Natura fidefacente atto pubblico e aggravante falsità materiale In quali casi un atto pubblico può avere, agli effetti della legge penale, natura fidefacente per la configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 476, comma 2, c.p.?
Quesito con risposta a cura di Mariarosaria Cristofaro e Valentina Russo
Nei delitti di falso, l’elemento che caratterizza l’atto pubblico dotato di fede privilegiata è la circostanza che esso sia destinato ab initio alla prova, ossia precostituito a garanzia della pubblica fede e redatto da un pubblico ufficiale autorizzato, nell’esercizio di una speciale funzione certificatrice, diretta cioè alla prova di fatti che lo stesso funzionario redigente riferisce come visti, uditi o compiuti direttamente da lui. – Cass., sez. V, 13 marzo 2023, n. 10675.
Con la decisione in esame la Corte di Cassazione si è pronunciata in relazione al ricorso proposto avverso una sentenza di appello da due imputati, condannati per una serie di delitti di falso fidefacente, ideologico e materiale, commessi nelle rispettive qualità di comandante dei vigili urbani e di agente dello stesso corpo di polizia.
Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, i due pubblici ufficiali avevano falsificato il registro di protocollo interno del Comando dei vigili urbani, attestando falsamente la spedizione del provvedimento di archiviazione di una contravvenzione elevata nei confronti di un privato e l’avvenuta ricezione della richiesta di archiviazione della stessa presentata dall’interessato, apponendo sulla relativa istanza, registrata solo in seguito al protocollo generale del Comune, il timbro dell’ufficio e il numero del protocollo interno.
Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, deducendo l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui confermava il giudizio di penale responsabilità in relazione alle condotte contestate, riconoscendo natura di atto pubblico a un mero registro interno, rispetto al quale, a parere della difesa, sarebbe mancata l’attribuzione del potere attestativo in capo al pubblico ufficiale circostanza che avrebbe impedito la considerazione di tale documento alla stregua di atto pubblico fidefacente.
La Corte ha ritenuto il ricorso fondato limitatamente alla natura di atto pubblico fidefacente del protocollo interno, non riconoscendo l’aggravante di cui all’art. 476, comma 2, c.p.
In via preliminare, ha precisato che le condotte contestate erano riferite a due diverse annotazioni apposte dagli imputati sul registro interno del corpo dei vigili urbani, attestanti una l’archiviazione del verbale di contravvenzione elevato nei confronti del privato, l’altra l’avvenuta ricezione dell’istanza di annullamento in autotutela presentata dallo stesso, con apposizione del timbro dell’ufficio e attribuzione del numero di protocollo. Quanto alla qualificazione giuridica, a parere della Corte le due condotte decettive integrano gli estremi del delitto di falso ideologico, estrinsecandosi in enunciati idonei ad assumere un significato descrittivo o constatativo non corrispondente ai fatti, ben potendo ritenersi sussistente la materialità della fattispecie di reato contestata. Quanto all’aggravante di cui all’art. 476, comma 2, c.p., prima di valutare se il registro di protocollo interno abbia natura fidefacente, la Corte si è interrogata sulla possibilità di qualificare lo stesso come atto pubblico. Come noto, il concetto di atto pubblico agli effetti della tutela penale è più ampio di quello civilistico e ricomprende ogni documento formato dal pubblico ufficiale nell’esercizio della sua funzioni avente l’attitudine ad assumere rilevanza giuridica e/o valore probatorio interno alla pubblica amministrazione. Ne consegue che è atto pubblico ogni documento redatto dal pubblico ufficiale per uno scopo inerente alle sue funzioni, rientrando nella tutela prevista dalla norma non solo gli atti destinati a spiegare efficacia nei confronti dei terzi, ma anche gli atti meramente interni, formati dal pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni per documentare fatti inerenti all’attività da lui svolta e alla regolarità delle operazioni amministrative cui è addetto. Nel caso di specie, dal momento che il registro di protocollo interno ha avuto la funzione di documentare fatti inerenti alla attività dei pubblici ufficiali e alla regolarità delle operazioni amministrative, a parere della Corte lo stesso è espressione di un potere di autonomia organizzativa dell’amministrazione e deve essere considerato atto pubblico.
Tanto chiarito in relazione alla nozione di atto pubblico rilevante ai fini penali, la Corte ha scrutinato l’ulteriore profilo attinente alla natura fidefacente degli atti incriminati.
Secondo il Consiglio ciò che caratterizza l’atto pubblico dotato di fede privilegiata è la circostanza che esso sia destinato ab initio alla prova, ossia precostituito a garanzia della pubblica fede e redatto da un pubblico ufficiale autorizzato, nell’esercizio di una speciale funzione certificatrice, diretta, cioè, alla prova di fatti che lo stesso funzionario redigente riferisce come visti, uditi o compiuti direttamente da lui. Si tratta di atti espressivi di una speciale potestà documentatrice, attribuita sulla base di una legge, di un regolamento, anche interno, o desumibile dal sistema, in forza della quale l’atto assume una presunzione di verità assoluta, ossia di massima certezza eliminabile solo con l’accoglimento della querela di falso o con sentenza penale.
Ne consegue che, quanto alla delimitazione dell’ambito operativo della circostanza aggravante di cui all’art. 476, comma 2, c.p. in tema di falso ideologico la natura di atto pubblico di fede privilegiata necessita del concorso di un duplice requisito dovendo, da un lato provenire da un pubblico ufficiale autorizzato dalla legge, da regolamenti oppure dall’ordinamento interno della p.a. ad attribuire all’atto pubblica fede, dall’altro contenere un’attestazione dell’autore di verità circa i fatti da lui compiuti o avvenuti in sua presenza e della formazione dell’atto nell’esercizio del potere di pubblica certificazione. Per tali ragioni, sono documenti dotati di fede privilegiata solo quelli che, emessi dal pubblico ufficiale autorizzato dalla legge, da regolamenti oppure dall’ordinamento interno della P.A., attestino quanto da lui fatto e rilevato o avvenuto in sua presenza.
Ciò premesso, a parere della Corte, quanto al registro generale di protocollo, è ormai jus receptum che lo stesso sia atto di fede privilegiata, trattandosi di verificare piuttosto se lo sia anche il registro interno, quale risulta essere quello in rilievo nel caso di specie.
A tale proposito, la Corte ritiene che il protocollo interno istituito presso il settore dei Vigili Urbani non risponde all’esigenza di attestare la ricezione a una certa data di un dato atto proveniente dall’esterno e, dunque, di tutelare l’affidabilità dell’informazione pubblica, possedendo al contrario una capacità rappresentativa solo a livello interno e per meri fini di migliore organizzazione amministrativa. Pertanto, nel caso di specie, mancando l’attribuzione del potere attestativo e certificativo in capo al pubblico ufficiale, non può dirsi ricorrente la speciale fede privilegiata, con la conseguenza che la contestata aggravante deve essere esclusa.
Per tali ragioni, la Corte ha annullato la sentenza impugnata senza rinvio relativamente all’aggravante di cui all’art. 476, comma 2, c.p. esclusa, e con rinvio ad altra sezione della Corte di appello territoriale per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, rigettando i ricorsi nel resto.
PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI |
Conformi: Cass., sez. V, 17 dicembre 2018, n. 3542; Cass., sez. V, 15 febbraio 2021, n. 15901; Cass., sez. V, 8 settembre 2021, n. 37880; Cass., sez. V, 10 maggio 2019, n. 38455; Cass., sez. V, 11 aprile 2019, n. 28047 |