danno da nascita indesiderata

Danno da nascita indesiderata: i chiarimenti della Cassazione Danno da nascita indesiderata: il diritto della donna ad autodeterminarsi e abortire può essere provato con presunzioni semplici

Danno da nascita indesiderata e risarcimento

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1903/2025 chiarisce che il danno da nascita indesiderata non implica automaticamente il risarcimento alla madre. La violazione del diritto all’autodeterminazione, comprensivo della possibilità di abortire, deve essere dimostrata con elementi concreti. La questione si complica se la gravidanza dura da più di 90 giorni. In questi casi infatti la legge consente l’aborto solo se sussiste un grave pericolo per la salute della donna.

Nascita indesiderata: richiesta risarcitoria

Due coniugi agiscono nei confronti di una ASL perché la ritengono responsabile della colposa mancata rilevazione e informazione, successiva alla morfologica effettuata dopo 90 giorni di gravidanza, della grave patologia del nascituro. Questo errore medico ha impedito alla donna di optare per l’interruzione di gravidanza. L’Azienda contesta la versione dei fatti fornita dagli attori e la domanda risarcitoria avanzata e chiede la chiamata in causa della casa di cura in cui il bambino è venuto alla luce.

Il Tribunale di primo grado rigetta le domande degli attori. I coniugi hanno omesso di allegare la sussistenza di un grave pericolo per la salute fisica o psichica (sintomi depressivi) della neo mamma. Tale presupposto per il Tribunale è del tutto generico e non dimostrato.

Il Giudice dell’appello invece, ribaltando la decisione di primo grado, riconosce un danno alla donna per la violazione del diritto all’autodeterminazione. La Corte ritiene provato per presunzioni il pericolo per la salute della donna e l’inadempimento colposo dei medici. Il referto dell’ecografia rivelava la visualizzazione della vescica, a questo esame però non è seguito alcun approfondimento. La decisione viene quindi impugnata dalla ASL.

Danno da nascita indesiderata: servono prove

La Cassazione accoglie il ricorso dell’azienda sanitaria, annullando la condanna al risarcimento emessa in secondo grado, dopo aver richiamato alcuni importanti principi delle SU in materia di risarcimento del danno da nascita indesiderata.

Il ricorso viene accolto e deciso sulla base di rilevanti principi giuridici.

  • Per la Cassazione la mancata diagnosi di una malformazione fetale non comporta automaticamente la responsabilità medica. L’interruzione volontaria della gravidanza è consentita solo in casi eccezionali, previsti dall’ 6 della legge 194/1978. Per ottenere il risarcimento, la madre deve dimostrare che, se adeguatamente informata, avrebbe scelto di abortire. La prova di questi elementi può basarsi su presunzioni, purché supportate da elementi concreti.
  • Il ragionamento presuntivo del giudice deve rispettare i criteri di gravità, precisione e concordanza stabiliti dall’ 2729 c.c. Se il giudice applica erroneamente questi principi a fatti che non li soddisfano, il suo ragionamento è censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c.
  • L’errata applicazione delle presunzioni semplici costituisce un vizio di diritto. Se il giudice basa una presunzione su fatti privi di gravità, precisione o concordanza, si configura una falsa applicazione dell’ 2729 c.c. La Cassazione può intervenire per correggere questa distorsione interpretativa e garantire una corretta applicazione delle norme sulla responsabilità medica e sul risarcimento del danno.

 

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pensione sociale

Pensione sociale: incidenza sull’assegno divorzile Pensione sociale: la prestazione assistenziale riduce il bisogno di assistenza economica da parte dell’ex coniuge

Pensione sociale rileva sull’assegno di divorzio

La pensione sociale è una prestazione assistenziale che aiuta chi non dispone di mezzi sufficienti per vivere. La Cassazione, con l’ordinanza del 22 gennaio 2025 n. 1482, ribadisce che la pensione sociale è un elemento rilevante per valutare la condizione economica del coniuge richiedente l‘assegno divorzile.

Assegno di divorzio: richiesta di revisione

Una donna chiede la revisione dell’assegno di divorzio avviando un procedimento giudiziario. La Corte d’Appello respinge la richiesta. La situazione economica della richiedente è infatti migliorata grazie a un’eredità. La necessità di prendere in locazione di un immobile non può essere considerata una circostanza nuova, poiché già esistente al momento della sentenza sull’assegno. L’ex coniuge obbligato al versamento percepisce in ogni caso una pensione modesta e ha una figlia minore a carico. La Corte suggerisce quindi alla donna di richiedere la pensione sociale, se in possesso dei requisiti necessari.

Assegno di divorzio: necessario valutare i mutamenti

La donna impugna la decisione davanti alla Corte di Cassazione perché a suo dire non è stato valutato correttamente il mutamento delle condizioni economiche e patrimoniali delle parti rispetto al momento in cui è stato fissato, in prima battuta, l’assegno di divorzio.

La Cassazione accoglie il ricorso. La Corte d’Appello in effetti non ha analizzato in modo adeguato la situazione patrimoniale e reddituale delle parti e il loro mutamento nel tempo.

La stessa inoltre non ha verificato l’esistenza di motivi tali da richiedere la modifica dell’assegno divorzile.  Per modificare l’assegno divorzile, devono esistere “giustificati motivi” che dimostrino un cambiamento significativo delle condizioni economiche degli ex coniugi. Il giudice deve effettuare una comparazione tra la situazione patrimoniale iniziale e quella attuale. Solo se le nuove circostanze alterano l’equilibrio economico stabilito, si può procedere con una modifica dell’assegno. Non è possibile considerare eventi avvenuti prima della sentenza di divorzio, poiché essa ha valore di giudicato. Il giudice non deve rideterminare l’assegno basandosi sui criteri originari, ma valutare le variazioni patrimoniali successive.

Pensione sociale: incidenza dei cambiamenti

La sussistenza dei criteri di riconoscimento dell’assegno si esamina solo dopo aver accertato il sopraggiungere di nuove circostanze. Il giudice deve verificare in che misura i cambiamenti abbiano modificato l’equilibrio economico tra gli ex coniugi. In base a questa valutazione, può adeguare l’importo dell’assegno o revocarlo, considerando anche la pensione sociale percepita dal richiedente.

Pensione sociale: riduce il bisogno di assistenza dell’ex

La Corte d’Appello dovrà riesaminare la questione confrontando la situazione economica degli ex coniugi al momento del divorzio con quella attuale e considerare tutte le loro risorse, inclusa la pensione sociale percepita dalla ricorrente. Gli Ermellini ricordano infatti che la pensione sociale rappresenta una fonte di reddito che può ridurre il bisogno di assistenza economica da parte dell’ex coniuge, come espresso in una precedente ordinanza del 2021 (Cass. civ., Sez. I, ord. 5 maggio 2021 n. 11797).

 

 

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gratuito patrocinio

Gratuito patrocinio: l’Ocf denuncia il blocco dei pagamenti L'Organismo Congressuale Forense denuncia il blocco dei pagamenti ai difensori che hanno garantito assistenza legale ai cittadini beneficiari del gratuito patrocinio

Gratuito patrocinio: la denuncia dell’Ocf

Gratuito patrocinio: “Da mesi gli avvocati attendono di essere pagati per il lavoro svolto, mentre il Ministero della Giustizia resta immobile. I fondi destinati a questi compensi sono esauriti da ottobre, e in molti Fori la crisi era già evidente da tempo. Avvocati che hanno emesso fattura in autunno confidando in un pagamento dovuto per legge sono ancora in attesa, senza alcuna certezza su quando e se riceveranno il compenso”. E’ quanto denuncia l’Organismo Congressuale Forense, in merito allo stallo nei pagamenti ai difensori che hanno garantito assistenza legale ai cittadini beneficiari del patrocinio a spese dello Stato.

Qui il documento predisposto dall’Ocf

La denuncia

“Questa situazione non è solo il risultato di uno stanziamento insufficiente, ma l’ennesima dimostrazione di una gestione politica e amministrativa non responsabile. Il Ministero della Giustizia continua a ignorare un problema strutturale, mescolando i fondi destinati al patrocinio gratuito all’interno della voce di bilancio 1360, insieme a spese completamente diverse e non rinunciabili, come trasferte di funzionari, indennità per periti e testimoni, costi di estradizione e notifiche di atti esenti. Un vero e proprio caos contabile che impedisce di garantire il diritto alla difesa per chi non ha mezzi economici, violando l’articolo 24 della Costituzione” prosegue la nota.

Le richieste

“In questo modo – scrive ancora l’Ocf – si mette in ginocchio la giustizia per i più deboli. Sempre più avvocati, esasperati da questa situazione, si stanno cancellando dagli elenchi dei difensori per i non abbienti e perfino dalle liste dei difensori d’ufficio. Questo vuoto rischia di privare le persone più vulnerabili della tutela legale a cui hanno diritto, con conseguenze gravissime per l’intero sistema giudiziario”.

Da qui la richiesta di un intervento celere: “il pagamento immediato degli arretrati, la separazione dei fondi destinati al patrocinio da altre voci di bilancio e un’adeguata previsione di risorse nel bilancio del Ministero della Giustizia”.

difensore civico

Difensore civico: chi è e cosa fa Difensore civico: una breve guida all’organo indipendente che tutela i cittadini fungendo da intermediario con la Pubblica Amministrazione

Chi è il difensore civico?

Il difensore civico è un organo indipendente che opera a tutela dei cittadini nei confronti della Pubblica Amministrazione, garantendo trasparenza, legalità ed efficienza nell’azione amministrativa. Questa figura, presente a livello comunale, provinciale e regionale, funge da intermediario tra i cittadini e l’amministrazione, raccogliendo segnalazioni, reclami o suggerimenti e promuovendo soluzioni a favore del buon andamento della pubblica amministrazione.

Qual è la normativa di riferimento?

L’importante figura trova il suo fondamento nella Costituzione italiana e nella legislazione ordinaria.

Articolo 97 della Costituzione: prevede il principio di buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione, valori che il difensore è chiamato a garantire.

Legge n. 142/1990: ha introdotto per la prima volta il difensore civico come organo previsto dagli statuti comunali e provinciali.

Decreto legislativo n. 267/2000 (TUEL): conferma la possibilità per gli enti locali di istituire questa figura nei propri statuti, delineandone le competenze e le modalità operative.

Leggi regionali: ogni Regione può disciplinare l’istituzione e il funzionamento del difensore a livello territoriale, definendo compiti specifici e ambiti di intervento.

Quali sono le funzioni del difensore civico?

Il difensore civico ha il compito principale di vigilare sull’attività amministrativa, verificando che essa sia conforme ai principi di legalità ed equità. I suoi compiti principali sono:

  • raccogliere segnalazioni da parte dei cittadini su presunti abusi o disfunzioni amministrative;
  • proporre soluzioni o mediazioni per risolvere controversie tra i cittadini e la Pubblica Amministrazione;
  • promuovere trasparenza e accesso agli atti amministrativi, garantendo il diritto di informazione e partecipazione;
  • segnalare criticità sistemiche nell’amministrazione ai responsabili degli enti pubblici.

Giurisprudenza sul difensore civico

La giurisprudenza ha contribuito a chiarire sia suoi i limiti che le su prerogative.

  • Consiglio di Stato: ha ribadito che il difensore civico non ha poteri decisionali vincolanti, ma può esercitare un’importante funzione di moral suasion nei confronti della Pubblica Amministrazione, favorendo la risoluzione delle controversie.
  • Corte costituzionale: in diverse sentenze ha sottolineato l’importanza di questo organo come strumento di tutela dei diritti dei cittadini, integrando il sistema di garanzie previsto dall’articolo 97 della Costituzione.
  • Tar: ha riconosciuto il ruolo del difensore nell’accesso agli atti amministrativi, chiarendo che le sue segnalazioni possono spingere l’amministrazione a rivedere le proprie decisioni per rispettare i principi di trasparenza e legalità.

Criticità e prospettive del difensore civico

Nonostante la sua rilevanza, la figura del difensore civico non è presente in tutti gli enti locali, con una distribuzione territoriale disomogenea. Le risorse limitate e la mancanza di obbligatorietà nella sua istituzione rappresentano sfide significative. Il suo ruolo tuttavia è sempre più riconosciuto come fondamentale per garantire un’amministrazione pubblica più accessibile e responsabile.

 

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reati societari

Reati societari: sproporzionato l’obbligo di confisca dei beni Per la Consulta, l'obbligo di confiscare i beni usati per commettere i reati societari può condurre a risultati sanzionatori manifestamente sproporzionati

Reati societari e confisca beni

Nei reati societari, l’obbligo di disporre la confisca di tutti beni utilizzati per commetterli, anche nella forma della confisca di beni di valore equivalente, può condurre a risultati sanzionatori manifestamente sproporzionati, ed è pertanto incompatibile con la Costituzione.

Questo quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza numero 7/2025, con la quale ha dichiarato parzialmente incostituzionale l’articolo 2641, primo e secondo comma, del codice civile, che prevedeva questo obbligo.

La qlc

La questione è stata sottoposta alla Consulta dalla Corte di cassazione nell’ambito del processo relativo alla crisi della Banca popolare di Vicenza.

In primo grado, il Tribunale di Vicenza aveva disposto, a carico di quattro imputati, la confisca dell’importo di 963 milioni di euro, ritenuto corrispondente alle somme di denaro utilizzate per la commissione dei reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza della Banca d’Italia e della Banca Centrale Europea, dei quali gli imputati erano stati ritenuti responsabili.

Il Tribunale aveva calcolato l’importo da confiscare sommando tutti i finanziamenti concessi a terzi dalla Banca popolare affinché acquistassero azioni della stessa Banca, senza poi dichiarare tali finanziamenti secondo le modalità previste dalla legge.

In secondo grado, la Corte d’appello di Venezia aveva confermato in parte la responsabilità penale degli imputati, ma aveva revocato la confisca, giudicandola in contrasto con il principio di proporzionalità delle pene sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

La Cassazione

Il Procuratore generale aveva quindi proposto ricorso alla Corte di cassazione, sostenendo che la Corte d’appello avesse erroneamente disapplicato l’articolo 2641 del codice civile, che impone al giudice di confiscare i beni utilizzati per commettere, tra gli altri, i reati di aggiotaggio e di ostacolo alle funzioni di vigilanza, o comunque beni o somme di valore equivalente.

La Corte di cassazione, condividendo i dubbi della Corte d’appello circa la possibile sproporzione di una confisca di quasi un miliardo di euro a carico di quattro persone fisiche, ha sollevato questione di legittimità costituzionale sull’articolo 2641 del codice civile, ritenendo necessario l’intervento della Corte costituzionale per statuire definitivamente sulla compatibilità o incompatibilità della norma con i principi costituzionali e, al tempo stesso, con i diritti stabiliti della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.

La decisione

La Corte costituzionale ha, anzitutto, osservato che la confisca dei beni utilizzati per commettere il reato ha natura di vera e propria pena di carattere patrimoniale, che – in quanto tale – deve rispettare il principio di proporzionalità. “Questo principio vieta, in particolare, che le pene patrimoniali risultino sproporzionate rispetto alle condizioni economiche dell’interessato, e in ogni caso alla sua capacità di far fronte al pagamento richiesto. Una legge che, come l’articolo 2641 del codice civile, impone in ogni caso di confiscare agli autori del reato l’intero importo corrispondente ai beni utilizzati per commettere un reato, anche quando i beni appartenevano ad una società, è strutturalmente suscettibile di produrre risultati sanzionatori sproporzionati, perché non consente al giudice di adeguare l’importo alle reali capacità economiche e patrimoniali delle singole persone fisiche colpite dalla confisca. La norma è stata così dichiarata parzialmente incostituzionale” ha affermato la Consulta.

Spetterà al legislatore, hanno proseguito i giudici, “valutare se introdurre una nuova disciplina della confisca dei beni strumentali e delle somme di valore equivalente, nei limiti consentiti dal principio di proporzionalità, così come previsto in altri sistemi giuridici e nella stessa legislazione dell’Unione europea. Resta invece in vigore l’obbligo di confiscare integralmente i profitti ricavati dal reato, in forma diretta e per equivalente, a carico di qualunque persona – fisica o giuridica – che risulti effettivamente avere conseguito le utilità derivanti dal reato”.

Resta ferma, inoltre, “la facoltà per il giudice di confiscare i beni utilizzati per commettere il reato prevista in via generale dell’articolo 240 del codice penale, nel rispetto del principio di proporzionalità”.

legge 104

Legge 104: l’uso distorto dei permessi porta al licenziamento Legge 104: i permessi previsti per l’assistenza al familiare disabile non possono essere usati per svolgere attività personali

Permessi legge 104: servono per assistere disabile

Le legge 104 prevede la possibilità per il dipendente di chiedere permessi dal lavoro per assistere familiari disabili. Spesso però la giurisprudenza ci mette a conoscenza di vicende da cui emerge un uso distorto di questi permessi. Di recente tre sentenze della Corte di Cassazione si sono espresse nel senso di ritenere legittimo il licenziamento del lavoratore per l’uso distorto dei permessi 104. Questi permessi infatti possono essere usufruiti solo per dare assistenza al parente disabile e non per svolgere attività personali. Un utilizzo di questo genere rappresenta un vero e proprio abuso della misura.

Permessi legge 104 per andare in bici: ok licenziamento

La sentenza della Cassazione n. 2157/2025 precisa che per la giurisprudenza di legittimità è pacifico ritenere che l’utilizzo dei permessi 104 da parte del lavoratore per svolgere attività diverse dall’assistenza del familiare, costituisca una giusta causa di licenziamento. L’assenza dal lavoro in virtù del permesso 104 deve essere direttamente collegata allassistenza del disabile, senza poter essere utilizzata per altri scopi. Il beneficio, che comporta sacrifici organizzativi per il datore di lavoro, è giustificato solo se risponde a esigenze tutelate dalla legge. Se manca il nesso causale tra assenza e assistenza, l’uso del permesso è improprio o abusivo, configurando una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede verso il datore di lavoro e l’Ente assicurativo. Nel caso di specie la Cassazione ha rigettato il ricorso del lavoratore contro la sentenza d’appello, che ha confermato la legittimità del licenziamento irrogato. La Corte di merito ha infatti rilevato che il lavoratore ha sistematicamente e preordinatamene occupato gli orari destinati al permesso 104 per andare a correre in bicicletta.

Permessi 104 per attività personali: sì licenziamento

La vicenda di cui si è occupata la Cassazione nella sentenza n. 2586/2025 riguarda invece un caso di licenziamento di una dipendente, che invece di assistere il nonno grazie ai permessi 104, ha pensato bene di usare quel tempo per fare acquisti, farsi riparare l’auto. Non è valso a nulla il tentativo di dimostrare che tutte le commissioni erano in realtà collegate al nonno. Sulla decisione finale hanno pesato le osservazioni della Corte di merito sulla giusta causa del licenziamento. La stessa ha infatti affermato che “la condotta tenuta dalla lavoratrice si configura di gravità tale da giustificare il licenziamento atteso che, per quanto emerso, la medesima nell’arco temporale in cui, anziché lavorare, avrebbe dovuto dedicarsi alla cura del familiare in qualità di titolare dei permessi ex L. n. 104/92, ha svolto per la quasi totalità del periodo incombenze legate a  esigenze di carattere esclusivamente personale con conseguente sussistenza di uno scostamento rilevantissimo  tra il comportamento tenuto e la finalità di assistenza dei permessi”. 

Permessi legge 104 per campionato FootGolf

La Cassazione n. 2619/2025 ha confermato invece il licenziamento del lavoratore che ha richiesto il permesso 104 per partecipare al campionato di Foot Golf. Il fatto che la disabile da assistere, zia del lavoratore fosse presente presso il centro in cui si è svolta la gara non ha inciso “sulla configurabilità dello sviamento dalla funzione propria del beneficio essendo emerso che tale permesso non era stato chiesto dal lavoratore per garantire assistenza alla familiare disabile ma nel proprio interesse, onde consentirgli di partecipare al campionato di FootGolf. Pur volendo ammettere che l’assistenza al disabile possa estrinsecarsi in attività riconducibili alla mera presenza ovvero ai normali rapporti familiari, comunque il lavoratore non aveva svolto integralmente l’attività di assistenza nelle ore del permesso, essendo in parte stato impegnato nella gara.” Se l’assenza dal lavoro non è finalizzata all’assistenza del disabile, l’uso del permesso risulta improprio o abusivo. Il dipendente che sfrutta il permesso per scopi diversi viola la buona fede nei confronti del datore di lavoro, privandolo ingiustamente della prestazione. Inoltre, nei confronti dell’Ente previdenziale, tale condotta comporta un’indebita percezione dell’indennità e un uso distorto dell’assistenza prevista dalla legge.

 

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decreto flussi

Decreto flussi: cosa prevede la legge Decreto flussi: quote rosa, nulla osta, Carta Blu UE e protezione internazionale, tutte le novità della legge e il calendario del click day

Decreto flussi, in vigore

Il disegno di legge di conversione del Decreto Flussi (decreto legge n. 145/2024), dopo l’ok della Camera con la fiducia del 26 novembre scorso, ha ottenuto il sì definitivo del Senato, sempre con rinnovata fiducia al Governo (99 sì, 65 no e un astenuto) diventando quindi legge dello Stato.

Il testo, in cui è confluito il decreto “Paesi Sicuri”, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 10 dicembre, per entrare in vigore l’11 dicembre 2024.

La nuova legge n. 187/2024, approvata tra le polemiche, introduce importanti cambiamenti nella gestione dei flussi migratori, concentrandosi sull’inclusione e la protezione dei diritti dei lavoratori stranieri e delle donne.

Per il lavoro subordinato, sia stagionale che non stagionale, è riservata una quota del 40% alle donne nei settori dell’assistenza familiare e sociosanitaria. Le associazioni rappresentative degli stranieri avranno un ruolo chiave nell’accompagnare i nuovi arrivati, offrendo percorsi informativi e facilitando il dialogo con le prefetture. Le richieste di permesso di soggiorno saranno rifiutate se il datore di lavoro è implicato in crimini legati allo sfruttamento o alla tratta di persone. Per i lavoratori altamente qualificati le condizioni per ottenere la Carta Blu UE saranno chiaramente delineate online. I richiedenti che non presenteranno la domanda entro 90 giorni perderanno l’accesso alle misure di accoglienza e saranno soggetti a una procedura accelerata con rischio di rimpatrio.

Decreto flussi: le novità più importanti

Ecco una panoramica delle principali novità introdotte dalla nuova legge.

Contratti di soggiorno digitalizzati

Una delle innovazioni principali riguarda l’obbligo di firmare il contratto di soggiorno in formato digitale entro otto giorni dall’arrivo in Italia. Per i lavoratori stagionali nei settori agricolo e turistico, sarà possibile rinnovare o stipulare nuovi contratti entro 60 giorni dalla scadenza del precedente tramite la piattaforma Siisl. Anche i lavoratori altamente qualificati beneficeranno della digitalizzazione.

Ingressi fuori quota per assistenza familiare

Per il 2025, si prevede l’autorizzazione di 10.000 ingressi fuori quota destinati agli assistenti per anziani e disabili. La gestione delle richieste sarà affidata a enti autorizzati come agenzie per il lavoro o associazioni datoriali che accompagneranno i lavoratori nel processo d’assunzione.

Aumento delle quote per lavoratori stagionali

Il limite degli ingressi per lavoratori stagionali passa da 93.550 a 110.000 unità, privilegiando coloro provenienti da Paesi con accordi di cooperazione attivi. Le quote includono 47.000 ingressi per l’agricoltura e 37.000 per il turismo, ponendo attenzione alla provenienza regolare delle richieste.

Decreto flussi: pianificazione triennale

Fino al 2028 sarà possibile pianificare le quote d’ingresso attraverso Dpcm, continuando la strategia adottata nel triennio 2023-2025. Ogni datore può richiedere fino a tre nulla osta, salvo eccezioni per associazioni di categoria.

Click day 2025: il calendario del Ministero

Nella giornata di martedì 4 febbraio 2025 il Ministero degli Interni ha riepilogato il calendario per il click day necessario per inviare le domande di assunzione:

  • 5 febbraio per i lavoratori subordinati non stagionali (edilizia, meccanica, telecomunicazioni, cantieristica navale, trasporto merci);
  • 7 febbraio per i lavoratori subordinati non stagionali per il settore dell’assistenza familiare socio sanitaria e per i lavoratori residenti in Venezuela, ma di origini italiane. Da questa data e solo per quest’anno sarà possibile inoltrare anche domande, al di fuori delle quote, ma nel limite di 1000 istanze, per assumere lavoratori dell’assistenza familiare o sociosanitaria per disabili e grandi anziani;
  • 12 febbraio per i lavoratori subordinati stagionali del settore agricolo e turistico-alberghiero.

Abolizione del silenzio-assenso

Per i lavoratori provenienti da Paesi considerati ad alto rischio come Bangladesh, Pakistan e Sri Lanka, è abolito il silenzio-assenso. Entro il 2025 verrà stilato un elenco aggiornato degli Stati ad alto rischio dal Ministero degli Esteri.

Protezione contro lo sfruttamento

Chi denuncia lo sfruttamento avrà diritto a permessi di soggiorno rinnovabili ogni sei mesi e accesso a programmi d’inclusione sociale e lavorativa. Il decreto assegna fondi specifici a queste misure introducendo sanzioni più severe contro gli sfruttatori.

Controllo su ONG e soccorsi

Il Ministro dell’Interno può limitare o vietare il transito delle navi ONG per ragioni di ordine pubblico con multe fino a 50.000 euro e fermo amministrativo della nave. Regole simili valgono anche per gli aerei impiegati nelle operazioni di monitoraggio con sanzioni tra i 2.000 e i 10.000 euro.

Ispezione dei dispositivi elettronici dei migranti

Le procedure di identificazione si rafforzano consentendo l’ispezione dei dispositivi mobili esclusa la corrispondenza privata; ogni operazione deve essere confermata da un giudice entro due giorni.

Decreto flussi: elenco dei “Paesi sicuri”

Viene introdotta una lista comprendente Albania, Marocco e Tunisia tra altri diciannove “Paesi sicuri”, dove le richieste d’asilo saranno trattate con procedura accelerata riducendo i tempi, ma sollevando critiche dalle Corti giuridiche.

“Emendamento Musk” su competenze giudiziarie

Un emendamento sposta la competenza sui trattenimenti migranti alle Corti d’Appello dalle sezioni specializzate in immigrazione generando preoccupazioni tra magistrati sul rischio di rallentamenti nei processi.

Requisiti più severi per ricongiungimenti familiari

Si introducono requisiti più stringenti per chi si vuole riunire alla propria famiglia: due anni consecutivi d’abitazione in Italia necessari ai richiedenti; verifiche più rigorose sull’alloggio; riduzione dei termini per ricorrere contro rigetti.

Fondi aggiuntivi assunzioni e cooperazione internazionale

Sono previsti fondi destinati all’assunzione presso ministeri ed enti esteri dal prossimo anno: ulteriori risorse potenziano progetti cooperativi internazionali incrementando finanziamenti emergenziali nazionali fino cinque milioni insieme ai trentacinque milioni dedicati sviluppando collaborazioni poliziesche terze parti stati coinvolti sotto accordo cooperativo nazionale stabilito precedentemente.

Aspetti critici del Decreto Flussi

Il Decreto Flussi (e la sua legge di conversione) costituisce un passo rilevante nella politica migratoria italiana cercando equilibrio tra controllo flussi integrazione economica straniera, tuttavia alcuni punti, come la gestione dei ricongiungimenti e le limitazioni disposte nei confronti delle ONG stanno sollevando dibattiti piuttosto accesi dentro e fuori dal Parlamento.

 

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decreto caivano

Decreto Caivano: esclusione messa alla prova minorile irretroattiva La Corte Costituzionale dichiara che l'esclusione della messa alla prova minorile introdotta dal decreto Caivano non è applicabile retroattivamente

Decreto Caivano e messa alla prova minorile

Decreto Caivano ed esclusione della messa alla prova minorile: la Corte costituzionale, con la sentenza numero 8/2025, si è pronunciata sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Bari, aventi ad oggetto la nuova disciplina della sospensione del processo per messa alla prova del minore, introdotta in sede di conversione del decreto-legge numero 123 del 2023.

La qlc

Il giudice rimettente, in particolare, lamentava il contrasto con l’articolo 31, secondo comma, della Costituzione, del comma 5-bis, inserito nell’articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica numero 448 del 1988, che ha precluso la messa alla prova, nel processo minorile, per gli imputati di alcuni delitti, tra i quali la violenza sessuale e la violenza sessuale di gruppo aggravate.

Al giudice a quo era indirizzata la richiesta di ammissione alla prova avanzata da due minorenni, chiamati a rispondere di reati sessuali commessi prima dell’entrata in vigore della nuova norma, quando non erano previste preclusioni fondate sul titolo di reato.

La previsione ostativa, a suo avviso, era di immediata applicazione, secondo il principio tempus regit actum, perché connotata da una natura prevalentemente processuale.

La decisione

La Consulta ha ritenuto, tuttavia, non condivisibile l’interpretazione del giudice a quo, perché all’istituto della messa alla prova, che costituisce un tratto qualificante del processo penale minorile, deve essere riconosciuta una dimensione sostanziale, che ne attrae la disciplina nell’alveo dell’articolo 25, secondo comma, della Costituzione e dell’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), riconducendola al principio di irretroattività della norma penale sfavorevole.

“L’articolo 28, comma 5-bis, del d.P.R. numero 448 del 1988 impedisce, infatti, per i reati ivi considerati, che l’imputato minorenne possa essere sottratto al circuito penale, senza che abbiano rilievo le circostanze concrete della sua condotta e le effettive possibilità del suo reinserimento sociale. Tale previsione – ha concluso la Corte – incide quindi direttamente sulla disciplina sostanziale, introducendovi un contenuto deteriore rispetto alla previgente, e pertanto, nel rispetto degli articoli 25, secondo comma, della Costituzione e 7 della CEDU, non può essere applicata ai fatti commessi anteriormente al 15 novembre 2023, data di entrata in vigore della nuova norma”.

assegno unico universale figli

Assegno unico universale: la guida completa Cos’è l’assegno unico universale, quali leggi lo disciplinano, requisiti soggettivi e reddituali per richiederlo, come fare domanda e importi AUU 2025

Assegno unico universale: cos’è

L’assegno unico universale è stato previsto dalla legge n. 46/2021, che ha conferito la delega al Governo per riordinare, semplificare e rafforzare le misure a sostegno delle famiglie con figli a carico per favorire la natalità e l’occupazione femminile.

L’assegno è unico perché va a sostituire le misure precedentemente previste per i genitori con figli a carico, è universale perché si basa sul principio universalistico.

Questo beneficio economico infatti è riconosciuto su base progressiva a tutti i nuclei familiari con figli a carico. Il tutto ovviamente nei limiti delle risorse disponibili. L’assegno inoltre è modulato in base alla condizione economica del reddito familiare individuata tramite l’ISEE.

Esso inoltre può essere riconosciuto nella forma di credito d’imposta o di erogazione in danaro.

Assegno unico: quando spetta

L’articolo 2 della legge n. 46/2021 prevede il riconoscimento di un assegno mensile per ogni figlio di minore età a carico dei genitori a partire dal settimo mese di gravidanza.

Per i figli successivi al secondo l’assegno viene riconosciuto in misura maggiorata. La misura viene riconosciuta altresì per i figli maggiorenni a carico fino a 21 anni di età, con possibilità di corrispondere l’assegno direttamente al figlio, su sua richiesta, per favorirne l’autonomia. In quest’ultimo caso l’assegno spetta se il figlio maggiorenne frequenta un corso di formazione scolastico professionale, un corso di laurea o un tirocinio lavorativo (purché il reddito annuale lordo non superi gli 8000 euro lordi annuali), o è disoccupato e in cerca di lavoro presso un centro per l’impiego o un’agenzia per il lavoro o svolge infine servizio civile. La legge prevede maggiorazioni per situazioni particolari, come la disabilità del figlio o dei figli a carico, senza limiti di età.

Requisiti soggettivi del richiedente

L’assegno unico universale viene riconosciuto se il richiedente presenta contestualmente i seguenti requisiti:

– essere cittadino italiano o europeo o suo familiare titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente. Se il richiedente è cittadino di un paese non europeo deve essere in possesso del permesso di soggiorno europeo per soggiornanti di lungo periodo o del permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di ricerca per la durata minima di un anno;

  • essere soggetto al pagamento dell’imposta sui redditi in Italia;
  • essere residente e domiciliato con figli a carico per tutta la durata di corresponsione dell’assegno;
  • essere stato o essere residente in Italia per almeno due anni, anche se non continuativi o essere titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o determinato della durata minima di due anni.

Sono previste deroghe a questi requisiti, da parte di una specifica commissione nazionale, in presenza di comprovate necessità collegate a casi del tutto particolari e comunque per periodi limitati, su proposta dei servizi sociali e sanitari locali.

Decorrenza e regole di dettaglio

Il decreto legislativo n. 230/2021 ha attuato la legge delega n. 46/2021 istituendo l’assegno unico e universale per i figli a carico e dettando le disposizioni di dettaglio della misura.

L’assegno, decorrente dal 1° marzo 2022 costituisce un beneficio riconosciuto mensilmente da marzo a febbraio dell’anno successivo ai nuclei familiari che presentano una determinata condizione economica risultante dall’indicatore della situazione economico equivalente (ISEE).

In assenza di ISEE il nucleo di riferimento viene accertato sulla base dei dati che vengono autodichiarati nella domanda.

L’assegno unico universale spetta in parti uguali a chi esercita la responsabilità genitoriale, salvo eccezioni. In caso di affidamento esclusivo infatti l’assegno, in assenza di un accordo tra le parti, viene corrisposto al genitore affidatario. Nel caso invece in cui sia stato nominato un tutore o un affidatario l’assegno viene riconosciuto nell’interesse esclusivo del tutelato o del minore in affido familiare.

Requisiti reddituali per l’assegno unico e universale

In base al decreto legislativo n. 230/2021 l’assegno unico universale spetta nella misura di 175 euro mensili per ogni figlio minorenne e per ogni figlio disabile senza limiti di età e nella misura di 85 euro per ogni figlio maggiorenne fino a 21 anni di età in presenza di un ISEE pari o inferiore ai 15.000 euro.

Gli importi suddetti si riducono gradualmente in presenza di un ISEE di 40.000 euro. Per ISEE superiori a 40.000 euro l’importo resta costante e senza maggiorazioni.

Per le mamme di età inferiore ai 21 anni sono previste delle maggiorazioni di 20 euro mensili per ogni figlio. Maggiorazioni sono previste anche quando entrambi i genitori siano titolari di reddito da lavoro o quando uno dei genitori sia deceduto al momento della presentazione della domanda. In questo caso la maggiorazione spetta fino a 5 anni dall’evento morte.

Maggiorazioni particolari sono previste anche per i nuclei con ISEE non superiore a 25.000 euro, come previsto dall’articolo 5 della legge n. 230/2021.

Valori ISEE e importi assegno unico 2025

La circolare INPS n. 33/2025 rende noto l’aggiornamento annuale dei valori dell’assegno e delle soglie ISEE di riferimento in base all’indice del costo della vita. Nel 2024 la variazione ISTAT valida dal 1° gennaio 2025 è dello 0,8% per cui gli importi adeguati a detto valore sono stati indicati nella tabella allegata alla circolare.

Al di là delle maggiorazioni indicate nella tabella continuano ad applicarsi anche le seguenti:

  • maggiorazione transitoria (per i mesi di gennaio 2025 e febbraio 2025) per compensare le perdite rispetto al regime preveggente per i nuclei con ISEE fino a 25.000 euro e figli minori;
  • per nuclei con figli di età inferiore a un anno si ha un incremento del 50% fino al compimento di un anno;
  • per nuclei familiari con almeno 3 figli (di età fino a 3 anni) e un ISEE pari o inferiore a 45.939,56 per il 2025 l’incremento è del 50% per ogni figlio;
  • per nuclei con almeno 4 figli a carico si ha una maggiorazione di 150 euro.

Ovviamente per determinare l’importo della prestazione in base alla relativa soglia ISEE è necessario presentare una nuova Dichiarazione Sostituiva Unica per il 2025. Si ricorda che per velocizzare i tempi è possibile presentare la DSU in modalità precompilata.

Come fare domanda

La domanda può essere presentata a partire dal 1° gennaio di ogni anno ed è riferita al periodo compreso tra il mese di marzo dell’anno di presentazione e il mese di febbraio dell’anno successivo. Può provvedere a tale incombenza un genitore o chi esercita la responsabilità genitoriale.

L’istanza può essere presentata:

  • online tramite SPID, CIE o CNS dal sito dell’INPS nel servizio dedicato “Assegno unico e universale per i figli a carico”;
  • presso gli istituti di patronato;
  • contattando il numero verde 803164, gratis da rete fissa o lo 06.164.164 (a pagamento da cellulare);
  • tramite l’app “INPS mobile”.

Assegno unico universale 2025: domanda e arretrati

La circolare INPS n. 33/2025 ricorda che, nel rispetto del principio di semplificazione, l’assegno unico è erogato d’ufficio, in continuità per chi ha già beneficiato di questa misura.

Per il 2025 quindi, chi ha già beneficiato dell’AUU, non dovrà presentare una nuova domanda per l’assegno unico universale, fermo restando l’obbligo di comunicare eventuali variazioni come la nascita di un figlio o il raggiungimento della maggiore età da parte di un altro.

Erogazione dell’assegno

Presentata alla domanda l’assegno viene riconosciuta a partire dal mese successivo a quello di presentazione. Ferma restando la decorrenza l’INPS riconosce l’assegno entro il termine di 60 giorni dalla sua presentazione.

La corresponsione dell’assegno avviene tramite accredito su conto corrente bancario o tramite bonifico domiciliato, salvi casi particolari.

la risoluzione del contratto

La risoluzione del contratto La risoluzione del contratto, legale o giudiziale, è un istituto che mette fine agli effetti di un accordo per cause diverse

Risoluzione contrattuale nel codice civile

La risoluzione del contratto è un istituto giuridico che consente di porre fine agli effetti di un contratto valido a seguito dell’inadempimento, dell’impossibilità sopravvenuta, della eccessiva onerosità o di cause previste dalla legge. Questo strumento è disciplinato dagli articoli 1453 e seguenti del Codice Civile e rappresenta una tutela per la parte che subisce un pregiudizio contrattuale.

Cos’è la risoluzione del contratto

La risoluzione è un rimedio a disposizione della parte non inadempiente per ottenere la cessazione del vincolo contrattuale e, in molti casi, il risarcimento del danno.

La risoluzione può essere:

  • legale: opera automaticamente in base alla legge, senza necessità di intervento giudiziale e in casi specifici, come la diffida ad adempiere o la clausola risolutiva espressa. Non è necessario quindi l’intervento del giudice, salvo contestazioni.
  • giudiziale: richiede una pronuncia del giudice per accertare e dichiarare la risoluzione quando l’inadempimento non è chiaramente riconoscibile o le parti non hanno previsto un meccanismo automatico.

Cause di risoluzione del contratto

Il Codice Civile individua le principali cause di risoluzione in alcuni articoli.

  • Inadempimento (art. 1453 c.c.): si verifica quando una delle parti non esegue la prestazione dovuta. In questo caso, la parte non inadempiente può chiedere la risoluzione o l’esecuzione, oltre al risarcimento del danno.
  • Impossibilità sopravvenuta (art. 1463 c.c.): il contratto si risolve se la prestazione diventa impossibile per cause non imputabili alla parte obbligata.
  • Eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.): si applica ai contratti a esecuzione continuata o periodica quando eventi straordinari e imprevedibili rendono eccessivamente onerosa una delle prestazioni.
  • Clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.): le parti possono concordare che il contratto si risolva automaticamente al verificarsi di specifiche inadempienze.
  • Diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.): la parte non inadempiente può intimare alla controparte di adempiere entro un termine, decorso il quale il contratto si intende risolto.

Effetti della risoluzione

La risoluzione contrattuale produce alcuni importanti e effetti.

Scioglimento del vincolo contrattuale: le parti non sono più obbligate a eseguire le prestazioni future.

Restituzioni: le prestazioni già eseguite devono essere restituite, salvo il diritto al risarcimento del danno.

Risarcimento del danno: la parte non inadempiente può richiedere un risarcimento per il pregiudizio subito.

Giurisprudenza sulla risoluzione del contratto

La giurisprudenza ha chiarito vari aspetti della risoluzione del contratto.

Cassazione n. 19579/2021: Per valutare la gravità dell’inadempimento contrattuale (art. 1455 c.c.), vanno distinte le violazioni delle obbligazioni essenziali, rilevanti ai fini della gravità, da quelle accessorie, che da sole non bastano.

Cassazione n. 18292/2022: Dopo la risoluzione del contratto per diffida ad adempiere, il recesso è precluso. La parte non inadempiente, se chiede solo la caparra o il doppio, deve abbinarvi una domanda di accertamento della risoluzione.

Cassazione n. 2047/2018: Nei contratti sinallagmatici, chi subisce l’eccessiva onerosità sopravvenuta può solo chiedere la risoluzione (art. 1467 c.c.), se non ha già eseguito la prestazione, ma non la modifica del contratto, che spetta solo alla parte convenuta in giudizio.

Cassazione n. 22725/2021: Per la clausola risolutiva espressa, le parti devono prevedere la risoluzione automatica per inadempimento di obbligazioni specifiche indicate nel contratto o in documenti espressamente richiamati.

 

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