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Oblazione: guida all’istituto L’oblazione è un istituto di diritto penale e processuale penale che consente di estinguere i reati minori pagando una somma di denaro

Oblazione: definizione

L’oblazione è una misura prevista dal sistema giuridico italiano, che consente di estinguere il reato in cambio di un pagamento di una somma di denaro, senza il bisogno di affrontare il processo penale.

Riferimenti normativi

L’oblazione è quindi una forma di estinzione della punibilità prevista e disciplinata dagli articoli 162 e 162-bis del Codice Penale. L’art. 141 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale si occupa invece del procedimento che la riguarda.

In questo articolo, esamineremo le caratteristiche di questo istituto, la sua applicabilità, i limiti e le interpretazioni giuridiche più rilevanti.

Cos’è l’oblazione?

L’oblazione è un istituto giuridico che consente all’imputato di estinguere il reato, riducendo la propria responsabilità penale attraverso il pagamento di una somma di denaro o l’adempimento di altre obbligazioni. Questo meccanismo è previsto per i reati di natura contravvenzionale e, in alcuni casi, anche per reati di carattere più grave. L’oblazione consente di evitare il procedimento penale e, in molti casi, la condanna.

La normativa prevede che l’oblazione possa essere applicata solo a determinati tipi di reati, che devono essere di minor gravità rispetto ai crimini più gravi (ad esempio, i delitti). Inoltre, la somma da pagare varia in base alla pena prevista per il reato e deve essere versata prima dell’apertura del dibattimento o del decreto penale di condanna.

L’oblazione nelle contravvenzioni: art. 162 c.p.

L’articolo 162 del Codice Penale regola l’istituto per i reati contravvenzionali. Esso prevede che, per una serie di contravvenzioni punite solo con la pena dell’ammenda, il colpevole possa estinguere il reato mediante un pagamento di una somma di denaro, pari alla terza parte della pena massima prevista per quel reato, oltre le spese del procedimento. L’imputato che paga prima dell’apertura del dibattimento del decreto di condanna non è sottoposto a procedimento penale, né a pena detentiva.

L’articolo 162-bis del Codice Penale

L’articolo 162-bis del Codice Penale amplia le possibilità di applicazione dell’oblazione, permettendo di estinguere anche reati di natura contravvenzionale puniti con pene alternative.

La norma si applica in particolare ai reati contravvenzioni per i quali la legge stabilisce la pena alternativa dell’arresto o dellammenda. Il contravventore in questo caso, sempre prima del dibattimento e del decreto penale di condanna può pagare “una somma corrispondente alla metà del massimo della ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento.” Il pagamento della somma prevista comporta l’estinzione del reato.

Limiti applicativi dell’oblazione

L’oblazione non è consentita quando è presente una recidiva reiterata nella commissione della contravvenzione e quando l’imputato è un contravventore abituale o professionale ai sensi degli articoli 104 e 105 del codice penale. Il giudice comunque può respingere la domanda di oblazione quando il fatto commesso è grave.

Procedimento di oblazione

La procedura per l’ammissione all’oblazione segue un iter specifico delineato dall’art. 141 delle disposizioni attuative del codice di procedura penale.

La norma dispone che durante le indagini preliminari, l’indagato può presentare domanda di oblazione al pubblico ministero. Quest’ultimo è tenuto a trasmettere la richiesta, insieme agli atti del procedimento, al giudice per le indagini preliminari. Il pubblico ministero, inoltre, può informare l’indagato, qualora sussistano i presupposti, della possibilità di richiedere l’oblazione e degli effetti estintivi del reato che derivano dal suo pagamento.

Se l’indagato non è stato avvisato di questa facoltà prima dell’emissione del decreto penale, nel decreto deve essere comunque indicata la possibilità di richiedere l’oblazione. Quando la domanda viene presentata, il giudice valuta il parere del pubblico ministero. Se ritiene che la richiesta non sia fondata, rigetta l’istanza con un’ordinanza e, se necessario, restituisce gli atti al pubblico ministero. Al contrario, se accoglie la domanda, stabilisce l’importo da versare e informa l’interessato. Dopo il pagamento, se la richiesta è avvenuta in fase di indagini preliminari, gli atti vengono rinviati al pubblico ministero; negli altri casi, il giudice dichiara il reato estinto con sentenza.

In situazioni in cui l’imputazione viene modificata in una che consente l’oblazione, o in caso di nuove contestazioni, l’imputato ha la possibilità di presentare domanda. Se accolta, il giudice stabilisce un termine, non superiore a dieci giorni, per il pagamento. Con l’avvenuto pagamento, il reato è dichiarato estinto tramite sentenza.

Ratio e natura preventiva dell’oblazione

La Corte di Cassazione ha chiarito diversi aspetti legati all’applicabilità dell’istituto. In una sentenza del 2020, la Cassazione ha ribadito che l’oblazione non può essere applicata nei reati gravi come quelli associati a criminalità organizzata o terrorismo, in quanto il fine di questa misura è esclusivamente quello di estinguere reati di minor entità.

Inoltre, la Corte ha evidenziato che l’oblazione è incompatibile con il procedimento penale già avviato, se l’imputato non adempie alla condizione di pagamento prima dell’inizio del processo. L’oblazione è quindi una soluzione preventiva, che deve essere adottata prima che il procedimento giuridico prenda il via.

 

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Reati tributari e sequestro preventivo di beni immobili In tema di reati tributari può essere disposta la confisca su di un ammontare superiore al valore dei beni sottratti fraudolentemente alla garanzia dell’amministrazione finanziaria per le imposte evase?

Quesito con risposta a cura di Alessandra Fantauzzi e Viviana Guancini

 

In tema di reati tributari, i beni immobili appartenenti a soggetto indagato del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, alienati per far venire meno le garanzie di un’efficace riscossione dei tributi da parte dell’Erario, sono suscettibili di sequestro preventivo per la successiva confisca ai sensi dell’art. 240, comma 1, c.p., in quanto costituiscono lo strumento per mezzo del quale è stato commesso il reato, a nulla rilevando la loro qualificazione anche come prezzo o profitto di tale delitto (Cass. pen., sez. III, 13 agosto 2024, n. 32578).

Nel caso di specie la Suprema Corte è stata chiamata a valutare la correttezza della confisca disposta su beni aventi un valore superiore a quella della imposta la cui riscossione è stata resa inefficace.

Il Tribunale, in qualità di giudice del riesame, con ordinanza, aveva annullato il decreto di sequestro preventivo disposto a carico di tre indagati in relazione al reato di cui all’art. 11 D.Lgs. 74/2000.

In particolare, il sequestro era stato disposto dal Gip in relazione a una provvisoria imputazione avente a oggetto la violazione dell’art. 11 predetto, per avere i tre indagati compiuto atti simulati o fraudolenti dismissivi del patrimonio della società allo scopo di rendere vana o inefficace la procedura di riscossione coattiva delle imposte. Il Gip, ritenuta la sussistenza del fumus delicti, aveva ritenuto di assoggettare alla misura cautelare, strumentale a una eventuale confisca ex art 12bis del citato decreto legislativo, non solamente i beni aventi il valore del debito tributario gravante sulla società, ma l’intero valore dei beni oggetto delle transazioni fraudolente, sebbene questo fosse superiore all’importo dei carichi tributari.

L’impostazione è stata ritenuta non corretta dal Tribunale del riesame, il quale ha affermato che in tal modo si giungerebbe al risultato di ipotizzare la possibilità di disporre la confisca di beni aventi un valore superiore a quella della imposta la cui riscossione è stata resa inefficace, facendo assumere alla predetta confisca carattere sanzionatorio.

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il P.M. deducendo la violazione degli artt. 11 e 12bis D.Lgs. 74/2000 in cui il Tribunale sarebbe incorso nell’affermare che il principio per cui il profitto del reato di cui al menzionato art. 11 è rappresentato dal valore dei beni sottratti fraudolentemente alla garanzia dei crediti dell’amministrazione finanziaria per le imposte evase, e non dall’ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto, debba applicarsi limitatamente ai casi in cui tale ammontare superi il valore dei beni oggetto delle operazioni fraudolente.

Nell’impostazione del Tribunale del riesame, la limitazione del profitto del reato sequestrabile alla soglia del valore del debito tributario inadempiuto sarebbe imposta: dal principio di proporzionalità di cui agli artt. 3, 25 e 27 Cost, 17 e 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; dall’interpretazione teleologica delle disposizioni del D.Lgs. 74/2000, improntato alla tutela dell’adempimento delle obbligazioni tributarie e al recupero delle somme dovute all’erario, quindi dalla necessaria configurazione della confisca ivi prevista come misura ristorativa dell’interesse violato con il reato; dal rilievo che il sequestro finalizzato alla confisca non possa avere a oggetto cose di cui non sia consentita la misura ablatoria finale; dal principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’estinzione del debito tributario determina l’illegittimità del decreto di sequestro preventivo emesso in relazione al reato ex art. 11 D.Lgs. 74/2000 negando in tal modo che il profitto del reato in esame debba sempre essere ancorata al solo valore dei beni fraudolentemente sottratti alla garanzia dell’amministrazione finanziaria.

A confutazione di tale impostazione, il Pm ricorrente ha osservato che: l’individuazione del profitto di cui all’art. 11 D.Lgs. 74/2000 nella riduzione, pur eccedente l’ammontare del debito tributario inadempiuto, del patrimonio dell’agente su cui il fisco ha diritto di soddisfarsi sarebbe coerente con la struttura di reato di pericolo della fattispecie in parola; che i beni di cui sia contestata la sottrazione fraudolenta alla garanzia dei crediti dell’amministrazione finanziaria sarebbero confiscabili ex art. 240, comma 1, c.p. in quanto strumenti della consumazione del reato, a prescindere dalla relativa qualificazione come profitto dello stesso; infine, che l’illegittimità di un sequestro preventivo disposto nonostante l’intervenuto adempimento del debito tributario non dipenderebbe dal venir meno del reato o del profitto da esso derivante, bensì dal venir meno della stessa esigenza cautelare giustificativa della misura reale.

La Suprema Corte, nella decisione de qua, accogliendo il ricorso, ha affermato, preliminarmente, che sebbene l’art. 12bis D.Lgs. 74/2000 prevede che, in caso di condanna o di applicazione della pena per uno dei reati previsti dal decreto legislativo in esame, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, deve, tuttavia, rilevarsi che l’art. 240, comma 1 c.p. consente, nel caso di condanna, al giudice di procedere alla confisca, oltre delle cose che costituiscono il profitto o il prodotto del reato, anche di quelle che “servirono o furono destinate a commettere il reato”. Fra queste devono essere ricompresi, secondo il Collegio, i beni che sono stati l’oggetto delle transazioni simulate o fraudolente che costituiscono la materiale condotta attraverso la quale si è determinato il reato.

In tal senso la Corte ha richiamato il principio di diritto secondo cui in tema di reati tributari, i beni immobili appartenenti a soggetto indagato del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, alienati per far venir meno le garanzie di un’efficace riscossione dei tributi da parte dell’Erario, sono suscettibili di sequestro preventivo per la successiva confisca ai sensi dell’art. 240, comma 1, c.p., in quanto costituiscono lo strumento per mezzo del quale è stato commesso il reato, a nulla rilevando la loro qualificazione anche come prezzo profitto di tale delitto.

Il Collegio ha evidenziato che, seppure sia vero che, il profitto del reato di cui all’art. 11 del D.Lgs. 74/2000 sia rapportabile oggettivamente al valore dei beni sottratti fraudolentemente alla garanzia dei crediti dell’Amministrazione finanziaria per le imposte evase e non già al debito tributario rimasto inadempiuto, una tale regola deve, tuttavia, essere declinata coerentemente con la finalità la cui disposizione precettiva e sanzionatoria è preposta: cioè quella di assicurare agli organi pubblici una più agevole forma di esazione coattiva delle imposte interessate dalla normativa in esame il cui versamento sia stato, anche in un secondo momento rispetto al compimento degli atti simulati o fraudolenti, omesso dal contribuente.

Ebbene, nel caso di specie la Corte ha ritenuto che la confisca, e lo strumentale sequestro preventivo, siano riconducibili, quanto a sua causale normativa, non all’art. 12bis D.Lgs. 74/2000, ma all’art. 240, comma 1, c.p., cioè alle cose che “servirono o furono destinate a commettere il reato”. Invero, ricorrendo a una tale accezione normativa non vi è più la necessità di contenere l’ammontare del valore dei beni soggetti alla misura ablativa alla ratio dell’illiceità penale della condotta attribuita all’agente (l’esistenza di un possibile debito erariale in ordine al quale rendere ragionevole l’azione esecutiva fiscale) considerato che ora la confisca non sarebbe relativa al profitto del reato ma allo strumento utilizzato per la sua perpetrazione.

Tale principio deve essere inteso in termini rigidi, vale a dire che laddove l’attività di fraudolenta dismissione dei beni si sia articolata attraverso non un solo atto depauperativo del patrimonio del contribuente ma attraverso una pluralità di essi, ciascuno riferito a beni diversi o a porzioni diverse di un medesimo bene, gli atti effettivamente rilevanti dal punto di vista penale sono quelli che hanno determinato un concreto pericolo di inefficacia dell’azione esecutiva dell’Erario volta alla riscossione delle imposte. Risulta, pertanto, necessario che anche l’oggetto di tali ulteriori atti costituisca corpo del reato, cioè che anche questi atti siano stati in grado di ledere ex se il bene giuridico tutelato dalla norma.

Infine, la Corte ha ritenuto superata la problematica che il Tribunale del riesame ha posto in relazione alla necessità dell’esistenza di un rapporto di proporzionalità fra la misura ed il valore del bene oggetto di essa. Invero, secondo la Corte, siffatta problematica risulta essere ultronea ove si riporti la ratio della confisca non alla ipotesi della ablazione del profitto del reato ma a quella della confisca degli strumenti per mezzo dei quali il reato è stato consumato. Ipotesi per la quale non è determinante che i beni abbiano un valore economico proporzionato all’imposta alla cui evasione è finalizzata l’attività simulata o fraudolenta di dismissione patrimoniale.

Alla luce di tali argomentazioni, il Collegio annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale competente.

Contributo in tema di “Reati tributari e sequestro preventivo di beni immobili”, a cura di Alessandra Fantauzzi e Viviana Guancini, estratto da Obiettivo Magistrato n. 78 / Ottobre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

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Citazione testi via pec Citazione testi a mezzo pec: il correttivo Cartabia in vigore dal 26 novembre 2024 amplia i metodi di intimazione dei testimoni

Correttivo Cartabia: testi citati anche a mezzo pec

Citazione testi anche a mezzo pec: è una delle modifiche che il correttivo Cartabia ha apportato al codice di procedura civile. A tal fine, infatti, il decreto legislativo n. 164/2024, che corregge il decreto della Riforma Cartabia  n. 149/2022, interviene sul testo dell’articolo 250 c.p.c dedicato all’intimazione dei testimoni.

Il correttivo in vigore dal 26 novembre 2024 rappresenta un tassello fondamentale nell’aggiornamento delle norme del processo civile, con l’obiettivo di migliorarne efficienza e digitalizzazione.

Intimazione testi: come cambia l’art. 250 c.p.c.

Il Correttivo Cartabia non apporta modifiche al comma 1 dell’art. 250 c.p.c Questa disposizione  continua a prevedere che la notifica ai testimoni, su richiesta della parte interessata, avvenga tramite l’ufficiale giudiziario. Nello specifico, la citazione del testimone ammesso dal giudice istruttore continua a effettuarsi con intimazione a comparire nel luogo, nel giorno e nell’ora stabilita, indicando anche il giudice che assumerà la dichiarazioni testimoniale e la causa in relazione alla quale il soggetto deve essere sentito.

Il secondo comma prevede invece un elemento di novità. Esso prevede infatti che, qualora lintimazione al testimone non avvenga a mani proprie per mezzo dell’ufficiale giudiziario o per mezzo del servizio postale, alla stessa si potrà procedere anche a mezzo pec.

Cambia anche il comma 3 della norma, che d’ora in poi presenterà la seguente formulazione letterale: L’intimazione al testimone ammesso su richiesta delle parti private a comparire in udienza può essere effettuata dal difensore attraverso l’invio di copia dell’atto mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento o a posta elettronica certificata  all’indirizzo risultante da pubblici elenchi.

Modificato anche il comma 4 della norma che, in conseguenza delle modifiche intervenute sui metodi per intimare i testimoni, impone al difensore di depositare la copia dellatto inviato e dellavviso di ricevimento o la ricevuta di avvenuta consegna. 

Testi citati a mezzo pec: processo telematico

La scelta di ampliare l’uso della PEC nel contesto processuale risponde alla volontà di rendere il sistema giudiziario più moderno e meno dipendente da metodi tradizionali, come fax o biglietti di cancelleria. Queste innovazioni si collocano nel quadro più ampio della digitalizzazione promossa dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che punta a rendere il processo civile più accessibile e funzionale.

A tale fine il Correttivo ha introdotto un’altra novità significativa, sempre in materia di testimonianza. Secondo l’articolo 257-bis del codice di procedura civile, i testimoni possono ora redigere le proprie dichiarazioni su documenti informatici firmati digitalmente, che vengono trasmessi al difensore per il deposito telematico. Questa semplificazione elimina la necessità di consegnare o spedire l’atto in forma cartacea, riducendo ulteriormente i tempi e i costi.

Obiettivi del correttivo Cartabia

Il correttivo Cartabia si propone di superare alcune difficoltà applicative della riforma originaria (D. Lgs. 149/2022) e di rispondere ai contrasti interpretativi emersi nei primi mesi di attuazione. L’intervento consolida l’impianto della riforma, introducendo aggiustamenti puntuali che mirano a garantire una maggiore chiarezza normativa e a semplificare le procedure per le parti e i professionisti legali.

Tra le altre innovazioni del correttivo, si segnalano il potenziamento del rito semplificato, modifiche al recupero crediti con l’utilizzo di fatture elettroniche e l’introduzione del titolo esecutivo digitale. Questi interventi sottolineano la centralità della tecnologia nella giustizia civile, riducendo al minimo gli adempimenti burocratici e garantendo una maggiore trasparenza e tracciabilità delle comunicazioni. Un passo avanti significativo verso un sistema giudiziario più moderno, efficiente e digitalizzato, rispondendo alle esigenze di un contesto in rapida evoluzione.

 

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bonus natale

Bonus Natale 2024: i chiarimenti del fisco L'Agenzia delle Entrate fornisce, con una circolare, le indicazioni e le novità per ottenere il beneficio del bonus Natale

Bonus Natale 2024: la circolare dell’Agenzia delle Entrate

Bonus Natale 2024: sono pronte le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate per ottenere il beneficio previsto per quest’anno dal Dl n. 113/2024 (Decreto Omnibus), destinato ai lavoratori dipendenti.

Con la Circolare n. 19 del 10 ottobre 2024 il fisco aveva già fornito le istruzioni operative agli uffici per garantirne l’uniformità di azione. Alla luce dei cambiamenti introdotti con il Dl 167/2024 (G.U. del 14 novembre 2024), l’Agenzia delle Entrate illustra, con la circolare n. 22/E del 19 novembre 2024, il rinnovato perimetro dell’agevolazione: in particolare, ferme restando le altre condizioni (limite di reddito e capienza fiscale), i datori di lavoro potranno riconoscere il bonus ai lavoratori con almeno un figlio a carico a prescindere dal fatto che siano coniugati, separati, divorziati, monogenitori o conviventi (ai sensi della legge n. 76 del 2016). La norma prevede, tuttavia, che il bonus non spetta al lavoratore dipendente coniugato o convivente il cui coniuge, non legalmente ed effettivamente separato, o convivente sia beneficiario della stessa indennità.

Bonus Natale: platea allargata

Prima delle novità introdotte dal Dl 167, una delle condizioni per accedere al beneficio era avere sia il coniuge, non legalmente ed effettivamente separato, sia almeno un figlio fiscalmente a carico o, in alternativa, far parte di un nucleo familiare cosiddetto monogenitoriale (es: figlio riconosciuto o adottato da un solo genitore). Adesso, invece, il “requisito familiare” si considera soddisfatto con la semplice presenza di un figlio a carico. La circolare – richiamando l’articolo 12, comma 2 del Tuir – ricorda che sono considerati fiscalmente a carico i figli di età non superiore a 24 anni con reddito complessivo fino a 4mila euro al lordo degli oneri deducibili (i figli con più di 24 anni, invece, si considerano fiscalmente a carico se hanno un reddito non superiore a 2.840,51 euro). Un chiarimento importante riguarda l’impossibilità di cumulare il bonus: se entrambi i coniugi, non legalmente ed effettivamente separati, o entrambi i conviventi (ai sensi della legge n. 76 del 2016) sono lavoratori dipendenti, nel rispetto degli altri requisiti, solo uno di essi avrà diritto al contributo.

Come richiedere il beneficio

Restano fermi, dunque, gli altri due requisiti: avere nel 2024 un reddito complessivo non superiore a 28mila euro e avere un’imposta lorda di importo superiore a quello della detrazione per lavoro dipendente.

Per ottenere il bonus, il dipendente è tenuto a comunicare – tramite autocertificazione – di possedere i requisiti di reddito e familiari previsti dalla norma e a dichiarare che il coniuge, non legalmente ed effettivamente separato, o il convivente, non sia beneficiario della stessa indennità.

La circolare del fisco specifica che i dipendenti che hanno già fatto richiesta al sostituto d’imposta non devono presentare una nuova autocertificazione, tranne nel caso in cui, nel rispetto delle nuove regole, sia necessario comunicare il codice fiscale del convivente, e dichiarare che quest’ultimo non sia beneficiario del bonus.

Il sostituto d’imposta riconoscerà il contributo insieme alla prossima tredicesima mensilità, generalmente in arrivo con la busta paga di dicembre; in ogni caso, il lavoratore che, pur avendo diritto al bonus, non dovesse riceverlo, potrà “recuperarlo” con la dichiarazione dei redditi relativa all’anno d’imposta 2024, da presentare nel 2025.

Assegnazione posti auto cortile condominiale L'assegnazione dei posti auto nel cortile condominiale: per una gestione corretta occorre evitare l’adozione di criteri discriminatori

Assegnazione posti auto e spazi comuni

L’assegnazione dei posti auto nel cortile condominiale rappresenta una questione centrale nella gestione degli spazi comuni. Spesso, questo tema genera contenziosi. Lo dimostra una recente vicenda giudiziaria che vede protagonista un condomino, proprietario di un box auto e un Condominio. Nel caso di specie il Tribunale di Roma ha sancito lillegittimità dell’assegnazione esclusiva e a tempo indeterminato di posti auto all’interno di un cortile condominiale. Un’assegnazione di questo tipo lede il diritto all’uso e al godimento paritario della cosa comune “uso e godimento che va apprezzato sulla scorta di un’astratta valutazione del rapporto di equilibrio che deve essere mantenuto fra tutte le possibili concorrenti fruizioni del bene stesso da parte dei partecipanti al condominio.” Lo ha stabilito il Tribunale di Roma, nella sentenza n. 13631/2024

Assegnazione posti auto cortile condominiale discriminatoria

Nel caso di specie il condominio convenuto si trova in una strada privata aperta al transito pubblico, dove una fascia di terreno di 5,70 metri, gravata da servitù di passaggio, viene utilizzata per il parcheggio. Su questa area però vengono installati dei paletti dissuasori in ferro con lucchetto, che riservano l’accesso ai soli condomini dotati di chiavi.

La gestione di questi posti auto era stata regolamentata da una delibera del 30 aprile 1996, che assegnava gli spazi a 17 condomini con alcune restrizioni, tra cui l’obbligo di parcheggiare una sola vettura a famiglia. Nel corso degli anni, questa decisione ha subito diverse modifiche. La delibera del 23 settembre 2021 ha infatti revocato la precedente disposizione e ha affermato che i posti auto spettassero   esclusivamente ai proprietari di appartamenti. La delibera del 14 febbraio 2022 invece ha reintegrato la delibera del 1996, ristabilendo l’assegnazione dei posti auto ai 17 condomini originali.

L’attore ha contestato la validità della delibera del 14 febbraio 2022. Essa realizza una discriminazione tra condomini perché l’assegnazione esclusiva dei posti auto a un gruppo ristretto di condomini, a discapito degli altri, crea uno squilibrio ingiustificato nell’accesso ai beni comuni. L’assemblea inoltre doveva considerarsi illegittima. L’area interessata non apparteneva al condominio, ma alla società costruttrice, che ne aveva riservato la proprietà nel regolamento condominiale. Infine, anche in base a quanto  sancito dalla Cassazione, deve essere riconosciuto a ogni condomino il diritto a utilizzare le aree comuni in modo equo, senza che un uso esclusivo le renda inservibili per gli altri.

Turnazioni o assegnazioni temporanee

Il Tribunale ha accolto le istanze del ricorrente, dichiarando nulle le delibere del 30 aprile 1996 e del 14 febbraio 2022.  Secondo la giurisprudenza, il godimento delle parti comuni deve essere equo e proporzionato alle quote di proprietà, senza assegnazioni esclusive a tempo indeterminato. L’assemblea poi, come rilevato dall’attore, non aveva competenza per deliberare sull’area di proprietà della società costruttrice. Il ricorrente infine, anche se non usufruiva direttamente dell’area, aveva diritto a un uso proporzionale o turnario, conformemente alla sua quota di proprietà.

Da questa sentenza emergono alcune regole fondamentali per la gestione degli spazi comuni.

  • Le decisioni che incidono sull’uso delle aree condominiali devono rispettare il principio di parità tra i condomini e non possono avvantaggiare alcuni a scapito di altri.
  • L’assemblea può deliberare solo su beni comuni, qualsiasi decisione relativa a spazi di proprietà di terzi è nulla.
  • L’assegnazione di spazi comuni deve avvenire con criteri che garantiscano il diritto di fruizione per tutti i condomini, tramite turnazione o assegnazioni temporanee, per esempio.

 

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Giornata contro la violenza

Giornata contro la violenza sulle donne: le iniziative in Parlamento Palazzo Madama e Montecitorio oggi si illuminano di arancione per la campagna Onu “Orange the world” e organizzano varie iniziative

In occasione della giornata contro la violenza sulle donne, sia il Senato della Repubblica che la Camera dei deputati aderiscono alla campagna dell’Onu “Orange the World: End Violence against Women Now!”. Pertanto, la facciata di palazzo Madama e di Montecitorio saranno illuminate con il colore arancione, simbolo dell’iniziativa dal tramonto di oggi all’alba di domani 26 novembre.

“Credi davvero che sia sincero”

Alla Camera, inoltre, presso la Sala della Regina di Montecitorio si svolgerà la rappresentazione teatrale “Credi davvero che sia sincero“, tratta dal romanzo di Roberto Ottonelli, liberamente ispirato al femminicidio di Monica Ravizza. Regia e adattamento di Alice Grati, in scena Lorena Ranieri e Nino Faranna.

Dopo il saluto del presidente della Camera, Lorenzo Fontana, introdurrà la vicepresidente, Anna Ascani. Ci sarà la testimonianza di Maria Teresa D’Abdon, fondatrice dell’associazione Difesa donne: noi ci siamo e madre di Monica. Lo spettacolo fa parte dei progetti di sensibilizzazione dell’Associazione, dedicati soprattutto ad adolescenti e giovani su tutto il territorio nazionale.

“Femminicidio e violenza di genere”

Il Senato, invece, ha provveduto alla pubblicazione dei due volumi “Femminicidio e violenza di genere” contenenti i lavori della Commissione parlamentare di inchiesta nella XVIII legislatura. Il fine è quello di rendere fruibile “anche ad un pubblico esterno e meno avvezzo alla consultazione degli atti parlamentari, un lavoro complesso e prezioso, svolto nell’arco di un quadriennio”.
Le relazioni, tutte approvate all’unanimità, hanno affrontato i molteplici profili – da quelli di carattere giuridico e sanitario a quelli più squisitamente culturali come la scuola, l’università e la comunicazione – che connotano il fenomeno della violenza maschile sulle donne.

I volumi sono corredati dalla prefazione del presidente del Senato e sono disponibili online.

pensioni minime

Pensioni minime: bonus di 154,94 euro Pensioni minime: bonus di 154,94 euro in arrivo a dicembre per i pensionati con redditi bassi per fornire un sostegno concreto

Pensioni minime: bonus 154,94 euro in arrivo a Natale

In arrivo a dicembre il bonus da 154,94 euro per oltre 400.000 titolari delle pensioni minime. Il messaggio INPS n. 3821 del 15 novembre 2024 descrive questo beneficio aggiuntivo di 154,94 euro, che rappresenta un sostegno significativo per i pensionati con redditi bassi. L’attenzione verso la trasparenza nei criteri di attribuzione e il rispetto dei limiti reddituali garantisce un approccio equo e mirato. Le nuove disposizioni sottolineano l’impegno dell’INPS nel fornire un aiuto concreto a una platea che necessita di protezione sociale, specie nei periodi critici, come quello natalizio.

Vediamo quindi in cosa consiste questa misura, chi sono i beneficiari e quali limiti reddituali devono essere rispettati.

Cos’è il bonus di 154,94 euro

Il bonus consiste in una somma forfettaria di 154,94 euro che l’INPS erogherà con la rata di dicembre 2024 per sostenere i redditi più bassi. Per i titolari di pensioni con decorrenza infrannuale, l’importo sarà calcolato in proporzione ai mesi di percezione della pensione.

Bonus di 154,94 euro: fonte normativa

Il bonus di 159,94 euro trova la sua fonte normativa nell’articolo 70, comma 7 della finanziario del 2011 (legge n. 388/2010). La somma erogata non è soggetta a tassazione e verrà corrisposta in modo automatico. Per il suo riconoscimento l’INPS terrà conto dell’importo della pensione attuale e dell’ultimo reddito registrato non precedente al 2020.

Pensioni minime: i beneficiari del bonus

Il bonus è destinato ai pensionati che percepiscono trattamenti a carico dell’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO) e delle forme sostitutive o integrative, gestite dall’INPS o dagli enti di previdenza regolati dal D.Lgs. n. 509/1994. Sono esclusi dalla misura  i titolari di prestazioni non classificate come pensioni e i pensionati con redditi complessivi che superano i limiti fissati.

Limiti reddituali e calcoli

Il limite massimo del trattamento pensionistico per ricevere il bonus è fissato a 7.936,87 euro annui. Per importi di pensione compresi tra  7.781,93 euro e 7.781,93 euro (trattamento minimo INPS), il bonus sarà rappresentato dalla differenza tra 7.936,87 euro e l’importo della pensione.

Il reddito complessivo assoggettabile all’IRPEF,  invece, comprensivo del trattamento pensionistico, non deve superare una volta e mezza il trattamento minimo annuale, fissato a 11.672,9 euro. Per i pensionati coniugati, il reddito cumulato con quello del coniuge non può eccedere tre volte il trattamento minimo, pari a 23.345,79 euro. In caso di separazione legale ed effettiva, il reddito del coniuge non viene considerato. Se tali limiti vengono superati, il diritto all’importo aggiuntivo decade.

Modalità di erogazione ed eventuale recupero

Il beneficio sarà indicato nella comunicazione ufficiale ai pensionati, che specificherà anche la normativa di riferimento. Esso sarà corrisposto nella rata di pensione di dicembre 2024, con la dicitura: “Importo Aggiuntivo (Legge 23 dicembre 2000 n. 388) – Credito Anno 2024”. Per i pensionati che non percepiscono trattamenti dall’INPS, l’importo sarà erogato dalla Cassa Professionale competente, individuata tramite il Casellario centrale dei pensionati.

Se dovessero emergere condizioni di reddito o anagrafiche non conformi, l’INPS potrà recuperare le somme indebitamente corrisposte.

 

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amnistia

Amnistia: guida completa Amnistia: atto di clemenza concesso da una legge specifica che estingue il reato o fa cessare l’esecuzione della pena e delle pene accessorie

Cos’è l’amnistia?

L’amnistia è un atto di clemenza previsto dall’ordinamento giuridico italiano, che può comportare l’estinzione di reati e delle pene ad essi connessi. La sua regolamentazione è contenuta nell’articolo 151 del Codice Penale.

Articolo 151 c.p: cosa prevede

L’articolo 151 c.p stabilisce che l’istituto comporta l’estinzione del reato e della pena per i fatti commessi, ma solo se è prevista da una legge ad hoc. In altre parole, l’amnistia non è applicabile automaticamente, ma deve essere concessa attraverso una legge speciale, approvata dal Parlamento.

Essa può avere effetti retroattivi, ciò significa che può estinguere reati commessi anche prima della sua promulgazione, purché questi siano compatibili con i criteri stabiliti dalla legge stessa.

Caratteristiche dell’amnistia

L’istituto presenta alcune caratteristiche principali.

  • Una volta concessa, il reato non viene più considerato tale, e la pena viene completamente eliminata.
  • Non tutti i crimini possono beneficiare dell’ In genere, reati particolarmente gravi, come omicidi o crimini di terrorismo, sono esclusi dal beneficio.
  • La sua concessione può essere sottoposta a condizioni o obblighi.
  • Questo atto di clemenza non è applicabile ai recidivi (art. 99 c.p) ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza, salvo eccezioni.

Condizioni e limiti dell’amnistia

La legge che la dispone può stabilire alcuni limiti specifici all’amnistia.

  1. Tipologia di reati: non tutti i reati possono beneficiare dell’amnistia, in particolare quelli di terrorismo, omicidio e crimini contro l’umanità.
  2. Periodo di applicazione: l’amnistia può avere effetti retroattivi, ma solo entro i limiti stabiliti dalla legge che la dispone.
  3. Efficacia legale: una volta concessa, l’amnistia estingue ogni effetto penale, ma non necessariamente quelli civili o amministrativi legati al reato.

Giurisprudenza della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha fornito diverse interpretazioni sull’applicazione di questo istituto, in particolare in relazione all’estinzione del reato e delle pene.

In una sentenza del 2016, la Cassazione ha chiarito che l’amnistia non solo estingue la pena, ma elimina anche il reato sotto il profilo giuridico. Ciò significa che un soggetto che ne beneficia non avrà più alcuna condanna penale a suo carico, e non potrà essere sottoposto a misure penali future relative a quel reato.

La Cassazione ha inoltre ribadito che l’amnistia può essere applicata anche a procedimenti in corso, a condizione che i reati siano compatibili con la legge che l’ha introdotta. Tuttavia, l’eventuale amnistia non cancella gli effetti civili del reato, come il risarcimento danni alle vittime.

Differenze con l’indulto

Sebbene amnistia e indulto siano spesso confusi, le differenze tra i due provvedimenti sono significative. La prima è un provvedimento che ha l’effetto di estinguere i reati e le pene connesse a determinati comportamenti criminali. Il secondo invece riduce la pena, ma non elimina il reato. L’amnistia può essere concessa dallo Stato per motivi politici, sociali o di particolare necessità, ma non è applicabile a tutti i reati.

Ecco le differenze principali tra i due istituti.

Estinzione del reato vs. riduzione della pena:

  • Amnistia: elimina completamente il reato e la pena, annullando ogni effetto penale. La persona non viene più considerata condannata.
  • Indulto: riduce o estingue la pena, ma il reato rimane formalmente tale. La persona non è più sottoposta alla pena detentiva, ma il reato rimane nel suo casellario giudiziario e può avere altre implicazioni legali.

Effetto retroattivo:

  • Amnistia: ha effetti retroattivi, il che significa che può estinguere reati commessi anche prima dell’entrata in vigore della legge.
  • Indulto: generalmente si applica solo alle pene future, anche se può ridurre le pene già in corso.

Reati esclusi:

  • Amnistia: tende a escludere i reati più gravi, come quelli legati a terrorismo, mafia, omicidi, ecc.
  • Indulto: non esclude necessariamente i reati più gravi, ma la sua applicazione dipende dalla legge speciale che lo autorizza. In genere, l’indulto non si applica a crimini gravi come quelli di terrorismo, ma può essere esteso ad altri reati meno gravi.

Procedura di concessione:

  • Amnistia: viene concessa tramite una legge speciale approvata dal Parlamento. Ha una portata generale e collettiva, riguardando categorie di detenuti.
  • Indulto: viene anch’esso concesso dal Parlamento tramite una legge speciale, ma ha una portata più limitata. Esso di solito si applica a specifici gruppi di reati o detenuti.

 

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conducenti taxi e ncc

Conducenti taxi e Ncc: no alla residenza nella regione La Consulta ha dichiarato illegittimo costituzionalmente il requisito della residenza nella regione per i conducenti di taxi e Ncc

Conducenti taxi e Ncc, requisito residenza

“Non è costituzionalmente legittimo il requisito della residenza in uno dei comuni della regione per l’iscrizione nel ruolo dei conducenti di taxi e di NCC”. Così la Consulta (sentenza n. 183/2024) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lettera i), della legge della Regione Umbria n. 17 del 1994. La norma imponeva come requisito per l’iscrizione nel ruolo dei conducenti di taxi e di noleggio con conducente (NCC) il fatto di essere residenti in uno dei Comuni della Regione Umbria. La Corte ha ritenuto tale disposizione incompatibile con la Costituzione, in particolare con i principi di ragionevolezza e concorrenza.

Il contesto della norma regionale e il giudizio del TAR Umbria

La norma regionale in questione era stata già censurata dal TAR Umbria, che aveva rilevato come il requisito della residenza fosse lesivo del principio di ragionevolezza e ostacolasse la libera concorrenza nel mercato degli autoservizi pubblici non di linea. Secondo il TAR, tale disposizione impediva l’ingresso di nuovi lavoratori o imprese nel “bacino lavorativo” regionale, limitando di fatto la possibilità di accesso al mercato per chi non fosse residente in Umbria. Il tribunale amministrativo aveva inoltre invocato la violazione dell’art. 117 della Costituzione, che assegna allo Stato la competenza esclusiva in materia di tutela della concorrenza, e la violazione dei principi della legge quadro n. 21 del 1992 riguardante il trasporto pubblico locale non di linea.

La posizione della Corte Costituzionale

La Corte ha accolto la questione sollevata, ritenendo che la norma regionale violasse sia il vecchio che il nuovo testo dell’art. 117 della Costituzione. La Corte ha sottolineato che, in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione, il sistema di riparto delle competenze tra Stato e Regioni è cambiato, ma alcuni limiti posti all’esercizio della potestà legislativa regionale sono rimasti invariati, tra cui la tutela della concorrenza. Questo principio, che la Corte ha riconosciuto come uno dei valori fondanti del diritto dell’Unione Europea, deve essere rispettato anche dalla legislazione regionale, in quanto impone limiti all’esercizio della legislazione autonoma da parte delle Regioni.

La tutela della concorrenza e il principio di ragionevolezza

La Corte ha richiamato la sua giurisprudenza consolidata, che ha sempre riconosciuto la libera concorrenza come un principio ordinatore fondamentale del diritto europeo, ma anche dell’ordinamento interno, in quanto presidiato dall’art. 41 della Costituzione, che tutela la libertà di iniziativa economica. Secondo la Corte, anche prima della riforma del Titolo V, la concorrenza costituiva un limite all’esercizio della potestà legislativa regionale, e tale limite non può essere ignorato nemmeno nel nuovo sistema di riparto delle competenze.

L’inadeguatezza del requisito della residenza

Inoltre, la Corte ha ritenuto che il requisito della residenza fosse lesivo anche del principio di ragionevolezza sancito dall’art. 3 della Costituzione. La Corte ha osservato che tale requisito, che impone una localizzazione geografica come condizione per l’iscrizione nel ruolo dei conducenti, rappresenta uno strumento sproporzionato rispetto allo scopo che la norma intendeva perseguire, ossia garantire l’adeguata professionalità e la conoscenza del territorio da parte degli aspiranti conducenti. La Corte ha ritenuto che il principio di ragionevolezza esiga che i mezzi utilizzati per raggiungere un obiettivo non siano eccessivi rispetto al fine da conseguire.

cellulare alla guida

Cellulare alla guida: le nuove sanzioni Cellulare alla guida: le regole pre-riforma e le novità introdotte dalla riforma del Codice della Strada 2024 che inaspriscono le sanzioni

Cellulare alla guida: regole pre e post-riforma

L’utilizzo del cellulare durante la guida è una delle principali cause di incidenti stradali e oggetto di normative sempre più severe.

L’inasprimento delle sanzioni è un chiaro segnale dell’intenzione di ridurre drasticamente il numero di incidenti legati alla distrazione alla guida. Utilizzare il cellulare senza mani libere o viva voce potrebbe costare caro, sia in termini economici che di punti sulla patente. Con l’entrata in vigore delle nuove regole nel 2024, è essenziale prestare massima attenzione per evitare gravi conseguenze.

Vediamo quali sono le regole pre-riforma e cosa cambia con l’introduzione delle nuove regole previste  invece dalla riforma appena approvata.

Regole sull’uso del cellulare alla guida pre-riforma

L’articolo 173 comma 2 del Codice della Strada (CdS), nella formulazione pre-rifoma, vieta al conducente l’uso durante la marcia di apparecchi come smartphone, computer portatili, tablet o dispositivi simili che richiedano di staccare anche temporaneamente le mani dal volante.

Fanno eccezione i conducenti di veicoli delle Forze armate e dei Corpi di polizia. È consentito l’uso di dispositivi viva voce o auricolari, purché non richiedano l’uso delle mani e garantiscano una capacità uditiva adeguata a entrambe le orecchie.

In sintesi si può dire che se è consentito utilizzare il cellulare in modalità viva voce o con auricolari con volume adeguato, è in vere vietato utilizzare i dispositivi quando questi richiedano di distogliere le mani dal volante.

Le sanzioni previste in caso di violazione sono le seguenti:

  • sanzione pecuniaria da 165 euro a 660 euro;
  • decurtazione di 5 punti dalla patente;
  • sanzione accessoria della sospensione della patente da 1 a 3 mesi in caso di recidiva nel corso del biennio.

Le nuove regole 2024 sul cellulare alla guida

La Riforma del 2024 del Codice della Strada introduce pene più severe per chi utilizza il cellulare durante la guida, con l’obiettivo di disincentivare comportamenti che aumentano il rischio di incidenti. La riforma aumenta le sanzioni, prevede la sospensione immediata della patente alla prima infrazione e introduce ex novo la sospensione breve.

Multe più salate

Le sanzioni aumentano nei seguenti termini:

  • la multa va da un minimo di 250 euro a un massimo di 1.000 euro per la prima infrazione;
  • in caso di recidiva la multa parte da 350 euro fino a 1.400 euro;
  • la decurtazione punti patente comporta la perdita di 5 punti per la prima violazione e 10 punti in caso di recidiva.

Sospensione immediata della patente

Alla prima infrazione si va incontro alla sospensione della patente da 15 giorni fino a 2 mesi, emessa dal Prefetto.

In caso di recidiva invece la sospensione va da un minimo di 1 mese fino a un massimo di 3 mesi.

Sospensione breve della patente

Questa misura si applica automaticamente, senza necessità di ordinanza prefettizia, ai conducenti che hanno meno di 20 punti sulla patente.

Questi i periodi di durata della sospensione breve:

  • 7 giorni per chi ha un punteggio da 10 a 19 punti;
  • 15 giorni per chi ha un punteggio da 1 a 9 punti;

In caso di incidente stradale però, anche se non vengono coinvolti altri veicoli, la sospensione viene raddoppiata a 14 giorni per chi ha da 10 a 19 punti e a 30 giorni per chi ha da 1 a 9 punti.

Entrata in vigore delle nuove regole

Le nuove norme non entrano in vigore immediatamente dopo l’approvazione del 20 novembre 2024 al Senato. La legge deve infatti superare gli ulteriori passaggi obbligatori ossia la promulgazione del Presidente della Repubblica, la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e la vacatio legis di 15 giorni, salva la previsione di termini diversi.

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