Vincolo prezzo edilizia convenzionata Il vincolo del prezzo massimo di cessione di immobili in edilizia convenzionata è opponibile anche alle alienazioni successive alla prima?
Quesito con risposta a cura di Danilo Dimatteo, Elisa Succu, Teresa Raimo
In materia di edilizia residenziale pubblica, a seguito degli interventi legislativi di cui al D.L. 70/2011, art. 5, comma 3bis, introdotto in sede di conversione dalla L. 106/2011, e al D.L. 119/2018, art. 25undecies introdotto in sede di conversione dalla L. 136/2018, il vincolo del prezzo massimo di cessione degli immobili permane fino a quando lo stesso non venga eliminato con la procedura di affrancazione di cui alla L. 448/1998, art. 31, comma 49bis. Tale vincolo sussiste, in virtù della sostanziale equiparazione disposta dal L. 662/1996, art. 3, comma 63, e dalla L. 448/1998, art. 31, comma 46, sia per le convenzioni di cui all’art. 35 della L. 865/1971 (c.d. convenzioni PEEP) sia per quelle di cui alla L. 10/1977, artt. 7 e 8 (c.d. convenzioni Bucalossi), poi trasferiti, senza significative modifiche, nel D.P.R. 380/2001, artt. 17 e 18.
La procedura di affrancazione finalizzata all’eliminazione del vincolo di prezzo per i successivi acquirenti degli immobili di edilizia residenziale pubblica, che D.L. 119/2018, art. 25undecies, ha esteso in favore di tutti gli interessati, è consentita, secondo la previsione del comma 2 della citata disposizione, anche in relazione agli atti di cessione avvenuti anteriormente alla data di entrata in vigore del D.L. 70/2011, art. 5, comma 3bis, (13 luglio 2011); e la pendenza della procedura di rimozione dei vincoli determina la limitazione degli effetti dei relativi contratti di trasferimento degli immobili nei termini di cui alla L. 448/1998, art. 31, comma 49quater. – Cass. Sez. Un. 6 luglio 2022, n. 21348.
Nella pronuncia in esame le Sezioni Unite hanno sciolto un contrasto relativo all’efficacia del vincolo massimo di cessione nell’ambito delle varie convenzioni stipulate per l’edilizia popolare.
Secondo la decisione, la previsione di cui all’art. 35, comma 15 e 19, L. 865/1971, relativa al divieto temporaneo, a pena di nullità, di alienazione di alloggi costruiti su aree comprese nei piani per l’edilizia economica e popolare (P.E.E.P.) e cedute in proprietà ai comuni, costituisce una prescrizione di ordine pubblico generale dettata dal legislatore per prevenire l’eventualità che le agevolazioni concesse nel quadro di una politica abitativa di interesse sociale possano trasformarsi in un inammissibile strumento di speculazione; il comune – pertanto – non ha il potere di introdurre deroghe al divieto di alienazione, indipendentemente dalla qualità di contraente di una convenzione stipulata con la società cooperativa acquirente dell’area su cui è stato costruito l’alloggio, ovvero dalla circostanza che per la costruzione degli alloggi siano stati o meno concessi contributi pubblici. Si determina, quindi, con riferimento alle convezioni “P.E.E.P.” (in genere realizzato mediate la costituzione di un diritto di superficie), un vincolo sul prezzo che va oltre il primo rapporto di alienazione e che può essere opposto, efficacemente, anche nei confronti dei successivi acquirenti.
In tale prospettiva, il problema della vendita degli alloggi di edilizia convenzionata soggetti al vincolo sulla determinazione del prezzo viene risolto tenendo conto del carattere imperativo della relativa disciplina normativa, seppur mediata da convenzioni tra il Comune e il concessionario: con la conseguenza che l’eventuale violazione dei parametri legali sul prezzo di cessione cagiona la nullità della clausola ex art. 1418 c.c. e la sostituzione mediante inserzione automatica del corrispettivo imposto dalla legge (artt. 1339 e 1419, comma 2, c.c.) . In altri termini, qualora il proprietario di un immobile costruito in regime di edilizia residenziale convenzionata sulla base di una convenzione con il comune abbia stipulato un contratto per la cessione dell’immobile a un prezzo superiore a quello massimo indicato nella convenzione, il predetto prezzo può essere adeguato, ex art. 1339 c.c., a quello stabilito nella convenzione stessa.
Per quanto precede, e posto che la determinazione dei prezzi di cessione degli alloggi in materia di edilizia convenzionata è determinata sulla base di un dato normativo – che ha, a sua volta, istituito la relativa convenzione con il Comune – sono considerati compresi nella previsione dell’art. 1339 c.c., alla quale si collega quella dell’art. 1419, comma 2, c.c., i casi di difformità di una clausola negoziale da una norma imperativa, la quale peraltro non importa la nullità del contratto quando tale clausola sia sostituita di diritto da norme imperative.
Con riferimento, invece, all’edilizia popolare viene precisato che in seguito all’entrata in vigore (in data 19 febbraio 1994) del nuovo testo dell’art. 20, L. 179/1992, come sostituito dall’art. 3, L. 85/1994, è stata – di fatto – liberalizzata la cessione degli alloggi di edilizia agevolata una volta decorso il termine di cinque anni dalla loro assegnazione o dal loro acquisto, a nulla rilevando che l’assegnazione dell’alloggio risalga a epoca anteriore all’entrata in vigore della l. n. 179/1992, né la presenza, in provvedimenti amministrativi o negli strumenti convenzionali, di clausole contrastanti con tale regime di libera alienabilità post-quinquennale.
Conseguenza di tale situazione è che chi ha comprato un alloggio di edilizia residenziale convenzionata a prezzo di mercato ha diritto alla restituzione della differenza tra quanto versato e quanto invece dovuto in base ai vincoli stabiliti dalla convenzione originaria di assegnazione del diritto di superficie. Tale limitazione, nella più recente giurisprudenza, non riguarda solo il primo acquirente, in quanto il vincolo del prezzo massimo di cessione di immobili realizzati nell’ambito dell’edilizia economica e popolare ai sensi dell’art. 35, L. 865/1971 non spiega efficacia limitata al primo trasferimento, o in ordine a quello intervenuto tra il costruttore e il primo avente causa, ma segue l’immobile, a titolo di onere reale, in tutti i successivi passaggi di proprietà.
Secondo una parte della giurisprudenza, per contro, le convenzioni poc’anzi richiamate erano disciplinate da diverse finalità e regole, nel senso che le convenzioni previste sia dall’art. 35, L. 865/1971, sia dagli artt. 7 e 8, L. 10/1977, pur concorrenza a costituire l’edilizia abitativa convenzionata, non sono soggette dalla medesima disciplina, posto che all’edilizia convenzionata disciplinata dalla prima delle menzionate norme va applicata la medesima disciplina speciale e non quella contenuta nell’art. 8, L. 10/1977. Per le prime, in particolare, il vincolo sul prezzo era opponibile anche ai successivi acquirenti, salva la procedura di affrancazione, mentre nella seconda tipologia di convenzioni tale limite sussisterebbe solo nei confronti della prima alienazione.
Nella pronuncia in esame, a chiarimento della complessa situazione creatasi in forza della stratificazione normativa, la Suprema Corte sancisce che alla base delle due tipologie di convenzioni vi è la necessità di offrire una abitazione a prezzi contenuti, evitando speculazioni nelle fasi successive. Per questo, pur se differentemente disciplinate, le due tipologie in commento seguono la medesima finalità sociale, con conseguente applicazione del limite del prezzo di vendita, da ritenersi valido e opponibile a tutte le alienazioni successive, salva la procedura di affrancazione.