codici ateco

Codici Ateco: classificazione 2025 Codici Ateco: aggiornata la classificazione delle attività economiche creata per motivi amministrativi ed economici

Codici Ateco aggiornati

I codici Ateco sono strumenti statistici fondamentali per classificare le attività economiche in Italia. Creati dall’ISTAT, servono a raccogliere dati economici e amministrativi. Ogni codice Ateco è una combinazione alfanumerica che identifica con precisione l’attività svolta da un’impresa. Le lettere rappresentano i macro settori, mentre i numeri indicano categorie e sotto-categorie specifiche.

Cosa cambia dal 2025

Dal 1° gennaio 2025 è in vigore la nuova classificazione Ateco 2025, che va a sostituire Ateco 2007 – Aggiornamento 2022.  Questa revisione è nata da un lavoro coordinato tra ISTAT, enti pubblici e associazioni imprenditoriali. L’obiettivo è ottimizzare la raccolta e gestione dei dati statistici e amministrativi.

La classificazione verrà implementata operativamente dal 1° aprile 2025. Da questa data, le Camere di Commercio aggiorneranno automaticamente i codici Ateco delle imprese iscritte, notificando l’avvenuta modifica.

Perché sono stati aggiornati i Codici Ateco

Il processo di revisione è iniziato nel 2023, con la raccolta di oltre 700 proposte di modifica dagli utenti. Diversi esperti e un comitato tecnico hanno analizzato i suggerimenti per adattare la classificazione alle nuove esigenze economiche.

La revisione ha coinvolto l’Istat, il Ministero delle Imprese, Unioncamere, l’Agenzia delle Entrate e altri enti. Il risultato è una classificazione più chiara e aggiornata.

Come le imprese devono aggiornare i codici Ateco

Le imprese che ne avessero bisogno potranno correggere o integrare i codici Ateco seguendo  procedure diversificate in base al tipo di errore riscontrato e relativo al codice, che può interessare la visura o i dati in possesso dell’Agenzia delle Entrate.

La nuova classificazione Ateco 2025 rappresenta un’evoluzione importante per migliorare la gestione delle attività economiche in Italia, rendendola più precisa e funzionale. Le imprese e i professionisti però devono adeguarsi tempestivamente per garantire la regolarità delle loro posizioni amministrative e fiscali.

Codici Ateco Agenzia delle Entrate

Anche l’Agenzia delle Entrate ha adeguato le procedure di acquisizione dei modelli anagrafici e dei modelli dichiarativi alla nuova classificazione Istat.

Dal 1° aprile 2025, si legge nella risoluzione dell’8 aprile, tutti gli operatori interessati dall’aggiornamento dei codici attività sono tenuti ad utilizzare i nuovi codici negli atti e nelle dichiarazioni da presentare all’Agenzia delle entrate.

 

 

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valida la notifica

Valida la notifica effettuata alla moglie anzichè al difensore Per la Cassazione è valida la notifica effettuata alla moglie convivente anzichè al domicilio eletto perchè garantisce la conoscenza dell'atto

Notifica valida alla moglie convivente

È ritenuta valida la notifica effettuata alla moglie convivente della persona offesa, anche se non eseguita presso il domicilio eletto del difensore, giacché idonea a garantire la conoscenza dell’atto. Lo ha affermato la sesta sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 12445/2025.

Il caso

Nella vicenda, il Tribunale di Nola, all’udienza dibattimentale del processo a carico di un imputato per i reati di cui agli artt. 570 e 570-bis cod. pen., dichiarava la nullità, ex art. 178, lett. c) c.p.p., del decreto di citazione emesso dal giudice dell’udienza predibattimentale. In particolare, dal verbale dell’udienza risultava che la difesa della persona offesa aveva eccepito l’omessa notifica del decreto che disponeva il giudizio (la persona l’aveva ricevuta a mani proprie, ma in sede di querela aveva nominato il difensore di fiducia), chiedendo la remissione in termini per la costituzione di parte civile.
lI Tribunale, nel dichiarare la nullità del decreto, riteneva di qualificarsi quale giudice predibattimentale e disponeva la rinnovazione delle notificazioni rinviando l’udienza.

Il ricorso

Avverso la suddetta ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, denunciando l’abnormità del provvedimento e lamentando che erroneamente il tribunale aveva ritenuto la notifica alla persona offesa non
valida, nonostante la consegna a mani proprie e contrariamente alla giurisprudenza di legittimità sul punto. Pertanto, correttamente il giudice dell’udienza predibattimentale aveva ritenuto regolare la costituzione delle parti fissando la prosecuzione del giudizio alla fase dibattimentale. Mentre, il Tribunale dichiarando nullo il provvedimento di prosecuzione del giudizio e autodesignandosi giudice dell’udienza predibattimentale, aveva determinato una indebita regressione del procedimento.

Per la S.C., il ricorso è fondato.

Notifica alla moglie convivente

Va premesso, affermano i giudici, che non dava luogo ad alcuna nullità la notificazione “a mani” della persona offesa, anziché al domicilio legale. Si è infatti affermato “che è nullo, per violazione del diritto al contraddittorio, il decreto di archiviazione nel caso in cui l’avviso della richiesta avanzata dal pm sia stato notificato alla persona offesa, che ha chiesto di essere informata, presso la sua residenza per compiuta giacenza, nonostante abbia nominato un difensore di fiducia, perché, in tal caso, il domicilio si intende eletto presso il difensore stesso a meno che la notifica sia eseguita a mani di persona convivente (cfr. Cass. n. 15521/2019)”. Inoltre, “la notifica effettuata a mani della moglie convivente della persona offesa, anziché presso il difensore, è valida in quanto idonea a garantire la conoscenza dell’atto”. L’art. 33 disp. att. c.p.p. infatti “ha lo scopo di soddisfare esigenze di speditezza e di economia processuale e non di creare un assetto di garanzie a tutela della persona offesa di più ampio spessore rispetto a quello previsto per l’imputato, in conformità al principio generale per il quale alla certezza legale è equiparata la certezza storica (cfr. Cass. n. 10718/2016)”.

La decisione

Nella specie, osservano dalla S.C., il Tribunale poteva rilevare l’eventuale nullità della notificazione del decreto di citazione alla persona offesa, trattandosi di nullità a regime intermedio ex art. 180 c.p.p. e disporre la restituzione degli atti al giudice dell’udienza predibattimentale”.
L’art. 554-bis c.p.p. prevede infatti che spetti al Giudice dell’udienza predibattimentale disporre la rinnovazione delle notificazioni dichiarate nulle.
L’abnormità, ragionano da piazza Cavour, “piuttosto risiede nel fatto che il giudice del dibattimento si sia arbitrariamente investito della trattazione della fase predibattimentale (che in base all’art. 554-ter c.p.p. va trattata da un giudice diverso rispetto a quello dell’udienza dibattimentale)”.
Ne consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio con la trasmissione degli atti al Tribunale di Nola per il giudizio in sede di udienza predibattimentale.

Allegati

vincoli esproprio

Vincoli esproprio: illegittima la durata decennale Vincoli esproprio: la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la durata decennale della legge della provincia autonoma di Bolzano

Vincoli esproprio: intervento della Consulta

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 37/2025, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 61, comma 2, della legge provinciale di Bolzano 10 luglio 2018, n. 9 (Territorio e paesaggio), nella parte in cui prevede una durata di 10 anni per i vincoli preordinati all’esproprio, in contrasto con il termine quinquennale stabilito dalla normativa statale.

Illegittimità della norma provinciale

Secondo la Corte, la previsione di un periodo di franchigia decennale – ovvero il lasso di tempo in cui il vincolo espropriativo è efficace senza obbligo di indennizzo – rappresenta una compressione eccessiva e irragionevole del diritto di proprietà, in violazione degli articoli 3 e 42 della Costituzione.

In particolare, la disciplina statale di riferimento, contenuta nell’articolo 9, comma 2, del d.P.R. n. 327/2001 (Testo unico espropri), stabilisce in cinque anni la durata massima dei vincoli preordinati all’esproprio, in continuità con la legge n. 1187/1968.

Deroga solo per esigenze specifiche

Le regioni a statuto speciale e le province autonome, pur godendo di potestà legislativa esclusiva in materia urbanistica, possono prevedere deroghe alla normativa nazionale solo se giustificate da esigenze concrete e peculiari del territorio. Tuttavia, la norma impugnata si limita a introdurre un termine decennale in via generale, senza motivazioni specifiche legate al contesto locale.

La Corte ha ritenuto che questa scelta normativa sia irragionevole e sproporzionata, poiché crea una disparità evidente rispetto alla disciplina statale senza fornire un’adeguata giustificazione.

La durata quinquennale come punto di equilibrio

La sentenza ha inoltre evidenziato che il limite quinquennale previsto dalla normativa nazionale rappresenta un punto di equilibrio tra l’interesse pubblico alla pianificazione urbanistica e la tutela del diritto di proprietà dei cittadini. Pertanto, la Corte ha ritenuto che la normativa statale costituisca un parametro di riferimento costituzionalmente adeguato e applicabile anche nella Provincia autonoma di Bolzano, in sostituzione del termine decennale dichiarato illegittimo.

assegno sociale

Assegno sociale sospeso per chi non comunica i redditi L'avvertimento dell'INPS ai percettori dell'assegno sociale e le informazioni su come comunicare i redditi 2020

Assegno sociale: obbligo comunicazione redditi

Con il messaggio 4 aprile 2025, n. 1173, l’INPS fornisce le indicazioni e le modalità ai percettori dell’assegno sociale per la comunicazione dei redditi.

Comunicazione redditi obbligatoria

L’assegno sociale, ricorda l’istituto, “è una prestazione collegata al reddito e viene corrisposto nel caso in cui il soggetto beneficiario dimostri di non avere un reddito superiore al limite annualmente stabilito dalla legge”. In particolare, per la concessione dell’assegno la legge non solo stabilisce un limite reddituale, “ma impone anche ai soggetti beneficiari di comunicare all’INPS la propria situazione reddituale qualora non siano tenuti a presentare la dichiarazione dei redditi all’Amministrazione finanziaria o non la comunichino integralmente (cfr. art. 35, comma 10-bis, dl n. 207/2008, convertito, con modificazioni, dalla l- n. 14/2009).

Sospensione e revoca assegno

A seguito delle verifiche effettuate, l’INPS ha individuato i soggetti titolari dell’assegno sociale che non hanno adempiuto a tale obbligo per l’anno 2020. Nei confronti di tali soggetti è stata avviata una campagna di comunicazione tramite raccomandata A/R, con cui si informa l’interessato che, in caso di ulteriore inadempimento all’obbligo di comunicazione reddituale, verrà avviato un procedimento di sospensione e successiva revoca della prestazione.

Come comunicare i redditi all’INPS

La comunicazione all’INPS, pertanto, può essere effettuata attraverso:

  • la procedura telematica disponibile sul sito istituzionale, autenticandosi con la propria identità digitale (SPID almeno di livello 2, CNS o CIE 3.0);
  • i servizi offerti dagli istituti di patronato o da altri soggetti abilitati all’intermediazione con l’INPS.

 

Leggi anche la guida Assegno sociale

opposizione di terzo

Opposizione di terzo all’esecuzione Opposizione di terzo all’esecuzione art. 619 c.p.c.: cos’è, chi la può proporre, come funziona la procedura e sentenze di rilievo

Cos’è l’opposizione di terzo all’esecuzione

L’opposizione di terzo all’esecuzione è un rimedio processuale a tutela di soggetti estranei a un’esecuzione forzata, che rivendicano un diritto di proprietà o altro diritto reale su un bene pignorato. Secondo l’art. 619 c.p.c., se un terzo sostiene di avere un diritto incompatibile con l’esecuzione in corso, può proporre opposizione per ottenere la liberazione del bene.

Chi può proporre l’opposizione di terzo

Sono legittimati a proporre opposizione di terzo:

  • il proprietario del bene pignorato, se dimostra che il bene non appartiene al debitore esecutato;
  • chi vanta sul bene dei diritti reali di godimento (usufrutto, uso, abitazione, servitù);
  • il creditore pignoratizio o il titolare di altri diritti di garanzia;
  • chi ha stipulato un contratto opponibile ai terzi (es. locazione registrata prima del pignoramento).

L’onere della prova del diritto vantato sul bene spetta all’opponente, che deve dimostrare la titolarità mediante documentazione idonea (es. atti notarili, contratti, registrazioni nei pubblici registri).

Procedura di opposizione di terzo all’esecuzione

L’opposizione si propone con ricorso al giudice dell’esecuzione. Tale atto deve contenere seguenti elementi:

  • l’individuazione del bene pignorato;
  • la natura del diritto vantato;
  • le prove documentali a supporto della domanda. L’articolo 621 ccc dipone infatti che il terzo opponente non possa dimostrare il suo diritto per mezzo di testimoni, a meno che l’esistenza del diritto non sia verosimile in relazione alla professione o al commercio svolti da terzo o dal debitore.

Il giudice, esaminata l’istanza, può decidere di:

  • accogliere l’opposizione e disporre l’esclusione del bene dal pignoramento;
  • rigettare l’opposizione, se il diritto vantato non è sufficientemente provato;
  • sospendere l’esecuzione in via cautelare, in attesa della decisione.

Se l’opposizione è respinta, l’opponente può impugnare la decisione dinanzi alla Corte d’Appello.

Come opporsi?

Per proporre l’opposizione di terzo all’esecuzione, l’opponente deve compiere i seguenti passaggi:

  1. raccogliere la documentazione che attesti la titolarità del diritto;
  2. depositare il ricorso presso il Tribunale competente (dove si svolge l’esecuzione);
  3. notificare il ricorso alle parti coinvolte (creditore procedente e debitore);
  4. partecipare all’udienza, ove il giudice valuterà la fondatezza della richiesta.

Il giudice, su istanza del terzo, può anche, in presenza di gravi motivi, sospendere il processo con o senza cauzione.

Giurisprudenza rilevante

Alcune sentenze significative della Corte di Cassazione in tema di opposizione di terzo all’esecuzione:

Cassazione n. 40751/2021: l’azione prevista dall’articolo 619 del codice di procedura civile, essendo qualificata in questo modo, implica che essa rimane soggetta al principio generale secondo cui l’onere della prova ricade su chi, attraverso una propria affermazione, intende far derivare conseguenze giuridiche a suo favore. Pertanto, spetterà all’opponente dimostrare il fatto giuridico su cui basa il suo presunto diritto sui beni mobili soggetti a esecuzione, come stabilito anche dalla sentenza n. 1506/1972 della Sezione 3 della Corte di Cassazione.

Cassazione n. 17913/2022: nonostante la sua struttura bifasica, il giudizio di opposizione di terzo all’esecuzione, disciplinato dall’articolo 619 del codice di procedura civile, presenta una natura unitaria. Di conseguenza, l’atto di citazione per la fase di merito, che eventualmente segue la fase sommaria dinanzi al giudice dell’esecuzione, è validamente notificato presso il difensore nominato con la procura alle liti rilasciata già nella prima fase, a meno che la parte destinataria non abbia espresso una volontà diversa e esplicita di limitare la validità del mandato difensivo a tale fase.

Cassazione civile n. 4005/2022: se un terzo vanta un diritto reale su un bene immobile soggetto a esecuzione forzata, la sua possibilità di azione varia a seconda della sua partecipazione al procedimento esecutivo: se ha preso parte al procedimento, può presentare solo opposizione agli atti esecutivi; se non ha partecipato, può presentare opposizione di terzo ai sensi dell’articolo 619 del codice di procedura civile durante il giudizio di esecuzione e, dopo la vendita e l’aggiudicazione, può rivendicare il bene nei confronti dell’aggiudicatario.

 

Leggi anche la guida generale: Il processo esecutivo 

giurista risponde

Danno non patrimoniale: liquidazione del danno morale e del danno biologico Nella liquidazione del danno non patrimoniale, il danno morale costituisce una duplicazione del danno biologico?

Quesito con risposta a cura di Sara Cattazzo e Rosanna Mastroserio

 

In tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti, il giudice di merito, dopo aver identificato la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, deve rigorosamente valutare tanto l’aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto, modificativo in pejus, con la vita quotidiana (il danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazionale), atteso che oggetto dell’accertamento e della quantificazione del danno risarcibile è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realtà naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi tali aspetti essenziali, costituenti danni diversi e, perciò, autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti (Cass., sez. III, 14 novembre 2024, n. 30461).

Il giudizio di merito trae origine da un’azione di risarcimento danni intentata iure proprio e altresì come rappresentante legale della persona offesa dalla coniuge di un uomo rimasto invalido al 90% a seguito di una caduta su scala mobile interna ad una clinica ospedaliera, in cui si era recato a seguito di un malore e da cui era stato dimesso dopo esservisi recato per due giorni consecutivi. Il giudice di prime cure ha riconosciuto la responsabilità concorrente dei medici che hanno dimesso il paziente e della clinica, decisione altresì confermata dalla Corte di Appello in sede di impugnazione, la quale ha tuttavia ridotto l’ammontare del danno in ragione della sopravvenuta morte del danneggiato.

Con ricorso per Cassazione, la coniuge ha impugnato la decisione di merito, deducendo anzitutto l’illogicità dei criteri utilizzati per la liquidazione del danno biologico in caso di premorienza, che hanno comportato una riduzione del danno risarcibile a causa della morte del danneggiato in pendenza di giudizio. Secondo le tabelle milanesi utilizzate dalla Corte di Appello, infatti, l’invalidità permanente inciderebbe in misura maggiore all’inizio e in maniera progressivamente decrescente con il trascorrere del tempo, sino alla morte del soggetto leso.

La Suprema corte ha accolto le censure della ricorrente, poiché secondo costante e recente giurisprudenza in caso di premorienza per cause avulse dall’illecito, l’ammontare del risarcimento spettante iure successionis va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato, non già a quella statisticamente probabile, cioè assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e di percentuale di invalidità permanente, alla persona offesa che sia rimasta in vita fino al termine del giudizio e diminuendo quella somma in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti (Cass., sez. III, 29 maggio 2024, n. 15112).

Ulteriore motivo di doglianza è stata altresì l’omessa liquidazione del danno da invalidità temporanea, che a parere della ricorrente è diverso ed ultroneo dal danno biologico da premorienza. Anche per la Cassazione si tratta, infatti, di due voci di danno diverse: il danno da premorienza è il danno biologico permanente che, data la morte, cessa e che – pertanto – richiede una liquidazione parametrata sull’effettivo vissuto, cioè per la durata dell’invalidità permanente, senza che però ciò inglobi ex se il danno cagionato dall’invalidità temporanea, che va liquidato a parte.

Infine, la ricorrente ha lamentato l’omessa liquidazione del danno morale soggettivo, sull’assunto del giudice di merito per cui esso sarebbe una duplicazione del danno biologico. La Corte di cassazione ha – di contro – ribadito il principio consolidato per cui il danno morale costituisce un’autonoma voce del danno non patrimoniale. Esso va allegato e provato, ma è disgiunto dal danno biologico, al punto che esso può prodursi anche senza che il danneggiato abbia subito una lesione del diritto alla salute, come nel caso del danno all’onore o alla reputazione.

La Cassazione ha confermato l’orientamento secondo cui il danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. derivante dalla lesione di interessi costituzionalmente protetti comprende, oltre al danno biologico, il danno morale, cioè la sofferenza interiore cagionata al danneggiato, nonché il danno esistenziale o dinamico-relazionale, ove la lesione abbia un impatto negativo sulla vita quotidiana. Trattasi, dunque, di tre voci di danno non patrimoniale che sono autonomamente risarcibili, salvo l’onere della prova in capo al richiedente.

Per tali ragioni, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata, con rinvio al Giudice di merito per nuovo giudizio.

 

(*Contributo in tema di “Danno non patrimoniale: liquidazione del danno morale e del danno biologico”, a cura di Sara Cattazzo e Rosanna Mastroserio, estratto da Obiettivo Magistrato n. 82 / Febbraio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

Decreto Accise: cosa prevede In vigore dal 5 aprile 2025 il decreto legislativo che revisiona le disposizioni sulle accise. Tante le novità su gas, elettricità e alcolici

Decreto Accise: le novità

Decreto accise: il Consiglio dei Ministri, il 13 marzo 2025 ha approvato in via definitiva il decreto legislativo contenente la revisione delle disposizioni in materia di accise.

Il testo del decreto n. 43/2025 è approdato in Gazzetta Ufficiale il 4 aprile per entrare in vigore il 5 aprile 2025.

Riforma TUA

Il testo, a partire da gennaio 2026, andrà a riformare il Testo Unico delle Accise (TUA) introducendo diverse novità. Uno dei principali obiettivi del decreto consiste nel riallineare le aliquote delle accise del gasolio e della benzina entro i prossimi 5 anni. Al momento il gasolio è gravato da accise inferiori rispetto alla benzina (61,7 centesimi contro 72,8 centesimi) anche se i motori diesel producono maggiori sostanze dannose per la salute. Per questo è volontà del Governo, attraverso l’intervento sulle accise, disincentivare il consumo del gasolio. La riforma è finalizzata anche alla riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi, nel rispetto degli obiettivi del PNRR.

Sistema qualificazione soggetti obbligati accreditati

Il decreto introduce un sistema di qualificazione degli operatori per instaurare un rapporto di fiducia tra soggetto obbligato e amministrazione finanziaria. Tale sistema denominato SOAC permette al soggetto qualificato di accedere a importanti benefici. Tra cui l’esonero dall’obbligo di prestare cauzione e la riduzione di specifici oneri amministrativi.
La qualifica di SOAC ha validità per 4 anni, è rinnovabile e, avendo una connotazione reputazionale, rende tali soggetti distinguibili nella platea degli operatori del settore. Il sistema sostituirà ogni altra procedura per ottenere l’esonero cauzionale. Previsti 3 livelli di qualificazione – base, medio e avanzato – a cui corrispondono gradi diversi di fruizione dei predetti benefici.

Riforma accisa sul gas naturale

Al fine di razionalizzare il sistema di tassazione e ridurre il contenzioso, l’attuale distinzione tra usi “civili” e usi “industriali” del gas naturale viene sostituita da quella tra “usi domestici” e “usi non domestici”. Questa modifica definisce con precisione l’applicazione dell’aliquota di accisa per usi domestici. Ovvero l’impiego del gas naturale per combustione in unità immobiliari ad uso abitativo. La nuova classificazione non cambia gli utilizzatori rispetto alla precedente distinzione ma facilita l’individuazione degli ambiti applicativi e delle aliquote, riducendo le dispute tra l’amministrazione finanziaria e i contribuenti.

Semplificazioni in materia di alcolici

Confermata la semplificazione per gli esercizi di vendita al minuto di alcolici (per esempio, i bar) per i quali la denuncia all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (ADM) sarà assorbita dalla (già prevista) comunicazione di avvio delle attività di vendita di prodotti alcolici assoggettati al SUAP.

Riforma accisa energia elettrica

Il sistema di acconto “storico”, basato sui consumi dell’anno precedente viene sostituito da un meccanismo di pagamento mensile basato sui quantitativi effettivi di  energia elettrica ceduti. Le dichiarazioni necessarie per la liquidazione dell’imposta diventano semestrali anziché annuali, rendendo gli adempimenti più proporzionali ai consumi reali e migliorando la prevenzione delle frodi.

Oli lubrificanti e affini

Le disposizioni del decreto sono finalizzate a riorganizzare, aggiornare e rendere più chiara la disciplina di settore e l’applicazione delle relative imposte.

Disposizioni in materia di prodotti da fumo

Il testo prevede, infine, l’estensione, da 2 a 4 anni, della durata delle autorizzazioni per la vendita dei prodotti liquidi da inalazione. Semplificato il rapporto tra i rivenditori di tabacchi autorizzati e l’Amministrazione, con riduzione significativa dei costi amministrativi per la gestione delle autorizzazioni. Il potere di revoca dell’autorizzazione rimane invariato qualora i requisiti necessari per ottenerla vengano meno.

praticantato forense

Praticantato forense valido anche all’estero La Corte UE rafforza la libertà di circolazione: praticantato forense valido presso un avvocato stabilito in un altro Stato membro

Praticantato forense all’estero

È conforme al diritto dell’Unione europea il praticantato forense svolto presso un avvocato stabilito in un altro Stato membro. Lo ha stabilito la Corte di giustizia UE con la sentenza C-807/23 del 3 aprile 2025. La CGUE ha affermato che gli Stati membri non possono ostacolare la libera circolazione dei lavoratori mediante restrizioni ingiustificate all’accesso alla professione forense.

Il caso: praticantato svolto in Germania

La pronuncia è intervenuta su rinvio pregiudiziale della Corte suprema austriaca, nel contesto di una controversia che vedeva coinvolta una cittadina austriaca. La donna, assunta da uno studio legale con sede in Germania, aveva svolto la pratica forense sotto la guida di un avvocato austriaco, associato dello studio. Tuttavia, l’Ordine degli avvocati aveva respinto la domanda di iscrizione nel registro dei praticanti. Il COA riteneva che il tirocinio dovesse essere effettuato presso un professionista stabilito in Austria.

Il principio stabilito dalla Corte UE

I giudici di Lussemburgo, hanno affermato che “l’articolo 45 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa di uno Stato membro che impone lo svolgimento di una parte determinata di un praticantato presso un avvocato stabilito in detto Stato, escludendo che essa possa essere svolta presso un avvocato stabilito in un altro Stato membro”. Ciò sebbene “tale avvocato sia iscritto ad un ordine degli avvocati del primo Stato membro e le attività effettuate nell’ambito di tale praticantato riguardino il diritto di tale primo Stato membro”. E “non consentendo quindi ai giuristi interessati di svolgere tale parte di detto praticantato in un altro Stato membro”. A condizione, tuttavia, “che essi provino alle autorità nazionali competenti che, così come sarà svolta, è idonea ad assicurare loro una formazione e un’esperienza equivalenti a quelle che fornisce un praticantato presso un avvocato stabilito nel primo Stato membro”.

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isee 2025

ISEE 2025: cosa prevede il DPCM ISEE 2025: le novità del Dpcm che esclude dall’Indicatore della situazione economica equivalente i titoli di Stato fino a 50.000 euro

ISEE 2025: le novità del Dpcm

Il DPCM n. 13 del 14 gennaio 2025 sul calcolo dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) ha concluso il suo iter ed è stato pubblicato sulla GU n. 40 del 18 febbraio 2025. Il provvedimento, in vigore dal 5 marzo 2025, cambia le regole per determinare l’ISEE e mira a garantire maggiore equità e certezza per le famiglie italiane.

DSU, locazioni, università e assegno di maternità

Il provvedimento va a modificare diversi articoli del DPCM n. 159/2013 contenente il “Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE).”

All’articolo 1, che contiene le definizioni tecniche utilizzate nel testo, viene inserita anche la DSU precompilata, ossia la dichiarazione sostitutiva unica resa disponibile al dichiarante ai sensi dell’articolo 10 del dlgs n. 147/2017 e finalizzata al rilascio dell’ISEE.

Cambiano poi i riferimenti alle norme del codice di procedura civile quando l’ISEE viene richiesto da coniugi separati consensualmente (art. 473 bis.51) o quando si è in presenza di provvedimenti temporanei e urgenti (art. 473-bis22) che giustificano residenze diverse e che impattano quindi sulla definizione di nucleo familiare ai fini del rilascio dell’ISEE.

Il DPCM prevede anche che dal reddito del nucleo familiare si possa sottrarre, fino a un massimo di 7.000 euro (aumentato di 500 euro per ogni figlio convivente oltre il secondo), il canone annuo di locazione, se l’abitazione è in affitto. Questa detrazione non è cumulabile con quella prevista per chi vive in una casa di proprietà.

Per quanto riguarda l’ISEE richiesto per il diritto allo studio il dpcm  prevede ora  che lo studente con genitori non conviventi faccia parte del loro nucleo familiare, a meno che: a) risieda da almeno due anni in un’abitazione non di proprietà della famiglia; b) abbia un reddito adeguato secondo i criteri stabiliti per legge.

Completamente riscritto l’articolo 9 contenente la disciplina dell’ISEE corrente.

La DSU, ai sensi dell’ultimo periodo dell’articolo 10, ha validità fino al successivo 31 dicembre. La presentazione della stessa da parte del cittadino, in base al nuovo comma 6 bis dell’art. 10 avviene prioritariamente in modalità precompilata, ferma restando la possibilità di presentare la DSU in forma ordinaria.

Il nuovo comma 3 dell’articolo 13 prevede inoltre che l’assegno di maternità (art. 74 del dlgs. n. 151/2000) dal 1 gennaio 2024 possa essere concesso alle donne con ISEE inferiore a Euro 20.221,13.

ISEE 2025: famiglie con disabili

Il decreto introduce anche misure specifiche per nuclei familiari con persone disabili o non autosufficienti.

Dal calcolo dell’ISEE vengono esclusi “i trattamenti percepiti in ragione della condizione di disabilità, laddove non rientranti nel reddito complessivo ai fini dell’IRPEF, ai sensi dell’articolo 2-sexies, comma 1, lettera a) del decreto-legge 29 marzo 2016, n. 42 convertito con modificazioni dalla legge 26 maggio 2016, n. 89.”

In pratica i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, compresi i pagamenti tramite carte di debito percepiti in ragione della disabilità, saranno esclusi dal reddito dei componenti interessati.

Inoltre, il parametro della scala di equivalenza sarà maggiorato di 0,5 per ogni membro con disabilità media, grave o non autosufficienza.

Queste modifiche mirano a rendere il sistema più equo e inclusivo, garantendo un maggior supporto alle famiglie più vulnerabili.

ISEE 2025: titoli di Stato esclusi fino a 50.000 euro

Una delle novità più rilevanti del DPCM però riguarda l’esclusione dal calcolo dellISEE, fino a un massimo di 50.000 euro, del valore di titoli di Stato e prodotti finanziari garantiti. Tra questi rientrano Buoni del Tesoro Poliennali (BTp), Certificati di Credito del Tesoro (CcT), buoni fruttiferi postali e libretti di risparmio postale. Questa misura, già prevista dalla Legge di Bilancio 2024, diventa operativa grazie al nuovo decreto.

L’obiettivo è quello di favorire il risparmio delle famiglie e incentivare l’investimento in strumenti sicuri e garantiti dallo Stato. Secondo le stime tecniche, l’esclusione di questi valori comporterà una riduzione dell’ISEE per molti nuclei familiari, consentendo l’accesso a maggiori agevolazioni sociali.

ISEE 2025: impatto economico delle novità

L’esclusione dei titoli di Stato dall’ISEE comporta un aumento della spesa pubblica per le prestazioni agevolate. Si stima un costo aggiuntivo di circa 44 milioni di euro annui, già coperti dalla Legge di Bilancio 2024. L’effetto maggiore potrebbe riguardare l’Assegno unico, grazie alla sua universalità e alla differenziazione degli importi basati sull’ISEE. Minore sarà invece l’impatto su altri incentivi, come i bonus sociali gas e luce.

Disciplina transitoria e nuove attestazioni

Le DSU in corso di validità sono considerate valide per accedere alle prestazioni agevolate fino alla loro scadenza naturale.

Resta ferma comunque la possibilità di chiedere una nuova attestazione ISEE nel rispetto dei nuovi criteri di calcolo.

Nuovo modello DSU

Dal 3 aprile 2025 il nuovo modello DSU (completo di istruzioni per la compilazione) approvato con il decreto n. 75 del 2 aprile 2025 di concerto dal Ministero del Lavoro e dal Ministero dell’Economia sostituirà i precedenti.

L’INPS ha emanato apposita circolare 3 aprile 2025, n. 73 riepilogando anche le modifiche apportate alla modulistica e alle istruzioni per compilare la DSU.

 

 

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fermo tecnico

Il fermo tecnico Fermo tecnico: significato, normativa di riferimento, danno risarcibile e prova dello stesso, tipologie e giurisprudenza rilevante

Cos’è il fermo tecnico?

Il fermo tecnico è il periodo di tempo durante il quale un veicolo, un macchinario o un’attrezzatura non può essere utilizzato. Il mancato utilizzo può dipendere da un guasto o da un incidente che ne ha compromesso il normale funzionamento. Esso si verifica quindi quando un bene è immobilizzato per cause impreviste e necessita di riparazioni o interventi per tornare operativo.

Nel contesto di un incidente stradale, il fermo tecnico si riferisce al periodo in cui un veicolo non è utilizzabile perché danneggiato. Il proprietario quindi deve essere risarcito per i danni economici derivanti dalla perdita d’uso. Non si tratta di un danno fisico diretto al bene, ma di una perdita economica che può avere un impatto significativo sul reddito o sull’attività professionale.

Normativa di riferimento

Il fermo tecnico non ha una disciplina specifica all’interno del Codice Civile italiano. Esso si inserisce nel contesto delle disposizioni generali sui danni patrimoniali e sul risarcimento dei danni derivanti da incidenti e da responsabilità civile. Esso è collegato agli articoli 2043 e seguenti del Codice Civile, che trattano della responsabilità civile per i danni causati da fatti illeciti.

Nel caso di un incidente stradale, il danno da fermo tecnico viene generalmente risarcito dal responsabile dell’incidente. Costui infatti dovrà risarcire il danno subito dal proprietario del veicolo danneggiato. Il danneggiato può chiedere il risarcimento del fermo tecnico anche per il periodo in cui il veicolo o l’attrezzatura è inutilizzabile. La prova del danno può essere fornita da un preventivo di riparazione o da un certificato di inidoneità rilasciato da un professionista.

In cosa consiste il danno da fermo tecnico

Il danno da fermo tecnico consiste nella perdita di guadagni o nella riduzione della produttività a causa dell’incapacità di utilizzare il veicolo, il macchinario o l’attrezzatura. Ad esempio, nel caso di un incidente che danneggia un veicolo utilizzato per il lavoro, il danno da fermo tecnico si concretizza nel periodo in cui il mezzo non può essere impiegato, con conseguente perdita economica per l’azienda o per il professionista.

Nel caso di un veicolo, il danno può essere calcolato in base al costo del noleggio di un altro mezzo equivalente o al guadagno perso durante il periodo in cui il veicolo è stato immobilizzato. Per un macchinario, il danno da fermo tecnico può essere determinato attraverso una stima del valore economico che l’azienda perde per l’impossibilità di utilizzare l’attrezzatura, considerando la durata del fermo e il tipo di attività che viene impedita.

Tipologie di danno da fermo tecnico

  • Fermo tecnico di un veicolo: il danno si calcola sulla base della perdita economica derivante dall’impossibilità di utilizzare il mezzo (Es: attività commerciale che dipende dal trasporto).
  • Fermo tecnico di un macchinario: in questo caso, il danno riguarda il fermo produttivo e viene calcolato sulla base dei guadagni che l’impresa non è riuscita a realizzare a causa dell’impossibilità di utilizzare l’
  • Fermo tecnico in ambito professionale: può riguardare anche il caso di un libero professionista che non può utilizzare il proprio veicolo o attrezzatura per lavorare, con la conseguente perdita di reddito.

Come va dimostrato il danno

Dimostrare il danno da fermo tecnico è essenziale per poter chiedere il risarcimento. Per ottenere un risarcimento, il danneggiato deve fornire prove adeguate del periodo di fermo, della causa che ha provocato l’immobilizzazione del bene e della perdita economica derivante da tale fermo.

Documenti utili per dimostrare il danno

  • Certificato di inidoneità (nel caso di incidenti stradali): serve a documentare il danno subito dal veicolo o dal macchinario.
  • Preventivo o fattura di riparazione: serve per provare i costi necessari per riparare il danno e far tornare il bene operativo.
  • Testimonianze: nel caso di incidenti o guasti, può essere utile avere testimonianze di persone che hanno assistito all’incidente o che possono confermare il periodo di fermo del bene.
  • Documentazione commerciale: come contratti, ordini e fatture che provano la perdita economica derivante dal fermo tecnico, ad esempio la mancata esecuzione di un servizio.
  • Contratti di noleggio: in caso di sostituzione del veicolo danneggiato con uno a noleggio, i contratti di noleggio possono dimostrare il periodo di immobilizzazione e i costi sostenuti.

Giurisprudenza sul fermo tecnico

La giurisprudenza italiana ha trattato diversi casi relativi al fermo tecnico e al risarcimento dei danni derivanti da tale immobilizzazione. Di seguito alcune sentenze significative:

Cassazione n. 15262/2023: il danno da “fermo tecnico” di un veicolo incidentato non può considerarsi automaticamente sussistente (“in re ipsa”). Esso richiede un’adeguata prova. A tal fine, è sufficiente dimostrare l’effettiva spesa sostenuta per il noleggio di un mezzo sostitutivo, la cui riconducibilità causale all’illecito può essere desunta attraverso un ragionamento presuntivo.

Cassazione n. 7358/2023: il danno da fermo tecnico di un veicolo incidentato deve essere adeguatamente allegato e dimostrato. Non è sufficiente la sola prova della sua indisponibilità. Spetta al danneggiato fornire evidenza della spesa sostenuta per il noleggio di un veicolo sostitutivo o del mancato guadagno derivante dall’impossibilità di utilizzare l’auto. Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto erronea la decisione del giudice di merito che aveva richiesto anche la prova della necessità della spesa, nonostante fosse già stata dimostrata l’effettiva erogazione dell’importo

Cassazione n. 27343/2024: nel caso di illegittimo fermo amministrativo, il danno non patrimoniale, anche se invocato per la presunta violazione di diritti di rango costituzionale, non è risarcibile quando si limita a incidere sulla quotidianità con disagi, fastidi, frustrazioni, ansie o altre forme di insoddisfazione di lieve entità. Tali conseguenze, non configurandosi come gravi, restano prive di rilevanza risarcitoria in quanto di natura bagatellare e non suscettibili di una quantificazione economica.

 

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