come previsto dal comma 15 dell’art. 1 della legge di bilancio 2024.

Bonus mamme: come sarà nel 2025?

Il bonus che la legge di bilancio ha previsto in via sperimentale per il 2024 in favore delle madri lavoratrici con due figli potrebbe non essere riconfermato nel 2025.

Non correrebbero rischi invece le mamme lavoratrici con tre figli perché in questo caso la misura è stata confermata fino al 2026.

 

 

Leggi anche: “Bonus assunzioni donne vittime di violenza

guida in stato di ebbrezza

Guida in stato di ebbrezza: no a sospensione patente per 2 anni La Cassazione ribadisce che il reato di guida in stato di ebbrezza non determina l'automatica sospensione della patente per due anni

Reato di guida in stato di ebbrezza

La guida in stato di ebbrezza non determina l’automatica sospensione della patente per due anni. Questo quanto si ricava dalla sentenza n. 22041/2024 della quarta sezione penale della Cassazione.

La vicenda

Nella vicenda, il G.I.P. del Tribunale di Gela applicava sull’accordo delle parti la pena di un mese e dieci giorni di arresto oltre a 800 euro di ammenda, sostituiti con lavoro di pubblica utilità a un imputato per il reato di cui all’art. 186, commi 2, lett. b) e 2-sexies, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, per avere condotto un’autovettura, di proprietà altrui, in stato di ebbrezza alcolica determinato dall’uso di sostanze alcoliche, con valori di tasso alcolemico rilevati di 1,60 g/l e 1,26 g/l, in fascia oraria compresa tra le ore 22.00 e le ore 07.00.
Il G.I.P. ha, altresì, applicato all’imputato la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo di due anni, sospendendone l’efficacia sino all’esito dello svolgimento del lavoro di pubblica utilità.

Il ricorso

Avverso tale sentenza l’uomo proponeva ricorso per cassazione, lamentando inosservanza ed erronea applicazione di legge processuale con riferimento alla durata della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, irrogata senza tener conto di quanto convenuto dalle parti ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.
Queste ultime, infatti, si erano accordate per l’applicazione della sospensione della patente di guida per un anno, mentre, invece, essa era stata poi disposta per un periodo doppio, in tal maniera ledendo la norma dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., sotto il profilo della ricorrenza di un difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
Con la seconda censura, il ricorrente eccepiva inosservanza ed erronea applicazione di legge processuale con riferimento al disposto raddoppio della durata della sanzione amministrativa accessoria applicata, a suo dire non effettuabile nel caso di specie, considerato che il veicolo condotto dall’imputato non sarebbe appartenuto a terze persone – come invece ritenuto dal giudice di merito – e che la possibilità di estendere la durata della sospensione della patente di guida a due anni, in conseguenza del raddoppio, riguarderebbe la sola ipotesi prevista dall’art. 186, comma 2 lett. c), cod. strada, e non già, invece, il contestato reato di cui all’art. 186, comma 2 lett. b), cod. strada.

La decisione

Per gli Ermellini, il ricorso è fondato e la sentenza impugnata va annullata “limitatamente alla durata della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, rinviando sul punto al Tribunale di Gela”.
Deve, infatti, essere osservato, con valenza assorbente rispetto a ogni ulteriore profilo di censura dedotto, come le parti si fossero accordate per l’applicazione della pena, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., in ordine al reato di cui all’art. 186, comma 2lett. b), cod. strada.

Con riferimento a tale fattispecie, pertanto, scrivono dalla S.C. “il G.I.P. del Tribunale di Gela ha disposto la conseguente applicazione della pena in modo palesemente distonico ed erroneo, invece, al momento della determinazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, il decidente ha fatto riferimento alla diversa, e più grave, ipotesi disciplinata dall’art. 186, comma 2 lett. c), cod. strada, espressamente prevedendo l’applicazione all’imputato della sospensione della patente di guida per due anni, e cioè in una misura corrispondente al minimo previsto dall’indicata norma, poi raddoppiato nella sua durata in ragione del fatto che «il veicolo condotto dall’imputato si apparteneva a terzi soggetti»”.

 

Leggi le altre notizie di penale

Allegati

ddl valditara

Ddl Valditara: le nuove misure per la scuola Ddl Valditara: voto numerico in condotta per studenti delle scuole medie e superiori, lo studente che ha 5 in condotta viene bocciato

Ddl Valditara: voto numerico in condotta, bocciato chi ha 5

La Camera, nella giornata di mercoledì 25 settembre 2024, ha approvato definitivamente il Ddl del Ministro Valditara n. 1830. Il testo, che ha ricevuto 154 voti favorevoli, 97 contrari e 7 astenuti, prevede novità molto importanti. Il ddl, che diventa legge dello Stato, mira a responsabilizzare gli studenti, ma anche a tutelare e restituire autorevolezza al personale scolastico. Chi riceve un 5 in condotta viene bocciato. Il comportamento torna infatti a essere valutato con i numeri. Chi aggredisce chi lavora nelle scuole viene multato.

Vediamo più in dettaglio cosa prevede il testo.

Voto numerico per la condotta dello studente

Dall’anno scolastico in corso 2024/2025, il voto per la condotta dello studente torna a essere numerico nelle scuole medie e superiori. Le elementari sono escluse. Per i più piccoli le valutazioni dovranno essere effettuate con giudizi sintetici. Un’ ordinanza del Ministero dell’istruzione definirà le modalità di valutazione.

I ragazzi delle scuole medie e superiori che non avranno almeno 6 in condotta verranno bocciati.

Nelle scuole superiori inoltre, se lo studente ha 6 in condotta, avrà un debito formativo e dovrà presentare un elaborato in materia di educazione civica che dovrà esporre nel corso di un colloquio. Qualora non ottenga la sufficienza lo studente non potrà frequentare l’anno successivo del percorso scolastico.

Voto: importante per il percorso e la maturità

Per i ragazzi delle scuole superiori il voto in condotta diventa molto importante durante il percorso  scolastico, per essere ammessi di anno in anno a quello successivo, ma anche per l’esame di maturità. Lo studente o la studentessa che non avranno 9 o il voto massimo in condotta non potranno ottenere il voto più alto alla maturità.

Durata e conseguenze della sospensione

La sospensione dalla scuola come conseguenza di comportamenti violenti comporterà l’obbligo di svolgere attività di recupero.

Qualora la sospensione dalla scuola superi i 2 giorni lo studente dovrà svolgere attività di cittadinanza solidale all’interno di enti convenzionati aderenti al progetto, come ospedali e case di riposo.

Multe per chi aggredisce il personale scolastico

Per contrastare il fenomeno della violenza degli studenti sui docenti e sul personale della scuola il Ddl Valditara introduce multe salate in caso di aggressione. Le sanzioni pecuniarie saranno applicate nella misura minima di 500 euro fino all’importo massimo di 10.000 euro se lo studente o la studentessa saranno condannati con sentenza per reati commessi ai danni del personale dirigente, docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario.

Il denaro versato a titolo di risarcimento del danno all’immagine della scuola sarà destinato all’istituto scolastico per acquistare materiale didattico.

Sezioni a metodo didattico differenziato

L’articolo 2 del testo consente invece alle sezioni delle scuole dell’infanzia e primarie che abbiano applicato il metodo didattico Montessori fino a oggi, di applicarlo in modo stabile.

A partire dall’anno scolastico 2025/2026 è prevista la possibilità, per le scuole del primo ciclo, di attivare classi di scuola secondaria di primo grado nelle quali adottare il Metodo Montessori. L’istituzione di queste classi è subordinata all’autorizzazione del dirigente scolastico e deve avvenire nei limiti delle risorse, dell’organico e degli strumenti a disposizione.

Il Ministero può inoltre autorizzare corsi annuali di differenziazione didattica con  il metodo Agazzi per le scuole dell’infanzia e con il metodo Pizzigoni per le scuole primarie presso unità ed enti formativi.

 

Leggi anche: Educazione civica a scuola: le nuove linee guida