baratto amministrativo

Baratto amministrativo Baratto amministrativo: cos’è, normativa di riferimento, chi può accedervi, come funziona, quali vantaggi offre

Cos’è il baratto amministrativo

Il baratto amministrativo è un’agevolazione prevista per i cittadini che permette di ridurre o esentarsi dal pagamento di tributi locali in cambio di attività di pubblica utilità. Introdotto per favorire la collaborazione tra cittadini e amministrazioni comunali, il baratto amministrativo rappresenta un’opportunità per chi si trova in difficoltà economica.

A cosa serve

Il baratto amministrativo consente, in sostanza ai cittadini di pagare tasse e tributi locali attraverso prestazioni lavorative a favore del Comune. Questo sistema prevede lo svolgimento di servizi come:

  • manutenzione del verde pubblico;
  • pulizia delle strade e degli spazi urbani;
  • recupero di edifici e beni comunali;
  • supporto in attività sociali e culturali.

In pratica, invece di versare l’importo dovuto per TASI, IMU o altri tributi locali, il cittadino può offrire il proprio contributo lavorativo, ottenendo uno sconto totale o parziale sulle imposte dovute.

Normativa di riferimento

Il baratto amministrativo è stato introdotto con l’art. 24 del D.L. n. 133/2014 (Sblocca Italia), poi convertito nella Legge n. 164/2014. Questa norma consente ai Comuni di attivare progetti specifici per la gestione del baratto amministrativo, stabilendo i criteri di accesso e i servizi richiesti.

Chi può accedervi

Le regole per accedere al baratto amministrativo sono definite dai singoli Comuni, ma in genere possono partecipare:

  • cittadini in difficoltà economica con un ISEE sotto una soglia stabilita dal regolamento comunale;
  • disoccupati o inoccupati;
  • persone con redditi bassi che faticano a pagare tributi locali;
  • associazioni e imprese sociali, se previsto dal Comune.

Per accedere al beneficio, è necessario presentare una domanda al Comune di residenza, allegando la documentazione richiesta (ISEE, certificati di disoccupazione, ecc.).

Come funziona

Il funzionamento varia a seconda del Comune, ma solitamente segue questi passaggi:

  1. il Comune pubblica un bando con le modalità di accesso e le attività richieste;
  2. i cittadini interessati presentano la domanda allegando i documenti necessari;
  3. l’amministrazione valuta le richieste e seleziona i beneficiari;
  4. il cittadino svolge l’attività assegnata secondo il numero di ore previsto;
  5. il Comune riduce o annulla il tributo locale in base al lavoro effettuato.

Vantaggi del baratto amministrativo

  • aiuta i cittadini in difficoltà a mettersi in regola con i tributi;
  • migliora il decoro urbano e la gestione dei servizi locali;
  • favorisce l’integrazione sociale attraverso attività di pubblica utilità;
  • offre un’alternativa equa per chi non può pagare le tasse.

 

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giurista risponde

Amministrazione separata dei beni demaniali gravati da usi civici In materia di beni demaniali gravati da usi civici spetta al Comune il potere di gestione e amministrazione dei beni frazionali di uso civico?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Deve ritenersi che al Comune spetta il potere di gestione e amministrazione dei beni frazionali di uso civico fino alla costituzione dell’amministrazione separata di tali beni (Cass., Sez. Un., 14 ottobre 2024, n. 26598). 

I Giudici evidenziano che, in materia di demanio e patrimonio e, più nel dettaglio, di beni gravati da usi civici, deve ritenersi che al Comune spetti il potere di gestione e amministrazione dei beni frazionali di uso civico fino alla costituzione dell’amministrazione separata da tali beni, la quale succede all’ente locale e subentra nei rapporti da questo già instaurati.

Le Sezioni Unite hanno rilevato che: “Già la L. 1766/1927, quanto all’individuazione del soggetto cui affidare la rappresentanza degli interessi della collettività, nonché l’amministrazione dei beni interessati da uso civico, optò a favore del Comune, in quanto individuato come ente particolarmente vicino ai fruitori del diritto. Ancorché, secondo la prevalente opinione della giurisprudenza, la proprietà dei beni resti in capo alla collettività dei cittadini (trattandosi di un’entità che di norma preesiste alla stessa istituzione dell’ente locale), la citata legge, accanto ai Comuni ha altresì previsto, nel caso in cui i diritti di uso civico siano riferibili agli abitanti di una frazione, e non all’intero territorio comunale, che vengano costituite le amministrazioni separate, le quali, pur senza acquisire una personalità giuridica (nella legge statale), sono munite di una soggettività giuridica, in quanto centro di imputazione degli interessi della collettività installata nella frazione”.

Nello specifico caso esaminato, l’istituzione dell’amministrazione separata avvenuta solo successivamente all’entrata in vigore della legge della provincia di Trento 6/2005, ha comportato la legittima amministrazione e gestione da parte del Comune, in vista della tutela degli interessi degli abitanti della frazione.

 

(*Contributo in tema di “Amministrazione separata dei beni demaniali gravati da usi civici”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 81 / Gennaio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

bonus musica

Bonus musica: come si ottiene Bonus musica: cos’è, la normativa di riferimento, a chi spetta, in cosa consiste, e come indicarlo nella dichiarazione dei redditi per averlo

Cos’è il bonus musica

Il Bonus Musica 2025 è una detrazione fiscale del 19% che viene calcolata sulle spese sostenute per l’iscrizione o l’abbonamento a corsi di musica riconosciuti. L’agevolazione si applica ai figli di età compresa tra i 5 e i 18 anni e consente di ottenere un rimborso fino a un massimo di 1.000 euro per ciascun figlio. Il beneficio è riservato alle famiglie con un reddito complessivo non superiore a 36.000 euro annui.

Normativa di riferimento

Il Bonus Musica è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla legge di bilancio 2020. Esso è disciplinato dall’articolo 15 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (T.U.I.R.), dedicato alle detrazioni degli oneri, che al comma 1, lettera e-quater) così dispone: “le spese, per un importo non superiore a 1.000 euro, sostenute da contribuenti con reddito complessivo non superiore a 36.000 euro per l’iscrizione annuale e l’abbonamento di ragazzi di età compresa tra 5 e 18 anni a conservatori di musica, a istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM) legalmente riconosciute ai sensi della legge 21 dicembre 1999, n. 508, a scuole di musica iscritte nei registri regionali nonché a cori, bande e scuole di musica riconosciuti da una pubblica amministrazione, per lo studio e la pratica della musica.” 

La detrazione si applica quindi alle spese sostenute per corsi presso conservatori, istituti di Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica (AFAM), scuole di musica registrate nei registri regionali, bande musicali e cori riconosciuti dalla pubblica amministrazione.

A chi spetta il bonus musica

Il Bonus Musica è destinato quindi ai contribuenti con figli di età compresa tra 5 e 18 anni, iscritti a scuole di musica accreditate. Per accedere alla detrazione, il reddito complessivo del nucleo familiare deve essere inferiore a 36.000 euro annui. Sebbene il bonus venga generalmente richiesto dai genitori, anche un minore con reddito proprio e obbligo dichiarativo può beneficiare direttamente della detrazione per le spese sostenute.

In cosa consiste

Il Bonus Musica consente di ottenere una detrazione fiscale pari al 19% sulle spese di iscrizione o abbonamento ai corsi musicali riconosciuti. L’importo massimo detraibile è di 1.000 euro per figlio, con un risparmio massimo di 190 euro per ogni minore iscritto.

La detrazione può essere attribuita a un solo genitore oppure suddivisa tra entrambi se gli accordi lo prevedono.

Cosa si deve indicare nel 730

Per ottenere la detrazione, non è necessaria alcuna domanda preventiva. Il contribuente deve conservare la ricevuta della spesa e riportarla nella dichiarazione dei redditi.

L’importo va inserito:

  • Nel quadro RP del Modello Redditi PF
  • Nel quadro E del Modello 730 (righi da E8 a E10), specificando il codice 45

Se le spese sono state sostenute per più figli, è necessario indicare l’importo relativo a ciascuno di loro nella dichiarazione.

Come richiedere il bonus musica

Per ottenere il Bonus Musica 2025, non è necessario presentare una domanda specifica. La detrazione va richiesta direttamente nella dichiarazione dei redditi tramite il Modello 730 o il Modello Redditi PF.

Per essere ammessi alla detrazione, le spese devono essere state sostenute tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2024. Il pagamento deve essere tracciabile e effettuato tramite bonifico bancario, versamento postale, assegni bancari o circolari, oppure carte di pagamento (di debito, di credito o prepagate). Non sono ammessi pagamenti in contanti.

Nel caso in cui il figlio compia 18 anni nel corso dell’anno, il requisito dell’età si considera rispettato se, per una parte dell’anno d’imposta, il figlio risulti ancora minorenne.

 

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furto in abitazione

Furto in abitazione: no alla tenuità del fatto Per la Cassazione, il reato di furto in abitazione non può beneficiare della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto

Furto in abitazione

La quinta sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10410/2025, ha stabilito che il reato di furto in abitazione non può beneficiare della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’articolo 131-bis c.p.

La vicenda

Nella vicenda, il tribunale di Caltagirone ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di un uomo in ordine al reato di furto ni abitazione di un paio di scarpe Nike, nuove, del valore di euro 100,00.
Contro tale sentenza, ricorreva in Cassazione il procuratore generale presso la Corte di appello di Catania, deducendo mancare le condizioni previste dalla legge per l’applicazione della citata disposizione normativa con riferimento ai limiti di pena che ne consentono la specifica forma di proscioglimento.

Art. 131-bis c.p.: ambito applicativo

Per gli Ermellini, l’impugnazione è fondata.
“La sentenza impugnata nel dichiarare non doversi procedere nei confronti dell’imputato in applicazione della disposizione di cui all’art.131 bis, c.p., per il reato di cui all’art.624 bis c.p. – osservano infatti – ha interpretato erroneamente la citata disposizione normativa in relazione ai limiti di pena che individuano il novero dei reati per i quali è consentita la specifica forma di proscioglimento”.
Il nuovo istituto, introdotto dal D.Lgs. 28/2015, “configura un’ipotesi in cui sussiste un fatto tipico costituente reato, ma questo per scelta legislativa non è ritenuto punibile in presenza di determinati requisiti e al fine di soddisfare i principi di proporzione ed economia processuale”.

L’art. 131-bis c.p.

L’art. 131 bis c.p. comma 1 dispone che: “Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”.
L’ambito applicativo dell’istituto è, dunque, individuato, osservano ancora dal Palazzaccio, “utilizzando una tecnica già ampiamente collaudata dal legislatore, quella di individuare dei limiti edittali di pena e, nello specifico, vengono indicati i reati per i quali il legislatore ha previsto inizialmente il limite massimo di pena detentiva non superiore ad anni cinque e successivamente il limite della pena detentiva non superiore nel minimo a due anni”.

La decisione

Nel caso di specie, trattandosi di reato di furto in abitazione, lo stesso, previsto dall’art.624 bis cod. pen., “fuoriesce dall’ambito dei limiti edittali previsti dall’art. 131 bis cod. pen., in quanto il limite massimo di pena detentiva (sei anni) non poteva superare i cinque anni e, successivamente, secondo la nuova formulazione, il limite minimo di pena detentiva (tre anni), non poteva superare i due anni, previsti dalla citata disposizione normativa”.
Ne consegue, decidono i giudici, l’inapplicabilità della disposizione di cui all’art.131 bis cod. pen, per violazione di legge sia nella nuova che nella vecchia formulazione della norma.

Pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Catania.

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morte animale d'affezione

Morte animale d’affezione: risarcito il danno Morte animale d'affezione: risarcito il danno non patrimoniale, il rapporto con l’animale contribuisce allo sviluppo della personalità

Morte animale: lesione diritto costituzionale

La morte dell’animale d’affezione attribuisce il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale. La perdita del proprio animale lede la sfera relazionale e affettiva tutelata a livello costituzionale dall’articolo 2. Il rapporto cane – padrone completa e sviluppa la personalità umana. Lo ha specificato il Tribunale di Prato con la sentenza n. 51/2025.

Danni non patrimoniali: morte animale d’affezione

Una famiglia affida la cagnolina Adel a una pensione per animali. Durante il soggiorno, l’animale muore. La Polizia Municipale li informa del decesso.

Quando i padroni arrivano alla struttura, trovano Adel abbandonata a terra con una coperta. Nessuno li aveva avvisati del peggioramento della cagnolina. La struttura non aveva contattato né loro né un veterinario. Un addetto rivela che Adel stava male da giorni. I volontari l’avevano trovata disidratata per una forte diarrea. La responsabile però non aveva dato indicazioni su come aiutarla.

I padroni, sconvolti, notano anche la scarsa igiene della struttura. Decidono quindi di agire in giudizio. Chiedono la risoluzione del contratto per inadempimento, la restituzione delle somme pagate e il risarcimento dei danni. Ritengono che la pensione abbia violato l’obbligo di custodia.

Per il risarcimento del danno non patrimoniale, invocano l’articolo 2 della Costituzione. Essi sostengono che il rapporto uomo-animale realizza la persona umana. Citano anche l’articolo 42 della Costituzione e l’articolo 6 del Trattato UE, per i danni economici e morali. Chiedono al giudice inoltre di considerare la sofferenza di Adel, lasciata morire senza cure.

La parte convenuta si difende e contesta la versione dei padroni e nega il diritto al risarcimento per la morte di Adel. Si appella a un orientamento della Cassazione, secondo cui la perdita di un animale non costituisce danno esistenziale. Sostiene inoltre che chi chiede il risarcimento deve provare il danno subito e il nesso di causa.

Sviluppo della personalità umana

Il Tribunale ricostruisce i fatti e decide di non seguire l’orientamento della Cassazione. Riconosce infatti agli attori il danno non patrimoniale. Secondo il giudice, la perdita di un animale d’affezione può ledere la sfera affettiva di una persona. Il rapporto tra padrone e animale contribuisce allo sviluppo della personalità. Se provato, il danno deve essere risarcito.

Le prove fotografiche mostrano che Adel era un membro della famiglia. Giocava con i bambini, veniva festeggiata ai compleanni e accompagnava la famiglia nelle gite. Dormiva nel letto con loro. Esisteva insomma un forte legame affettivo.

La morte improvvisa e le modalità dell’abbandono hanno causato ai padroni una grande sofferenza. Non sono stati informati delle condizioni della cagnolina e hanno scoperto il tragico evento solo all’ultimo momento. La sofferenza è stata aggravata dallo stupore e dal senso di tradimento. Si fidavano della struttura, dove avevano già lasciato Adel in passato.

Il Tribunale riconosce quindi il danno non patrimoniale, la padrona riceve 6.000 euro per il suo coinvolgimento diretto, gli altri membri della famiglia invece ottengono 4.000 euro ciascuno.

 

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decreto anziani

Decreto anziani: cosa prevede il correttivo Approvato dal CdM il correttivo al “Decreto Anziani”, che promuove la dignità e l’autonomia della popolazione anziana

Correttivo al decreto Anziani

Il Consiglio dei Ministri ha approvato in via preliminare un decreto legislativo che apporta modifiche al Dlgs 29/2024, riguardante le politiche a favore degli anziani. Queste nuove disposizioni, in attuazione della delega prevista dalla Legge n. 33/2023, mirano a semplificare e accelerare l’accesso ai servizi sanitari e sociali per la popolazione anziana, rendendo il sistema più efficiente e accessibile.

Visita unica presso i SUAP

Una delle principali novità introdotte riguarda la valutazione multidimensionale degli anziani, fondamentale per individuare i loro bisogni assistenziali e sociali. Il decreto prevede la riduzione delle visite medico-legali necessarie per questa valutazione: si passerà da due visite a una sola presso i Punti Unici di Accesso (PUA). Questo cambiamento snellisce le procedure burocratiche e riduce i tempi di attesa per gli anziani che necessitano di supporto.

Rinviati i termini di adozione dei regolamenti

Inoltre, il decreto proroga di sei mesi il termine per l’adozione del regolamento che definirà i criteri per l’individuazione delle priorità di accesso ai PUA, la composizione e le modalità di funzionamento delle unità di valutazione multidimensionale unificata (UVM) e lo strumento della valutazione multidimensionale unificata (VMU) omogeneo a livello nazionale. Questa proroga consentirà una definizione più accurata delle procedure e garantirà una maggiore uniformità nell’erogazione dei servizi su tutto il territorio nazionale.

Politiche anziani: fase pilota di 12 mesi per la VMU

Un’altra iniziativa significativa è l’introduzione di una procedura sperimentale della durata di dodici mesi, a partire dal 1° gennaio 2026. Questa fase pilota prevede l’applicazione provvisoria e a campione delle disposizioni relative alla valutazione multidimensionale unificata, con differenziazioni tra Nord, Centro e Sud Italia. L’obiettivo è testare l’efficacia delle nuove procedure e assicurare che il sistema di valutazione risponda adeguatamente alle esigenze degli anziani nelle diverse aree del paese.

 

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bonus Tari

Bonus Tari: cos’è e come ottenerlo Bonus TARI 2025: pubblicato in Gazzetta il DPCM che riconosce un aiuto alle famiglie in difficoltà economica per il pagamento dei rifiuti

Bonus Tari 2025: sconto del 25%

Il Governo ha approvato il Bonus Tari  2025, una misura che prevede una riduzione del 25% sulla tassa rifiuti per i nuclei familiari con un ISEE basso. Il decreto (DPCM 24/2025) è presente sulla Gazzetta Ufficiale il 13 marzo 2025 e entrerà in vigore il 28 marzo 2025.

Chi può accedere al bonus

Possono accedere al bonus Tari 2025 i nuclei familiari che rispettano i seguenti requisiti economici e soggettivi:

  • un ISEE inferiore a 9.530 euro annui (che sale fino a 20.000 euro per nuclei familiari in cui sono presenti almeno quattro figli a carico);
  • il richiedente deve essere il titolare dell’utenza Tari ed essere residente nell’immobile per cui paga la tassa;
  • essere in regola con i pagamenti della TARI degli anni precedenti.

Come funziona il bonus TARI 2025

Il bonus sarà applicato automaticamente, senza la necessità di presentare una domanda specifica, sulla base dei dati ISEE che vengono forniti all’INPS. Il taglio del 25% riguarderà però solo i nuclei familiari con un ISEE inferiore a 9.350 euro, mentre per le famiglie con almeno quattro figli a carico, la soglia è stata elevata a 20.000 euro.

Esclusione dei trattamenti assistenziali dal calcolo ISEE

Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri prevede l’esclusione dei trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari dal calcolo del reddito ISEE per i nuclei familiari in cui vi siano persone disabili o non autosufficienti.

Passaggi successivi

Per rendere operativo il bonus, manca ancora l’approvazione del provvedimento da parte dell’Autorità per l’energia (Arera), in accordo con il Garante della privacy, che dovrà definire le modalità di trasmissione dei dati dall’INPS ai Comuni nel rispetto della privacy.

Obiettivo del bonus Tari 2025

Il Bonus Tari o bonus rifiuti rappresenta senza dubbio un sostegno economico importante per le famiglie a basso reddito, al fine di garantire un trattamento equo a livello nazionale.

 

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vietato divulgare i nomi

Avvocati: vietato divulgare i nomi dei clienti Vietato divulgare i nomi dei clienti: l'avvocato non può divulgarli, neppure utilizzando toni autocelebrativi e promozionali

Vietato divulgare i nomi dei clienti

Vietato divulgare i nomi dei clienti: l’articolo 35, comma 8 del Codice Deontologico Forense vieta all’avvocato di indicare, nelle informazioni al pubblico, i nominativi dei clienti o delle parti assistite, anche con il loro consenso. Tale divieto si applica anche quando i nominativi siano già di dominio pubblico. Inoltre, non è consentito eludere questa norma riproducendo in modo enfatico, autocelebrativo o promozionale informazioni già diffuse da media o terzi non soggetti alle regole deontologiche forensi.

Nel caso specifico, l’avvocato ha violato questa disposizione pubblicando sul proprio sito web e tramite una newsletter uno scritto che riprendeva una notizia di stampa relativa all’assistenza legale prestata in una complessa acquisizione societaria, includendo dettagli sui nominativi delle parti coinvolte. Questo quanto emerge dalla sentenza del CNF n. 294/2024.

Violato il divieto di divulgare i nomi dei clienti

Un esposto anonimo avvia un procedimento disciplinare nei confronti del titolare di uno studio legale perchè ritenuto responsabile di aver divulgato i nomi di clienti e parti assistite.

Il CDD ritiene sussistente la responsabilità disciplinare dell’avvocato tanto che gli irroga la sanzione disciplinare dell’avvertimento.

L’avvocato ritenuto responsabile però, nel ricorso al CNF precisa che “le notizie pubblicate sul sito web del suo studio legale, così come i relativi comunicati stampa, conseguivano alla pubblicazione di identici articoli già diffusi dai media. Laddove, quindi, come nel caso di specie, la “disclosure” del nominativo del cliente sia già stata fatta da terzi e con il consenso del cliente medesimo, non sarebbe ravvisabile la violazione dellart. 35 comma 8 del NCDF essendosi il difensore incolpato solo limitato a pubblicare notizie rese di pubblico dominio da altri”. 

Divieto di divulgazione art. 35 CDF

Il CNF nel respingere il ricorso dell’avvocato fornisce importanti precisazioni sul divieto di divulgazione dei nominativi di clienti e parti assistite. L’interpretazione fornita dal ricorrente dell’articolo 35 comma 8 del Codice deontologico Forense risulta infatti del tutto errata.

In primis occorre ricordare come la formulazione del comma 8 dell’articolo 8 sia rimasta nel tempo pressoché invariata. In secondo luogo il CNF rileva come la pubblicazione in prima istanza sulla stampa non qualificata (newsletter, siti ecc…) potrebbe ben essere utilizzata come escamotage dallo stesso avvocato per ritenersi poi autorizzato a riprodurre le stesse informazioni, eludendo in questo modo ogni divieto.

Vietato divulgare i nomi

Non coglie nel segno la tesi del ricorrente per il quale non sussisterebbe alcuna violazione ogni volta in cui il nominativo delle parti assistite dal legale e diffuso dallo stesso sia stato già reso di dominio pubblico da terzi.

Come chiarito correttamente dal CDD “il rapporto tra cliente e avvocato non è soltanto un rapporto privato di carattere libero-professionale e non può perciò essere ricondotto puramente e semplicemente al contratto dopera ed ad una logica di mercato.” L’avvocato  non è solo un libero professionista, manche un soggetto che partecipa attivamente allo svolgimento della funzione giurisdizionale pubblica.

Il principio di tutela dell’autonomia e del decoro della professione forense giustifica quindi il divieto per gli avvocati di pubblicare i nominativi dei propri clienti a fini pubblicitari, anche con il consenso degli stessi. L’articolo 35, comma 8 del Codice Deontologico Forense vieta questa pratica per prevenire interferenze, condizionamenti e strumentalizzazioni che potrebbero derivare dalla diffusione di tali informazioni.

Il tono autocelebrativo non rileva

Nel caso specifico esaminato dal Consiglio Distrettuale di Disciplina (CDD) , l’Avv. ricorrente fondatore dello Studio Legale Omonimo & Associati, ha pubblicato sul sito web dello studio e inviato tramite newsletter comunicazioni relative a incarichi professionali svolti, indicando espressamente i clienti assistiti. Ad esempio, nella pubblicazione di gennaio 2022 si menzionava l’assistenza prestata a un certo Consorzio, mentre nella seconda comunicazione si faceva riferimento all’assistenza fornita a due soggetti specifici nei concordati preventivi.

Il CDD ha ritenuto che tali comunicazioni non si limitassero a riprodurre articoli di stampa o comunicati ufficiali dei clienti, ma fossero redatte in maniera autonoma, con toni promozionali e autocelebrativi. In particolare, l’avvocato ha attribuito il buon esito dell’operazione alla “tecnicalità adottata da ……..” e ha invitato a contattarlo per ulteriori informazioni sul leveraged buyout.

Infine, la newsletter, inviata a destinatari iscritti tramite il sito web dello studio, conferma la natura di informazione pubblica e la responsabilità diretta dello studio legale nella diffusione dei nominativi dei clienti assistiti, in violazione delle norme deontologiche.

 

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licenziamento legittimo

Licenziamento legittimo per il dipendente che discrimina la collega Licenziamento legittimo quello irrogato al dipendente che offende ripetutamente e discrimina la collega per il suo orientamento sessuale

Licenziamento legittimo condotta discriminatoria

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6345 del 10 marzo 2025, conferma il licenziamento legittimo del  dipendente disposto per motivi disciplinari, perché ritenuto responsabile di aver offeso reiteratamente l’orientamento sessuale di una collega.

Offese reiterate di contenuto sessista rivolte alla collega

Un dipendente si rivolge a una collega con frasi disonorevoli e immorali, lesive della sua dignità. Il comportamento, reiterato e aggravato dalla presenza di altri colleghi, ha portato all’espulsione del lavoratore dall’azienda. Il dipendente però ha impugnato il provvedimento davanti all’autorità giudiziaria.

In primo grado, il Tribunale respinge l’impugnazione del lavoratore. La Corte d’Appello invece dichiara illegittimo il licenziamento, ritenendolo una misura sproporzionata, ma risolve comunque  il rapporto di lavoro, condannando l’azienda a pagare 20 mensilità di retribuzione. La società presenta ricorso incidentale in Cassazione, la quale accoglie il primo motivo, rinviando il caso alla Corte d’Appello per riesaminare la sussistenza della giusta causa di licenziamento. In sede di riassunzione, la Corte d’Appello rigetta il reclamo del lavoratore, confermando la legittimità della sanzione disciplinare.

Moleste le offese discriminatorie

I comportamenti offensivi e discriminatori legati all’orientamento sessuale di un collega integrano infatti una forma di molestia. La valutazione si basa sul contenuto oggettivo della condotta e sulla percezione soggettiva della vittima. Non occorre dimostrare lintenzione di arrecare danno da parte dell’autore. In questo caso, il lavoratore ha violato l’articolo 45, punto 6, del DPR 148/1931, che sancisce l’obbligo di mantenere una condotta rispettosa e decorosa nei confronti dei colleghi. Le frasi pronunciate sono state considerate disonorevoli, immorali e discriminatorie, immeritevoli di pubblica stima.

La Cassazione non può rivalutare il merito

La Cassazione respinge quindi i motivi sollevati dal lavoratore nei confronti della sentenza della Corte d’Appello, pronunciatasi in sede di rinvio. I giudici hanno ritenuto inammissibili tali argomentazioni,  perché finalizzate a ottenere una diversa valutazione dei fatti. La Suprema Corte  conferma quindi l’importanza del rispetto della dignità dei colleghi e della tutela contro le discriminazioni sessuali, elemento fondamentale dell’ordinamento giuridico italiano.

 

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politiche attive del lavoro

Politiche attive del lavoro: online il nuovo portale E' online dal 17 marzo 2025 il nuovo portale per le politiche attive del lavoro e viene disattivata la piattaforma MyANPAL

Nuovo Portale per le politiche del lavoro

Il Ministero del Lavoro, con avviso sul proprio sito del 14 marzo 2025, ha reso noto che dal 17 marzo 2025 è operativo il Portale per le politiche attive del lavoro, che ospiterà tutti i servizi digitali per l’inserimento e il reinserimento nel mondo del lavoro prima disponibili sulla piattaforma MyANPAL.

Come accedere

I servizi erogati, informa il dicastero, saranno fruibili dopo aver effettuato l’accesso dalla pagina dedicata del portale Servizi Lavoro del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Dopo aver effettuato la procedura di autenticazione occorrerà cliccare sulla voce “Portale per le politiche attive del lavoro”.

La piattaforma MyANPAL è quindi definitivamente disattivata dalle 8.30 di sabato 15 marzo 2025.

 

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