gratuito patrocinio

Gratuito patrocinio anche per lo straniero senza codice fiscale Il gratuito patrocinio spetta all’extracomunitario privo di codice fiscale Italiano se fornisce i propri dati anagrafici

Gratuito patrocinio: spetta anche allo straniero privo di codice fiscale

Il gratuito patrocinio è previsto per il cittadino extracomunitario non residente anche se non possiede il codice fiscale italiano. E’ infatti sufficiente che costui fornisca i propri dati anagrafici e dichiari il suo domicilio estero. Lo ha precisato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 38751/2024.

Rigetto istanza patrocinio gratuito: codice fiscale mancante

Il Giudice unico del Tribunale di Milano rigetta la richiesta di ammissione al gratuito patrocinio avanzata da un cittadino extracomunitario. Il Giudice ha rilevato la mancata indicazione del codice fiscale. Quello fornito era stato ricavato infatti da un applicativo e il difensore non ha depositato la documentazione richiesta a integrazione. Il richiedente contesta la decisione al Tribunale, che però la rigetta. Il richiedente non ha fornito il codice fiscale e non ha indicato il suo domicilio fiscale stabile in Italia. In questo modo è impossibile controllare la sua situazione reddituale, presupposto fondamentale per l’ammissione al patrocinio gratuito.

Dati anagrafici e domicilio fiscale sostituiscono il codice fiscale

L’istante nel ricorre in Cassazione sostiene che per i soggetti che non risiedono nel territorio dello Stato l’obbligo di indicare il codice fiscale deve intendersi adempiuto con l’indicazione dei dati  anagrafici e del domicilio o sede legale all’estero. Dati che lo stesso ha fornito mediante autocertificazione.

Patrocinio per l’extracomunitario se fornisce i dati anagrafici

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso perché fondato.

L’articolo 6 comma 2 del d.p.r. n. 605/1973 dispone che lobbligo di indicazione del numero di codice fiscale dei soggetti non residenti nel territorio dello Stato, cui tale codice non risulti attribuito, si intende adempiuto con l’indicazione dei dati di cui allart. 4 dello stesso d.p.r. con leccezione del domicilio fiscale, in luogo del quale va indicato il domicilio o sede legale allestero.” 

Il richiamato art. 4 richiede, per l’attribuzione del numero di codice fiscale delle persone fisiche il cognome, il nome, il luogo e la data di nascita, il sesso e il domicilio fiscale.

Nel caso di specie il ricorrente ha dichiarato di non possedere il codice fiscale, ma di aver indicato i dati anagrafici e il proprio domicilio fiscale all’estero. Dalle norme analizzate non emerge l’onere per il cittadino straniero non residente di procurarsi un codice fiscale italiano per provare la richiesta di ammissione al patrocinio gratuito, fermo restando l’obbligo di allegare il reddito prodotto, risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi presentata nel paese di residenza.

 

Leggi anche questo precedente della. Cassazione: Gratuito patrocinio stranieri anche senza codice fiscale italiano

Allegati

affitti brevi

Affitti brevi: obbligo CIN prorogato al 2025 Il ministero del Turismo ha comunicato la proroga al 1° gennaio 2025 dell'obbligo di munirsi del Codice identificativo nazionale (CIN) per locazioni brevi e turistiche

Obbligo CIN prorogato al 1° gennaio 2025

L’obbligo di munirsi del Codice Identificativo Nazionale (CIN) per le locazioni brevi e turistiche, di cui all’art. 13-ter del Dl n. 145/2023 (convertito dalla l. n. 191/2023), è stato posticipato al 1° gennaio 2025. Lo ha reso noto il ministero del Turismo con un avviso pubblicato sul proprio sito il 22 ottobre 2024. 

Le ragioni della proroga

“In considerazione della precipua finalità della Banca Dati delle Strutture Ricettive (BDSR), volta in particolare ad assicurare la tutela della concorrenza e della trasparenza del mercato, la sicurezza del territorio e il contrasto a forme irregolari di ospitalità e visto l’obiettivo di garantire sia il buon funzionamento dell’innovativo sistema di interoperabilità tra banche dati, sia l’affidabilità e la sicurezza dei portali telematici sui quali vengono pubblicati gli annunci, è emersa l’opportunità di uniformare il termine entro cui i soggetti interessati hanno l’obbligo di munirsi del CIN che deve, pertanto, intendersi fissato nella data del 1° gennaio 2025, pena l’applicazione delle sanzioni previste dalla citata norma” si legge nell’avviso.
Non solo, l’individuazione di un termine unico è finalizzata altresì “a garantire uniformità di trattamento nei confronti degli utenti finali della BDSR, ovverosia i titolari di strutture ricettive e di unità immobiliari ad uso abitativo offerti in locazione tenuti all’acquisizione del CIN”.
L’uniformità del termine consente, inoltre, “di agevolare le attività proprie dei gestori dei portali telematici, anche nell’ottica di un coordinamento, sin da ora, con le previsioni del recente Regolamento (UE) 2024/1028 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 aprile 2024 relativo alla raccolta e alla condivisione dei dati riguardanti i servizi di locazione di alloggi a breve termine”.
In definitiva, conclude il dicastero, “il termine per il conseguimento del CIN deve intendersi fissato al 1° gennaio 2025, in modo da soddisfare le suesposte esigenze e garantire, peraltro, piena uniformità di applicazione della disciplina su tutto il territorio nazionale”.
decreto paesi sicuri

Decreto Paesi sicuri In vigore dal 24 ottobre il decreto legge in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale

Decreto Paesi sicuri

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale e in vigore dal 24 ottobre 2024, il cd decreto Paesi sicuri, approvato dal Governo il 21 ottobre scorso, che modifica le procedure per il riconoscimento della protezione internazionale.

Il decreto legge n. 158/2024 (pubblicato in GU il 23 ottobre e in vigore dal giorno successivo) detta nuove regole per la sospensione dei provvedimenti impugnati e, analogamente a quanto previsto da altri Paesi europei, aggiorna con atto avente forza di legge l’elenco dei Paesi di origine sicuri.

Paesi di origine sicuri: la lista

Tenuto conto dei criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea e dei riscontri rinvenuti dalle fonti di informazione fornite dalle organizzazioni internazionali competenti, sono considerati come Paesi di origine sicuri i seguenti: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia.

L’elenco dei paesi di origine sicuri, dispone il decreto, “è aggiornato periodicamente con atto avente forza di legge ed è notificato alla Commissione europea”.

Vedi le altre notizie di diritto amministrativo

giurista risponde

Regolamento edilizio adottato prima del 1967 e violazione del principio di uguaglianza Costituisce violazione del principio di uguaglianza formale e/o sostanziale il regolamento edilizio adottato da un ente locale prima del 1967 che abbia subordinato l’esercizio dello jus aedificandi al rilascio della licenza edilizia anche per l’edificazione al di fuori del centro abitato?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

No, il regolamento edilizio non viola il principio di uguaglianza (Cons. Stato, sez. III, 8 febbraio 2024, n. 1297).

Preliminarmente è opportuno ricordare che l’art. 10 della L. 6 agosto 1967, n. 765 ha introdotto l’obbligo generalizzato della licenza edilizia per tutti gli interventi edilizi eseguiti sul territorio comunale, per il periodo antecedente al 1967 l’art. 31 della L. 17 agosto 1942, n. 1150 prevedeva un siffatto obbligo limitatamente ai centri abitati.

Con riguardo alla vicenda in esame, all’epoca in cui erano stati realizzati gli abusi, il Comune era dotato di un regolamento edilizio e di un programma di fabbricazione, il quale inseriva l’area di specie in zona semintensiva e all’art. 3 prevedeva espressamente il rilascio di apposita licenza edilizia per la costruzione di immobili nel territorio comunale. L’edificio di specie è stato realizzato in forza della licenza edilizia rilasciata nel 1965 e, una volta ultimati i relativi lavori, ha ottenuto il permesso di abitabilità.

I Giudici di Palazzo Spada hanno enunciato che il regolamento edilizio discrezionalmente adottato da un ente locale prima della L. 6 agosto 1967, n. 765 che abbia subordinato l’esercizio dello jus aedificandi al rilascio della licenza edilizia anche per l’edificazione al di fuori del centro abitato non integra la violazione del principio di uguaglianza formale e/o sostanziale sotto il profilo anche della diversità di trattamento a cui sarebbero stati sottoposti in relazione all’esercizio dello jus aedificandi, a seconda che l’edificazione fosse o meno avvenuta in un comune che aveva adottato quel regolamento, intuitivamente diverse essendo le singole realtà locali, con la conseguenza che neppure è immediatamente apprezzabile la violazione del principio di uguaglianza e la connessa diversità di trattamento.

Per quanto attiene al rilascio del certificato di abitabilità, questo non ha alcun effetto sanante rispetto alle opere abusive in quanto la illiceità dell’immobile sotto il profilo urbanistico-edilizio non può essere in alcun modo sanata dal conseguimento del certificato di agibilità che riguarda profili diversi. I due provvedimenti svolgono funzioni differenti e hanno diversi presupposti che ne condizionano il rispettivo rilascio: il certificato di agibilità serve ad accertare che l’immobile è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche in materia di sicurezza, salubrità igiene e risparmio energetico degli edifici e degli impianti, mentre il titolo edilizio attesta la conformità dell’intervento alle norme edilizie ed urbanistiche che disciplinano l’area da esso interessata.

Contributo in tema di “Regolamento edilizio”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 74 / Maggio 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

spese forfettarie avvocato

Spese forfettarie avvocato: mai sotto il 15% Le spese forfettarie dell'avvocato non possono essere riconosciute in misura inferiore al 15% perché diminuirebbero il compenso

Spese forfettarie avvocato: si possono concordare sotto il 15%?

Le spese forfettarie del 15% che l’avvocato indica in fattura per chiederne il rimborso al cliente a titolo di spese generali possono essere indicate in una percentuale inferiore? Questo in sintesi il quesito che il COA di Torino rivolge al CNF. Più precisamente il COA chiede se sia possibile prevedere una riduzione della percentuale del 15% in sede di accordo contrattuale con il cliente o quando si partecipa a un bando pubblico.

Spese forfettarie: quadro normativo

Il Consiglio Nazionale Forense (parere n. 28/2024) ricorda che le spese forfettarie sono dovute nella misura del 15% del compenso totale, come stabilito dal dm 55/2014. La percentuale del 15% è fissa, le spese forfettarie quindi spettano all’avvocato in modo automatico, senza obbligo di documentarle come previsto invece per le spese vive. Neppure il giudice può intervenire sulla loro quantificazione.

La voce “Spese forfettarie” quindi è un parametro che vincola anche il giudice quando provvede alla liquidazione giudiziale del compenso dell’avvocato, ma anche le parti. Esse rappresentano infatti una componente del compenso.

Le legge n. 49/2023 sull’equo compenso all’articolo 3 dispone la nullità delle clausole che contemplino un compenso non equo e proporzionato all’attività svolta dai liberi professionisti iscritti a un albo, ordine o collegio professionale. Sono nulle in particolare le pattuizioni che dovessero stabilire compensi inferiori a quelli stabiliti dai parametri di liquidazione per i professionisti suddetti.

In effetti la legge n. 247/2012 e diversi decreti ministeriali prevedono per l’avvocato un compenso maggiorato del 15% per le spese forfettarie, regola che neppure il giudice può ridurre o aumentare dopo il d.m n. 147/2022.

La riduzione diminuirebbe il compenso

La maggiorazione del 15% non priva l’importo risultante del valore di compenso. Le spese vive infatti non sono incluse nella percentuale del rimborso delle spese generali, ma costituiscono una voce separata.

Ne consegue che: “sulla base di una interpretazione logico-sistematica unica della disciplina di cui all’art. 13, comma 10, legge n. 247/2012 e al d.m. n.55/2014 (e successive modificazioni) e della legge n. 49/2023 sull’equo compenso, leventuale riduzione della percentuale del 15% stabilita dal decreto ministeriale per le spese forfetarie dell’avvocato – percentuale quantificata ex lege – determina un ribasso del compenso” parametrico dell’avvocato, con conseguente violazione della disciplina dellequo compenso di cui alla legge n. 49/2023.”

 

Leggi anche: Equo compenso avvocati: norma in vigore dal 2 luglio

case di ringhiera

Case di ringhiera: il bagno condominiale va ristrutturato Case di ringhiera: il Condominio nella qualità di custode delle cose comuni è obbligato a ristrutturare i servizi igienici comuni

Case di ringhiera: obbligo di manutenzione

Le case di ringhiera sono edifici condominiali caratterizzati dalla presenza di più appartamenti su un piano che condividono il medesimo ballatoio (balcone) e anche, come nel caso di specie, servizi igienici comuni a più unità abitative. Il  Condominio, in quanto custode dei beni e dei servizi comuni dell’immobile, ha l’obbligo di provvedere alla manutenzione ordinaria dei bagni. Se nel corso degli anni non vi provvede deve ristrutturarli, al fine di renderli idonei al loro utilizzo da parte dei condomini. Lo ha stabilito il Tribunale di Milano nella sentenza n. Trib-Milano-8442-2024.

Servizi igienici inservibili: condomina chiama in causa il Condominio

La condomina di una casa di ringhiera agisce in giudizio contro il Condominio per chiedere la sistemazione dei bagni comuni alle tre unità immobiliari del piano in cui si trova anche il suo appartamento. La donna fa presente di aver chiesto più volte al convenuto di sistemare i servizi igienici perché “in avanzato stato di degrado al punto da renderli inutilizzabili.”

L’attrice lamenta di non potere beneficiare pienamente della propria abitazione proprio a causa della inagibilità dei servizi igienici comuni.

Case di ringhiera: il Condominio custode deve ristrutturare i bagni comuni

Il Tribunale accoglie le richieste dell’attrice perché fondate. Il Condominio, nella sua qualità di custode dei beni e dei servizi comuni, ha l’obbligo di mantenerli in stato tale da non recare pregiudizio. Il Condominio pertanto ha l’obbligo di provvedere alla ristrutturazione dei servizi igienici comuni presenti nel piano in cui si trova l’unità immobiliare dell’attrice.

La CTU ha rivelato che il Condominio non ha adempiuto al proprio obbligo di custodia. I servizi igienici per cui è causa si trovano in effetti in una grave condizione di degrado tanto che l’attrice in effetti è impossibilitata ad utilizzarli e a concedere eventualmente in locazione il proprio appartamento.

Risarcimento mancato utilizzo dell’immobile

Il Tribunale condanna quindi il Condominio convenuto a risarcire l’attrice per il mancato utilizzo dell’immobile di sua proprietà per l’importo di Euro 10.436,00. Alla luce del disinteresse dimostrato fino ad oggi da parte del Condominio nei confronti delle richieste dell’attrice il Tribunale dispone altresì che, decorsi 40 giorni dalla pubblicazione della sentenza, il Condominio debba corrispondere all’attrice anche l’importo di 50,00 euro per ogni giorno di ritardo nell’adempiere all’ordine di ripristino dei servizi igienici.

 

Leggi anche: Il condominio nel codice civile

Allegati

fondo di garanzia

Fondo di garanzia per le vittime della strada Il Fondo di Garanzia per le vittime della Strada risarcisce i danni a persone e cose nei casi e nei modi stabiliti dalla legge

Cos’è il Fondo di Garanzia per le vittime della strada

Il Fondo di Garanzia per le vittime della strada (FGVS) è nato per risarcire i danni causati da sinistri stradali che si verificano in circostanze particolari.  Il fondo è operativo dal 12 giugno 1971 ed è amministrato dalla Consap con l’assistenza di un Comitato. Sul Fondo vigila il Ministero delle imprese e del Made in Italy.

Principali riferimenti normativi

Il Fondo di Garanzia è nato grazie alla legge n. 990/1969, abrogata quando è entrato in vigore il Codice delle assicurazioni private contenuto nel decreto legislativo n. 209/2005, continuamente modificato e aggiornato. Le principali norme di riferimento del Fondo di garanzia sono gli articoli 283 e 286 del dlgs n. 209/2005.

Fondo di Garanzia per le vittime della strada: quando opera

Il Fondo di Garanzia opera infatti nei casi specifici previsti dall’art. 283 del Codice delle assicurazioni private.

Esso risarcisce i danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti nei seguenti casi principali:

  • il veicolo o il natante che hanno cagionato i danni non è stato identificato;
  • il mezzo non risulta coperto da assicurazione;
  • il natante è assicurato presso un’impresa che opera all’interno del territorio della Repubblica in regime di stabilimento di libertà di prestazione di servizi e al momento del sinistro o in seguito si trova in stato di liquidazione coatta;
  • il veicolo è posto in circolazione contro la volontà del proprietario o di chi ne ha la titolarità;
  • il veicolo che ha cagionato il sinistro è estero e la targa non corrisponde o non corrisponde più allo stesso veicolo;
  • veicolo non assicurato è stato spedito nel territorio della Repubblica italiana da uno Stato dello Spazio Economico Europeo avvenuto nel periodo compreso tra la data di accettazione di consegna del veicolo e lo scadere del termine di 30 giorni.

Limiti risarcitori

Il Fondo di Garanzia non provvede sempre al risarcimento integrale dei danni. Ci sono dei casi in cui lo stesso risarcisce  certi tipi di danno e certi importi.

Ad esempio, nel caso in cui un veicolo non identificato sia responsabile dei danni, il Fondo risarcisce solo i danni alla persona, mentre per i danni alle cose risarcisce la parte del danno che eccede i 500,00 euro. Se invece il veicolo che cagiona i danni non è coperto da assicurazione, il Fondo copre sia i danni alle persone che alle cose. La norma di riferimento per conoscere in dettaglio i limiti risarcitori del Fondo è l’art. 283 del Codice delle. Assicurazioni Private.

Liquidazione dei danni

L’articolo 286 del Codice delle Assicurazioni private stabilisce che la liquidazione dei danni per i sinistri di cui all’articolo 283, coperti quindi dal Fondo di garanzia, venga effettuata da un’impresa assicurativa designata dall’IVASS secondo quanto stabilito nel regolamento adottato dal Ministero delle Imprese del Made in Italy.

L’impresa di assicurazione, una volta designata, liquida anche i danni relativi ai sinistri che si sono verificati oltre la scadenza del periodo assegnato e fino alla data indicata nel provvedimento che designa una nuova impresa.

Le somme che vengono pagate dalle imprese designate sono rimborsate dalla Consap, che gestisce il Fondo di garanzia per le vittime della strada.

Per sapere quale impresa è designata dall’IVASS alla liquidazione dei danni nei casi sopra esaminati basta visitare la pagina dedicata Elenchi Imprese del sito della Consap.

Come farsi risarcire dal Fondo vittime della Strada

Per chiedere il risarcimento nei casi di sinistro stradale rientrante in una delle ipotesi per le quali è prevista la copertura del Fondo vittime della strada  è necessario accedere al sito della Consap.

Nella pagina dedicata al Fondo vittime della Strada è sufficiente linkare nella pagina dedicata alla procedura  generare il modulo, compilarlo, sottoscriverlo e inviarlo, anche mezzo pec.

 

Leggi anche: Auto ferma: va sempre assicurata

patente digitale

Patente digitale: dal 23 ottobre sull’App IO Patente digitale: dal 23 ottobre 2024 parte la sperimentazione su App IO, prossimi step il 6 novembre e il 4 dicembre

Patente digitale: dal 23 ottobre per 50.000 italiani

La Patente digitale da mercoledì 23 ottobre 2024 sarà disponibile sulla App IO. Nella fase di test questo documento sarà disponibile per un campione di 50.000 italiani. I componenti di questo primo gruppo sono stati selezionati in modo da garantire varietà di soggetti differenti per età, genere, zone geografiche e caratteristiche sociali.

Prossimi step della patente digitale

Dal 6 novembre 2024 la patente digitale sarà estesa ad altri 250.000 italiani. Dal 4 dicembre 2024, conclusa la fase sperimentale, la patente digitale potrebbe essere a disposizione di tutti gli italiani.

Le direttive del Ministero

In vista della fase di sperimentazione della patente digitale il Ministero dell’Interno ha pubblicato la circolare 300/STRAD/1/0000032079.U/2024 del 22 ottobre 2024. Il documento contiene importanti precisazioni e indicazioni in caso di controlli su strada.

La patente mobile è la versione digitale della patente di guida ed è un documento di identità equipollente alla carta di identità. Considerato che dal 23 ottobre 2024 sarà resa disponibile in modo progressivo a tutti i cittadini, in occasione di eventuali controlli su strada, i cittadini in possesso di questa funzionalità sulla App IO potranno esibirla mostrandola agli addetti dal proprio dispositivo mobile. In questo modo l’obbligo di esibizione sancito dall’art. 180, comma 1, lett. b del Codice della Strada sarà soddisfatto.

Patente digitale e IT Wallet

La patente digitale, insieme alla tessera sanitaria e alla carta europea della disabilità entrerà a far parte dell’IT Wallet, il Portafoglio elettronico presente sulla App IO.

Il percorso dell’IT Wallet è iniziato quando è entrato in vigore il DL PNRR il 2 marzo 2024, che ha istituito il Sistema di portafoglio digitale italiano.

Come previsto per la patente, anche questo sistema è in continua evoluzione. Al momento i documenti digitali del portafoglio elettronico confluiscono nella App IO, perché già presente su milioni di dispositivi mobili.

Nel tempo il sistema del portafoglio elettronico sarà esteso ai privati, che quindi potranno realizzare i propri IT Wallet.

Anche i documenti e i servizi del portafoglio elettronico sono destinati ad aumentare progressivamente.

Per ora il portafoglio contiene documenti smaterializzati con valore legale, come la tessera sanitaria ad esempio. Nel tempo però l’IT Wallet verrà integrato con altri servizi nuovi e utilissimi. Si potrà accedere ad esempio al fascicolo sanitario personale e alla firma digitale. L’It Wallet potrà poi comprendere servizi di pagamento, abbonamenti ai mezzi di trasporto pubblico e altro ancora.

La versione finale dell’IT Wallet consentirà ai cittadini di spostarsi su tutto il territorio nazionale con i documenti in formato digitale. Il Portafoglio digitale conterrà infatti anche il passaporto e la tessera elettorale. Per accedere ai servivi sarà necessario autenticarsi con le credenziali dello SPID o della Carta di identità elettronica.

 

Leggi anche: It-Wallet: cos’è e a cosa serve

osservatorio intelligenza artificiale

Intelligenza artificiale: al via l’osservatorio Il ministero della Giustizia accogliendo la richiesta della Cassazione e del CNF ha istituito l'osservatorio IA insediato il 23 ottobre 2024

Osservatorio Intelligenza Artificiale

Con un decreto ministeriale del 10 luglio, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha istituito l’Osservatorio Permanente per l’Uso dell’Intelligenza Artificiale, accogliendo la richiesta congiunta che era stata avanzata dalla Corte di Cassazione e dal Consiglio Nazionale Forense.

Il 23 ottobre 2024, il Guardasigilli ha presieduto la prima riunione dell’Osservatorio, il cui tavolo tecnico si è insediato in via Arenula lo stesso giorno.

Le richieste della Cassazione e del CNF

Nella lettera inviata al ministro della Giustizia, la Prima Presidente Margherita Cassano e il Presidente del CNF Francesco Greco avevano sottolineato “l’opportunità di istituire un luogo di riflessione e approfondimento che veda il permanente coinvolgimento di tutti gli attori fondamentali della giurisdizione e del processo, in cui affrontare tutti i temi che toccano il rapporto tra IA e giurisdizione, a partire dalla qualità e sicurezza delle banche dati giuridiche, agli strumenti di supporto dell’attività giurisdizionale e delle professioni”.

La condizione posta dalla Suprema Corte e dagli Avvocati è che “l’innovazione tecnologica debba supportare la funzione di giustizia per innalzarne la qualità e l’efficienza” e venga utilizzata in “modo compatibile con i princìpi cardine dello Stato di diritto, del giusto processo, del diritto inalienabile di difesa e dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge”.

Composizione Osservatorio IA

Sono stati nominati componenti dell’Osservatorio i vertici della Corte di Cassazione, tra cui la Prima Presidente Cassano, il direttore del Ced Enzo Vincenti – il Procuratore nazionale Antimafia Giovanni Melillo, il direttore e il vicedirettore dell’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale, Bruno Frattasi Nunzia Ciardi, il direttore generale del Dg Connect della Commissione Ue, Roberto Viola, il Presidente del Consiglio Nazionale Forense, Francesco Greco e il presidente del Consiglio nazionale del Notariato, Giulio Biino.

L’Osservatorio sarà presieduto dal ministro Carlo Nordio, il cui dicastero ha il compito di disciplinare l’impiego dei sistemi di intelligenza artificiale da parte degli uffici giudiziari come previsto dal ddl governativo sull’IA.

Greco: “Passo fondamentale per la giustizia”

“La costituzione dell’Osservatorio permanente per l’uso dell’intelligenza artificiale – ha commentato il Presidente del Consiglio Nazionale Forense, Francesco Greco – rappresenta un passo fondamentale per garantire che l’innovazione tecnologica sia al servizio della giustizia e del cittadino. Si tratta di uno strumento che offre straordinarie opportunità per migliorare l’efficienza e la qualità del sistema giuridico, ma deve essere impiegata con prudenza e in conformità con i princìpi del nostro Stato di diritto”.

errore medico

Errore medico e danno da perdita della capacità lavorativa Danno da perdita della capacità lavorativa presumibile dall’elevata invalidità permanente anche se riconducibile alla nascita

Capacità lavorativa: il danno è presumibile dai postumi permanenti

Errore medico: il danno da perdita della capacità lavorativa si presume dall’alta percentuale dei postumi permanenti invalidanti riportati al momento della nascita e il giudice può liquidarlo affidandosi a criteri equitativi. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 27353/2024.  

Risarcimento per lesione della capacità lavorativa anche se risalenti al parto

I genitori di una minore chiedono il risarcimento dei danni arrecati alla figlia dalla Asl a causa della condotta tenuta dal personale dipendente della divisione di ostetricia al momento del parto.

Il Tribunale accoglie in parte la domanda. La decisione viene appellata e la Corte conferma la decisione del Giudice di primo grado. L’autorità giudiziaria dell’appello riconosce  il risarcimento dei danni per il danno biologico permanente nella percentuale del 25% a causa dei danni riportati alla parte sinistra del corpo. La Corte però nega il risarcimento del danno patrimoniale derivante dalla perdita della capacità lavorativa.

Serve una prova rigorosa

Per la Corte d’appello il mancato riconoscimento di questa voce di danno dipende dal fatto che il minore non percepisce redditi, i guadagni sono quindi assenti. Esiste pertanto un’incertezza sulla qualificazione e quantificazione delle varie voci di danno non superabile se non con una prova particolarmente rigorosa, caratterizzandosi il pregiudizio in questione come danno da perdita di chance lavorativa.” La prova dei postumi invalidanti non è sufficiente a dimostrare anche la perdita di futuri, possibili e maggiori guadagni.

Lesione altamente menomante: il danno è presunto

Parte soccombente nel ricorrere in Cassazione contesta la motivazione meramente apparente della decisione della Corte d’Appello in relazione alla mancata prova della perdita della capacità lavorativa. Con il secondo motivo contesta il rigetto della richiesta risarcitoria connessa alla perdita della capacità lavorativa specifica. In giudizio sono emersi indici presuntivi come il danno permanente del 25% e la “natura altamente menomante della lesione”. Trattasi di elementi che per la ricorrente dimostrano in via presuntiva la sussistenza del danno da perdita della capacità lavorativa e delle condizioni per liquidarlo nella misura pari al triplo della pensione sociale.

Elevata invalidità permanente, menomazione capacità lavorativa

La Cassazione accoglie il ricorso dopo l’esame congiunto dei due motivi di ricorso. Gli Ermellini sulla prova necessaria al riconoscimento del danno da perdita della capacità lavorativa ricordano che nei casi in cui l’elevata percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa ed il danno che necessariamente da essa consegue, li giudice può procedere all’accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi. La liquidazione di detto danno può avvenire attraverso il ricorso alla prova presuntiva, allorché possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dellinfortunio.”

La Corte d’appello nel rigettare le richieste risarcitorie della ricorrente ha completamente disatteso questo principio. Essa ha preteso la prova rigorosa della alterazione in peius della capacità di guadagno in un soggetto minorenne, con postumi permanenti del 25%,  un danno biologico altamente rilevante a fini presuntivi.

 

Leggi anche: Malpractice medica e danno da perdita capacità lavorativa

Allegati