TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio)

TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) Trattamento sanitario obbligatorio (TSO): cos'è, come funziona e quali sono i diritti della persona

Cos’è il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio)

Il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) è un intervento sanitario previsto dall’ordinamento italiano che può essere disposto in modo coercitivo nei confronti di una persona affetta da disturbi mentali, quando essa si rifiuta di sottoporsi volontariamente alle cure necessarie e ricorrono precise condizioni di pericolo per sé o per gli altri.

Trattasi di un misura eccezionale e residuale, finalizzata alla tutela della salute mentale del paziente e alla sicurezza pubblica, ma deve essere sempre esercitata nel pieno rispetto dei diritti costituzionali. La sua applicazione è vincolata a rigidi requisiti normativi e a un rigoroso controllo giudiziario, a garanzia dell’individuo.

La base normativa del TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) si trova nella legge n. 833/1978, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, e in particolare agli articoli 33, 34 e 35, che ne disciplinano la procedura, i presupposti e le garanzie.

Requisiti per il TSO: quando può essere disposto

Secondo l’art. 34 della legge 833/1978, il TSO può essere adottato esclusivamente quando:

  1. sussistono alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici;
  2. non è possibile attuare tempestivamente e adeguatamente interventi extraospedalieri;
  3. la persona rifiuta le cure necessarie.

Questi tre presupposti devono coesistere e vanno accertati da almeno due medici, di cui uno deve appartenere alla struttura sanitaria pubblica.

Chi può richiedere il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio)

La richiesta di TSO parte da un medico, che può essere anche un medico di base o del pronto soccorso, e deve essere convalidata da un secondo medico, appartenente a una struttura pubblica.

La proposta, accompagnata dal certificato medico, viene inviata al Sindaco, in qualità di autorità sanitaria locale, che può emettere ordinanza motivata di TSO. Successivamente, il provvedimento deve essere convalidato dal Giudice Tutelare entro 48 ore.

Come funziona il TSO: la procedura

  1. Accertamento sanitario: redazione della proposta da parte del medico, convalidata da un secondo sanitario pubblico.
  2. Emissione dell’ordinanza del Sindaco: deve indicare il tipo di trattamento e le sue modalità.
  3. Esecuzione del TSO: normalmente presso un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC).
  4. Convalida del Giudice Tutelare: entro 48 ore dalla comunicazione, il giudice convalida o meno il provvedimento.
  5. Durata: il TSO ha una durata iniziale massima di 7 giorni, prorogabile per ulteriori 7 giorni su proposta medica convalidata.

Tipi di TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio)

  • TSO in regime di ricovero: il più comune, comporta il trasferimento del paziente in un reparto psichiatrico ospedaliero.
  • TSO ambulatoriale (meno diffuso): può consistere in cure somministrate fuori dal contesto ospedaliero, sotto condizioni specifiche.

Diritti della persona sottoposta a TSO

La persona sottoposta a TSO conserva pienamente i propri diritti fondamentali, tra cui:

  • il diritto a essere informata sul trattamento e sui motivi dell’intervento.
  • il diritto alla tutela giurisdizionale, mediante ricorso.
  • il diritto alla riservatezza e al rispetto della dignità personale.
  • il diritto di comunicare con familiari e avvocati durante il trattamento.

Ricorso contro il TSO

L’interessato o chiunque vi abbia interesse può proporre ricorso al Giudice Tutelare contro la convalida del TSO. Il giudice è tenuto a decidere in tempi rapidi, garantendo il contraddittorio.

È possibile altresì proporre reclamo ex art. 737 c.p.c. o ricorso straordinario al Tribunale civile nei casi in cui emergano profili di violazione dei diritti fondamentali.

Conseguenze del TSO

Il TSO non comporta automaticamente limitazioni permanenti ai diritti civili o alla capacità giuridica, ma può essere valutato ai fini di:

  • provvedimenti di amministrazione di sostegno, interdizione o inabilitazione (oggi superati dalla figura dell’ADS);
  • decisioni in ambito lavorativo o previdenziale, con eventuale riconoscimento di invalidità;
  • limitazioni alla capacità di possesso e uso di armi, ai sensi del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS).

Normativa di riferimento

  • Legge 23 dicembre 1978, n. 833, artt. 33-35 – Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale.
  • Codice Civile, artt. 414 ss. (istituti di protezione come interdizione, inabilitazione e incapacità naturale).
  • Legge 180/1978 (cd. Legge Basaglia), abrogata ma integrata nella legge 833/1978.
  • Costituzione italiana, artt. 13 e 32 – Libertà personale e diritto alla salute.
  • Codice Deontologico Medico, in relazione all’obbligo di rispetto della volontà del paziente salvo i casi di TSO.

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vademecum ocf

Mediazione post Cartabia: il vademecum OCF per gli avvocati Vademecum OCF mediazione civile e commerciale: guida breve alla procedura di cui al decreto legislativo n. 28/2010 dopo i correttivi della Riforma Cartabia

Vademecum OCF: guida per avvocati e mediatori

Il vademecum OCF sulla mediazione civile e commerciale del 24 marzo 2025, aggiornato alle modifiche apportate al decreto legislativo n. 28/2010 dagli ultimi correttivi della Riforma Cartabia si rivolge ad avvocati e mediatori. L’idea è quella di fornire una guida chiara e basilare grazie a una esposizione breve e schematica.

Vademecum, OCF: la mediazione in fasi

Il vademecum OCF, composto da 33 pagine, definisce la mediazione, ne indica le tipologie, il luogo di svolgimento e le parti coinvolte. La parte successiva dell’esposizione descrive la procedura dividendola nelle tre fasi costitutive: avvio, incontri e conclusione.

Fase 1: L’avvio della mediazione

Nella parte iniziale dedicata alla fase dell’avvio della mediazione il vademecum dedica una particolare attenzione alla mediazione in modalità telematica e agli incontri di mediazione che si tengono con modalità audiovisive da remoto.

Nell’analizzare l’articolo 12 bis del decreto legislativo n. 28/201o mette in evidenza l’importanza della partecipazione delle parti alla procedura di mediazione, elencando le conseguenze processuali della mancata presenza.

Fase 2: gli incontri di mediazione

La parte del documento dedicata alla fase 2 della procedura, dedicata agli incontri di mediazione, si occupa di analizzare l’articolo 8 del decreto legislativo n. 28/2010, che disciplina il procedimento di mediazione. Segue la descrizione dell’articolo 6 che stabilisce la durata massima della proceduta, e la trattazione della novità normativa sulla procura e sulla delega da conferire all’avvocato per la mediazione.

La fase due si chiude con la proposta conciliativa del mediatore (su richiesta delle parti o su iniziativa dello stesso in caso di mancato accordo) e sul rifiuto della proposta.

Fase 3. Conclusione del procedimento

La terza e ultima fase, ossia la conclusione del procedimento, è la parte più ampia e densa. Essa descrive i possibili esiti della procedura (negativo o positivo) e l’efficacia esecutiva e l’esecuzione dell’accordo. Un ampio spazio della trattazione è dedicato alla disciplina del patrocinio a spese dello stato.

La parte finale della trattazione è dedicata a un argomento di particolare interesse e complessità, ossia l’esenzione dalle imposte e i crediti di imposta che riguardano la procedura di mediazione. I vari paragrafi descrivono in particolare le modalità e i termini di presentazione della domanda per richiedere il riconoscimento dei benefici fiscali.

 

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danno differenziale

Danno differenziale Danno differenziale: cos'è, normativa di riferimento, presupposti, come si calcola, presupposti e risarcimento

Danno differenziale

Il danno differenziale è un istituto fondamentale nella materia del risarcimento del danno derivante da infortuni sul lavoro o malattie professionali. Esso consiste in sostanza nel risarcimento ulteriore, rispetto a quello erogato dall’INAIL, spettante al lavoratore quando il danno effettivo subito supera quanto riconosciuto in via automatica dall’assicurazione obbligatoria. Questo istituto risponde all’esigenza di garantire il risarcimento integrale del danno, tenendo conto della differenza tra quanto ricevuto dall’INAIL e il maggiore pregiudizio effettivamente subito dal lavoratore.

Cos’è il danno differenziale

Il danno differenziale è definito come la parte di danno risarcibile che non trova copertura nell’indennizzo previsto dalla tutela INAIL. Lo stesso può riguardare:

  • il danno patrimoniale, come perdita di capacità lavorativa, mancato guadagno o spese mediche non rimborsate;
  • Il danno non patrimoniale, ossia biologico, morale o esistenziale, nella misura eccedente rispetto a quanto riconosciuto dall’INAIL.

Il principio alla base è che l’indennizzo INAIL ha natura assistenziale, mentre il risarcimento civilistico mira alla riparazione integrale del danno, secondo i criteri dell’art. 2043 c.c.

Normativa di riferimento

Le principali fonti normative sono:

  • Art. 10 del d.P.R. n. 1124/1965 (Testo unico infortuni sul lavoro), che prevede l’azione risarcitoria nei confronti del datore di lavoro in caso di responsabilità,;
  • Art. 2087 c.c., che impone all’imprenditore l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore;

Come si calcola il danno differenziale

Semplificando, il danno differenziale si calcola come la differenza tra il risarcimento civilistico integrale (determinato secondo i parametri giurisprudenziali, ad esempio le Tabelle del Tribunale di Milano) e l’importo erogato dall’INAIL, comprensivo di indennità temporanea, rendita, indennizzo in capitale o prestazioni sanitarie.

Esempio pratico:

  • Danno biologico accertato in sede civile: € 100.000
  • Indennizzo INAIL ricevuto: € 40.000
  • Danno differenziale spettante: € 60.000

L’importante è non sommare le due voci, ma dedurre l’indennizzo INAIL dal risarcimento complessivo riconosciuto in sede giudiziaria o stragiudiziale.

Presupposti per ottenere il danno differenziale

Per far valere il diritto al danno differenziale è necessario:

  1. dimostrare la responsabilità datoriale (dolo o colpa, ad esempio per violazione delle norme antinfortunistiche);
  2. accertare l’entità del danno complessivo, patrimoniale e non patrimoniale;
  3. quantificare l’importo già erogato da INAIL;
  4. promuovere un’azione risarcitoria civile, generalmente davanti al tribunale del lavoro.

Come ottenere il risarcimento  

1. Raccolta della documentazione

  • verbale di infortunio o malattia professionale;
  • comunicazioni e certificazioni INAIL (con importi e tipo di prestazione);
  • cartelle cliniche, relazioni mediche e perizie di parte.

2. Valutazione legale

Rivolgersi a un avvocato esperto in diritto del lavoro e responsabilità civile, per l’analisi della posizione e la quantificazione del danno.

3. Tentativo di conciliazione o trattativa stragiudiziale

In molti casi, è possibile ottenere un risarcimento anche senza causa, mediante trattativa con l’assicurazione del datore di lavoro.

4. Azione giudiziaria

In caso di mancato accordo, si può agire in giudizio per ottenere la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno differenziale, secondo le regole del processo del lavoro.

Danno differenziale e danno complementare: differenze

Occorre distinguere tra:

  • Danno differenziale: parte del danno già oggetto di indennizzo INAIL, ma non integralmente risarcita;
  • Danno complementare: voci di pregiudizio non coperte in alcun modo dall’INAIL, come il danno morale o esistenziale in determinate ipotesi.

Di recente la Cassazione n. 2008/2025 ha chiarito che il concetto di “danno differenziale” in relazione al danno biologico si riferisce correttamente alla porzione di risarcimento che supera l’ammontare dell’indennizzo previsto dall’assicurazione obbligatoria e che, di conseguenza, rimaneva a carico del datore di lavoro. In quest’ottica, il diritto esercitato dal lavoratore veniva definito in modo appropriato. Distinto da questo istituto è il cosiddetto “danno complementare”. In questa categoria rientrano i danni richiesti che non sono coperti dall’assicurazione e che devono essere risarciti in base alle norme generali della responsabilità civile (come evidenziato dalla sentenza della Cassazione n. 166 del 10 aprile 2017). Sembra che il Collegio di merito abbia fatto riferimento proprio a questa nozione di danno complementare per negare in questa sede la tutela al diritto del lavoratore al risarcimento del danno biologico.”

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caso fortuito e rimessione

Caso fortuito e rimessione in termini: la Cassazione chiarisce La Corte di Cassazione definisce i requisiti del caso fortuito ai fini della rimessione in termini nel processo penale

Caso fortuito e rimessione in termini

Con la sentenza n. 18618/2025, la seconda sezione penale della Corte di Cassazione ha affrontato il tema della rimessione in termini per il ricorso per cassazione, specificando i presupposti giuridici che danno rilievo al caso fortuito nel processo penale.

Il fatto processuale

Nel caso di specie, il difensore dell’imputato aveva presentato istanza di rimessione in termini, adducendo il verificarsi di un evento eccezionale che aveva impedito il rispetto del termine per l’impugnazione. Il legale invocava il caso fortuito, chiedendo alla Corte di riconoscerne la sussistenza e di ritenere ammissibile il ricorso presentato oltre il termine ordinario.

La definizione di caso fortuito secondo la Cassazione

La Suprema Corte, richiamando la propria giurisprudenza consolidata, ha ribadito che il caso fortuito si configura come:

“un’accidentalità che opera come causa non conoscibile, ineliminabile con l’uso delle comuni prudenza e diligenza”.

Per essere rilevante ai fini della rimessione in termini, l’evento deve dunque:

  • essere imprevisto e imprevedibile;

  • avere carattere eccezionale e atipico;

  • manifestarsi in modo improvviso;

  • impedire oggettivamente all’agente di conformare tempestivamente la propria condotta alla situazione determinatasi.

Il principio affermato

In applicazione di tali criteri, la Corte ha rigettato la richiesta di rimessione in termini, ritenendo che l’evento dedotto dal difensore non fosse inquadrabile come caso fortuito in senso tecnico-giuridico. La decisione valorizza il profilo dell’esigibilità del comportamento diligente, sottolineando che il caso fortuito deve determinare un impedimento insormontabile e non semplicemente una difficoltà organizzativa o una negligenza, anche se minima.

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bonus latte artificiale

Bonus latte artificiale  Bonus latte artificiale: cos’è, normativa, a chi spetta, requisiti reddituali e soggettivi, importo e come fare domanda

Cos’è il bonus latte artificiale

Il bonus latte artificiale è un contributo economico previsto per supportare le famiglie nell’acquisto di formule per lattanti in caso di accertata impossibilità dell’allattamento materno. Si tratta di una misura sanitaria e sociale introdotta per garantire pari opportunità di nutrizione ai neonati nei primi mesi di vita, nel rispetto delle linee guida pediatriche.

La normativa di riferimento

Il bonus è stato istituito con l’art. 1, comma 456 della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Legge di Bilancio 2020) e successivamente regolamentato con il Decreto del Ministero della Salute del 31 agosto 2021, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 266 del 8 novembre 2021. L’erogazione del beneficio è subordinata all’individuazione delle risorse disponibili e all’attivazione delle procedure a livello regionale o aziendale (ASL).

A chi spetta il bonus latte artificiale

Il bonus può essere richiesto esclusivamente da madri:

  • residenti in Italia;
  • con indicazione medica di impossibilità all’allattamento al seno per motivi patologici (ad esempio infezioni croniche, terapie farmacologiche incompatibili, ipogalattia severa documentata, interventi chirurgici, patologie metaboliche o infettive, ecc.);
  • con un ISEE minorenni in corso di validità non superiore a 30.000 euro annui.

È importante evidenziare che il beneficio è rivolto a supportare l’alimentazione dei bambini nei primi sei mesi di vita, periodo ritenuto fondamentale per lo sviluppo neonatale.

Importo del contributo

L’importo massimo riconosciuto è di € 400 annui, da riproporzionarsi in base al numero di mesi in cui l’allattamento al seno è impossibile.

L’importo viene concesso una tantum, in relazione al periodo di impossibilità all’allattamento certificato dal medico specialista o dal pediatra di libera scelta.

Modalità di richiesta

Le modalità operative per ottenere il bonus latte artificiale variano leggermente da Regione a Regione. In generale, la domanda va presentata alla propria ASL di appartenenza, entro i primi sei mesi dalla nascita, allegando:

  1. il certificato medico attestante l’impossibilità di allattare per patologia, rilasciato da uno specialista del Servizio Sanitario Nazionale o da un pediatra;
  2. la certificazione ISEE in corso di validità;
  3. il documento di identità della madre richiedente;
  4. il codice fiscale del bambino;
  5. le ricevute fiscali o scontrini parlanti comprovanti l’acquisto del latte artificiale.

La richiesta può essere presentata in modalità cartacea o telematica, secondo le indicazioni fornite dalla ASL o Regione di appartenenza (come ASL Pescara, Regione Puglia, Regione Lazio ecc.).

Modalità di erogazione del bonus latte artificiale

L’ASL competente provvede a verificare la documentazione e ad autorizzare l’erogazione del contributo tramite:

  • rimborso delle spese già sostenute, su presentazione delle ricevute;
  • in alcuni casi, voucher o contributi diretti da utilizzare presso farmacie o punti vendita convenzionati.

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sovraindebitamento

Sovraindebitamento: guida alla legge salva suicidi Sovraindebitamento: cos’è, quali leggi lo prevedono e lo regolamentano, destinatari, procedure, esdebitazione

Sovraindebitamento: definizione

Il termine giuridico “sovraindebitamento” descrive la situazione in cui un soggetto non è più in grado di far fronte ai propri debiti. La situazione di sovraindebitamento si verifica nello specifico quando lo squilibrio tra entrate e uscite rende impossibile al debitore onorare gli impegni finanziari assunti con banche, finanziarie, fornitori e altri creditori.

Riferimenti normativi

La normativa sul sovraindebitamento rappresenta un’opportunità per individui, famiglie, professionisti e piccole imprese.

I debitori hanno infatti la possibilità di rinegoziare i debiti in base alle loro reali capacità economiche, con la prospettiva di vedersi cancellata la parte del debito che non riusciranno mai a saldare. Questo processo non deve essere considerato una  sanatoria generalizzata. Si tratta piuttosto di un meccanismo per consentire a chi è oberato dai debiti di pagare ciò che può effettivamente sostenere, conservando nello stesso tempo una vita dignitosa.

Legge salva suicidi n. 3/2012

Il sovraindebitamento è stato formalmente riconosciuto dalla Legge 3/2012, contenente  “Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento”, meglio nota come “legge salva suicidi.

Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

Nel 2022 il sovraindebitamento è stato riformato dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche). Sebbene i principi fondamentali dell’istituto introdotti dalla Legge 3/2012 rimangano validi,  il Codice della Crisi rappresenta, al momento, il riferimento normativo principale.

Obbiettivi della procedura

Le disposizioni sul sovraindebitamento mirano a perseguire un duplice obiettivo:

  • consentire al debitore di pagare i debiti in base alle proprie effettive possibilità economiche, tenendo conto del reddito, del patrimonio e del nucleo familiare;
  • concedere l'”esdebitazione, ovvero la cancellazione di quella parte dei debiti che non può essere in alcun modo onorata, offrendo così un nuovo inizio finanziario.

Alle procedure di sovraindebitamento possono accedere però  solo coloro che si trovano in una reale situazione di difficoltà economica e che dimostrano di non aver agito in modo fraudolento o con colpa grave nella creazione del proprio indebitamento.

Codice crisi d’impresa: novità sovraindebitamento

Il Codice della Crisi ha previsto diverse novità, a tutto vantaggio del debitore.

  • Procedure familiari: i membri della stessa famiglia conviventi, con un’origine comune del sovraindebitamento, possono avviare un’unica procedura, con conseguente riduzione di costi e tempi rispetto all’obbligo di procedure individuali previsto dalla precedente normativa.
  • Meritevolezza: il debitore deve dimostrare di non aver compiuto atti di frode verso i creditori (ad esempio, sottrazione di patrimonio) e che il sovraindebitamento non è frutto di dolo o comportamenti gravemente imprudenti.
  • Merito creditizio: il codice ha introdotto un elemento di “responsabilità” per gli istituti di credito che hanno concesso finanziamenti pur essendo consapevoli della precaria situazione finanziaria del richiedente. Questo è un aspetto che può influenzare le decisioni del giudice in merito all’esdebitazione.
  • Esdebitazione del debitore incapiente o “esdebitazione senza utilità”: è consentito  cancellare tutti i debiti anche a coloro che non possiedono alcun bene o reddito da destinare al pagamento, purché”meritevoli”.
  • Cessione del quinto dello stipendio: i prestiti con cessione del quinto sono equiparati agli altri debiti e possono essere inclusi nelle procedure di sovraindebitamento.
  • Riabilitazione del richiedente: la liquidazione del patrimonio ha una durata massima e l’esdebitazione diventa automatica alla fine di questo periodo (in assenza di motivi ostativi), senza bisogno di una specifica domanda.

Debiti rientranti nel sovraindebitamento

La normativa sul sovraindebitamento può includere una vasta gamma di debiti, tra cui quelli verso le verso banche e le finanziarie, le spese per il condominio, le tasse degli enti locali; i debiti verso privati, fornitori e l’Agenzia delle Entrate. Non vi rientrano invece i debiti per alimenti dovuti al coniuge.

Destinatari procedure di sovraindebitamento

Le procedure di sovraindebitamento sono riservate ai soggetti “non fallibili”, ovvero a coloro che non superano determinate soglie dimensionali e di indebitamento previste dalla legge fallimentare. Queste categorie includono i consumatori, ossia le persone fisiche senza Partita IVA, i lavoratori autonomi, i professionisti iscritti ad albi, le piccole imprese sotto le soglie di fallibilità (debiti totali inferiori a 500.000euro; ricavi lordi inferiori a 200.000 euro e attivo patrimoniale inferiore a 300.000 euro), le aziende agricole, le Start-up innovative, gli enti no profit, enti pubblici con certe caratteristiche, i familiari del soggetto sovraindebitato (coniugi, conviventi, parenti entro il 4° grado e affini entro il 2° grado conviventi e con origine comune del debito) e i soci illimitatamente responsabili delle SNC, delle SAS e delle SPA.

Le procedure di sovraindebitamento 

Il Codice della Crisi prevede diverse procedure per affrontare il sovraindebitamento.

  1. Liquidazione controllata del sovraindebitato: questa procedura, simile alla precedente “liquidazione del patrimonio” della Legge 3/2012, prevede la liquidazione dei beni del debitore per soddisfare i creditori. Se il ricavato non copre interamente i debiti, la parte residua può essere pagata ratealmente per un periodo limitato. Il giudice ha l’ultima parola sull’esito della procedura.
  2. Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore: rivolto a persone fisiche con reddito stabile (dipendenti, pensionati, ecc.) e debiti prevalentemente di natura personale, questo piano prevede una proposta di pagamento sostenibile presentata ai creditori e soggetta all’approvazione del giudice. Non è soggetto al voto dei creditori.
  3. Concordato minore (ex accordo di composizione della crisi): destinato a imprese e professionisti non fallibili, prevede una proposta di pagamento ai creditori che diventa efficace se approvata da almeno il 50% dei crediti. Permette, in alcuni casi, la continuità aziendale.

Esdebitazione: cancellazione dei debiti

Anche nel caso di liquidazione del patrimonio, se il ricavato non copre l’intero ammontare dei debiti, il debitore può essere esdebitato per la parte residua. L’esdebitazione può essere richiesta anche da soggetti falliti, che hanno la possibilità di ricominciare, liberandosi dalle pendenze pregresse.

Esdebitazione senza utilità o “del debitore incapiente”

Questa forma di esdebitazione, introdotta dal Codice della Crisi, permette ai debitori “meritevoli” che non hanno alcun bene o reddito di ottenere la cancellazione di tutti i loro debiti una sola volta nella vita. Il beneficiario ha però l’obbligo di informare i creditori qualora, nei quattro anni successivi, dovesse entrare in possesso di risorse tali da consentire il pagamento di una percentuale del debito.

Procedura di sovraindebitamento in breve

La procedura di sovraindebitamento, molto brevemente, si articola nelle seguenti fasi:

  1. verifica preliminare: valutazione dell’ammissibilità alla legge e della convenienza della procedura;
  2. raccolta della documentazione: preparazione di tutti i documenti relativi alla situazione economica e patrimoniale;
  3. nomina dell’Organismo di Composizione della Crisi (OCC): un organismo terzo e indipendente che assiste il debitore;
  4. istanza al Giudice: presentazione della domanda di avvio della procedura;
  5. omologazione del Giudice: approvazione del piano o della liquidazione da parte del Tribunale, in cui è prevista l’adozione possibile di misure cautelari;
  6. attuazione del piano: esecuzione dei pagamenti previsti o liquidazione del patrimonio;
  7. esdebitazione e riabilitazione: al termine della liquidazione, avviene la cancellazione dei debiti non pagati.
41-bis

41-bis 41 bis: cos'è, normativa di riferimento, a chi si applica e per quali reati, restrizioni, durata e proroga, compatibilità con la Costituzione

Cos’è il 41-bis

Il regime carcerario del 41-bis dell’ordinamento penitenziario italiano rappresenta una delle misure più rigorose previste dal sistema penale, comunemente noto come “carcere duro”. È uno strumento straordinario, introdotto per contrastare le organizzazioni criminali di tipo mafioso e terroristico, volto a interrompere i legami tra detenuti e contesti esterni di criminalità organizzata.

L’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975, n. 354), modificato nel corso degli anni da vari interventi legislativi, prevede la possibilità per il Ministro della giustizia di sospendere in tutto o in parte l’applicazione delle regole ordinarie del trattamento penitenziario nei confronti di detenuti per reati di particolare gravità, al fine di impedire contatti con l’esterno che possano agevolare attività criminali.

Tale sospensione avviene mediante un provvedimento motivato del Ministro.

Normativa vigente

L’attuale formulazione dell’art. 41-bis, stabilisce al comma 2 che quando ricorrano gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica, il Ministro della giustizia può sospendere in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti per taluni reati, l’applicazione delle regole del trattamento penitenziario previste dalla presente legge e consentire restrizioni specifiche in deroga ai principi generali.

Le modifiche più rilevanti sono state introdotte con:

  • Legge n. 663/1986;
  • Legge n. 279/2002 (legge di sistema sul carcere duro);
  • Successivi interventi fino alla legge n. 94/2009, che ha ulteriormente inasprito il regime, rendendolo permanente e prorogabile.

A chi si applica il regime del 41-bis

Il regime differenziato si applica ai detenuti imputati o condannati per reati di particolare allarme sociale, come:

  • Associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.);
  • Terrorismo internazionale o interno (artt. 270-bis e seguenti c.p.);
  • Traffico di stupefacenti aggravato;
  • Sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.);
  • Associazione finalizzata al traffico illecito di armi o esseri umani;
  • Strage, omicidio aggravato, o attentato per finalità eversive o terroristiche.

La misura è adottata se sussiste il pericolo concreto che il soggetto, anche dalla detenzione, possa mantenere legami con l’organizzazione criminale di riferimento o esercitare il controllo sul territorio.

Quali restrizioni prevede il 41-bis

Il regime 41-bis prevede una serie di limitazioni molto severe, tra cui:

  • isolamento dal resto della popolazione carceraria;
  • limitazione e controllo dei colloqui con i familiari, esclusivamente attraverso vetri divisori e in presenza di agenti;
  • controllo della corrispondenza scritta e monitoraggio delle conversazioni telefoniche;
  • censura dei pacchi e limitazioni sugli oggetti ricevibili;
  • riduzione dell’ora d’aria e delle attività comuni, spesso a piccoli gruppi selezionati;
  • divieto di interazioni non autorizzate con altri detenuti.

Tutte queste restrizioni mirano a impedire che il detenuto possa comunicare ordini o informazioni all’esterno, mantenendo viva la rete criminale.

Durata e proroga del 41-bis

La sospensione del regime ordinario è disposta per una durata massima iniziale di 4 anni, prorogabile di due anni in due anni, qualora persistano le condizioni di pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica. Ogni proroga deve essere motivatamente disposta e soggetta a verifica giudiziaria, attraverso ricorso davanti al Tribunale di Sorveglianza competente.

Critiche e compatibilità costituzionale

Il 41-bis è stato più volte oggetto di esame costituzionale e critiche da parte di organismi internazionali, come il Comitato europeo per la prevenzione della tortura (CPT) e l’ONU, per presunte violazioni dei diritti umani. Tuttavia, la Corte costituzionale italiana ha ribadito la legittimità della misura, purché le limitazioni siano proporzionate e motivabili in funzione della sicurezza.

In particolare, la Consulta ha evidenziato che non si tratta di una forma di “pena aggiuntiva”, ma di una misura di gestione penitenziaria eccezionale, volta a prevenire il crimine e tutelare la collettività (Corte Cost., sent. n. 376/1997 e n. 190/2010).

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spese straordinarie

Reato non pagare le spese straordinarie per i figli Il mancato pagamento delle spese straordinarie per i figli integra il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare

Violazione obblighi di assistenza familiare

Il mancato pagamento delle spese straordinarie per i figli integra il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570-bis c.p.). La norma incriminatrice non si limita infatti all’assegno, ma include tutti gli “obblighi di natura economica in materia di affido dei figli”. Questo comprende sia le spese per i bisogni ordinari dei figli, ma prevedibili e ricorrenti, che quelle imprevedibili e rilevanti, ma indispensabili per il loro interesse. Queste spese, come l’assegno, sono fondamentali per il mantenimento, istruzione ed educazione dei figli, garantendo il loro benessere. L’inadempimento quindi, se provato, è penalmente rilevante. Lo ha chiarito la Cassazione nella sentenza  n. 19715/2025.

Violazione degli obblighi di assistenza familiare

Un uomo viene condannato alla pena della reclusione di due anni per il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare di cui all’art. 570 bis c.p. L’imputato non ha infatti adempiuto all’obbligo di corrispondere alla ex moglie l’assegno per il mantenimento dei figli e il 50% delle spese straordinarie.

Mancato pagamento delle spese straordinarie 

Nell’impugnare la sentenza l’imputato con il terzo motivo eccepisce la nullità della sentenza per violazione della legge penale. A suo dire il mancato pagamento delle spese straordinarie non integra il reato di cui è stato ritenuto responsabile. L’articolo 570 bis c.p. non si riferirebbe infatti alla violazione degli obblighi economici diversi da quelli relativi alla separazione dei coniugi e all’affido condiviso dei figli.

Spese straordinarie: principi civilistici

La Cassazione annulla senza rinvio la sentenza perché il reato è prescritto e respinge il terzo motivo relativo alle spese straordinarie. Questo il ragionamento della Corte.

Nel caso specifico, l’imputato è stato chiamato a rispondere del mancato pagamento delle spese straordinarie, pattuite al 50% con i provvedimenti di separazione e divorzio. Trattasi nello specifico di importi significativi, in gran parte legati a spese mediche, sanitarie o scolastiche.

Per la difesa il mancato versamento queste spese non costituisce reato, specialmente nel periodo in cui l’assegno di mantenimento e quello divorzile sono stati regolarmente corrisposti. Questa argomentazione difensiva però per gli Ermellini non è fondata.

Spese straordinarie imprevedibili e imponderabili

La Cassazione ricorda che la giurisprudenza civile ha sottolineato l’importanza delle spese straordinarie, dato che la normativa positiva non le definisce in modo esplicito. La giurisprudenza di legittimità ha inquadrato in particolare le spese straordinarie nel contesto del concorso negli oneri relativi all’educazione, istruzione e mantenimento della prole.

La stessa ha stabilito in particolare che le spese “straordinarie” sono quelle che, per la loro rilevanza, imprevedibilità e imponderabilità, non rientrano nell’ordinaria gestione della vita dei figli. L’inclusione forfettaria di queste spese nell’assegno di mantenimento potrebbe, infatti, violare i principi di proporzionalità e adeguatezza del mantenimento, a discapito della prole (Cassazione n. 1562/2020).

Ai fini giuridici, è stata operata infatti una distinzione tra:

  • esborsi per bisogni ordinari che consistono nelle spese certe e prevedibili, che integrano l’assegno di mantenimento e sono azionabili in base al titolo originario (es. sentenza), con un calcolo puramente aritmetico;
  • spese imprevedibili e rilevanti che sono invece quelle che, per il loro ammontare e per l’imprevedibilità, richiedono un’autonoma azione di accertamento, rispettando l’adeguatezza alle esigenze del figlio e la proporzionalità del contributo del genitore (Cassazione n. 379/2021).

La Cassazione ricorda inoltre che il genitore collocatario non è obbligato a concordare preventivamente ogni spesa straordinaria, ma solo le “decisioni di maggiore interesse” (art. 337-ter c.c.). Negli altri casi, l’altro genitore è tenuto al rimborso, salvo validi motivi di dissenso (Cassazione n. 15240/2018).

Mancato pagamento spese straordinarie reato

Questi principi civilistici sulle spese straordinarie risultano applicabili anche in sede penale. Pertanto, il reato di cui all’art. 570-bis c.p. è integrato anche dal mancato pagamento delle spese straordinarie, sia quelle certe e prevedibili che integrano l’assegno, sia quelle imprevedibili ma indispensabili per l’interesse dei figli, purché previste da un titolo giudiziario o da un accordo tra i coniugi. L’art. 570-bis c.p. fa riferimento del resto non solo all’assegno, ma in generale agli obblighi di natura economica in materia di affido dei figli, nei quali rientrano anche le spese straordinarie, essenziali per garantire il mantenimento, l’istruzione e l’educazione dei figli come previsto dall’art. 147 c.c.

 

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consiglio di supercondominio

Il consiglio di supercondominio Consiglio di supercondominio: definizione, funzioni, normativa, maggioranze decisionali e giurisprudenza rilevante

Cos’è il consiglio di supercondominio?

Il consiglio di supercondominio è un organo che facilita la gestione di un supercondominio, ossia un complesso formato da più edifici con parti comuni (come vialetti, impianti, parcheggi o giardini). Il consiglio non è obbligatorio per legge. Lo stesso però può essere istituito per agevolare il processo decisionale, coordinare le esigenze delle singole palazzine e rappresentare i condomini in assemblea. Il consiglio di supercondominio è un organo consultivo e di rappresentanza ed è composto dai delegati delle singole unità condominiali che fanno parte del supercondominio. Non ha poteri decisionali vincolanti, ma svolge un ruolo di raccordo tra le varie realtà condominiali. In questo modo facilita la gestione delle parti comuni.

Funzioni principali del consiglio di supercondominio

Da quanto accennato emerge quindi che il consiglio diu supercondomonio svolge principalmente le seguenti funzioni:

– Consulenza: supporta l’amministratore del supercondominio nella gestione delle parti comuni.
Rappresentanza: fa da tramite tra i singoli condomini e l’assemblea del supercondominio.
Coordinamento: agevola la comunicazione e la risoluzione dei problemi tra i diversi edifici.
Verifica delle spese: monitora l’uso delle risorse comuni per evitare sprechi.

Non è un organo obbligatorio, ma può essere previsto nel regolamento condominiale o deciso dall’assemblea del supercondominio.

Normativa di riferimento

Il supercondominio è regolato dagli articoli 1117-bis e 67 delle disposizioni di attuazione del codice civile, che disciplinano la gestione di beni comuni in strutture condominiali complesse. Tuttavia, il consiglio di supercondominio non è espressamente previsto dalla legge, ma può essere istituito in base alle seguenti norme:

Art. 67 disp. att. c.c.: stabilisce che, nei supercondomini con più di 60 partecipanti, i condomini devono nominare un rappresentante per ciascun edificio, che li rappresenti nelle assemblee del supercondominio.

Art. 1136 c.c.: disciplina le maggioranze necessarie per le delibere condominiali, applicabili anche al supercondominio.

Art. 1105 c.c.: regola l’amministrazione delle parti comuni in caso di comunione, applicabile in via analogica al supercondominio.

Il consiglio di supercondominio può essere previsto nel regolamento condominiale o istituito con una delibera assembleare a maggioranza.

Maggioranze necessarie per le decisioni

Le decisioni del consiglio di supercondominio non sono vincolanti, ma servono come supporto all’assemblea del supercondominio. Tuttavia, se il regolamento prevede che il consiglio abbia compiti specifici (ad esempio, la selezione di preventivi per lavori comuni), le sue decisioni devono essere ratificate dall’assemblea con le seguenti maggioranze:

Spese ordinarie (es. manutenzione del giardino condominiale): maggioranza semplice (50%+1 dei presenti).
Spese straordinarie (es. rifacimento del tetto di un edificio comune): maggioranza qualificata (almeno ⅔ dei millesimi).
Nomina di un rappresentante di palazzina: maggioranza semplice dei condomini della singola palazzina.

Se un edificio del supercondominio non partecipa alle spese per un determinato bene o servizio, i suoi rappresentanti non hanno diritto di voto sulle decisioni relative a quel bene.

Giurisprudenza sul consiglio di supercondominio

La giurisprudenza ha chiarito diversi aspetti del consiglio di supercondominio. Vediamo in che modo.

Cassazione n. 33057/2018: l’assemblea condominiale può legittimamente nominare una “commissione di condòmini” con il compito di esaminare preventivi e spese per lavori. Tuttavia, questa commissione non può sostituirsi all’assemblea nelle sue funzioni.

Ciò significa che le decisioni prese dalla commissione, come la scelta del contraente (ad esempio, un’impresa edile) e la ripartizione dei costi, sono vincolanti per tutti i condòmini (inclusi i dissenzienti) solo se approvate dall’assemblea con le maggioranze previste dalla legge. Di conseguenza, se l’amministratore stipula un contratto d’appalto per lavori di manutenzione straordinaria (non urgenti) basandosi sulle scelte della commissione, ma senza una delibera assembleare di approvazione, tale contratto non è legalmente opponibile ai condòmini. In altre parole, i condòmini non sarebbero vincolati da un contratto non approvato dall’assemblea.

Corte di Appello Torino n. 1667/2017: una delibera del Consiglio di Condominio è invalida se non ha un contenuto meramente consultivo, ma prende una vera e propria decisione, specialmente se non convocata dall’Amministratore. Questo perché il Consiglio di Condominio, secondo la Riforma del 2013, ha solo funzioni consultive e di controllo sull’operato dell’Amministratore (amministrativo, tecnico e contabile). Ad esempio, se un’Assemblea del Consiglio di Condominio decidesse sull’assegnazione di lavori di rifacimento di un terrazzo, eccederebbe chiaramente le sue prerogative, rendendo la delibera illegittima.

 

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TSO: la persona va informata sul trattamento La Corte costituzionale dichiara illegittima la norma sul TSO che non garantisce comunicazione, audizione e notifica al soggetto coinvolto

Nuove tutele per chi è sottoposto a TSO

Con la sentenza n. 76/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 35 della legge n. 833/1978 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), nella parte in cui non garantisce tre fondamentali garanzie procedurali a chi è sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio (TSO) in regime di ricovero:

  1. Comunicazione del provvedimento del sindaco al diretto interessato o al suo legale rappresentante;

  2. Audizione della persona sottoposta a TSO da parte del giudice tutelare prima della convalida;

  3. Notifica del decreto di convalida al soggetto interessato o al suo rappresentante.

Le ragioni della decisione

La Corte ha sottolineato che le garanzie costituzionali, in particolare quelle di cui agli articoli 13, 24 e 111 della Costituzione, impongono che ogni limitazione della libertà personale sia accompagnata da adeguate tutele del diritto di difesa e del principio del contraddittorio.

Nemmeno una condizione di incapacità naturale può giustificare la privazione dei diritti fondamentali: chi è affetto da infermità, fisica o psichica, non può essere escluso dalle garanzie costituzionali.

Funzioni dell’audizione

L’audizione preventiva del soggetto da parte del giudice tutelare:

  • costituisce un presidio minimo di legalità in caso di restrizioni della libertà personale;

  • assicura il rispetto del divieto di violenza fisica e morale (art. 13, comma 4, Cost.);

  • consente di valutare condizioni personali e reti familiari o sociali di supporto, utili anche per adottare provvedimenti provvisori urgenti ai sensi dell’art. 35, comma 6, legge n. 833/1978.

I punti dichiarati incostituzionali

La norma è stata ritenuta illegittima:

  • al primo comma, per non prevedere che il provvedimento del sindaco sia “comunicato alla persona interessata o al suo legale rappresentante, ove esistente”;

  • al secondo comma, per l’omissione dell’obbligo di audizione del soggetto (“sentita la persona interessata”) e di notifica della convalida;

  • al quarto comma, in riferimento alla proroga del TSO, per analogo difetto di comunicazione alla persona o al suo rappresentante.