trattamento dati sanitari

Trattamento dati sanitari: le regole del Garante Il Garante ha promosso l'adozione di nuove regole deontologiche per i trattamenti a fini statistici o di ricerca scientifica, pubblicate in GU il 5 giugno 2024

Regole deontologiche trattamento dati sanitari

Sul trattamento dei dati sanitari per fini statistici o di ricerca, il Garante Privacy ha predisposto delle regole deontologiche pubblicate in Gazzetta Ufficiale il 5 giugno scorso.

Le regole muovono dalla recente riforma dell’articolo 110 del Codice privacy, a seguito della quale il Garante Privacy ha individuato le prime garanzie da adottare per il trattamento dei dati personali a scopo di ricerca medica, biomedica e epidemiologica, riferiti a pazienti deceduti o non contattabili.

La modifica dell’art. 110 Codice Privacy

Con la modifica dell’art. 110, infatti, chi effettua attività di ricerca medica – quando risulta impossibile informare gli interessati o l’obbligo implica uno sforzo sproporzionato, oppure rischia di pregiudicare gravemente i risultati dello studio – non deve più sottoporre il progetto di ricerca e la relativa valutazione di impatto alla consultazione preventiva, essendo sufficiente rispettare le specifiche garanzie previste dal Garante.

L’Autorità ha infatti stabilito che in tutti questi casi i titolari del trattamento – oltre ad acquisire, come già previsto, il parere favorevole del competente Comitato etico a livello territoriale sul progetto di ricerca – dovranno motivare e documentare le ragioni etiche o organizzative in base alle quali non hanno potuto acquisire il consenso dei pazienti nonché, effettuare e pubblicare la valutazione di impatto, dandone comunicazione al Garante.

Con lo stesso provvedimento l’Autorità, alla luce della riforma normativa e considerato il rilevante impatto delle nuove tecnologie nelle modalità di realizzazione dell’attività di ricerca, ha promosso l’adozione delle nuove regole deontologiche per trattamenti a fini statistici o di ricerca scientifica.

Le faq del Garante

Sullo stesso tema il Garante ha fornito chiarimenti sul trattamento dei dati da parte degli IRCCS, ossia “quegli enti del Servizio sanitario nazionale che, secondo standard di eccellenza, perseguono finalità di ricerca nel campo biomedico e in quello dell’organizzazione e gestione dei servizi sanitari ed effettuano prestazioni di ricovero e cura di alta specialità”, pubblicando apposite faq sul proprio sito.

riforma tributaria

Riforma tributaria: testi unici entro il 31 dicembre 2025 La legge n. 122/2024 proroga al 31 dicembre 2025 il termine per il riordino delle disposizioni che regolano il sistema tributario mediante la redazione di testi unici

Riforma tributaria, proroga adozione dei testi unici

Riforma tributaria: altri 16 mesi di tempo per l’adozione dei testi unici. Slitta infatti dal 29 agosto 2024 al 31 dicembre 2025, il termine per l’adozione dei testi che dovranno riordinare organicamente le disposizioni che regolano il sistema tributario. A prevederlo è la legge n. 122/2024, pubblicata in Gazzetta ufficiale il 23 agosto e in vigore dal 24 agosto 2024.

Una proroga necessaria

Come evidenziato nel Consiglio dei Ministri del 20 giugno 2024, durante il quale è stato approvato il ddl “per la proroga del termine per il riordino organico delle disposizioni che regolano il sistema tributario mediante adozione di testi unici”, “in considerazione dell’avanzata fase di attuazione della riforma fiscale, al fine di poter tenere conto anche delle nuove disposizioni e di assicurare l’organicità e la completezza del quadro normativo dei diversi settori di intervento dei testi unici già in fase di elaborazione, il disegno di legge proroga al 31 dicembre 2025 il termine entro cui possono essere adottati i decreti legislativi per il riordino organico delle disposizioni che regolano il sistema tributario mediante la redazione dei testi unici, ai sensi dell’art. 21, comma 1, della legge n. 111 del 2023, recante la delega al Governo per la riforma fiscale”.
abuso dei permessi sindacali

Abuso dei permessi sindacali: ok al licenziamento La Cassazione ha ricordato che i permessi non possono essere utilizzati al di fuori della previsione normativa e per finalità personali

Abuso dei permessi sindacali

Abuso dei permessi sindacali: la concessione dei permessi sindacali non è soggetta a potere discrezionale e autorizzatorio del datore di lavoro. Nondimeno, gli stessi non possono essere utilizzati al di fuori della previsione normativa e per finalità personali. Lo ha chiarito la sezione lavoro della Cassazione con sentenza n. 20972/2024.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte di Appello di Venezia, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, confermava la pronuncia di primo grado che aveva respinto l’impugnativa del licenziamento disciplinare proposta da un dipendente nei confronti della società datrice.

La gravità della condotta

La Corte, in sintesi, ha accertato come “sussistenti le condotte rilevanti sul piano disciplinare in relazione alle giornate di assenza per permesso sindacale” ritenendo in merito alla gravità della condotta che “il fatto non è semplicisticamente riconducibile ad alcuni giorni di assenza ingiustificata, di per sé sanzionabili teoricamente con sanzione conservativa ed eventualmente con quella espulsiva. Né e decisivo il dato economico – retribuzione indebita per i vari giorni-. Il fatto contestato riguarda ben altri aspetti implicati dalla vicenda. La condizione soggettiva dell’autore, sindacalista, ossia persona preposta alla tutela di interessi collettivi e per questo beneficiario del permesso retribuito dell’art. 30, il quale utilizza tale beneficio riconosciuto dall’ordinamento per una attività diversa, è valorizzabile ai fini che qui interessano ben al di là della assenza ingiustificata di un qualsiasi lavoratore.

Insindacabilità della concessione del permesso

La insindacabilità della concessione del permesso, obbligatoria per parte datoriale, è elemento valutabile al fine di una prognosi sulla futura ottemperanza/affidabilità del dipendente circa le <regole del gioco>, circa il rispetto delle stesse nel prosieguo del rapporto. Questi elementi, valutativi di interessi generali e delle parti contrattuali rendono ancor più grave la condotta realizzata dall’incolpato, qualificabile sostanzialmente come abuso del diritto (alla stregua di quanto avviene in materia di permessi della L.104/92 – cfr. Cass. 8784/15, 5574 e 9217/16, App Venezia rg. 693/17-)”; ha concluso: “nel caso di specie alla pluralità di giorni si assomma la reiterazione della condotta elemento che è fortemente indicativo della palese indifferenza del lavoratore verso i propri doveri nei confronti del datore di lavoro aggravati dalla strumentalizzazione del ruolo sindacale rivestito”.

La questione approdava in Cassazione.

La decisione

Per gli Ermellini il ricorso non può trovare accoglimento.

In punto di doglianza sulla circostanza che la sanzione espulsiva irrogata difetterebbe di proporzionalità e che l’illecito disciplinare accertato avrebbe dovuto essere punito con sanzione conservativa alla stregua di un’assenza ingiustificata, la Corte in particolare rammenta che “è stato ribadito che il giudizio di proporzionalità della sanzione è devoluto al giudice di merito (da ultimo Cass. n. 8642 del 2024); la valutazione in ordine alla suddetta proporzionalità, implicante inevitabilmente un apprezzamento dei fatti storici che hanno dato origine alla controversia, è ora sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi ovvero manifestamente ed obiettivamente incomprensibili (in termini v. Cass. n. 14811 del 2020)”.

Concessione e uso dei permessi sindacali

Quanto al secondo aspetto, continuano dal Palazzaccio, “la Corte territoriale si mostra pienamente consapevole che la concessione dei permessi sindacali non è soggetta ad alcun potere discrezionale ed autorizzatorio da parte del datore di lavoro (v. Cass. n. 454 del 2003) e, purtuttavia, essi non possono essere utilizzati al di fuori della previsione normativa e per finalità personali o, comunque, divergenti rispetto a quelle per le quali possono essere richiesti; in particolare, la sussistenza di un diritto potestativo del rappresentante sindacale a fruire dei permessi non esclude la possibilità per il datore di lavoro di verificare, in concreto, eventualmente anche mediante attività investigativa – che non involge direttamente l’adempimento della prestazione lavorativa e non è quindi preclusa dagli artt. 2 e 3 L. n. 300/70 poiché riguarda un comportamento illegittimo posto in essere al di fuori dell’orario di lavoro, disciplinarmente rilevante – che effettivamente i permessi siano stati utilizzati nel rispetto degli artt. 23 e 24 S.d.L. (in termini: Cass. n. 34739 del 2019)”.

Abuso del diritto

Ciò posto, “la qualificazione della condotta del dipendente in termini di abuso del diritto appare coerente con l’accertamento della concreta vicenda come operato dalla Corte veneziana, ‘venendo in rilievo non la mera assenza dal lavoro, ma un comportamento del dipendente connotato da un quid pluris rappresentato dalla utilizzazione del permesso sindacale per finalità diverse da quelle istituzionali; questo esclude la riconducibilità della condotta alle richiamate norme collettive che puniscono con sanzione conservativa la assenza dal lavoro, la mancata presentazione o l’abbandono ingiustificato del posto di lavoro (così Cass. n. 26198 del 2022)”.

Per cui, conclusivamente il ricorso è respinto.

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procura speciale

Procura speciale: se manca, le spese di giudizio le paga l’avvocato Procura speciale: se mancante per la presentazione del ricorso in Cassazione spetta all’avvocato pagare le spese 

Procura speciale assente: spese a carico dell’avvocato

Se manca la procura speciale per il ricorso in Cassazione le spese di giudizio sono a carico dell’avvocato. Lo ha precisato la Corte di Cassazione nella decisione n. 23136/2024, dopo aver chiarito quali sono i requisiti di specificità della procura speciale.

Richiesta di annullamento avviso di accertamento

Una Società in nome collettivo ricorre alla Commissione Tributaria Provinciale per chiedere l’annullamento di un avviso di accertamento. La Commissione rigetta il ricorso e la contribuente si rivolge alla Commissione Tributaria Regionale, che però respinge nuovamente la richiesta di annullamento. La controversia tra la Società e l’Amministrazione finanziaria finisce quindi in Cassazione.

Procura speciale: requisiti di specificità

La Cassazione, in via preliminare, si pronuncia d’ufficio sulla presenza e sulla specificità della procura conferita all’avvocato per ricorrere innanzi alla stessa.

Sulla questione la Cassazione precisa che la procura è “speciale” ai sensi degli articoli 83 e 356 c.p.c quando la stessa è congiunta materialmente o con strumenti informatici al ricorso. Non è necessario che la stessa sia conferita contestualmente alla redazione dell’atto. Occorre però che la stessa sia conferita dopo la pubblicazione del provvedimento da impugnare e anteriormente alla notifica del ricorso per il quale è conferita.

La sentenza delle Sezioni Unite

La Cassazione a Sezioni Unite n. 2075/2024 ha precisato inoltre che in caso di ricorso per cassazione nativo digitale, notificato e depositato in modalità telematica, l’allegazione mediante strumenti informatici al messaggio di posta elettronica certificata (p.e.c.) con il quale l’atto è notificato ovvero mediante inserimento nella “busta telematica” con la quale l’atto è depositato di una copia, digitalizzata, della procura alle liti redatta su supporto cartaceo, con sottoscrizione autografa della parte e autenticata con firma digitale dal difensore, integra l’ipotesi, ex art. 83, comma 3, cod. proc. civ., di procura speciale apposta in calce al ricorso”  la stessa è valida in difetto di espressioni che univocamente conducano ad escludere l’intenzione della parte di proporre ricorso per cassazione”.

Gli ulteriori elementi di specificità della procura sono rispettati se la stessa:

  • viene conferita all’avvocato iscritto nell’apposito albo dei cassazionisti;
  • si riferisce specificamente alla fase di legittimità;
  • è rilasciata dopo la pubblicazione della sentenza da impugnare.

Tutti questi requisiti però, nel caso di specie, non sono stati rispettati.

Procura speciale mancante e spese a carico dell’avvocato

La procura è stata conferita in calce all’atto, con documento allegato. In calce al ricorso depositato telematicamente all’interno del fascicolo d’ufficio però non è presente una procura alle liti. La Cassazione ha rilevato solo una doppia attestazione di conformità in relazione agli atti depositati in primo grado e secondo grado. La procura allegata e depositata nel fascicolo telematico inoltre si riferisce a una sentenza d’appello diversa da quella impugnata nel presente giudizio.

La procura è quindi mancante e come tale insanabile. La mancanza di procura speciale in Cassazione determina l’inammissibilità del ricorso. A questo difetto consegue la condanna le spese dell’avvocato in base al seguente principio:qualora il ricorso per cassazione sia stato proposto dal difensore in assenza di procura speciale da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire in giudizio, l’attività svolta non riverbera alcun effetto sulla parte e resta nell’esclusiva responsabilità del legale, di cui è ammissibile la condanna al pagamento delle spese del giudizio.”

 

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violazione allontanamento casa familiare

Violazione allontanamento casa familiare e divieto di avvicinamento Le fattispecie di reato relative alla violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 387bis)

Nozione e interesse tutelato

Violazione allontanamento casa familiare e divieto di avvicinamento sono fattispecie che rientrano fra le novità disciplinari introdotte dalla L. 19-7-2019, n. 69 (cd. «Codice rosso»), e oggetto di correttivi ad opera della L. 24-11-2023, n. 168.

In particolare, ai sensi della citata previsione, risponde penalmente chiunque, essendovi legalmente sottoposto, violi gli obblighi o i divieti derivanti dal provvedimento che applica le misure cautelari di cui agli artt. 282bis e 282ter c.p.p. o dall’ordine di cui all’art. 384bis del medesimo codice.

Nell’individuazione dell’interesse tutelato, non può non tenersi conto della circostanza che le misure (l’inosservanza dei cui precetti viene penalmente sanzionata) assicurano una tutela immediata della vittima nei rapporti familiari, realizzando uno schermo di protezione attorno al «soggetto debole».

La genesi e la ratio della disposizione fanno propendere, quindi, per il carattere pluri-offensivo del reato che appare diretto a tutelare sia la corretta esecuzione dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria a tutela dell’incolumità delle vittime di reato, sia l’incolumità fisica e psichica, in quanto tale, delle persone a salvaguardia delle quali sono state emanate le misure citate.

La disposizione attua, altresì, l’art. 53 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, cosiddetta Convenzione di Istanbul, sottoscritta dall’Italia il 27-9-2012 e ratificata con L. 27-6-2013, n. 77, nel punto in cui dispone che la violazione delle misure dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento e comunicazione con la vittima ad opera del destinatario deve essere sanzionata penalmente o comunque deve dare luogo a «sanzioni legali efficaci, proporzionate e dissuasive».

Elemento oggettivo

Trattasi di figura criminosa diretta semplicemente a far conseguire sanzioni penali alla violazione degli obblighi o dei divieti derivanti dal provvedimento che applica le seguenti misure cautelari:

Allontanamento dalla casa familiare (art. 282bis c.p.p.)

La norma (anch’essa, come le altre richiamate dalla fattispecie, fatta oggetto di correttivi dal legislatore del 2023) prevede, fra l’altro, che con il provvedimento che dispone l’allontanamento, il giudice prescriva all’imputato di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice che procede. Il giudice, qualora sussistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, può inoltre prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro. In tale ultimo caso il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni. Il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può altresì ingiungere il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto della misura cautelare disposta, rimangano prive di mezzi adeguati. Qualora si proceda per taluno dei gravi delitti puntualmente elencati dalla norma, la misura può essere disposta, fra l’altro, con la prescrizione di mantenere una determinata distanza, comunque non inferiore a cinquecento metri, dalla casa familiare e da altri luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro. Anche in tale caso, il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni. Con lo stesso provvedimento che dispone l’allontanamento, il giudice prevede l’applicazione, anche congiunta, di una misura più grave qualora l’imputato neghi il consenso all’adozione delle modalità di controllo previste dalla norma. Qualora l’organo delegato per l’esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle predette modalità di controllo, il giudice impone l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi;

Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282ter c.p.p.)

Viene, fra l’altro, previsto che con il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento, il giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza, comunque non inferiore a cinquecento metri, da tali luoghi o dalla persona offesa, disponendo l’applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall’art. 275bis c.p.p. (trattasi di mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, di cui il giudice abbia accertato la disponibilità da parte della polizia giudiziaria). Con lo stesso provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prevede l’applicazione, anche congiunta, di una misura più grave qualora l’imputato neghi il consenso all’adozione delle modalità di controllo previste dall’art. 275bis. Qualora l’organo delegato per l’esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle predette modalità di controllo, il giudice impone l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi. Qualora sussistano ulteriori esigenze di tutela, il giudice può prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza, comunque non inferiore a cinquecento metri, da tali luoghi o da tali persone, disponendo l’applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall’art. 275bis c.p.p.;

Allontanamento d’urgenza dalla casa familiare (art. 384bis c.p.p.)

Prevede, fra l’altro, la norma che gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria abbiano facoltà di disporre, previa autorizzazione del pubblico ministero, scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, o per via telematica, l’allontanamento urgente dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti di chi è colto in flagranza dei delitti indicati per richiamo dalla previsione, ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate, ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l’integrità fisica o psichica della persona offesa. La norma dispone, altresì, che, fermo restando quanto disposto dalla disciplina del fermo, anche fuori dei casi di flagranza, il pubblico ministero dispone, con decreto motivato, l’allontanamento urgente dalla casa familiare, con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti della persona gravemente indiziata di taluno dei gravi delitti puntualmente elencati dalla norma, o di altro delitto, consumato o tentato, commesso con minaccia o violenza alla persona per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni, ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave e attuale pericolo la vita o l’integrità fisica della persona offesa e non sia possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice.

I correttivi della legge 168/2023

Su tale impianto disciplinare, come anticipato in precedenza, ha inciso la L. 24-11-2023, n. 168, recante «Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica». I correttivi affiancano ad un incremento della risposta sanzionatoria edittale massima (peraltro di soli sei mesi), una estensione dei margini di applicabilità della previsione, attraverso l’introduzione di un inedito comma 2, per effetto del quale la medesima sanzione viene disposta a carico di chi elude l’ordine di protezione previsto dall’art. 342ter, comma 1, c.c., ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio.

È opportuno precisare che l’ordine di protezione previsto dall’art. 342ter, comma 1, c.c. riguarda gli abusi familiari, la cui disciplina è confluita nell’art. 473bis.70 c.p.c., alla cui lettera si rinvia.

Elemento soggettivo

Si ritiene sufficiente il dolo generico, consistente nella consapevole e volontaria violazione delle prescrizioni imposte, a prescindere dalle concrete finalità perseguite dal reo nel violarle.

Pena ed istituti processuali

Per effetto dei correttivi all’impianto sanzionatorio, dovuti alla L. 168/2023, la pena è, per tutte le configurazioni del delitto, la reclusione da sei mesi a tre anni e sei mesi (la parte in corsivo è stata inserita dal legislatore del 2023). L’arresto in flagranza è obbligatorio, mentre il fermo non è consentito. Si procede d’ufficio e la competenza spetta al Tribunale monocratico.

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domiciliari per il marito

Domiciliari per il marito che non rispetta il divieto di avvicinamento La Cassazione conferma la misura degli arresti domiciliari al marito che non rispetta il divieto di avvicinamento anche se la moglie lo segue di propria volontà

Arresti domiciliari

Domiciliari per il marito che non rispetta il divieto di avvicinamento anche se la moglie lo segue di propria volontà perché sono ancora legati sentimentalmente. Così la prima sezione penale della Cassazione nella sentenza n. 25002/2024.

La vicenda

Nella vicenda, il tribunale di Caltanissetta con funzione di riesame rigettava la richiesta dell’imputato avverso l’applicazione della misura degli arresti domiciliari, in relazione al reato di cui all’art. 75, comma 2, D.Lgs. n. 159 del 2011 perché, essendo sottoposto alla misura della Sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune per la durata di due anni, con l’ulteriore prescrizione del divieto di avvicinarsi a oltre i duecento metri alla moglie, in ogni luogo in questa si trovi, violava la misura, accompagnandosi alla predetta.

L’indagato ricorre in Cassazione contestando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, tenuto conto che la coniuge lo avrebbe avvicinato volontariamente, stante il perdurare del rapporto sentimentale tra i due, con il fine di aiutare perché affetto da patologia oncologica documentata.

La decisione

Per gli Ermellini, il ricorso è inammissibile sotto plurimi aspetti.

Intanto premettono i giudici, “in sede di riesame, non risultano contestati i gravi indizi di colpevolezza ma solo l’inadeguatezza della misura cautelare applicata con l’ordinanza genetica (ove il Tribunale chiarisce che il riesame proposto non specificava i motivi e che, all’udienza camerale, il difensore si era limitato a sottolineare l’inadeguatezza della misura cautelare applicata in considerazione della condotta della moglie). Con il ricorso, invece, se ne contesta la sussistenza”.
Orbene, sottolinea la S.C., “secondo la giurisprudenza di legittimità cui il Collegio aderisce, non è ammissibile prospettare, in sede di ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale con funzione di riesame, questioni non devolute in ordine ai gravi indizi di colpevolezza (Sez. 3, n. 41786 del 26/10/2021, Gabbianelli, Rv. 282460 – 02)”.
In ogni caso, proseguono da piazza Cavour, “la motivazione sulla sussistenza dei gravi indizi dell’ordinanza impugnata non è manifestamente illogica ma, anzi, esauriente e completa”. Il Tribunale, peraltro, esamina la deduzione circa il presunto carattere volontario della condotta della persona offesa, ne registra la presenza nell’occasione accertata nel palazzo di giustizia e in altra precedente occasione quando questa è stata trovata a bordo di un ciclomotore condotto da indagato. “L’ordinanza, con ragionamento non affetto da illogicità manifesta – concludono -, prende in considerazione lo stato di fatto, valuta le dinamiche interne alla coppia, descrivendole come non ancora sufficientemente delineate, alla stregua delle indagini svolte, quanto ai rapporti di forza tra le parti e, soprattutto, evidenzia che lo stesso indagato aveva ammesso di non aver mai rispettato la misura in atto, manifestando espresso e totale disinteresse rispetto all’osservanza degli obblighi impostigli”. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

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educazione civica a scuola

Educazione civica a scuola: le nuove linee guida Pronte le nuove linee guida del ministero dell'Istruzione e del Merito per l'insegnamento dell'educazione civica in vigore dall'anno scolastico 2024-2025

Educazione civica a scuola

A partire dal prossimo anno scolastico, 2024/2025, entreranno in vigore le Nuove Linee Guida per l’insegnamento dell’Educazione civica.

Il testo sostituirà le Linee guida precedenti, con l’aggiunta di ulteriori contenuti, e ridefinirà traguardi e obiettivi di apprendimento a livello nazionale. Il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha inviato nei giorni scorsi il documento al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (CSPI) per il prescritto parere non vincolante.

Educazione e rispetto

“Coerentemente con il nostro dettato costituzionale, le Nuove Linee Guida promuovono l’educazione al rispetto della persona umana e dei suoi diritti fondamentali”, dichiara Valditara, “valorizzando principi quali la responsabilità individuale e la solidarietà, la consapevolezza di appartenere ad una comunità nazionale, dando valore al lavoro e all’iniziativa privata come strumento di crescita economica per creare benessere e vincere le sacche di povertà, nel rispetto dell’ambiente e della qualità della vita”.

Scuola costituzionale

“Ispirandosi al concetto di ‘scuola costituzionale’, il documento conferisce centralità alla persona dello studente e punta a favorire l’inclusione, a partire dall’attenzione mirata a tutte le forme di disabilità e di marginalità sociale. Le nuove Linee guida”, prosegue Valditara, “vogliono essere uno strumento di supporto e di guida per tutti i docenti ed educatori chiamati ad affrontare, nel quotidiano lavoro di classe, le sfide e le emergenze di una società in costante evoluzione e di cui gli studenti saranno protagonisti. La scuola si conferma pilastro del futuro del nostro Paese”.

Linee guida Educazione civica: le novità

Queste le principali novità introdotte dalle Nuove Linee Guida per l’insegnamento dell’Educazione civica:

    • è sottolineata la centralità della persona umana, soggetto fondamentale della Storia, al cui servizio si pone lo Stato. Da qui nascono la valorizzazione dei talenti di ogni studente e la cultura del rispetto verso ogni essere umano. Da qui i valori costituzionali di solidarietà e libertà e il concetto stesso di democrazia che la nostra Costituzione collega, non casualmente, alla sovranità popolare e che, per essere autentica, presuppone lo Stato di diritto. Da questo deriva anche la funzionalità della società allo sviluppo di ogni individuo (e non viceversa) e il primato dell’essere umano su ogni concezione ideologica;
    • si promuove la formazione alla coscienza di una comune identità italiana come parte della civiltà europea e occidentale e della sua storia. Di conseguenza, viene evidenziato il nesso tra senso civico e sentimento di appartenenza alla comunità nazionale definita Patria, concetto espressamente richiamato e valorizzato dalla Costituzione. Attorno al rafforzamento del senso di appartenenza a una comunità nazionale, che ha nei valori costituzionali il suo riferimento, si intende anche favorire l’integrazione degli studenti stranieri. Allo stesso tempo, la valorizzazione dei territori e la conoscenza delle culture e delle storie locali promuovono una più ampia e autentica consapevolezza della cultura e della storia nazionale. In questo contesto, l’appartenenza all’Unione Europea è coerente con lo spirito originario del trattato fondativo, volto a favorire la collaborazione fra Paesi che hanno valori e interessi generali comuni;
    • insieme ai diritti, vengono sottolineati anche i doveri verso la collettività, che l’articolo 2 della Costituzione definisce come “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. L’importanza di sviluppare anche una cultura dei doveri rende necessario insegnare il rispetto per le regole che sono alla base di una società ordinata, al fine di favorire la convivenza civile, per far prevalere il diritto e non l’arbitrio. Da qui l’importanza fondamentale della responsabilità individuale che non può essere sostituita dalla responsabilità sociale;
    • promozione della cultura d’impresa che, oltre a essere espressione di un sentimento di autodeterminazione, è sempre più richiesta per affrontare le sfide e le trasformazioni sociali attuali. Parallelamente, si valorizzano per la prima volta l’iniziativa economica privata e la proprietà privata che, come ben definisce la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, è un elemento essenziale della libertà individuale;
    • educazione al contrasto di tutte le mafie e di tutte le forme di criminalità e illegalità. In particolare, il contrasto della criminalità contro la persona, contro i beni pubblici e privati, attraverso l’apprendimento, sin dai primissimi gradi di scuola, di comportamenti individuali che possano contrastare tali fenomeni;
    • è evidenziata l’importanza della crescita economica, nel rispetto dell’ambiente e della qualità della vita dei cittadini;
    • educazione al rispetto per tutti i beni pubblici, a partire dalle strutture scolastiche, al decoro urbano e alla tutela del ricchissimo patrimonio culturale, artistico, monumentale dell’Italia;
    • promozione della salute e di corretti stili di vita, a cominciare dall’alimentazione, dall’attività sportiva e dal benessere psicofisico della persona. In tale contesto, particolare attenzione è rivolta al contrasto delle dipendenze derivanti da droghe, fumo, alcool, doping, uso patologico del web, gaming e gioco d’azzardo;
    • educazione stradale, per abituare i giovani al rispetto delle regole del codice della strada che si traduce in rispetto della propria e altrui vita;
    • si rafforza e si promuove la cultura del rispetto verso la donna;
    • promozione dell’educazione finanziaria e assicurativa, dell’educazione al risparmio e alla pianificazione previdenziale, anche come momento per valorizzare e tutelare il patrimonio privato;
    • valorizzazione della cultura del lavoro come concetto fondamentale della nostra società da insegnare già a scuola fin dal primo ciclo di istruzione;
    • educazione all’uso etico del digitale, per valutare con attenzione ciò che di sé si ‘consegna’ alla rete;
    • educazione all’uso responsabile dei dispositivi elettronici, nella consapevolezza che l’uso corretto delle tecnologie è quello che potenzia l’esercizio delle competenze individuali, non quello che lo sostituisce;
    • si conferma il divieto di utilizzo, anche a fini didattici, dello smartphone dalla Scuola dell’infanzia fino alla Scuola secondaria di primo grado.

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Pensione reversibilità coppie gay: spetta al partner e al figlio? Saranno le Sezioni Unite della Cassazione a pronunciarsi sulla questione se al partner omosessuale e al figlio avuto grazie alla maternità surrogata spetta il diritto alla pensione indiretta del defunto

Pensione reversibilità partner omosessuale: parola alle Sezioni Unite

La pensione di reversibilità in favore del partner omosessuale della coppia sposata negli Stati Uniti, che ha avuto un figlio grazie alla maternità surrogata, è oggetto dell’ordinanza interlocutoria della Cassazione n. 22992/2024. La sezione IV civile non si è pronunciata, ma ha rimesso la questione al Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. La questione da risolvere riguarda la disciplina intertemporale dettata dalla legge n. 76 del 2016.

Domanda pensione per il partner omosessuale superstite e per il figlio

Una coppia omosessuale, unita da una stabile convivenza, ha un figlio negli Stati Uniti grazie alla fecondazione assistita. La nascita del figlio viene registrata in Italia il 23.03.2010 come figlio di uno dei membri della coppia. Il 2 novembre 2013 la coppia si sposa a New York. L’atto viene trascritto in Italia come unione civile il 4.10.2016, dopo il decesso di uno dei due, verificatosi in data 8.10.2015.

Il 06.07.2016  la paternità del superstite è accertata con conseguente trascrizione della sentenza e aggiornamento dell’atto di nascita.

Nella sua qualità d’erede e di genitore responsabile del minore il membro superstite dell’unione civile superstite agisce in giudizio per far accertare il contenuto discriminatorio della decisione con cui è stata rigettata la sua domanda di erogazione della pensione indiretta del compagno defunto. Lo stesso chiede quindi il riconoscimento della misura per se e il minore.

Pensione indiretta: rigetto in primo grado e accoglimento in appello

Il Tribunale esclude la natura discriminatoria del rigetto della richiesta. La ragione del diniego deve rinvenirsi infatti nell’assenza dei requisiti richiesti dalla legge. Inammissibile inoltre la domanda per accertare il diritto alla pensione indiretta perché proposta con procedimento speciale antidiscriminatorio. Parte soccombente impugna la decisione. La Corte d’Appello accoglie il gravame e accerta il diritto del compagno superstite e del minore alla pensione indiretta perché eredi del soggetto a cui sarebbe spettata la pensione diretta.

La Corte condanna quindi l’INPS a pagare i ratei dovuti maggiorati degli interessi a partire dal 1° novembre 2015. Per la Corte i componenti della coppia omosessuale hanno diritto a un trattamento omogeneo rispetto a quello della coppia coniugata. La pensione ai superstiti rientra nell’ambito dei doveri di solidarietà previsti dalla Costituzione e che caratterizzano le relazioni affettive, comprese quelle omosessuali. Essa è espressione del diritto inviolabile di vivere la propria condizione di coppia con libertà e del diritto alla tutela giurisdizionale. La Corte giunge a conclusioni similari anche per il figlio minore.

Niente pensione indiretta prima della legge n. 76/2016

L’INPS ricorre alla Corte di Cassazione contestando il riconoscimento della pensione di reversibilità al partner superstite della coppia omosessuale. Questo perché il decesso del partner assicurato si è verificata prima dell’entrata in vigore della legge n. 76/2016, che ha regolamentato le unioni civili e le convivenze.

Con il secondo motivo l’INPS contesta la decisione della Corte d’appello per aver riconosciuto il diritto alla pensione indiretta al minore. La trascrizione della sentenza statunitense che ha riconosciuto la paternità del “genitore intenzionale” è contraria all’ordine pubblico. Per l’istituto il minore nato da una maternità surrogata non possiede il requisito soggettivo richiesto per il diritto alla pensione indiretta.

Al ricorso dell’INPS il partner superstite propone contro-ricorso con cui contesta i motivi sollevati dall’INPS. La domanda dovrebbe essere accolta a prescindere dalla anteriorità della data del decesso del partner rispetto all’entrata in vigore della legge n. 76/2016. Il rigetto avrebbe infatti natura discriminatoria. Il secondo motivo invece deve essere rigettato per la mancata legittimazione dell’INPS a contestare lo stato di filiazione accertato negli Stati Uniti.

Cassazione: “vicenda peculiare”

La Cassazione ricorda di essersi già pronunciata sulla questione, negando la pensione di reversibilità al superstite legato da stabile convivenza con un soggetto dello stesso sesso, deceduto prima dell’entrata in vigore della legge n. 76/2016.

Il caso di specie tuttavia presenta delle peculiarità rispetto all’orientamento citato. Le coppie omosessuali prima di tutto non possono optare per il matrimonio come le coppie conviventi di sesso diverso. Peculiare è inoltre la posizione del minore, che è meritevole di una tutela speciale in una situazione caratterizzata da un’accentuata vulnerabilità. Il legislatore non dovrebbesacrificare in maniera sproporzionata i fondamentali doveri di solidarietà, che presiedono al riconoscimento della pensione in favore dei superstiti, in nome dello stigma della pratica che ha condotto alla nascita del minore.” 

Parola alle Sezioni Unite

Le questioni oggetto di dibattito nella vicenda, suscettibili di ripresentarsi in numerose altre fattispecie riguardano l’interpretazione della disciplina vigente in relazione a questioni di estrema importanza, che riguardano la disciplina intertemporale della legge n. 76/2016.

Appare quindi necessario comporre il dettato normativo e le indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale e dalle Carte internazionali per garantire una tutela omogenea e non frazionata dei vari interessi in campo e per orientare il comportamento delle amministrazioni coinvolte.

Queste le ragioni per le quali la Cassazione rimette la questione al Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite in ragione delle “questioni di massima di particolare importanza, implicate dalla trattazione del ricorso principale dell’INPS e del primo motivo di ricorso incidentale.”

 

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compensi avvocato

Compenso avvocati: come si determina il valore della causa Compenso avvocati: chiarisce la Cassazione che ai fini del calcolo rileva il valore della causa determinato dal limite temporale e dall’accordo economico

Compenso avvocati e valore della causa

Come si calcola il compenso degli avvocati quando il giudice si deve pronunciare in modo definitivo su questioni che riguardano l’esistenza e la validità di un rapporto giuridico?

Ce lo spiega la Cassazione nell’ordinanza n. 22344/2024.

Compenso avvocati: DM 127/2004

Un avvocato assiste due società e agisce per farsi pagare il compenso dovuto per l’attività svolta. Il Tribunale condanna una delle S.r.l a pagare all’avvocato la somma di Euro 195.933,40. In relazione alla richiesta di pagamento avanzata alla S.r.l in fallimento invece il giudice dichiara incompetente il giudice del lavoro.

La decisione viene impugnata e la Corte d’Appello ritiene che la prestazione prestata dall’avvocato non possa essere inquadrata come una collaborazione para-subordinata, così come qualificata dal giudice di primo grado. Il compenso dovuto all’avvocato deve quindi essere calcolato applicando le tariffe del DM 127/2004 par. 2 lettere E) e F) che qualificano l’attività come assistenza ai contratti di consulenza in campo amministrativo.”

Per la complessa vicenda amministrativa l’attività prestata dall’avvocato rientra in quella contemplata dalla Tabella D) n. 2 e lett. E) per la quale sono dovuti Euro 23.730,00. Le somme dovute al legale ammontano quindi complessivamente a Euro 77.487,00.

Gli eredi succeduti all’avvocato, nel frattempo defunto, sono quindi condannati a restituire la differenza rispetto a quanto erogato.

Calcolo compenso avvocati: rileva il valore della controversia

Gli eredi dell’avvocato però impugnano la decisione, lamentando in particolare nel primo motivo:

  • l’errata applicazione delle tariffe e dei criteri previsti dal DM 127/2004. Gli stessi ritengono che la decisione abbia violato l’articolo 5 capo III del DM 127/2004. Esso sancisce infatti che il valore della controversia debba essere determinato in base a quanto previsto dagli articoli 10 e 12 c.p.c che richiamo il valore della causa per la parte oggetto di contestazione.
  • La Corte avrebbe inoltre omesso di prendere in considerazione come valore della causa il canone di affitto per tutta la durata del contratto. La stessa ha infatti considerato i canoni di un solo anno.

Assetto degli interessi che le parti regolano con l’accordo

La Corte di Cassazione, nel decidere il ricorso, accoglie il primo motivo, dichiara inammissibili il secondo e il terzo e, assorbito il quarto in virtù dell’accoglimento del primo.

Gli Ermellini premettono che il principio sancito dall’articolo 12 c.p.c “il valore delle cause relative all’esistenza, alla validità o alla risoluzione di un rapporto giuridico obbligatorio si determina in base a quella parte del rapporto che è in contestazione” subisce un’eccezione.

Si tratta dell’ipotesi in cui il giudice, come verificatosi nel caso si specie, venga chiamato ad esaminare con efficacia di giudicato le questioni relative all’esistenza o alla validità del rapporto, il cui valore va, pertanto, interamente preso in considerazione ai fini della determinazione del valore della causa.” 

Valore dell’accordo: rilevano il limite temporale e l’accordo

Nel caso di specie la Corte di appello ha richiamato il criterio contenuto nell’articolo 12 in modo corretto, ossia il valore del contratto. La stessa però ha preso in considerazione in modo errato il valore del canone riferito a un solo anno. Il valore da prendere in considerazione infatti è quello rappresentato dall’intero assetto degli interessi che le parti regolano con l’accordo, soprattutto ove l’accordo stesso sia riferito ad un tempo limitato di durata.” Il limite temporale e l’accordo economico rappresentano infatti i fattori che contribuiscono alla determinazione del valore dell’accordo.

 

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servitù di parcheggio

Servitù di parcheggio L’istituto della servitù di parcheggio e il suo tortuoso riconoscimento da parte della giurisprudenza. La decisiva sentenza delle Sezioni Unite n. 3952 del 2024

Cos’è la servitù di parcheggio?

La servitù di parcheggio è un istituto il cui riconoscimento, nel nostro ordinamento, è stato piuttosto controverso, essendosi susseguiti, nel corso degli anni, differenti orientamenti sul tema sia in giurisprudenza che in dottrina.

Da ultimo, la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, n. 3925 del 13 febbraio 2024, rappresenta un’autorevole pronuncia a favore della configurabilità della servitù di parcheggio, laddove le posizioni contrarie tendevano a ricondurre l’utilizzo di un parcheggio nell’alveo dei diritti contrattuali anziché in quello dei diritti reali.

Cosa sono le servitù prediali

Ma perché l’utilizzo di un parcheggio servente ad un’abitazione non ha trovato da subito pacifica collocazione tra le servitù prediali?

Per comprenderlo, è opportuno ricordare che, secondo l’art. 1027 del codice civile, la servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario.

In linea più generale, le servitù prediali rientrano tra i diritti reali di godimento. Si tratta, cioè di diritti che conferiscono al titolare un potere immediato e assoluto sulla cosa. L’immediatezza comporta la possibilità di utilizzare il bene senza l’intervento di terzi. L’assolutezza si sostanzia nella possibilità di far valere nei confronti di chiunque (erga omnes) l’esistenza del vincolo sulla cosa.

La servitù di parcheggio nell’autonomia contrattuale

Chiarito ciò, va rilevato, ai fini della nostra analisi, che, a differenza di altre attività (come il transito sul fondo), il parcheggio di un veicolo non è stato inizialmente riconosciuto come strettamente inerente al fondo, ma piuttosto come un’esigenza della singola persona.

In altre parole, l’accordo con cui il proprietario di un fondo (servente) concede ad un altro soggetto la possibilità di parcheggiare un veicolo, veniva sempre ricondotto dalla dottrina ad una fattispecie obbligatoria (come ad es. un contratto di locazione o di comodato gratuito), anche quando l’area di parcheggio era destinata ad essere utilizzata in funzione della vicinanza ad un altro immobile (abitazione o ufficio di chi utilizza il veicolo: fondo dominante).

Il parcheggio come diritto reale

Cosa implicano le diverse ricostruzioni che possono essere date a questa fattispecie?

Innanzitutto, se l’utilizzatore del parcheggio viene considerato titolare di un diritto personale di godimento (come avviene nel caso della locazione), non potrà avvalersi delle azioni reali a difesa del proprio diritto nei confronti di chiunque, ma potrà solo rivolgersi contro il concedente in base al rapporto obbligatorio in essere.

Inoltre, in caso di alienazione del fondo servente, il nuovo proprietario non sarà tenuto a riconoscere la sussistenza del diritto di parcheggio concesso dal precedente proprietario. Diversamente, laddove il diritto dell’utilizzatore dell’area sia riconosciuto come servitù di parcheggio (quindi inerente al fondo) egli potrà continuare ad esercitare il suo diritto anche nei confronti del nuovo proprietario del fondo servente.

Giurisprudenza sulla servitù di parcheggio

Chiariti i termini della questione e le sue implicazioni pratiche, andiamo ora ad esaminare cosa è avvenuto in dottrina e giurisprudenza riguardo a questo tema.

Un primo orientamento, come si è detto, riteneva di non ammettere la configurabilità di un diritto reale di servitù di parcheggio, poiché si riteneva sussistere un interesse della persona all’attività di parcheggio, piuttosto che un’utilità inerente al fondo dominante.

Successivamente, la Corte di Cassazione, con la sent. 7561/2019, ha aperto all’ammissibilità dell’istituto della servitù di parcheggio, invitando i giudici, in sostanza, ad indagare ed interpretare il contenuto del contratto, per comprendere se le parti abbiano voluto costituire una servitù, individuando un diritto che avesse – come ogni diritto reale – i caratteri dell’assolutezza e dell’immediatezza, oltre che dell’inerenza ai fondi servente e dominante.

Allo stesso tempo, la dottrina ha posto l’attenzione su un altro aspetto decisivo per individuare se, nel caso concreto, si sia in presenza di una servitù di parcheggio o di un diritto personale di godimento: la residua sussistenza, in capo al titolare del fondo servente, di una possibilità di utilizzo del fondo.

Se ciò accade, allora si è in presenza di una servitù, poiché questa comprime, ma non “svuota”, la possibilità di godimento del proprio fondo. Diversamente, una locazione dell’area di parcheggio conferisce l’esclusività di utilizzo dell’area.

La sentenza n. 3925/2024 delle Sezioni Unite

In questo solco si inserisce la sentenza delle Sezioni Unite di cui si diceva in apertura di trattazione.

La sentenza delle SS.UU. n. 3925 del 13 febbraio 2024, infatti, evidenzia l’onere, per i giudici merito, di esaminare il contenuto del contratto, per verificare la sussistenza dei requisiti del diritto reale su cosa altrui (servitù).

Contestualmente, viene evidenziata la necessità che dalla pattuizione emergano con precisione anche altri particolari, come la puntuale localizzazione dell’area destinata al parcheggio: proprio in tal modo, infatti, può dedursi la permanenza di una residua utilità del fondo anche in capo al proprietario del fondo servente.

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