giurista risponde

Marchi, segni distintivi e responsabilità del fornitore È conforme all’art. 3, comma 1, direttiva 85/374/CEE l’interpretazione che estenda la responsabilità del produttore al fornitore, soltanto perché quest'ultimo abbia una denominazione, marchio o segno distintivo in tutto o in parte coincidenti con quello del produttore?

Quesito con risposta a cura di Sara Rosati e Silvia Todisco

 

Va rimessa alla Corte di giustizia la questione se sia conforme all’art. 1, comma 1, direttiva 85/374/CEE – e, se non sia conforme, perché non lo sia – l’interpretazione che estenda la responsabilità del produttore al fornitore, anche se quest’ultimo non abbia materialmente apposto sul bene il proprio nome, marchio o altro segno distintivo, soltanto perché il fornitore abbia una denominazione, un marchio o un altro segno distintivo in tutto o in parte coincidenti con quello del produttore. – Cass., sez. III, ord. 6 marzo 2023, n. 6568.

Nel caso di specie il ricorrente conveniva in giudizio la X S.p.A. quale venditrice e la Y S.p.A. quale produttrice della propria auto, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in un sinistro automobilistico in cui non aveva funzionato l’air-bag della vettura.

La Y S.p.A., costituitasi in giudizio, resisteva negando di essere la produttrice, qualificando Y1 S.p.A., appartenente al suo stesso gruppo industriale, come tale. Eccepiva di non essere responsabile del difetto del prodotto lamentato, in quanto il fornitore non ne risponde se il produttore è individuato e comunque ne risulta comunicata l’identità al consumatore, come avvenuto nel caso di specie.

Il Tribunale accoglieva la domanda attorea dichiarando la responsabilità extracontrattuale della convenuta per difetto di fabbricazione dell’air-bag.

La società presenta ricorso e chiede, se necessario, il rinvio pregiudiziale alla CGUE.

Il nucleo della questione da dirimere è se ritenere sussistente la responsabilità della società Y S.p.A. per il suo trovarsi in una posizione equiparata a quella del produttore non evocato.

Il ricorrente richiama la nozione di “produttore” ai sensi dell’art. 3, D.P.R. 224/1988 quale “fabbricante del prodotto finito o di una sua componente e il produttore della materia prima” con l’estensione per cui “si considera produttore anche chi si presenti come tale apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto o sulla sua confezione”. La ratio dell’estensione della responsabilità va rinvenuta nei “considerando” della Direttiva secondo cui “ai fini della protezione del consumatore è necessario considerare responsabili tutti i partecipanti al processo produttivo” se il prodotto o parte di esso è difettoso e quindi anche di chi “si presenti come produttore apponendo il suo nome, marchio o altro segno distintivo o fornisca un prodotto il cui produttore non possa essere identificato”.

La logica è quella di sanzionare, con l’estensione della responsabilità, un preciso contegno commissivo, e non puramente omissivo del fornitore che aggiunga per sue ragioni (pubblicitarie, commerciali o di altro tipo) al marchio di fabbrica il marchio proprio, così impedendo al consumatore di distinguere con certezza il produttore dando luogo ad un “comportamento confusorio del fornitore” che se ne avvantaggia e che pertanto del marchio deve ricavare responsabilità come quella del produttore per aver indotto in confusione anche il consumatore.

La Direttiva specifica che quando non può essere individuato il produttore del prodotto si considera tale il fornitore a meno che quest’ultimo comunichi al danneggiato, entro un termine ragionevole, l’identità del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto.

Nel caso in esame, però, la Y S.p.A., secondo i giudici di primo grado verrebbe a condividere la qualità di produttrice di Y1 S.p.A. per aver apposto il proprio nome sul prodotto.

Va chiarito, allora, cosa debba intendersi per apposizione del nome ovvero se l’apposizione debba essere soltanto una materiale impressione dell’elemento distintivo sul prodotto o se l’apposizione sia lato sensu e dunque includa pure la presenza dell’elemento distintivo rinvenibile sul prodotto anche nei dati identificativi del soggetto che in tal modo si presenta come produttore.

La ricorrente, sulla base di un precedente giurisprudenziale argomenta sul principio per cui il distributore o l’importatore rispondono del danno causato dal vizio costruttivo del prodotto, se abbiano un marchio o una ragione sociale coincidenti in tutto od in larga parte con quelli del produttore, e sotto tali segni distintivi abbiano commercializzato il prodotto.

Questo indirizzo si fonda in termini oggettivi sulla coincidenza del marchio o della ragione sociale del soggetto fornitore che così viene equiparato al produttore ai fini della condivisione della responsabilità verso il consumatore.

Ma nel caso di specie, la Y S.p.A. e la Y1 S.p.A., appartenenti al medesimo gruppo industriale, condividono nella loro denominazione l’elemento “Y”, senza che la prima si sia attivata per apporre sul prodotto un elemento per creare confusione al consumatore.

La tutela del consumatore effettuata mediante l’estensione della responsabilità del produttore a chi produttore non è ma ne condivide significativi dati esterni è offerta solo quando l’apposizione del marchio è effettuata da chi non è produttore per volutamente fruire di un’ambiguità rispetto al produttore? O, invece, va estesa anche quando produttore e non produttore condividono, come nel caso di specie, comunque e oggettivamente elementi nella denominazione alquanto consistenti nei propri dati identificativi?

Ci si chiede, pertanto, se la condivisione di elementi identificativi adeguati a confondere deve ritenersi frutto di una intenzionale specifica apposizione perché sia rafforzata la tutela del consumatore oppure anche una semplice coincidenza va ricondotta a un’attività di confondere i soggetti da sanzionare oggettivamente con la responsabilità paritaria rispetto all’effettivo produttore?

Il collegio, se da un lato apprezza la soluzione che tutela più intensamente il consumatore, dall’altro è ben consapevole che sarebbe sostenibile anche la linea offerta dal ricorrente. Per tale ragione rimette la questione in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cass., sez. III, ord. 7 dicembre 2017, n. 29327
giurista risponde

Sottoscrizione del contratto falsificata Il contratto è valido se il soggetto la cui sottoscrizione viene falsificata ne è a conoscenza, ovvero se ne avvale?

Quesito con risposta a cura di Sara Rosati e Silvia Todisco

 

Il contratto (nella specie, di garanzia) cui sia stata apposta firma apocrifa del legale rappresentante della società apparentemente firmataria è privo di effetti nei confronti della società stessa, ma può essere recepito nella sua sfera giuridica, in applicazione analogica dell’art. 1399 c.c., qualora questa, a mezzo di atti o comportamenti concludenti, provenienti dal legale rappresentante avente allo scopo adeguati poteri rappresentativi, manifesti univocamente la volontà di avvalersene. – Cass., sez. III, 22 febbraio 2023 n. 5479.

Nel caso di specie, la società X di Y.Z. presentava un progetto finalizzato all’ottenimento di agevolazioni finanziarie al Ministero delle Attività Produttive che l’ammetteva alle agevolazioni richieste concedendo un contributo in conto impianti da erogarsi in tre rate e subordinava l’erogazione del contributo alla presentazione di una garanzia fideiussoria da parte della società, finalizzata a garantire l’eventuale restituzione del contributo ricevuto. La società Gamma prestava la garanzia a prima richiesta nell’interesse della società X di Y.Z. fino a concorrenza dell’importo della prima tranche. Dopo quattro anni, il Ministero, ritenuto che la società non avesse rispettato le condizioni necessarie per fruire del beneficio, chiedeva la restituzione del contributo e veniva escussa la polizza fideiussoria. La società garante, dopo aver pagato e chiesto invano la restituzione dell’importo alla società garantita, agiva in regresso. Fatta opposizione, nel corso del giudizio di primo grado emergeva, a seguito di consulenza grafica, che la firma Y.Z. apposta sul contratto di concessione della polizza fideiussoria era falsa.

Il Tribunale rigettava l’opposizione affermando che, anche se la firma era falsa, la polizza era pur sempre riconducibile alla società che l’aveva fatta propria producendola al Ministero per ottenere l’agevolazione concordata.

La Corte di Appello confermava la sentenza del Tribunale ed aggiungeva che, depositando la polizza fideiussoria al Ministero, la società aveva realizzato una condotta specificatamente diretta ad avvalersi del contratto di garanzia pur malamente stipulato sopportandone ogni conseguenza.

Avverso la sentenza era proposto ricorso per Cassazione dal X.Y. denunciando nullità o inesistenza del contratto di garanzia per falsità della sottoscrizione del legale rappresentante della società. Il ricorso era rigettato.

La Corte di Cassazione riteneva che i fatti indicano che si è verificata non una attività svolta da un falsus procurator, quanto la distinta ipotesi di contratto stipulato sotto nome altrui o con sostituzione di persona, pur con la decisiva variante che il falso nome è stato usato da colui che ha agito come rappresentante legale della società. Nel caso di specie non si è verificato che una persona, correttamente identificata, abbia agito in nome e per conto della società assumendo di averne i poteri, dei quali era sprovvisto. Vi è stata, invece, la sottoscrizione della polizza fideiussoria da parte di persona rimasta sconosciuta che ha firmato, in qualità di debitore, con il nome di X.Y. Il contratto è poi stato utilizzato dalla garantita per accedere ai finanziamenti.

Il contratto in tal modo stipulato non è nullo ma improduttivo di effetti nella sfera giuridica dell’apparente firmatario, a meno che questi non lo faccia proprio. Occorre distinguere le ipotesi in cui l’autore della dichiarazione abbia voluto per sé il risultato del negozio, ovvero abbia inteso attribuirlo al titolare del nome dato, dovendosi procedere di volta in volta ad una operazione ermeneutica del comune volere dei contraenti. Nel caso di specie, l’usurpatore non ha riferito il contratto a sé stesso, né alla persona di cui ha usato il nome bensì alla società. La statuizione finisce per essere assimilabile ad una spendita indebita del nome della società.

In questa situazione, allora, è possibile, mediante l’applicazione analogica delle norme sulla rappresentanza, la ratifica da parte della società, da accertarsi in concreto con esame dei comportamenti concludenti che integrino la manifestazione della volontà di avvalersi del contratto di garanzia. Ciò è accaduto nel caso di specie in cui la società, portata formalmente a conoscenza dell’avvenuta prestazione di garanzia da parte della garante, non soltanto non l’ha immediatamente disconosciuta, denunciando la falsità della firma ed esplicitando che il proprio legale rappresentante non aveva mai sottoscritto il contratto, ma se ne è avvalsa nell’ambito procedimentale del finanziamento chiesto al Ministero. Il successivo disconoscimento della firma sul contratto, effettuato solo in sede di opposizione a decreto ingiuntivo e neppure accompagnato da una denuncia penale, avvalorano la tesi che conduce al rigetto del ricorso e all’affermazione del principio di diritto per cui “Il contratto (nella specie, di garanzia) cui sia stata apposta firma apocrifa del legale rappresentante della società apparentemente firmataria è privo di effetti nei confronti della società stessa, ma può essere recepito nella sua sfera giuridica, in applicazione analogica dell’art. 1399 c.c., qualora questa, a mezzo di atti o comportamenti concludenti, provenienti dal legale rappresentante avente allo scopo adeguati poteri rappresentativi, manifesti univocamente la volontà di avvalersene”.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cass., sez. III, 10 novembre 2016, n. 22891
giurista risponde

Riparto competenze attività sanitaria e sociosanitaria Come si snoda il riparto di competenze tra Comune e Regione nell’esercizio dell’attività sanitaria e socio-sanitaria?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Nella Regione Puglia, la legge regionale 9/2017 disciplina gli istituti dell’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio dell’attività sanitaria e socio-sanitaria, dell’accreditamento istituzionale e degli accordi contrattuali, in conformità alla sequenza prevista dagli artt. 8ter e ss., D.Lgs. 502/1992. – Cons. Stato, sez. III, 6 febbraio 2023, n. 1267.

I Giudici hanno evidenziato che ai fini dell’apertura delle strutture sanitarie e socio-sanitarie è richiesta l’autorizzazione, definita dall’art. 2, comma 1, lett. a), L.R. 9/2017 come “un provvedimento con il quale si consente di destinare, con o senza lavori, un immobile o parte di esso a struttura sanitaria e socio-sanitaria pubblica o privata”.

L’art. 7, L.R. 9/2017 cit. prevede che l’istanza di autorizzazione, corredata del titolo di proprietà, del diritto reale di godimento o altro titolo legittimante, del progetto con relative planimetrie e del permesso di costruire o altro titolo abilitativo edilizio, deve essere indirizzata al Comune competente per territorio, tenuto, dapprima, a verificare la conformità dell’intervento alla normativa urbanistica ed edilizia, unitamente alla sussistenza del titolo di proprietà, del diritto reale di godimento o altro titolo legittimante; successivamente, a richiedere alla Regione Puglia la specifica verifica di compatibilità (ex art. 3, comma 3, lett. a), L.R. 9/2017 cit.).

La Regione, poi, valuta l’iniziativa alla stregua della programmazione sanitaria regionale, in termini di fabbisogno (programmazione dell’offerta) e in termini di localizzazione territoriale (distribuzione delle strutture) e applica, sulla base della DGR 2037/2013, il criterio cronologico di presentazione delle richieste da parte dei Comuni.

Orbene, nell’eventualità in cui più richieste di parere di compatibilità, afferenti a un numero di posti letto complessivo eccedente il fabbisogno territoriale, vengano trasmesse nel medesimo bimestre, la verifica di compatibilità viene resa dopo aver messo in concorrenza le iniziative, alla luce dei criteri previsti dalla DGR 2037/2013 cit.

Nel caso di specie, il procedimento per il rilascio, in favore della società appellante, dell’autorizzazione alla realizzazione della RSA, con dotazione di trenta posti letto per anziani e di dieci posti letto per soggetti affetti da demenza, si prolungava in ragione della diversa scansione dei bimestri, per effetto della sospensione dei termini dei procedimenti amministrativi di cui alla normativa emergenziale per il Covid-19.

Nelle more, un altro soggetto presentava analoga istanza autorizzatoria per la realizzazione di una RSA di mantenimento in un comune limitrofo, che, essendo stata esaminata in tempi più brevi, ne conseguiva parziale saturazione del fabbisogno.

Ciò premesso, per i Giudici va affermato che: “L’art. 7, comma 1 della L.R. 9/2017 non richiede il previo rilascio del permesso di costruire, ma necessita dell’attestazione della conformità urbanistica dell’intervento in progetto: tenuto conto della prescrizione recata dall’art. 33 delle NTA del PRG, che qualifica la zona “AS” come area pubblica, la presentazione del permesso di costruire convenzionato, costituisce un presupposto indefettibile per ottenere l’attestazione di conformità del progetto alle norme di attuazione del PRG”.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. III, 21 settembre 2021, n. 6422;
Cons. Stato, sez. III, 14 novembre 2017, n. 5250;
Cons. Stato, sez. VI, 19 marzo 2008, n. 1201
giurista risponde

Obbligo motivazione osservazioni piano regolatore Sussiste l’obbligo di puntuale motivazione sulle osservazioni del privato su un piano regolatore in itinere?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

No, le osservazioni e le opposizioni presentate dai privati al piano regolatore generale in itinere, costituendo un mero apporto dei privati nel procedimento di formazione dello strumento, non richiedono, da parte dell’Amministrazione competente, l’assolvimento di un obbligo puntuale di motivazione. – Cons. Stato, sez. IV, 7 febbraio 2023, n. 1316. 

Le osservazioni dei privati al piano regolatore generale in itinere, non richiedono, da parte dell’Amministrazione competente, l’assolvimento di un obbligo puntuale di motivazione.

Ed invero, la loro congruità può essere desunta anche dai criteri orientativi, formalizzati nella relazione illustrativa del piano, in riferimento alle scelte di destinazione urbanistica delle singole aree.

In propositivo, le scelte di pianificazione sono, in linea di principio, espressione di valutazione discrezionale, insindacabile nel merito, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. IV, 2 gennaio 2023, n. 21; Id., 11 settembre 2012, n. 4806;
Cons. Stato, sez. VI, 17 febbraio 2012, n. 854;
Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 1998, n. 437
giurista risponde

Requisiti ammissibilità ricorso collettivo Quali sono i requisiti di ammissibilità del ricorso collettivo?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

L’allegazione di tutti gli elementi, i dati e i documenti idonei a sostenere la pretesa. – Cons. Stato, sez. IV, 21 febbraio 2023, n. 1775.

Preliminarmente, costituisce onere dei ricorrenti che vogliono avvalersi della forma del ricorso collettivo, indicare e allegare tutti gli elementi, i dati e i documenti idonei a sostenere la pretesa, domandando al giudice di accertare in concreto la sussistenza dei fatti dedotti.

Deve, invece, ritenersi inammissibile il ricorso collettivo che nulla dice in ordine alle specifiche condizioni di legittimazione e di interesse di ciascun singolo ricorrente, in quanto ciò impedisce al giudice di controllare il concreto e personale interesse di ciascuno di loro, l’omogeneità delle loro posizioni e la concreta fondatezza della domanda.

Come è noto, infatti, due sono i requisiti di ammissibilità del ricorso: uno positivo, costituito dalla identità di posizioni sostanziali e processuali in rapporto a domande giudiziali fondate sulle stesse ragioni difensive; l’altro, negativo, costituito dall’assenza di un conflitto di interessi, anche solo potenziale tra le parti.

Orbene, nel processo amministrativo, per stabilire l’ammissibilità del ricorso collettivo, è necessario verificare l’identità delle situazioni sostanziali e processuali, ossia, accertare che le domande giudiziali siano identiche nell’oggetto e che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e vengano censurati per gli stessi motivi e che non ci sia confliggenza degli interessi dei singoli.

Ciò premesso, i Giudici hanno enunciato che: “Nel caso in cui il ricorso collettivo nulla specifichi in ordine alle specifiche condizioni di legittimazione e di interesse di ciascuno dei ricorrenti, ciò impedisce al giudice di controllare il concreto e personale interesse di ciascuno di loro, l’omogeneità della loro posizione e la concreta fondatezza della domanda”.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 2022, n. 6913;
Cons. Stato, sez. VI, 2 aprile 2021, n. 1793; Id., 30 marzo 2021, n. 573;
Id., 15 gennaio 2021, n. 478; Cons. Stato, sez. III, 12 giugno 2020, n. 3499
giurista risponde

Affidabilità operatore economico e self cleaning Quali sono i requisiti di affidabilità di un operatore economico e i comportamenti che la stazione appaltante deve tenere anche in considerazione delle misure di self cleaning?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

La stazione appaltante ha il dovere di verificare la permanenza dei requisiti e dell’affidabilità dell’operatore economico. – Cons. Stato, sez. III, 22 febbraio 2023, nn. 1790 e 1791.

Il Consiglio di Stato ha statuito che:La stazione appaltante ha il dovere di verificare la permanenza dei requisiti, in presenza di fatti sopravvenuti, astrattamente idonei ad incidere sull’affidabilità dell’operatore economico che è risultato aggiudicatario. La verifica de qua, eseguita d’ufficio o su sollecitazione di un altro operatore economico interessato ad un ipotetico scorrimento, è espressione dell’esercizio di un potere amministrativo, che si innesta in connessione con la procedura di affidamento. Questo comporta la riconducibilità della controversia alla giurisdizione esclusiva, atteso che le controversie relative alla fase successiva all’aggiudicazione, ma precedenti alla stipulazione del contratto, esulano dalla giurisdizione del giudice ordinario, al quale sono devolute le controversie relative all’esecuzione del rapporto.

Nel caso di specie vi è stata un’attività di verifica, sfociata nell’adozione di un provvedimento di archiviazione, che si colloca, dal punto di vista temporale, tra l’aggiudicazione e la stipula della convenzione, con la conseguenza che l’esercizio del potere speso dalla stazione appaltante rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Ciò premesso, i Giudici evidenziano che, la stazione appaltante – nel valutare il grave errore professionale comportante l’esclusione dalla gara – deve compiere una verifica su due livelli: i) deve qualificare il comportamento pregresso dell’operatore economico, con riferimento alla sua idoneità e affidabilità nei rapporti con l’Amministrazione; ii) (successivamente) deve verificare se il giudizio negativo sia predicabile anche in merito alla procedura di gara in itinere.

Tale valutazione dell’affidabilità in senso storico dovrà poi essere declinata in concreto, con riferimento alle circostanze di fatto, tra le quali rientrano le misure di self cleaning assunte dall’operatore economico.

Ed invero, tali misure rientrano nel prudente apprezzamento della stazione appaltante che dovrà tener conto delle misure di self cleaning adottate in corso di procedura e la loro idoneità o meno a garantire l’affidabilità dell’operatore economico.

Risulta, pertanto, dall’interpretazione dell’art. 57, comma 6, della direttiva 24/2014/UE, particolarmente importante l’affidabilità dell’operatore economico.

Invece, rientra nell’ambito della discrezionalità della P.A. – ed è sindacabile ai soli fini di un eventuale riesame – la valutazione circa la ricorrenza delle cause facoltative di esclusione dalle gare pubbliche.

Nel caso di specie, i Giudici del Consiglio di Stato hanno ritenuto che: “L’applicazione delle misure di self cleaning ai procedimenti di gara ancora pendenti sarebbe rigorosamente osservante dei principi comunitari di proporzionalità, del favor partecipationis e di concorrenza”.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. V, 18 ottobre 2022, n. 8864;
Cons. Stato, sez. III, 10 febbraio 2021, n. 1248;
Cons. Stato, sez. V, 5 febbraio 2021, n. 505;
Cons. Stato, sez. IV, 8 ottobre 2020, n. 5967;
Cons. Stato, Ad. plen., 28 agosto 2020, n. 16
giurista risponde

Cauzione provvisoria appalti e automatismo La cauzione provvisoria negli appalti pubblici è connotata da automatismo?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

La V Sezione del Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di giustizia UE la questione. – Cons. Stato, sez. V, ord., 28 febbraio 2023, n. 2033.

Primariamente all’analisi della questione va rilevato che nel settore dei contratti pubblici sono presenti le seguenti garanzie: cauzione, polizza fideiussoria e contratto autonomo di garanzia.

Il Codice degli appalti, infatti, identifica una serie di garanzie che l’operatore economico deve prestare a favore della stazione appaltante al fine di partecipare ad una selezione e conseguentemente eseguire un contratto pubblico.

L’obiettivo è quello di assicurare il rispetto delle norme con riguardo alla realizzazione dell’opera e alle possibili inadempienze che possono pregiudicare l’incolumità.

Il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di giustizia UE la questione pregiudiziale inerente alla cauzione provvisoria e se questa possa essere colpita a prescindere rispetto all’applicazione anche di altre sanzioni, in particolare: “Se gli artt. 16, 49, 50 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, l’art. 4, protocollo 7, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, l’art. 6 del TUE, i principi di proporzionalità, concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi di cui agli articoli 49, 50, 54 e 56 del TFUE, ostino a norme interne (artt. 38, comma 1, lett. f), 48 e 75 del D.Lgs. 163/2006) che prevedano l’applicazione della sanzione d’incameramento della cauzione provvisoria, quale conseguenza automatica dell’esclusione di un operatore economico da una procedura di affidamento di un contratto pubblico di servizi, benché il medesimo operatore economico sia stato già destinatario, in relazione alla medesima ed unitaria condotta, di altra sanzione definita a seguito di apposito procedimento attivato ad opera di altra competente Autorità del medesimo Stato membro”.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. VI, ord. 20 ottobre 2014, n. 5167; Id., ord. 9 ottobre 2014, n. 5030; Id., ord. 9 luglio 2014, nn. 3496, 3497, 3498 e 3499
giurista risponde

Interdittiva antimafia libero professionista Un libero professionista può essere colpito da interdittiva antimafia anche se sono intercorsi dei rapporti professionali con un Comune sciolto per mafia?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

No, in quanto la disciplina si applica tassativamente alle categorie previste dalla normativa, senza possibilità di analogie. – Cons. Stato, sez. III, 2 marzo 2023, n. 2212.

I Giudici di Palazzo Spada confermano l’impossibilità per la persona fisica, libero professionista che non riveste la qualità di titolare di impresa o di società, di essere destinatario di una interdittiva antimafia.

I liberi professionisti risultano non assoggettabili alla disciplina dell’istituto, prevista dagli artt. 83 e 91 del D.Lgs. 159/2011, proprio in quanto non tassativamente individuati dalla disposizione.

Si conclude, pertanto che, i soggetti che non siano imprenditori sono tassativamente esclusi dall’ambito applicativo dell’interdittiva antimafia, quale che sia il valore o l’oggetto del contratto.

giurista risponde

Rapporti giustizia amministrativa e giustizia sportiva Quale il rapporto intercorrente tra giustizia amministrativa e giustizia sportiva e il relativo diritto di accesso documentale?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Nell’ordinamento sportivo non vi è una puntuale disciplina di tutela dell’accesso; pertanto, non sussiste pregiudizialità. – TAR Lazio, sez. Iter, 6 marzo 2023, n. 3693. 

I Giudici ricordano che la legittimazione all’accesso deve distinguersi dalla legittimazione processuale, in quanto il fine dell’accesso tutela non solo le esigenze difensive del richiedente ma il più generale obbligo di trasparenza dell’azione amministrativa.

Ed invero, anche quando l’accesso è finalizzato ad esigenze difensive, come nel caso di specie, l’autonomia della relativa situazione giuridica postula e comporta una completa distinzione tra la giurisdizione sul diritto di accesso e la giurisdizione sulla situazione giuridica sottostante da tutelare in un processo pendente o eventualmente da instaurare. In proposito, rileva verificare se l’azione autonoma sia o meno soggetta al vincolo di pregiudizialità sportiva.

Occorre, dunque, prendere le mosse dell’art. 3 della L. 280/2003, che stabilisce che è possibile adire il giudice amministrativo solo dopo aver esaurito i gradi della giustizia sportiva.

In particolare, l’articolo citato individua quali condizioni ai fini del riconoscimento di una pregiudizialità sportiva: la residualità dell’azione esperita e il definitivo esaurimento di tutti i gradi della giustizia sportiva.

Tali presupposti risultano assenti nel caso dell’azione di accesso difensivo.

Il Collegio di Garanzia ha evidenziato la mancanza di una puntuale disciplina di tutela dell’accesso nell’ordinamento sportivo.

È necessario ricordare che, ai sensi dell’art. 111 Cost., per ragioni di certezza e di giusto processo, la pregiudizialità va ancorata a dati normativi precisi, che nel caso di specie non sussistono.

Pertanto, in assenza di una disciplina puntuale dell’accesso difensivo, in materia di ordinamento sportivo non vi è pregiudizialità sportiva.

Rileva, inoltre, verificare la natura dell’atto di cui si chiede l’accesso, ossia se sia qualificabile come documento ai sensi della L. 241/1990. Il Collegio ricorda la nozione di documento amministrativo, ai sensi della lett. d), dell’art. 22, L. 241/1990, secondo la quale per documento si intende “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una specifica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale.

Conseguentemente, la nozione di documento amministrativo suscettibile di formare oggetto di istanza di accesso documentale è ampia e può riguardare ogni documento detenuto dalla Pubblica Amministrazione.

Da quanto sin qui esposto, il TAR Lazio ha dichiarato illegittima la declaratoria di competenza all’ostensione dell’atto richiesto.

 

giurista risponde

Potere sanzionatorio AGCM Quale il potere dell’autorità garante della concorrenza e del mercato nel procedimento sanzionatorio?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Nel procedimento sanzionatorio condotto dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato non trova applicazione l’art. 240 c.p.p. sui documenti anonimi, che risulteranno utilizzabili se valutati con maggior rigore. – TAR Lazio, sez. I, 6 marzo 2023, n. 3699.

I Giudici hanno affermato che: “La responsabilità solidale tra due società per un illecito antitrust, laddove sussista una situazione di controllo maggioritario – c.d. parental control liability –, è configurabile limitatamente ai fatti successivi all’acquisto della partecipazione”.

Con riguardo al caso di specie, è stata esclusa la responsabilità solidale della società controllante per fatti commessi dalla controllata antecedentemente l’acquisto del controllo.

L’importo supplementare previsto dalle Linee guida sulla modalità di applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, c.d. entry fee, è finalizzato a inspessire l’effetto deterrente della sanzione e necessita che l’Autorità motivi adeguatamente l’esigenza di tale rinforzo.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. VI, 9 maggio 2022, n. 3572; Id., 27 dicembre 2021, n. 8613