ddl sicurezza alimentare

Ddl Sicurezza alimentare: i nuovi reati Approvato il 9 aprile dal Consiglio dei Ministri un ddl che introduce tre nuovi reati in materia di agricoltura e pesca

Ddl sicurezza alimentare

Ddl sicurezza alimentare: il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida e del Ministro della giustizia Carlo Nordio, ha approvato il 9 aprile 2025 un disegno di legge che introduce disposizioni sanzionatorie in materia di agricoltura e pesca.

Contraffazione e truffa nell’agroalimentare

Il testo mira a contrastare i fenomeni di contraffazione e truffa nel settore agroalimentare. A tal fine, da un lato “detta disposizioni volte alla riorganizzazione della categoria dei reati in materia alimentare, con modifiche che incidono sulla specificità delle condotte sanzionate, oltreché sull’inasprimento del relativo impianto sanzionatorio”. Dall’altro, “interviene sulla disciplina vigente in tema di tracciabilità dei prodotti e sul sistema dei controlli nel settore alimentare, in modo da salvaguardare la fiducia dei consumatori nell’accesso ad alimenti di elevata ed indiscussa qualità e tipicità e garantire la trasparenza e la concorrenza del mercato agroalimentare”.

I nuovi reati

In ambito penale, in particolare, con il Ddl Sicurezza alimentare:

  • si introducono nuove fattispecie di reato in materia agroalimentare al fine di intercettare le molteplici condotte criminose che possono annidarsi lungo l’intera filiera che va dalla produzione alla distribuzione dei prodotti;
  • si interviene sulla disciplina in materia di indagini, consentendo l’ispezione sulle cose senza preventivo avviso al difensore, laddove sia necessario prelevare un campione con urgenza;
  • si introducono disposizioni volte a consentire la destinazione a scopi benefici degli alimenti confiscati soggetti a rapido deterioramento;
  • si interviene in materia di intercettazioni, inserendo anche i nuovi reati di frode alimentare e commercio di alimenti con segni mendaci, nonché in materia di operazioni sotto copertura, ammettendole per le sole ipotesi di agropirateria e commercio di alimenti con segni mendaci.

Tracciabilità prodotti

In materia di tracciabilità dei prodotti recanti la denominazione di origine protetta o indicazione geografica tipica si istituisce una nuova piattaforma per la registrazione delle movimentazioni riguardanti il latte di bufala e i suoi derivati, nella quale i soggetti della filiera (ossia gli allevatori, i trasformatori e gli intermediari di latte di bufala) devono inserire quotidianamente i dati relativi alla produzione, trasformazione e commercializzazione del latte di bufala e dei prodotti da esso ottenuti, nonché i quantitativi di latte di bufala o derivati provenienti da Paesi UE e non UE.

Si inaspriscono, inoltre, le sanzioni amministrative pecuniarie previste in materia di tracciabilità dei prodotti agroalimentari, nonché per la violazione delle disposizioni in materia di produzione della mozzarella di bufala campana DOP. Queste sanzioni possono essere aumentate in caso di violazioni commesse da medie e grandi imprese e ridotte in caso di violazioni commesse da microimprese.

Blocco dei prodotti e cabina di regia

In materia di controlli nel settore agroalimentare e della pesca:

  • si introduce la misura del blocco ufficiale temporaneo dei prodotti agroalimentari e della pesca e dei mezzi tecnici di produzione, qualora vengano rilevate violazioni documentali di carattere formale che non comportano rischio per la salute umana, al fine di permettere agli organi accertatori di bloccare la merce in attesa delle verifiche necessarie per valutare la conformità o meno dei prodotti agli standard;
  • si istituisce presso il MASAF la “Cabina di regia per i controlli amministrativi nel settore agroalimentare”;
  • si introduce il divieto di costituzione di CAA (Centri autorizzati di assistenza agricola) per i soggetti che, nei sei mesi antecedenti alla richiesta di autorizzazione alla costituzione, abbiano partecipato alla compagine sociale di un diverso CAA cui sia stata revocata l’autorizzazione. Il medesimo divieto si applica in caso di reiterazione della condotta;
  • si introducono nuovi illeciti amministrativi, nelle ipotesi in cui i CAA richiedano, in qualsiasi forma, una remunerazione o qualsiasi altro tipo di compenso non dovuti per le prestazioni da rendere a favore delle imprese agricole in virtù delle citate convenzioni.
  • si introduce, con riferimento al piano dei controlli in materia di denominazione protetta, la possibilità di adottare una misura cautelare di carattere interdittivo, stabilendo che l’amministrazione possa inibire al soggetto inadempiente, in via cautelare e sino all’adozione del provvedimento definitivo, l’utilizzo della denominazione protetta;
  • si riordina la disciplina in materia di pesca marittima.

Nordio: “Tre reati per difendere i prodotti italiani”

“Si introducono tre reati nuovi”, ha annunciato il ministro della Giustizia Carlo Nordio nel corso della conferenza stampa dopo il Consiglio dei Ministri. Si tratta di nuove misure per contrastare le frodi nel settore agroalimentare: commercio di alimenti con segni mendaci, frode alimentare e il reato di “agropirateria”.

Il Guardasigilli ha inoltre sottolineato l’estensione della possibilità di ricorrere alle intercettazioni in questi ambiti: “È un segnale che vogliamo dare in un momento di necessità di tutelare il prodotto italiano e la buona fede del consumatore”.

rendita vitalizia

La rendita vitalizia Rendita vitalizia: cos'è, cosa la distingue dalla rendita perpetua, a chi spetta, come funziona e giurisprudenza di rilievo in materia

Cos’è la rendita vitalizia?

La rendita vitalizia è un contratto disciplinato dagli articoli 1872 e seguenti del Codice Civile, con il quale una parte (denominata costituitore) si obbliga a corrispondere periodicamente una somma di denaro o una quantità di beni a un’altra parte (beneficiario o vitaliziato), per tutta la durata della vita di quest’ultimo o di un terzo.

Il contratto può essere a titolo oneroso, quando il vitaliziato trasferisce un bene o versa una somma in cambio della rendita, oppure a titolo gratuito, se costituito come donazione.

Tipologie di rendita

Il nostro codice civile prevede e disciplina due tipi di rendite:

  • perpetua: non è legata alla durata della vita di una persona specifica (art. 1861 c.c.) e si costituisce tramite contratto. Essa conferisce il diritto a esigere in modo perpetuo una prestazione periodica di denaro o di cose fungibili, quale corrispettivo della vendita di un immobile o della cessione di un capitale;
  • vitalizia: quando dipende dalla vita di un individuo determinato (art. 1872 c.c.). Ai sensi del comma 2 dell’art. 1873 del Codice Civile la rendita può essere costituita anche per la durata della vita di più persone.

Quando e a chi spetta

La rendita vitalizia può essere pattuita tra privati, derivare da specifiche disposizioni testamentarie o da una donazione. È uno strumento spesso utilizzato:

  • nell’ambito della pianificazione successoria, per garantire un reddito stabile a un familiare;
  • nei contratti di cessione di beni immobili con riserva di rendita a favore del cedente;
  • per assicurare un sostegno economico in caso di cessione d’azienda o quote societarie;
  • in ambito previdenziale, con rendite assicurative legate ai piani pensionistici.

La rendita spetta al beneficiario designato, il quale ha diritto a percepirla secondo le condizioni stabilite nel contratto. In caso di premorienza del beneficiario, la rendita si estingue, salvo diversa pattuizione.

Giurisprudenza in materia di rendita vitalizia 

La giurisprudenza ha spesso affrontato controversie relative alla rendita vitalizia.

Cassazione n. 8116/2024

Per accertare la validità di una rendita vitalizia, elemento essenziale è l’alea, ovvero l’equivalenza del rischio tra le parti al momento della stipula. Questa equivalenza si valuta considerando l’entità della rendita e la presumibile durata della vita del beneficiario. Il contratto è nullo se, per l’età e la salute del vitaliziato, era prevedibile con certezza il suo decesso, rendendo calcolabili guadagni e perdite per entrambe le parti. Nel caso specifico, la Cassazione ha confermato la nullità perché la vitaliziata di 48 anni, conoscendo la situazione economica della società vitaliziante, non presentava un rischio equivalente per quest’ultima.

Cassazione n. 10031/2023

L’accordo stipulato in sede di separazione e recepito nel divorzio congiunto, in cui un coniuge cede quote societarie all’altro in cambio di un assegno vitalizio a favore del cedente e dei figli, senza interruzione anche dopo la maggiore età di questi ultimi, non è soggetto a revisione ai sensi dell’articolo 8 della legge sul divorzio. La Corte qualifica tale pattuizione non come un assegno divorzile, ma come la costituzione di una rendita vitalizia, con conseguente inapplicabilità delle norme sulla revisione dell’assegno divorzile.

Cassazione n. 11290/2017

Secondo il consolidato indirizzo interpretativo della Corte di Cassazione, il vitalizio alimentare è un contratto atipico che si distingue dalla rendita vitalizia per la sua aleatorietà più accentuata. Questa alea non riguarda solo la durata del contratto, legata alla vita del beneficiario, ma anche la quantità e la natura delle prestazioni dovute (vitto, alloggio e assistenza), che possono variare nel tempo in base a fattori imprevedibili come le condizioni di salute del beneficiario. Inoltre, le prestazioni di assistenza hanno una natura spiccatamente personale e richiedono un vitaliziante specificamente scelto in base alle sue qualità individuali. Nel vitalizio alimentare, una parte si obbliga a fornire queste prestazioni in cambio del trasferimento di un immobile o di altri beni.

 

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autorità amministrative indipendenti

Le autorità amministrative indipendenti Autorità amministrative indipendenti: quali sono, definizione, normativa, compiti e funzioni

Cosa sono le autorità amministrative indipendenti

Le autorità amministrative indipendenti sono organismi pubblici dotati di autonomia rispetto al potere esecutivo, istituite per garantire il corretto funzionamento di settori strategici dell’economia e della società. Il loro ruolo è fondamentale per assicurare imparzialità, trasparenza e tutela degli interessi collettivi, specialmente nei settori in cui lo Stato non deve esercitare un controllo diretto.

Le autorità amministrative indipendenti sono enti pubblici che operano in maniera autonoma dal governo e dalla pubblica amministrazione tradizionale. Il loro obiettivo è quello di regolare specifici settori di rilevanza economica e sociale senza essere soggette a pressioni politiche.

Normativa di riferimento

Le autorità amministrative indipendenti non sono disciplinate da un unico testo normativo, ma trovano la loro regolamentazione in diverse leggi settoriali. Alcuni riferimenti normativi fondamentali sono:

  • Legge n. 287/1990: istitutiva dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM).
  • Legge n. 481/1995: disciplina le autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità.
  • Legge n. 675/1996, poi sostituita dal Regolamento UE 2016/679 (GDPR): relativa alla protezione dei dati personali, che ha portato alla creazione del Garante per la protezione dei dati personali.
  • D.Lgs. n. 259/2003: relativo all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM).

Quali sono le principali autorità amministrative indipendenti

In Italia, le principali autorità amministrative indipendenti sono:

  • AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato): tutela la concorrenza e il mercato.
  • AGCOM (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni): regola i settori delle telecomunicazioni, dell’editoria e delle poste.
  • ARERA (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente): vigila sui settori dell’energia elettrica, del gas, del servizio idrico e dei rifiuti.
  • Garante per la protezione dei dati personali: tutela la privacy e il trattamento dei dati personali.
  • ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione): previene e combatte la corruzione nella pubblica amministrazione.
  • IVASS (Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni): supervisiona il mercato assicurativo.
  • CONSOB (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa): vigila sui mercati finanziari.

Compiti e funzioni

Le autorità amministrative indipendenti svolgono funzioni di regolazione, controllo e garanzia, tra cui:

  1. Regolazione: emettono norme e linee guida per disciplinare i settori di competenza.
  2. Vigilanza e controllo: monitorano il rispetto delle normative da parte delle imprese e degli enti regolati.
  3. Sanzione: applicano sanzioni in caso di violazione delle norme di riferimento.
  4. Tutela dei consumatori e degli utenti: garantiscono trasparenza e correttezza nei rapporti tra imprese e cittadini.
  5. Pareri e raccomandazioni: forniscono consulenza a governo e parlamento su questioni di loro competenza.

 

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Genitori responsabili dei profili social dei figli Genitori responsabili dei profili social dei figli: spetta a loro vigilare sulle attività, facendo attenzione anche ai software di manipolazione

Profili social dei figli

Genitori responsabili di quanto fanno i figli sui social. Essi hanno l’obbligo di controllare i profili social dei figli, anche se falsi, soprattutto se la prole è fragile o immatura. Il controllo serve a prevenire comportamenti illeciti o pericolosi. Non basta chiedere le password o dire di aver fatto il possibile. I genitori devono sorvegliare in modo attivo e costante. Il Tribunale di Brescia, con la recente sentenza n. 879/2025, ribadisce questo principio e condanna i genitori di una ragazza con un lieve ritardo intellettivo a risarcire 15mila euro alla vittima del comportamento della figlia.

Diffamazione aggravata e altri reati

Una ragazza crea più profili fake e con questi insulta una compagna e pubblica immagini pornografiche ottenute con un software di manipolazione delle immagini. Le indagini penali per diffamazione aggravata, atti persecutori e detenzione di materiale pedopornografico portano alla giovane.

I genitori della vittima decidono quindi di agire in giudizio e chiedono il risarcimento dei danni subiti dalla figlia. La giovane racconta infatti di aver ricevuto insulti continui su Instagram. A causa di questi episodi inoltre ha iniziato ad avere paura a uscire di casa da sola e ha temuto in diverse occasioni di essere  perseguitata da malintenzionati.

Genitori responsabili: attenzione massima ai social

Il Tribunale nel decidere sulle responsabilità e sul risarcimento richiesto, chiarisce quali sono i doveri dei genitori nella sorveglianza dei dispositivi digitali dei figli. Nel caso di specie la ragazza frequentava le superiori, aveva un’insegnante di sostegno e un’educatrice. Quest’ultima in particolare aveva avviato un percorso educativo sull’uso dei social, avvisando anche i genitori sui rischi di questi strumenti. Tutto questo però evidentemente non è bastato. La ragazza infatti ha creato molti profili falsi e sconosciuti alla famiglia e tramite questi ha commesso gli illeciti di rilievo penale che le sono stati contestati in sede penale.

I genitori si difendono dalle accuse loro rivolte, affermando di aver fatto il possibile. Il giudice però ritiene che quanto affermato non sia sufficiente. Per evitare la responsabilità genitoriale (art. 2047 c.c.) serve infatti dimostrare di non aver creato o tollerato situazioni pericolose. Il compito dei genitori è di prevenire i rischi, non di reagire solo quando è troppo tardi.

Massima attenzione anche alle immagini manipolabili

Il Tribunale si sofferma inoltre sull’impiego dei contenuti manipolati con software. I ragazzi oggi possono accedere facilmente a strumenti di intelligenza artificiale per modificare immagini o video. Per questo motivo i genitori devono aumentare ancora di più il controllo sui figli in relazione a questi strumenti. Lasciare i figli soli davanti allo schermo può avere infatti gravi conseguenze legali.

La giurisprudenza recente è concorde nel rafforzare l’obbligo di vigilanza dei genitori sull’utilizzo dei social da parte dei figli. I genitori sono chiamati a limitare sia il tempo sia le modalità di accesso ai social da parte dei figli. L’educazione digitale deve essere concreta e continua. Non basta dire ai figli cosa è giusto: è necessario verificare che lo mettano in pratica.

La precoce autonomia digitale dei minori non solleva i genitori dalle loro responsabilità. Al contrario, li obbliga a educare in modo ancora più attento e moderno. Serve un impegno reale nell’insegnare e verificare l’uso corretto delle tecnologie, inclusa l’intelligenza artificiale.

 

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divisori dei balconi

Divisori dei balconi in condominio Divisori dei balconi in condominio: cosa sono, normativa e ripartizione delle spese

Cosa sono i divisori dei balconi condominiali

I divisori dei balconi (o setti divisori) sono elementi verticali posti tra due balconi attigui di proprietà esclusiva, con la funzione di separare fisicamente e visivamente le unità immobiliari, garantendo privacy, sicurezza e, in alcuni casi, contribuendo al decoro architettonico della facciata condominiale. Possono essere realizzati in vari materiali: muratura, metallo, vetro opaco, PVC, o anche strutture leggere come grigliati e pannelli frangivista.

Pur essendo collocati tra balconi di proprietà privata, i divisori sono spesso soggetti a disciplina comune, soprattutto quando incidono sull’aspetto esteriore dell’edificio o sulla sua stabilità.

Normativa di riferimento

La disciplina dei divisori dei balconi condominiali si desume principalmente dal codice civile, in particolare dagli articoli:

  • Art. 1117 c.c. – beni comuni: nel caso in cui i divisori siano strutturalmente o funzionalmente collegati alla facciata, possono essere considerati parte comune;
  • Art. 1123 c.c. – ripartizione delle spese: occorre applicare la regola generale della proporzionalità al valore della proprietà;
  • Art. 1125 c.c. – spese per i muri divisori: la regola stabilisce la ripartizione a metà tra i proprietari delle unità separate;
  • Art. 1122 c.c. – innovazioni su parti di proprietà esclusiva: vieta interventi che pregiudichino il decoro architettonico o la stabilità dell’edificio.

La giurisprudenza ha più volte chiarito che, anche quando i balconi sono di proprietà esclusiva, i divisori verticali – se integrati nella facciata – assumono rilievo comune ai fini della tutela dell’aspetto architettonico dell’immobile.

Inoltre, l’installazione o modifica di divisori può richiedere autorizzazioni comunali o rispetto delle norme edilizie locali, specie nei casi di edifici vincolati o in zone soggette a tutela paesaggistica.

Tipologie di divisori tra balconi

I principali tipi di divisori in condominio sono:

  • muretti in laterizio o cemento;
  • pannelli in vetro satinato o opalino;
  • grigliati in legno o metallo;
  • pareti mobili o rimovibili in PVC o tessuto tecnico.

La scelta del tipo di divisorio deve rispettare l’estetica del fabbricato e non alterare la sicurezza, la salubrità o la stabilità delle strutture portanti.

Ripartizione delle spese per i divisori dei balconi

Uno degli aspetti più delicati riguarda la ripartizione delle spese di manutenzione, sostituzione o installazione dei divisori tra balconi.

Secondo l’art. 1125 c.c., le spese per la manutenzione dei muri divisori tra due proprietà contigue, come nel caso dei setti tra balconi, vanno ripartite in parti uguali tra i condomini proprietari dei balconi che il divisorio separa.

Ne consegue che:

  • se il divisorio è collocato tra due balconi di proprietà esclusiva, la spesa va divisa al 50% tra i due proprietari;
  • se il divisorio è parte integrante della facciata o dell’impianto architettonico condominiale, può essere considerato bene comune e la spesa va ripartita tra tutti i condomini secondo i millesimi di proprietà (art. 1123, comma 1, c.c.);
  • in caso di modifica unilaterale da parte di un solo condomino, questi ne sopporta interamente la spesa e risponde di eventuali danni o alterazioni al decoro (ex art. 1122 c.c.).

Anche gli interventi per il rifacimento dei divisori a seguito di infiltrazioni o degrado devono seguire il criterio del beneficio e della contiguità tra le proprietà, con eventuale delibera assembleare se l’opera incide sulle parti comuni.

Interventi e limiti da rispettare

Ogni intervento sui divisori quindi deve:

  • evitare modifiche che compromettano il decoro architettonico;
  • non limitare il diritto di veduta;
  • rispettare le distanze legali, previste dal codice civile o dai regolamenti edilizi locali.

Inoltre, qualora il divisorio sia modificato unilateralmente da un condomino (es. sostituzione di una parete opaca con una trasparente), l’amministratore può chiedere il ripristino dello stato originario qualora l’intervento risulti lesivo per il condominio.

 

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rendita vitalizia Inps

Rendita vitalizia INPS Cos’è la rendita vitalizia INPS, quando spetta e quali sono le novità introdotte dal Collegato Lavoro

Cos’è la rendita vitalizia INPS?

La rendita vitalizia INPS, disciplinata dall’art. 13 della Legge n. 1338/1962, è un meccanismo che consente ai lavoratori di ottenere il riconoscimento della contribuzione previdenziale non versata dal datore di lavoro e ormai prescritta. In altre parole, permette di trasformare periodi di lavoro non coperti da contributi in periodi utili ai fini pensionistici, mediante il pagamento di un onere a carico del lavoratore o di un terzo.

A chi spetta e quando si può richiedere

La rendita vitalizia INPS può essere richiesta dai lavoratori dipendenti (anche se negli anni sono state ampliate le categorie di lavoratori) che:

  • abbiano prestato attività lavorativa subordinata per la quale il datore di lavoro non ha versato i contributi dovuti;
  • non possano più recuperare i contributi per intervenuta prescrizione (attualmente fissata in 5 anni);
  • dimostrino l’esistenza del rapporto di lavoro mediante documentazione probante (buste paga, contratti, testimonianze, etc.).

L’INPS consente il riscatto di tali periodi attraverso il versamento di un importo determinato sulla base della retribuzione percepita nel periodo scoperto da contribuzione. La disciplina del calcolo e quindi del costo del riscatto della rendita Italia INPS resta quella del decreto legislativo n. 187/1977.

Prescrizione e termini di richiesta

La prescrizione dei contributi previdenziali si verifica, come anticipato, in un periodo di 5 anni, come stabilito dall’art. 3, comma 9, lett. b) della Legge n. 335/1995.

Rendita vitalizia INPS: novità Collegato Lavoro

La recente Legge 13 dicembre 2024, n. 203 (c.d. Collegato Lavoro) ha introdotto importanti modifiche alla disciplina della rendita vitalizia INPS, in vigore dal 12 gennaio 2025. La circolare INPS n. 48/2025 ha illustrato le principali novità.

  • Semplificazione della procedura di richiesta: è possibile presentare la domanda online tramite il portale INPS, con un iter amministrativo più snello e veloce.
  • Possibilità per il lavoratore (e superstiti)  di richiedere la costituzione della rendita vitalizia INPS anche in proprio e a proprio carico e non in via sostitutiva del datore, quando il diritto di questo soggetto è prescritto, ossia quando la stessa non può essere richiesta dal datore di lavoro o dal lavoratore in sua sostituzione.
  • Il termine di prescrizione, in base alla regola generale, decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere ovvero dalla data di prescrizione dei contributi non versati.

 

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Fonti del diritto amministrativo

Le fonti del diritto amministrativo Le fonti del diritto amministrativo rappresentano un sistema complesso e articolato, volto a garantire la corretta gestione dell’attività amministrativa e la tutela dei diritti dei cittadini

Fonti diritto amministrativo: normativa

Il diritto amministrativo è una branca del diritto pubblico che disciplina l’organizzazione, il funzionamento e l’attività della pubblica amministrazione. Le fonti del diritto amministrativo sono molteplici e si articolano su diversi livelli gerarchici, comprendendo norme di diritto interno e di diritto internazionale. La loro conoscenza è fondamentale per comprendere il funzionamento della pubblica amministrazione e le regole che ne disciplinano l’operato.

Fonti del diritto amministrativo: quali sono

Le fonti del diritto amministrativo si suddividono in fonti primarie e fonti secondarie, seguendo una gerarchia normativa stabilita dal principio di legalità.

1. Fonti primarie

Le fonti primarie sono quelle che derivano direttamente dalla Costituzione e che hanno la massima forza normativa. Tra queste troviamo:

  • La Costituzione: rappresenta la fonte primaria fondamentale, stabilisce i principi cardine del diritto amministrativo, come il principio di legalità, di buon andamento e di imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.).
  • Le leggi ordinarie: sono emanate dal Parlamento e regolano in modo dettagliato l’attività della pubblica amministrazione, come ad esempio la legge n. 241/1990 sul procedimento amministrativo.
  • Le leggi regionali: sono quelle che si riferiscono alle competenze amministrative decentrate, nel rispetto del principio di sussidiarietà.
  • Le leggi costituzionali e le leggi di revisione costituzionale: modificano la Costituzione e incidono sulla struttura dell’amministrazione pubblica.
  • I decreti legislativi: sono emanati dal Governo su delega del Parlamento e hanno lo stesso valore delle leggi ordinarie (es. D.lgs. 165/2001 sul pubblico impiego).
  • I decreti legge: adottati dal Governo in casi di necessità e urgenza, devono essere convertiti in legge dal Parlamento entro 60 giorni.
  • Le norme dell’Unione Europea: comprendono regolamenti (direttamente applicabili) e direttive (che devono essere recepite con atti nazionali).
  • Le convenzioni internazionali: quando ratificate dall’Italia, entrano a far parte dell’ordinamento e possono influenzare il diritto amministrativo.

2. Fonti secondarie

Le fonti secondarie sono subordinate alle fonti primarie e hanno un ruolo di attuazione e integrazione della normativa principale. Tra queste troviamo:

  • I regolamenti amministrativi: adottati dal Governo o da enti locali per disciplinare in dettaglio l’applicazione delle leggi. Si suddividono in:
    • Regolamenti di esecuzione: attuano leggi già esistenti.
    • Regolamenti di organizzazione: disciplinano l’organizzazione interna delle amministrazioni.
    • Regolamenti indipendenti: disciplinano materie non regolate da legge (nei limiti stabiliti dalla Costituzione).
  • Le circolari amministrative: non hanno valore normativo, ma servono a interpretare e applicare le norme esistenti.
  • Le ordinanze amministrative: atti con efficacia normativa in situazioni di emergenza (es. ordinanze sindacali per la sicurezza pubblica).
  • Statuti: sono le fonti degli enti locali che si occupano di disciplinare l’organizzazione e il funzionamento interno

Gerarchia delle fonti e principio di legalità

Il principio di legalità impone che la pubblica amministrazione agisca solo in base alla legge e nei limiti da essa stabiliti. Le fonti secondarie devono rispettare le fonti primarie e non possono derogare alle disposizioni legislative.

Inoltre, con l’integrazione del diritto europeo nell’ordinamento italiano, si è affermato il principio della prevalenza del diritto UE sulle norme interne contrastanti, garantendo così l’uniformità normativa tra gli Stati membri.

 

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prescrizione responsabilità medica

Prescrizione della responsabilità medica Prescrizione della responsabilità medica: termini, normativa e giurisprudenza

Cos’è la prescrizione nella responsabilità medica

La responsabilità medica è un tema di grande rilevanza giuridica, in particolare per quanto riguarda la prescrizione del diritto al risarcimento in caso di errore medico. Stabilire i termini entro cui un paziente può agire contro un medico o una struttura sanitaria è fondamentale per tutelare sia i diritti del danneggiato sia la certezza giuridica degli operatori sanitari.

La prescrizione è un istituto giuridico che stabilisce un limite temporale entro cui il danneggiato può esercitare il proprio diritto al risarcimento. Trascorso tale termine, il diritto si estingue e non può più essere fatto valere in giudizio.

Nella responsabilità medica, la prescrizione varia a seconda che il rapporto tra paziente e medico (o struttura sanitaria) sia di natura contrattuale o extracontrattuale.

Termini di prescrizione responsabilità medica

La legge italiana prevede due diversi regimi di prescrizione:

  • prescrizione di 10 anni per la responsabilità contrattuale (art. 2946 c.c.);
  • prescrizione di 5 anni per la responsabilità extracontrattuale (art. 2947 c.c.)

1. Responsabilità contrattuale (prescrizione 10 anni)

Quando il paziente subisce un danno a causa di un errore medico nell’ambito di un rapporto contrattuale con la struttura sanitaria o con il medico, la prescrizione è di 10 anni.

Esempio: un paziente si sottopone a un intervento chirurgico e scopre, dopo alcuni anni, di aver subito un danno per negligenza del chirurgo. Avrà 10 anni di tempo dalla scoperta del danno per agire legalmente.

2. Responsabilità extracontrattuale (prescrizione 5 anni)

Se il danno deriva da un rapporto non contrattuale, ad esempio per un errore commesso da un medico non legato da un contratto con il paziente, la prescrizione è di 5 anni.

Esempio: un paziente viene soccorso in emergenza e subisce un danno per negligenza del medico di turno. In questo caso, il termine di prescrizione è di 5 anni dalla data in cui il paziente scopre il danno.

Quando inizia a decorrere la prescrizione

Uno degli aspetti più dibattuti riguarda il dies a quo, ovvero il momento in cui inizia a decorrere il termine di prescrizione. La giurisprudenza ha chiarito che il termine non parte dal giorno in cui si è verificato l’errore medico, ma dal momento in cui il paziente ha avuto piena consapevolezza del danno e della sua causa.

Il principio della “manifestazione del danno”

La Cassazione ha stabilito che il termine decorre dal momento in cui il paziente è in grado di collegare il danno subito all’errore medico. Questo significa che se il danno emerge a una certa distanza dall’intervento, la prescrizione inizierà a decorrere solo dal momento della scoperta.

Esempio: Un paziente subisce un errore chirurgico nel 2015, ma scopre il danno solo nel 2020 a seguito di accertamenti medici. In questo caso, il termine di 10 anni (o 5 anni, a seconda della responsabilità) partirà dal 2020, e non dal 2015.

Riforma Gelli-Bianco e impatto sulla prescrizione

Con la Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017), la responsabilità medica ha subito alcune modifiche:
Per la struttura sanitaria, la responsabilità resta contrattuale (prescrizione 10 anni).
Per il medico, invece, la responsabilità diventa extracontrattuale (prescrizione 5 anni).

Effetto pratico: il paziente potrà  quindiagire contro la struttura entro 10 anni, contro il medico solo entro 5 anni.

Prescrizione responsabilità medica: Cassazione 

Di seguito alcune rilevanti massime della Cassazione in materia di prescrizione della responsabilità medica:

Cassazione n. 29760/2022: il termine iniziale per la prescrizione dell’azione di risarcimento danni da malpractice medica non coincide con l’aggravamento della malattia, ma con il momento in cui la vittima ne percepisce l’esistenza. I giudici confermano che, in base agli articoli 2935 e 2947 del codice civile, il diritto al risarcimento per responsabilità medico-chirurgica inizia a decorrere da quando la malattia è percepita o avrebbe potuto esserlo usando la normale diligenza e considerando lo stato attuale delle conoscenze scientifiche, come conseguenza ingiusta della condotta altrui

Cassazione n. 3267/2024: l’azione legale intentata dai familiari per ottenere il risarcimento dei danni dovuti alla perdita del rapporto parentale a causa del decesso del loro congiunto, ritenuto responsabilità della struttura sanitaria, è considerata un’azione di responsabilità extracontrattuale, poiché non sussiste un contratto diretto tra i familiari e la struttura. Di conseguenza, una volta stabilita la natura illecita dell’evento, il termine di prescrizione applicabile per la richiesta di risarcimento non è quello ordinario di cinque anni, bensì il termine di prescrizione più esteso previsto per il reato di omicidio colposo.

 

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maltrattamenti in famiglia

Maltrattamenti in famiglia controllare economicamente la moglie Maltrattamenti in famiglia: integra il reato di cui all'art. 572 c.p. ostacolare l'autonomia economica della moglie

Maltrattamenti in famiglia

Impedire alla moglie di essere economicamente indipendente integra il reato di maltrattamenti in famiglia. A questa conclusione è giunta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1268/2025. Gli Ermellini hanno infatti rigettato il ricorso di un uomo, condannato per aver maltrattato la moglie per quasi vent’anni, anche in presenza dei figli minori. Conclusione a cui è giunta più di recente sempre la Suprema Corte con la sentenza n. 12444 del 31 marzo 2025.

Violenza fisica e psicologica

Il caso di cui si sono occupati gli Ermellini riguarda un uomo, che negli anni ha perpetrato una serie di condotte illecite continuative ai danni della moglie. L’imputato ha esercitato violenza fisica, ha proferito minacce di morte, ha umiliato sessualmente e infine denigrato pubblicamente la moglie. L’uomo inoltre ha manipolato i figli per controllarla, anche dopo la separazione, ma soprattutto ha attuato un controllo psicologico ed economico opprimente.

Sfruttamento competenze lavorative

Nel corso del processo è emerso come l’imputato negli anni abbi sfruttato le competenze lavorative della moglie. L’ha costretta infatti a lavorare come contabile nella sua azienda per anni senza darle alcuna retribuzione. Le ha impedito quindi attivamente di raggiungere lindipendenza economica. Si è rifiutato inoltre di darle denaro per le sue necessità personali e le ha negato la possibilità di frequentare corsi di aggiornamento e di formazione. L’uomo ha persino molestato e perseguitato la moglie sul suo nuovo posto di lavoro. Lo stesso si è sottratto a ogni responsabilità familiare, delegando interamente le incombenze alla donna. Le azioni commesse dall’uomo e di cui è responsabile insomma sono molteplici e pervasive. Lo stesso ha addirittura installato una telecamera di sorveglianza intorno alla casa per monitorare ogni movimento della moglie e le ha imposto una serie di divieti. Il tutto accompagnato da minacce e umiliazioni.

Maltrattamenti in famiglia impedire l’autonomia

La Corte di Cassazione, dopo un’attenta analisi delle prove, concorda con le decisioni dei giudici precedenti, avallando un’interpretazione moderna (e in linea con le normative internazionali ed europee) dell’articolo 572 del codice penale. Questa interpretazione mira a proteggere efficacemente le persone che non possono sottrarsi agli abusi a causa del loro legame con l’aggressore.

La Corte di Cassazione, valutando attentamente tutti gli aspetti della violenza, ha infatti respinto il ricorso dell’uomo. Ha riconosciuto che le sue azioni miravano a limitare l’autonomia economica della moglie. Le condotte includono l’ostacolare la ricerca di un lavoro, controllare i suoi spostamenti con una telecamera, impedirle di coltivare relazioni esterne, imporle un ruolo casalingo discriminatorio, sottrarsi alle responsabilità domestiche e familiari, e non retribuire il lavoro svolto nell’azienda familiare. La componente economico-patrimoniale assume un rilievo particolare. Le decisioni economiche sono state prese unilateralmente dall’imputato, spesso attraverso manipolazioni e pressioni psicologiche. Questi comportamenti hanno inciso sull’autonomia, la dignità umana e l’integrità fisica e morale della vittima, beni giuridici tutelati dall’articolo 572 del codice penale e dalla Costituzione. Il controllo economico esercitato dal marito rientra quindi nelle forme di violenza domestica riconosciute a livello internazionale.La condanna dell’uomo per il reato di maltrattamenti è la logica conseguenza del suo totale disprezzo per i diritti e le libertà della moglie. La violenza economica del reato da tempo è riconosciuta come una forma specifica di violenza, equiparabile a quella fisica e psicologica. Non si può trascurare che questa forma di abuso, sebbene non lasci segni visibili, sia capace di prostrare le vittime e annientarne la capacità di agire.

 

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Allegati

busta paga

Busta paga: cos’è e come si legge Busta paga: cos'è, caratteristiche principali, a cosa serve, come si compone e come si legge

Cos’è la busta paga?

La busta paga è un documento fondamentale per ogni lavoratore dipendente, poiché attesta il compenso percepito e fornisce dettagli sulle ritenute fiscali e previdenziali applicate. Tuttavia, leggere e comprendere una busta paga può risultare complesso a causa della presenza di numerose voci, sigle e codici.

La busta paga è un documento obbligatorio che il datore di lavoro fornisce ai dipendenti per certificare il pagamento dello stipendio. Contiene informazioni relative alla retribuzione lorda e netta, contributi previdenziali, trattenute fiscali e ore lavorate.

Caratteristiche principali  della busta paga

La busta paga presenta alcuni aspetti peculiari:

  • è un documento ufficiale con valore legale;
  • deve essere chiaro e dettagliato nelle sue voci;
  • deve essere consegnato ogni mese al lavoratore;
  • contiene dati anagrafici del lavoratore e del datore di lavoro.

A cosa serve la busta paga?

La busta assolve a una serie di importanti funzioni:

  • dimostrare il reddito del lavoro al fine di poter richiedere per mutui, prestiti e pagare affitti;
  • controllare il corretto pagamento dello stipendio da parte del datore;
  • verificare la regolarità dei contributi previdenziali e delle tasse versate;
  • calcolare il TFR (trattamento di fine rapporto).

Come leggere una busta paga: guida pratica

La busta paga è suddivisa in diverse sezioni, ognuna delle quali riporta informazioni specifiche. Essa si compone di una intestazione, di un corpo e di una parte finale. Vediamo nel dettaglio quali sono approssimativamente le principali voci e il loro significato, tenendo conto che il modello è variabile.

1. Intestazione e dati anagrafici

Nella parte superiore del documento si trovano le seguenti informazioni:

  • dati del datore di lavoro: nome dell’azienda, partita IVA e sede legale;
  • dati del lavoratore: nome, cognome, codice fiscale, qualifica e livello contrattuale;
  • periodo di riferimento: mese e anno della busta paga;
  • posizione Inail di lavoratore e datore;
  • coefficienti di retribuzione.

2. Retribuzione lorda

In questa sezione vengono indicati gli elementi che compongono lo stipendio lordo:

  • retribuzione base: stabilita dal CCNL di riferimento;
  • scatti di anzianità: aumenti retributivi legati agli anni di servizio.
  • straordinari: compensi per ore di lavoro extra rispetto all’orario normale.

Esempio di calcolo della retribuzione lorda

  • Stipendio base: 1.500€
  • Indennità di mansione: 100€
  • Straordinari: 50€
  • Totale lordo: 1.650€

3. Contributi previdenziali e trattenute fiscali

Dalla retribuzione lorda vengono sottratte alcune voci:

Contributi INPS:

  • a carico del lavoratore (attorno al 9%);
  • a carico del datore di lavoro (varia in base al contratto).

Trattenute IRPEF:

  • il calcolo viene effettuato  e in base alle aliquote fiscali in vigore.
  • possono variare in base alle detrazioni per carichi familiari.

Esempio di trattenute fiscali:

  • Reddito annuo: 25.000€
  • IRPEF al 27% = 6.750€ annui
  • Suddiviso in 12 mesi: 562,50€ trattenuti al mese.

Addizionali regionali e comunali: queste percentuali variano da regione e regione e da comune a comune  in base alla regione e al comune di residenza.

4. Retribuzione netta

Dopo aver sottratto contributi e tasse, si ottiene lo stipendio netto, ovvero l’importo effettivamente percepito dal lavoratore.

Esempio di calcolo dello stipendio netto

  • Retribuzione lorda: 1.650€
  • Contributi INPS: -150€
  • IRPEF: -200€
  • Totale netto: 1.300€ (circa)

5. Trattenute aggiuntive e voci accessorie

Oltre ai contributi previdenziali e fiscali, in busta paga possono comparire altre trattenute, come:

  • la quota sindacale (se il lavoratore è iscritto a un sindacato);
  • la cessione del quinto (rata di un prestito trattenuta dallo stipendio).
  • i contributi destinati al fondo pensione complementare.

6. TFR (Trattamento di Fine Rapporto)

La busta paga riporta l’accantonamento del TFR, ovvero la somma che il datore di lavoro mette da parte ogni mese e che verrà corrisposta al dipendente alla cessazione del rapporto di lavoro.

Come si calcola il TFR?
Il TFR annuo è pari a 1/13,5 della retribuzione lorda annua.

Esempio:

  • Retribuzione annua: 20.000€
  • TFR accantonato: 1.481€ annui

7. Dettaglio delle presenze e ferie

In questa sezione troviamo:
i giorni lavorati e le ore ordinarie;
le ferie e i permessi maturati e residui;
le malattie, i congedi e le assenze giustificate.

Esempio di busta paga

Un esempio di struttura di una busta paga potrebbe essere il seguente:

Voce

Importo (€)

Retribuzione base

1.500

Indennità mansione

100

Straordinari

50

Totale lordo

1.650

Contributi INPS

-150

IRPEF

-200

Addizionali regionali

-30

Stipendio netto

1.270

TFR accantonato

123

Considerazioni conclusive

La busta paga è un documento essenziale per ogni lavoratore dipendente, ma comprenderne le varie voci è fondamentale per verificare l’esattezza dello stipendio percepito e tenere sotto controllo tasse e contributi versati. Se si hanno dubbi sulla propria busta paga, è sempre consigliabile consultare un consulente del lavoro o un sindacato per ottenere chiarimenti.

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