Marchi, segni distintivi e responsabilità del fornitore È conforme all’art. 3, comma 1, direttiva 85/374/CEE l’interpretazione che estenda la responsabilità del produttore al fornitore, soltanto perché quest'ultimo abbia una denominazione, marchio o segno distintivo in tutto o in parte coincidenti con quello del produttore?
Quesito con risposta a cura di Sara Rosati e Silvia Todisco
Va rimessa alla Corte di giustizia la questione se sia conforme all’art. 1, comma 1, direttiva 85/374/CEE – e, se non sia conforme, perché non lo sia – l’interpretazione che estenda la responsabilità del produttore al fornitore, anche se quest’ultimo non abbia materialmente apposto sul bene il proprio nome, marchio o altro segno distintivo, soltanto perché il fornitore abbia una denominazione, un marchio o un altro segno distintivo in tutto o in parte coincidenti con quello del produttore. – Cass., sez. III, ord. 6 marzo 2023, n. 6568.
Nel caso di specie il ricorrente conveniva in giudizio la X S.p.A. quale venditrice e la Y S.p.A. quale produttrice della propria auto, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in un sinistro automobilistico in cui non aveva funzionato l’air-bag della vettura.
La Y S.p.A., costituitasi in giudizio, resisteva negando di essere la produttrice, qualificando Y1 S.p.A., appartenente al suo stesso gruppo industriale, come tale. Eccepiva di non essere responsabile del difetto del prodotto lamentato, in quanto il fornitore non ne risponde se il produttore è individuato e comunque ne risulta comunicata l’identità al consumatore, come avvenuto nel caso di specie.
Il Tribunale accoglieva la domanda attorea dichiarando la responsabilità extracontrattuale della convenuta per difetto di fabbricazione dell’air-bag.
La società presenta ricorso e chiede, se necessario, il rinvio pregiudiziale alla CGUE.
Il nucleo della questione da dirimere è se ritenere sussistente la responsabilità della società Y S.p.A. per il suo trovarsi in una posizione equiparata a quella del produttore non evocato.
Il ricorrente richiama la nozione di “produttore” ai sensi dell’art. 3, D.P.R. 224/1988 quale “fabbricante del prodotto finito o di una sua componente e il produttore della materia prima” con l’estensione per cui “si considera produttore anche chi si presenti come tale apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto o sulla sua confezione”. La ratio dell’estensione della responsabilità va rinvenuta nei “considerando” della Direttiva secondo cui “ai fini della protezione del consumatore è necessario considerare responsabili tutti i partecipanti al processo produttivo” se il prodotto o parte di esso è difettoso e quindi anche di chi “si presenti come produttore apponendo il suo nome, marchio o altro segno distintivo o fornisca un prodotto il cui produttore non possa essere identificato”.
La logica è quella di sanzionare, con l’estensione della responsabilità, un preciso contegno commissivo, e non puramente omissivo del fornitore che aggiunga per sue ragioni (pubblicitarie, commerciali o di altro tipo) al marchio di fabbrica il marchio proprio, così impedendo al consumatore di distinguere con certezza il produttore dando luogo ad un “comportamento confusorio del fornitore” che se ne avvantaggia e che pertanto del marchio deve ricavare responsabilità come quella del produttore per aver indotto in confusione anche il consumatore.
La Direttiva specifica che quando non può essere individuato il produttore del prodotto si considera tale il fornitore a meno che quest’ultimo comunichi al danneggiato, entro un termine ragionevole, l’identità del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto.
Nel caso in esame, però, la Y S.p.A., secondo i giudici di primo grado verrebbe a condividere la qualità di produttrice di Y1 S.p.A. per aver apposto il proprio nome sul prodotto.
Va chiarito, allora, cosa debba intendersi per apposizione del nome ovvero se l’apposizione debba essere soltanto una materiale impressione dell’elemento distintivo sul prodotto o se l’apposizione sia lato sensu e dunque includa pure la presenza dell’elemento distintivo rinvenibile sul prodotto anche nei dati identificativi del soggetto che in tal modo si presenta come produttore.
La ricorrente, sulla base di un precedente giurisprudenziale argomenta sul principio per cui il distributore o l’importatore rispondono del danno causato dal vizio costruttivo del prodotto, se abbiano un marchio o una ragione sociale coincidenti in tutto od in larga parte con quelli del produttore, e sotto tali segni distintivi abbiano commercializzato il prodotto.
Questo indirizzo si fonda in termini oggettivi sulla coincidenza del marchio o della ragione sociale del soggetto fornitore che così viene equiparato al produttore ai fini della condivisione della responsabilità verso il consumatore.
Ma nel caso di specie, la Y S.p.A. e la Y1 S.p.A., appartenenti al medesimo gruppo industriale, condividono nella loro denominazione l’elemento “Y”, senza che la prima si sia attivata per apporre sul prodotto un elemento per creare confusione al consumatore.
La tutela del consumatore effettuata mediante l’estensione della responsabilità del produttore a chi produttore non è ma ne condivide significativi dati esterni è offerta solo quando l’apposizione del marchio è effettuata da chi non è produttore per volutamente fruire di un’ambiguità rispetto al produttore? O, invece, va estesa anche quando produttore e non produttore condividono, come nel caso di specie, comunque e oggettivamente elementi nella denominazione alquanto consistenti nei propri dati identificativi?
Ci si chiede, pertanto, se la condivisione di elementi identificativi adeguati a confondere deve ritenersi frutto di una intenzionale specifica apposizione perché sia rafforzata la tutela del consumatore oppure anche una semplice coincidenza va ricondotta a un’attività di confondere i soggetti da sanzionare oggettivamente con la responsabilità paritaria rispetto all’effettivo produttore?
Il collegio, se da un lato apprezza la soluzione che tutela più intensamente il consumatore, dall’altro è ben consapevole che sarebbe sostenibile anche la linea offerta dal ricorrente. Per tale ragione rimette la questione in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI |
Conformi: Cass., sez. III, ord. 7 dicembre 2017, n. 29327 |