Ricorso per revocazione sentenze Consiglio di Stato confliggenti con CGUE Gli artt. 106 del codice del processo amministrativo e 395 e 396 del codice di procedura civile, nella misura in cui non consentono di usare il rimedio del ricorso per revocazione per impugnare sentenze del Consiglio di Stato confliggenti con sentenze della Corte di Giustizia, sono compatibili con gli artt. 4, par. 3, 19, par. 1, del TUE e 2, par. 1 e 2, e 267 TFUE?
Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso
L’art. 4, par. 3, e l’art. 19, par. 1, TUE nonché l’art. 267 TFUE, letti alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che non ostano a disposizioni di diritto processuale di uno Stato membro che, pur rispettando il principio di equivalenza, producono l’effetto che, quando l’organo di ultimo grado della giurisdizione amministrativa di tale Stato membro emette una decisione risolutiva di una controversia nell’ambito della quale esso aveva investito la Corte di una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi del suddetto art. 267, le parti di tale controversia non possono chiedere la revocazione di detta decisione dell’organo giurisdizionale nazionale sulla base del motivo che quest’ultimo avrebbe violato l’interpretazione del diritto dell’Unione fornita dalla Corte in risposta a tale domanda. – Corte Giust. UE, sez. IX, 7 luglio 2022, C-261/21, F. Hoffmann-La Roche Ltd e altri.
Con la citata sentenza la Corte di giustizia UE si è pronunciata sul rinvio pregiudiziale effettuato da Cons. Stato, sez. VI, 18 marzo 2021, n. 2327, al fine di chiarire se la normativa UE debba essere interpretata nel senso che osta a disposizioni di diritto processuale di uno Stato membro aventi per effetto che, quando l’organo di ultimo grado della giurisdizione amministrativa di tale Stato membro emette una decisione risolutiva di una determinata controversia nell’ambito della quale aveva investito la Corte di una domanda di pronuncia pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 TFUE, le parti di tale controversia non possono chiedere la revocazione di detta decisione sulla base del motivo che quest’ultima avrebbe violato l’interpretazione del diritto dell’Unione fornita dalla Corte in risposta a tale domanda.
Al riguardo si afferma, innanzitutto, che l’art. 19, par. 1, comma 2, TUE obbliga gli Stati membri a stabilire i rimedi giurisdizionali necessari ad assicurare ai singoli, nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione, il rispetto del loro diritto a una tutela giurisdizionale effettiva.
Spetta, tuttavia, all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro, in forza del principio di autonomia processuale, stabilire le modalità processuali di tali rimedi giurisdizionali, nel rispetto del principio di equivalenza, che nel caso di specie non si ritiene violato.
Le disposizioni processuali dell’ordinamento italiano, infatti, limitano la possibilità per i singoli di chiedere la revocazione di una sentenza del Consiglio di Stato secondo le medesime modalità, indipendentemente dal fatto che la domanda di revocazione trovi il proprio fondamento in disposizioni di diritto nazionale oppure in disposizioni del diritto dell’Unione.
La normativa processuale interna non è neppure ritenuta lesiva del principio di effettività, che non impone agli Stati membri di istituire mezzi di ricorso identici a quelli previsti dal diritto europeo, purché non sia reso impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti ai singoli dall’Unione.
Qualora siano invocate disposizioni di diritto dell’Unione dinanzi a un organo giurisdizionale nazionale, il quale emetta la propria decisione dopo aver ricevuto la risposta alle questioni che esso aveva sottoposto alla Corte in merito all’interpretazione di tali disposizioni, la condizione relativa all’esistenza, nello Stato membro interessato, di un rimedio giurisdizionale che consenta di garantire il rispetto dei diritti che i singoli traggono dal diritto dell’Unione è necessariamente soddisfatta.
Detto Stato può, di conseguenza, limitare la possibilità di chiedere la revocazione di una sentenza del suo organo giurisdizionale amministrativo di ultimo grado a situazioni eccezionali e tassativamente disciplinate, che non includano l’ipotesi in cui, ad avviso del singolo soccombente dinanzi a detto organo giurisdizionale, quest’ultimo non abbia tenuto conto dell’interpretazione del diritto dell’Unione fornita dalla Corte in risposta alla sua domanda di pronuncia pregiudiziale.
L’art. 19, par. 1, comma 2, TUE non obbliga, quindi, gli Stati membri a consentire ai singoli di chiedere la revocazione di una decisione giurisdizionale emessa in ultimo grado sulla base del motivo che quest’ultima violerebbe l’interpretazione del diritto dell’Unione fornita dalla Corte in risposta a una domanda di pronuncia pregiudiziale che era stata formulata nel medesimo procedimento.
Tale conclusione non è contraddetta dall’art. 4, par. 3, TUE che non può essere interpretata nel senso di obbligare gli Stati membri ad istituire nuovi rimedi giurisdizionali, obbligo che non è imposto loro dall’art. 19, par. 11, comma 2, TUE.
Detta conclusione non è contraddetta neanche dall’art. 267 TFUE, il quale impone al giudice del rinvio di dare piena efficacia all’interpretazione del diritto dell’Unione data dalla Corte nella sentenza emessa in via pregiudiziale, ma spetta solo al giudice nazionale accertare e valutare i fatti della controversia di cui al procedimento principale.
In conclusione si afferma che non spetta alla Corte esercitare, nell’ambito di un nuovo rinvio pregiudiziale, un controllo che sia destinato a garantire che tale giudice, dopo aver investito la Corte di una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull’interpretazione di disposizioni del diritto dell’Unione applicabili alla controversia sottopostagli, abbia applicato tali disposizioni in modo conforme all’interpretazione di queste ultime fornita dalla Corte, ferma la possibilità per il giudice nazionale di rivolgersi nuovamente alla Corte di giustizia UE per ottenere ulteriori chiarimenti sull’interpretazione del diritto dell’unione fornita dalla Corte.
Si precisa, tuttavia, che i singoli, ove abbiano eventualmente subito un danno per effetto della violazione dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione causata da una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado possono far valere la responsabilità di tale Stato membro purché siano soddisfatte le condizioni relative al carattere sufficientemente qualificato della violazione e all’esistenza del nesso causale diretto tra tale violazione e il danno subito da tali soggetti.