Ecocert Inps

EcoCert INPS EcoCert INPS: cos'è, a cosa serve, come richiederlo, tempi di rilascio, valore giuridico e differenze con l'EcoMar

Cos’è l’EcoCert INPS

L’EcoCert, acronimo di Estratto Conto Certificativo, è un documento rilasciato dall’INPS che attesta, in maniera ufficiale, la posizione assicurativa e contributiva del lavoratore. Si tratta di uno strumento essenziale per chi intende pianificare il proprio accesso alla pensione, in quanto consente di verificare con certezza i contributi previdenziali accreditati e il diritto alla prestazione pensionistica.

A cosa serve l’EcoCert INPS?

L’EcoCert è diverso dal semplice estratto conto contributivo visualizzabile nel portale MyINPS: mentre quest’ultimo ha un valore meramente informativo, l’EcoCert ha valore certificativo. In altre parole, si tratta di un documento ufficiale, firmato digitalmente dall’INPS, che riconosce formalmente i periodi contributivi validi ai fini pensionistici. Viene utilizzato:

  • per controllare l’esattezza dei contributi versati;
  • per pianificare con precisione l’età e la decorrenza della pensione;
  • per procedere con eventuali ricongiunzioni, riscatti o totalizzazioni;
  • in sede di consulenza con patronati o consulenti del lavoro.

È valido sia per i lavoratori privati sia per i dipendenti pubblici.

Chi può richiederlo

Può richiedere l’EcoCert qualsiasi soggetto iscritto ad almeno una gestione previdenziale dell’INPS, sia in qualità di lavoratore dipendente che autonomo. La richiesta può essere presentata:

  • dal diretto interessato;
  • da un soggetto delegato;
  • tramite patronati accreditati.

Non è necessario aver raggiunto l’età pensionabile: la richiesta può essere avanzata in qualunque momento della carriera lavorativa, soprattutto se si intende verificare la correttezza della propria posizione assicurativa o programmare interventi correttivi.

Come ottenere l’EcoCert INPS

La procedura per richiedere l’EcoCert è semplice e si svolge in modalità telematica. Ecco i passaggi principali:

  1. Accesso al sito INPS – collegarsi al portale www.inps.it con le proprie credenziali SPID, CIE o CNS;
  2. Ricerca del servizio – nella barra di ricerca, digitare “Estratto Conto Certificativo”;
  3. Selezionare la voce “Estratto conto certificativo (EcoCert ed EcoMar)”;
  4. Cliccare su “Utilizza servizio”;
  5. Nella pagina successiva scegliere “Estratto conto per i cittadini” (l’altra opzione è per i patronati);
  6. Cliccare su “Utilizza servizio”:
  7. Presentazione della domanda – seguire le istruzioni guidate per inoltrare la richiesta online.
  8. Ricezione dell’EcoCert – Il documento viene inviato al cittadino tramite PEC o reso disponibile nell’area personale MyINPS, firmato digitalmente.

È possibile anche presentare la richiesta tramite un patronato che seguirà la pratica in nome e per conto del lavoratore.

Quanto tempo ci vuole per avere l’EcoCert?

L’INPS, a seguito della richiesta, impiega in media 30-60 giorni lavorativi per elaborare e rilasciare l’EcoCert, ma i tempi possono variare in base alla complessità della posizione contributiva del soggetto richiedente e alla mole di richieste in carico agli uffici. In alcuni casi, se sono necessarie verifiche su più gestioni o periodi particolarmente risalenti, i tempi possono allungarsi ulteriormente.

Valore giuridico del documento

L’EcoCert ha valore certificativo e, pertanto, costituisce un documento ufficiale dell’INPS che fotografa in modo fedele e verificato la situazione contributiva del lavoratore. Non è un atto definitivo ma rappresenta la base su cui l’Istituto calcolerà l’accesso alla pensione. Eventuali errori o omissioni possono essere corretti, ma è essenziale segnalarli tempestivamente.

L’INPS è obbligato per legge a rilasciare l’estratto conto certificativo su richiesta dell’interessato. L’ente infatti deve fornire, in modo trasparente, l’elenco dettagliato dei periodi assicurativi, delle retribuzioni e della contribuzione versata o accreditata.

Differenza tra EcoCert ed EcoMar

Oltre all’EcoCert, esiste anche l’EcoMar (Estratto Conto Certificativo Marittimi), rivolto specificamente ai lavoratori del settore marittimo. Entrambi hanno la medesima funzione certificativa, ma si differenziano per la gestione previdenziale di riferimento.

 

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counseling

Il counseling Counseling: cos’è, la normativa di riferimento, gli obiettivi del percorso, il ruolo del counselor e le differenze con lo psicologo

Cos’è il counseling

Il counseling è un’attività professionale di relazione d’aiuto che si rivolge a persone in cerca di supporto per affrontare momenti di difficoltà, transizione o cambiamento. Pur non configurandosi come una prestazione sanitaria, è riconosciuto in ambito sociale, educativo e professionale, e si afferma sempre più come strumento di empowerment e crescita personale.

Esso si fonda sulla relazione empatica e sulla valorizzazione delle risorse personali. Grazie alla sua versatilità, trova applicazione in numerosi contesti – educativo, aziendale, sociale – offrendo un supporto efficace e non invasivo.

Counseling: definizione

Il termine counseling (o counselling, nella grafia anglosassone) deriva dal verbo inglese to counsel, ovvero consigliare, orientare, accompagnare. In ambito professionale, si tratta di un processo comunicativo strutturato, volto a promuovere consapevolezza, autonomia e sviluppo delle risorse personali, mediante l’ascolto attivo e la relazione empatica tra counselor e cliente.

Non si tratta di  una terapia psicologica né di una diagnosi clinica: il counseling si concentra sul “qui e ora” e sulle risorse della persona, con un orientamento pragmatico e non patologizzante.

La normativa di riferimento

Il counseling in Italia non è ancora regolamentato da una legge specifica di Stato. Tuttavia, la legge n. 4 del 14 gennaio 2013 disciplina le professioni non organizzate in ordini o collegi, tra cui rientra anche quella del counselor. Secondo tale normativa, i professionisti possono associarsi in associazioni di categoria, che garantiscono il rispetto di standard formativi, deontologici e di aggiornamento.

Le principali associazioni professionali italiane sono:

  • CNCP (Coordinamento Nazionale Counselor Professionisti);
  • AssoCounseling;
  • ANCoRe: Associazione Nazionale Counselor relazionali;
  • Federazione italiana Counseling;
  • FAIP Counseling;
  • SICo (Società Italiana di Counseling);
  • ASNOR per il counseling orientativo e scolastico.

Counseling orientativo: un focus specifico

Una declinazione molto diffusa del counseling è quella orientativa, utilizzata in contesti scolastici, accademici o lavorativi. In questo ambito il counselor:

  • supporta la persona nella scelta del percorso formativo o professionale;
  • aiuta a individuare competenze, attitudini e obiettivi realistici;
  • svolge attività di bilancio di competenze e progettazione del futuro professionale.

Questo tipo di counseling è particolarmente utile in caso di transizioni scolastiche, ricollocazione lavorativa o reinserimento sociale.

Obiettivi del counseling

Il counseling mira a:

  • migliorare il benessere personale e relazionale;
  • favorire l’autonomia decisionale del cliente;
  • sostenere la persona nella definizione e nel raggiungimento di obiettivi concreti;
  • rafforzare le capacità di gestione delle difficoltà quotidiane;
  • fornire strategie di coping per affrontare eventi stressanti o transitori.

Cosa fa il counselor

Il counselor è un professionista della relazione, formato per:

  • offrire supporto in situazioni di disagio non clinico (es. stress, difficoltà relazionali, lutti, separazioni);
  • facilitare la comunicazione interpersonale;
  • promuovere la consapevolezza di sé e l’autodeterminazione;
  • supportare la gestione delle emozioni e dei conflitti;
  • accompagnare i soggetti nei percorsi di orientamento scolastico, universitario o professionale (counseling orientativo).

Il counselor non svolge attività terapeutica, ma interviene su tematiche circoscritte e con un numero definito di incontri. Per scegliere un counselor qualificato è importante verificarne la formazione, l’iscrizione a un’associazione professionale e l’adozione di un codice etico.

Differenza tra counselor e psicologo

È fondamentale distinguere tra la figura del counselor e quella dello psicologo, per evitare sovrapposizioni o fraintendimenti:

Aspetto

Counselor

Psicologo

Titolo accademico richiesto

Nessuno specifico, ma percorso formativo triennale

Laurea magistrale in Psicologia + Esame di Stato

Iscrizione ad Albo

Non prevista (ma è richiesto il rispetto della legge 4/2013)

Obbligatoria presso l’Ordine degli Psicologi

Attività consentite

Relazione di aiuto non clinica, supporto personale

Diagnosi, cura, abilitazione e riabilitazione psicologica

Ambito di intervento

Disagio esistenziale, decisioni, relazioni, orientamento

Disturbi mentali, terapia individuale o di gruppo

Lo psicologo può svolgere attività di counseling, ma non è vero il contrario: il counselor non può esercitare attività psicoterapeutica né intervenire in ambito clinico.

 

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reato di cattiva conservazione

Reato di cattiva conservazione degli alimenti: basta il rischio anche senza danno La Cassazione ribadisce che è sufficiente la potenziale pericolosità di prodotto per integrare il reato di cattiva conservazione degli alimenti

Reato di cattiva conservazione degli alimenti

Reato di cattiva conservazione degli alimenti: basta il rischio per la salute, anche senza danno concreto. In ambito alimentare, infatti, la semplice potenziale pericolosità di un prodotto è sufficiente a configurare il reato anche in assenza di danni effettivi ai consumatori. È quanto ha ribadito la terza sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 13826/2025, confermando la condanna nei confronti del titolare di una macelleria all’interno di un supermercato per la vendita di carni e salumi conservati in ambienti igienicamente inadeguati.

Quando si configura il reato ex art. 5 l. 283/1962

Secondo quanto previsto dall’articolo 5, lettere b) e d), della legge n. 283/1962, rammentano innanzitutto dal Palazzaccio, la violazione si concretizza quando gli alimenti risultano:

  • in cattivo stato di conservazione;

  • alterati o insudiciati;

  • non conformi alle norme igienico-sanitarie stabilite dalla legge.

Non è necessario che il prodotto abbia causato un danno alla salute del consumatore. È sufficiente che si accerti la propensione oggettiva dell’alimento a costituire un pericolo, in virtù del suo deterioramento o della sua contaminazione.

Il principio espresso dalla Cassazione

I giudici di legittimità hanno chiarito che ciò che rileva ai fini della responsabilità penale è l’assenza delle condizioni igieniche minime richieste per la sicurezza del prodotto alimentare.

La tracciabilità carente, la mancata adozione di misure preventive, o anche il non rispetto delle norme di comune esperienza in materia di conservazione, sono elementi sufficienti a configurare il reato.

Allegati

invalidità del matrimonio civile

Cause di invalidità del matrimonio civile Cause di invalidità del matrimonio civile: nullità e annullabilità, procedura, conseguenze e giurisprudenza

Invalidità del matrimonio civile

L’invalidità del matrimonio civile consegue al mancato rispetto dei requisiti specifici previsti dalla legge. In alcuni casi, possono verificarsi infatti situazioni che rendono nullo o annullabile il matrimonio. L’invalidità del matrimonio si verifica quindi quando manca uno degli elementi essenziali previsti dalla normativa italiana, difetto che comporta la dichiarazione di nullità o annullamento del matrimonio da parte dell’autorità giudiziaria.

Le cause di invalidità del matrimonio civile

Le cause di invalidità del matrimonio civile sono disciplinate dal Codice Civile, in particolare dagli articoli 117-129 bis. Esse si dividono in cause di nullità e cause di annullabilità.

1. Nullità assoluta del matrimonio

Un matrimonio è nullo quando manca un requisito essenziale. La nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, compreso il Pubblico Ministero. Le principali cause di nullità sono:

Matrimonio contratto in violazione degli impedimenti assoluti (art. 117 c.c.), ad esempio:

  • Matrimonio tra persone già coniugate (bigamia);
  • Matrimonio tra parenti in linea diretta o tra fratelli e sorelle
  • Matrimonio contratto tra persone una delle quali è stata condannata per omicidio o tentato omicidio del coniuge dell’altra.

2. Annullabilità del matrimonio

L’annullabilità riguarda situazioni in cui il matrimonio è valido, ma presenta vizi che ne permettono l’annullamento su richiesta di una delle parti. Le cause principali sono:

  • Incapacità del coniuge al momento del matrimonio (art. 120 c.c.):
    • Minore età senza autorizzazione.
    • Interdizione per infermità mentale.
  • Errore sull’identità o sulle qualità essenziali del coniuge (art. 122 c.c.):
    • Ad esempio, se un coniuge ignora che l’altro sia sterile o abbia commesso reati gravi.
  • Matrimonio contratto per timore (art. 122 c.c.):
    • Se un coniuge si sposa per una minaccia grave.

Procedura di annullamento del matrimonio

L’azione per far dichiarare nullo o annullabile un matrimonio viene presentata dinanzi al tribunale ordinario.

  • L’azione di nullità assoluta può essere promossa da chiunque abbia interesse, senza limiti di tempo.
  • L’azione di annullabilità deve essere promossa entro un termine specifico (generalmente un anno dalla scoperta del vizio).

Se il tribunale accoglie la domanda, il matrimonio viene dichiarato nullo con efficacia retroattiva (ex tunc), come se non fosse mai stato celebrato.

Conseguenze invalidità matrimonio civile

Le principali conseguenze della dichiarazione di invalidità del matrimonio sono:

  • perdita della qualità di coniuge, riacquisto della libertà di stato;
  • cessazione degli obblighi coniugali: i coniugi cessano di avere diritti e doveri reciproci;
  • effetti sui figli: i figli nati da un matrimonio nullo conservano lo stato di figli legittimi (art. 128 c.c.);
  • perdita dei benefici economici: cessazione dei diritti ereditari, cessazione della eventuale comunione coniugale, nullità delle donazioni fatte nell’ambito del matrimonio;
  • perdita del rapporto di affinità con i parenti dell’ex coniuge.

Giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza ha fornito interpretazioni importanti sui casi di invalidità del matrimonio.

Cassazione n. 1772/2024

In ambito matrimoniale, la validità di un matrimonio putativo, ovvero un matrimonio nullo ma considerato valido per gli effetti civili a causa della buona fede di almeno uno dei coniugi, è regolata dal principio generale di presunzione di buona fede. Questo significa che, al momento della celebrazione del matrimonio, si presume che entrambi i coniugi fossero in buona fede, cioè che ignorassero le cause di nullità del matrimonio. Di conseguenza, chiunque contesti la validità del matrimonio putativo o la buona fede di uno dei coniugi, ha l’onere di dimostrare la loro mala fede.

Tribunale di Livorno 12 luglio 2024

L’errore sulle qualità personali del coniuge è considerato essenziale e può portare all’annullamento del matrimonio solo se, conoscendo la verità, l’altro coniuge non avrebbe dato il suo consenso. Questo vale specificamente per errori riguardanti malattie fisiche o psichiche, o anomalie sessuali, che impediscono la normale vita coniugale. Tuttavia, la semplice mancata conoscenza del sesso originario del coniuge non è sufficiente per annullare il matrimonio. Considerata la durata di 18 anni del matrimonio e l’intenzione di adottare, la richiesta di annullamento deve essere respinta.

Corte di Cassazione n. 28409/2023

il matrimonio può essere annullato se uno dei coniugi, al momento della celebrazione, era incapace di intendere e di volere. Questa incapacità deve essere di tale gravità da impedirgli di comprendere il significato e le conseguenze del matrimonio. In altre parole, non è sufficiente una semplice immaturità o fragilità emotiva, ma è necessario che la persona si trovasse in uno stato patologico che avesse compromesso significativamente le sue facoltà mentali, rendendola incapace di esprimere una volontà cosciente. Tale condizione deve essere assimilabile a un grave deficit psichico, tale da annullare la capacità di comprendere appieno l’atto matrimoniale.

tredicesima

Tredicesima: cos’è e a chi spetta Tredicesima: cos'è, a chi spetta, come si calcola e come viene tassata, quando viene pagate e differenze con la quattordicesima

Cos’è la tredicesima

La tredicesima mensilità, detta anche “gratifica natalizia”, è una retribuzione aggiuntiva riconosciuta ai lavoratori dipendenti pubblici e privati, nonché ad alcuni pensionati, generalmente corrisposta nel mese di dicembre. La sua funzione è di supportare le spese legate al periodo natalizio, ma costituisce a tutti gli effetti un compenso spettante in base alla prestazione lavorativa svolta durante lanno.

A chi spetta la tredicesima

La tredicesima spetta:

  • ai lavoratori subordinati con contratto a tempo determinato o indeterminato, sia a tempo pieno che part-time;
  • ai dipendenti pubblici;
  • ai lavoratori domestici (colf, badanti, baby sitter);
  • ai pensionati hai titolari dell’assegno sociale per i quali è corrisposta direttamente dallINPS o da altri enti previdenziali;
  • ai lavoratori stagionali e agli apprendisti;
  • in generale, è riconosciuta a tutti i titolari di un rapporto di lavoro dipendente, fatta eccezione per i collaboratori coordinati e continuativi (co.co.co) e i lavoratori autonomi, che non ne hanno diritto.

Come si calcola  

La tredicesima si calcola in base alle mensilità effettivamente lavorate durante lanno solare. La formula standard di calcolo prevede:

Retribuzione lorda mensile x numero di mesi lavorati/12

Ogni mese lavorato dà diritto a 1/12 della tredicesima. In presenza di mesi parziali, possono applicarsi criteri di proporzionalità. Nella retribuzione utile al calcolo rientrano in genere:

  • la paga base
  • le indennità contingenza,
  • eventuali scatti di anzianità;
  • elementi fissi e continuativi della retribuzione nazionali o provinciali.

Nel calcolo possono essere inclusi anche altri elementi che compongono la tredicesima, se erogati con continuità.

Quando viene pagata

Per i lavoratori del settore privato, il pagamento della tredicesima avviene entro il 24 dicembre, ma può essere anticipato a discrezione del datore di lavoro. Per i dipendenti pubblici e i pensionati, è lamministrazione o lente previdenziale a stabilire la data esatta, generalmente nei primi 20 giorni di dicembre.

Come viene tassata la tredicesima

La tredicesima è soggetta a contribuzione INPS e IRPEF, ma non beneficia di detrazioni. Questo comporta che, in molti casi, la somma netta erogata risulti inferiore rispetto alla normale retribuzione mensile. È quindi soggetta a tassazione ordinaria e non separata.

Differenze tra tredicesima e quattordicesima

La tredicesima è prevista per tutti i lavoratori dipendenti e pensionati, ed è obbligatoria per legge o per contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL).

Al contrario, la quattordicesima:

  • non è sempre prevista;
  • è riconosciuta solo in presenza di specifiche clausole contrattuali (es. CCNL commercio o turismo);
  • viene generalmente erogata nel mese di giugno o luglio;
  • ha lo scopo di sostenere le spese legate al periodo estivo o alle vacanze;
  • viene calcolata in base alla retribuzione media annuale.

In ambito pensionistico, la quattordicesima è riconosciuta solo ad alcune categorie di pensionati con redditi bassi, secondo criteri stabiliti annualmente dallINPS.

 

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Vaccino anti-hpv

Vaccino anti-HPV: la Consulta legittima la legge della Puglia Per la Corte, la legge della Puglia sul vaccino anti-papilloma virus non viola la Costituzione

Vaccino anti-HPV e percorsi scolastici

Vaccino anti-HPV: con la sentenza n. 48 del 2025, la Corte costituzionale ha respinto le questioni di legittimità costituzionale sollevate in merito all’articolo 1 della legge della Regione Puglia n. 22/2024, che ha introdotto l’articolo 4-bis nella legge regionale n. 1/2024. Tale disposizione stabilisce che, per accedere ai percorsi formativi nella fascia 11-25 anni, inclusi quelli universitari, è necessario presentare una delle seguenti documentazioni alternative:

  • Attestazione della somministrazione del vaccino contro il Papilloma Virus Umano (HPV);

  • Certificazione dell’avvio del programma vaccinale;

  • Dichiarazione di rifiuto della vaccinazione;

  • Partecipazione a un colloquio informativo sui benefici del vaccino;

  • In alternativa, è possibile esprimere un “formale rifiuto” di produrre qualsiasi documento.

La Consulta conferma la legittimità della norma

Il ricorso era stato presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri, che contestava la norma regionale per presunta violazione della competenza statale esclusiva in materia di “norme generali sull’istruzione” e di livelli essenziali delle prestazioni (LEP) relativi ai diritti civili e sociali, in base all’articolo 117, secondo comma, lettere n) ed m) della Costituzione.

Venivano inoltre richiamati presunti contrasti con:

  • Gli articoli 3 e 34 della Costituzione (principio di uguaglianza e diritto all’istruzione);

  • L’articolo 117, primo comma, in relazione all’articolo 9 del Regolamento UE 2016/679 (GDPR), per il trattamento dei dati personali sanitari.

La Corte ha però dichiarato inammissibile la questione relativa ai LEP per insufficienza della motivazione, e ha ritenuto non fondate le altre censure.

Promuovere la consapevolezza vaccinale

La Consulta ha riconosciuto la legittimità della legge regionale pugliese in quanto esercizio coerente delle competenze concorrenti in materia di tutela della salute e istruzione, previste dalla Costituzione. Il provvedimento non introduce un obbligo vaccinale vero e proprio, ma mira a promuovere la vaccinazione anti-HPV o, almeno, a favorire una scelta informata da parte degli studenti e delle famiglie.

L’obiettivo è quello di stimolare la riflessione consapevole, senza imporre in modo coercitivo la presentazione di attestati sanitari. Viene, infatti, espressamente prevista la possibilità di rifiutare formalmente la produzione di qualsiasi documentazione, salvaguardando così il diritto all’istruzione e il rispetto della libertà individuale.

La decisione

La Corte costituzionale ha confermato, dunque, che la normativa regionale che prevede, ai fini dell’iscrizione ai percorsi di istruzione per i giovani tra 11 e 25 anni, l’obbligo di documentare la propria posizione vaccinale rispetto al virus HPV – anche mediante un semplice rifiuto formale – è costituzionalmente legittima. La misura rispetta il principio di proporzionalità, non vìola il diritto allo studio e rappresenta uno strumento efficace per promuovere la prevenzione sanitaria in ambito educativo, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali della persona.

giurista risponde

Contratto preliminare di compravendita e mutuo Come si qualifica, in un preliminare di vendita, la condizione con cui le parti subordinano gli effetti di un contratto di compravendita immobiliare all’ottenimento di un mutuo da parte del promissario acquirente per il pagamento del prezzo?

Quesito con risposta a cura di Francesca Alfieri e Claudia Crisafulli

 

Va qualificata come mista la condizione con cui le parti subordinano gli effetti di un contratto di compravendita immobiliare all’ottenimento da parte del promissario acquirente di un mutuo da un istituto bancario, al fine di provvedere al pagamento del prezzo pattuito (Cass., sez. II, ord. 7 gennaio 2025, n. 243 – Contratto preliminare di compravendita e mutuo).

Il caso trattato trae origine dalla citazione in giudizio di una società nei confronti di un’altra, con cui la prima chiedeva l’accertamento della verificazione della “condizione risolutiva espressa” apposta al contratto preliminare di compravendita immobiliare, che l’esponente aveva stipulato in qualità di promissario acquirente. Tale contratto, infatti, era stato subordinato, fra l’altro, all’approvazione del leasing con la specifica che, in caso della sua mancata approvazione l’acconto versato doveva essere restituito. Non essendo stato approvato il leasing nei termini prestabiliti, il promissario acquirente aveva adito il Tribunale, chiedendo che fosse accertato l’avveramento della condizione risolutiva espressa con conseguente condanna della convenuta, promittente alienante, alla restituzione dell’acconto e che fosse annullato l’accordo. Il Tribunale adito, in accoglimento della domanda attorea, ha dichiarato risolto il contratto e condannato la convenuta a pagare l’acconto. Tuttavia, la Corte di Appello disattendeva la decisione di primo grado, qualificando la condizione come potestativa mista. Questa stabiliva, infatti, che, poiché detta condizione era stata inserita nell’interesse di entrambe le parti, era la società acquirente a dover provare di aver agito correttamente per ottenere l’approvazione del leasing. La Corte decideva, pertanto, di accogliere l’impugnazione proposta dalla promittente alienante, disponendo il trasferimento immobiliare, ai sensi dell’art. 2932 c.c.

La Corte di Cassazione, successivamente adita, cassava con rinvio la sentenza d’appello impugnata, soffermandosi sulla natura delle condizioni apposte dalle parti nei contratti di compravendita immobiliare. Per la Suprema Corte, in particolare, nella circostanza in cui le parti subordinino gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga un mutuo da un istituto bancario, per poter pagare in tutto o in parte il prezzo pattuito, la relativa condizione è da qualificare come “mista”. La decisione, ha altresì specificato che detta concessione dipende anche dal comportamento del promissario acquirente nell’approntare la relativa pratica, ma la mancata erogazione comporta le conseguenze previste dal contratto senza che rilevi, ai sensi dell’art. 1359 c.c., un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente.

Ai fini dell’art. 1359 c.c., infatti, il comportamento omissivo del promissario acquirente non incide poiché l’omissione di attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituisce fonte di responsabilità, in quanto l’attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, da escludere per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo di una condizione mista.

In conseguenza, a differenza di quanto affermato dalla Corte di appello ligure, non è consentito sostenere che al promissario acquirente possa addebitarsi il mancato avveramento della condizione per non aver assolto al preteso onere della prova su costui gravante.

Ciò premesso, la Corte ha cassato la sentenza con rinvio e pronunciato il seguente principio di diritto: «la controversia intercorsa tra promittente alienante e promissario acquirente a riguardo del mancato avveramento di una condizione potestativa mista, apposta nell’interesse di entrambe le parti, non può essere risolta facendo applicazione del generale principio regolante l’onere della prova nei contratti sinallagmatici. Ma deve accertarsi, sulla scorta delle emergenze di causa e in concreto, se sia individuabile una parte inadempiente o, comunque, prevalentemente inadempiente (nel caso gli adempimenti fossero reciproci), per avere mancato di comportarsi secondo buona fede, avuto riguardo alla condizione apposta al negozio e in pendenza di essa».

 

(*Contributo in tema di “Contratto preliminare di compravendita e mutuo”, a cura di Francesca Alfieri e Claudia Crisafulli, estratto da Obiettivo Magistrato n. 83 / Marzo 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

fondo di solidarietà comunale

Fondo di solidarietà comunale legittimo Fondo di solidarietà comunale: legittimo per la Consulta il trasferimento di risorse ai comuni per i servizi essenziali

Fondo di solidarietà comunale

Con la sentenza n. 45 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Regione Liguria contro alcune disposizioni della legge n. 213 del 2023 (legge di Bilancio per l’anno 2024), in particolare l’articolo 1, commi 494, 497, 533, 534 e 535.

Le norme impugnate prevedono il trasferimento di risorse dal Fondo di solidarietà comunale al nuovo Fondo per l’equità del livello dei servizi, con vincolo di destinazione in favore dei comuni che non abbiano ancora raggiunto i livelli essenziali di prestazione (LEP) nei settori dei servizi sociali, degli asili nido e del trasporto scolastico per alunni con disabilità.

Rispetto dei livelli essenziali di prestazione

La scelta legislativa recepisce quanto già affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 71 del 2023, in cui è stato ribadito che, ai sensi dell’art. 120, secondo comma, della Costituzione, lo Stato può esercitare poteri sostitutivi qualora un ente territoriale non garantisca adeguatamente i diritti civili e sociali riconducibili ai livelli essenziali di prestazione.

Secondo la Corte, tale potere si collega in modo sistemico all’art. 119, quinto comma, Cost., che consente la creazione di fondi perequativi speciali, strutturati in modo distinto e trasparente, diversi dal fondo perequativo ordinario previsto dal terzo comma dello stesso articolo.

Distinzione fondi perequativi ordinari e speciali

La Consulta ha ribadito che, mentre il Fondo di solidarietà comunale, in quanto unico fondo perequativo riferito ai comuni, non può contenere quote vincolate, le risorse destinate al raggiungimento dei LEP possono invece essere correttamente allocate in fondi separati e dedicati, come nel caso del nuovo Fondo per l’equità del livello dei servizi.

Tale collocazione deve rispettare criteri di:

  • autonomia finanziaria regionale;

  • trasparenza amministrativa;

  • coerenza con la finalità costituzionale di riequilibrio territoriale.

Priorità alla spesa pubblica essenziale

La Corte ha sottolineato che il criterio adottato dal legislatore mira ad attuare il principio della spesa costituzionalmente necessaria, secondo cui, in un contesto di risorse pubbliche limitate, devono essere prioritariamente garantite le spese connesse alla tutela della salute, dei diritti sociali e delle politiche per la famiglia, rispetto ad altre voci di bilancio prive di specifica finalizzazione.

imu dovuta

Imu dovuta solo per la possibilità di avvalersi dell’immobile La Corte Costituzionale ha chiarito che l'IMU è dovuta anche se l'immobile non è utilizzato, rileva la titolarità dello stesso

IMU dovuta anche se l’immobile non è utilizzato

Imu dovuta anche se l’immobile non è utilizzato. Con la sentenza n. 49 del 2025, la Corte costituzionale ha respinto le questioni di legittimità sollevate in relazione all’articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, che disciplina l’Imposta Municipale Unica (IMU). I dubbi interpretativi riguardavano la presunta violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione, relativi ai principi di uguaglianza e capacità contributiva.

IMU anche in assenza di utilizzo effettivo

Secondo quanto stabilito dalla Consulta, l’obbligo di pagamento dell’IMU non dipende dall’uso concreto dell’immobile, bensì dalla mera titolarità del diritto reale su di esso. Anche gli immobili posseduti da imprese e destinati alla vendita, purché non locati, costituiscono indice rilevante di capacità contributiva.

Il criterio utilizzato è quello dell’“astratta possibilità di utilizzo” del bene: non è dunque necessaria la fruizione effettiva, essendo sufficiente che il possessore mantenga il controllo giuridico e materiale dell’immobile.

Il presupposto dell’IMU è il possesso

La Corte ha ribadito che l’IMU è un’imposta patrimoniale fondata sul possesso di immobili (proprietà, usufrutto o altro diritto reale). Solo in casi eccezionali può essere esclusa, ad esempio quando l’immobile sia oggettivamente inutilizzabile e il contribuente abbia adottato comportamenti diligenti per recuperarne la disponibilità.

Questo principio è stato chiarito anche nella sentenza n. 60 del 2024, con cui è stata dichiarata l’incostituzionalità della norma nella parte in cui non esclude dal tributo gli immobili non utilizzabili né disponibili, per i quali sia stata presentata regolare denuncia all’autorità giudiziaria.

Discrezionalità del legislatore

La Corte ha altresì richiamato il principio di discrezionalità legislativa, secondo cui spetta al Parlamento decidere in merito all’introduzione, quantificazione e condizioni delle agevolazioni fiscali, purché le scelte operate non risultino manifestamente irragionevoli.

In tal senso si colloca anche la sentenza n. 72 del 2018, in cui è stato ribadito che il legislatore è chiamato a trovare un equilibrio tra le esigenze di finanza pubblica e la capacità contributiva dei cittadini, contribuendo in modo equo al sostegno delle spese collettive.

aggio della riscossione

Aggio della riscossione: no a intervento retroattivo Per la Corte Costituzionale, il legislatore non era obbligato a eliminare retroattivamente l’aggio della riscossione

Aggio della riscossione

Con la sentenza n. 46 del 2025, la Corte costituzionale ha chiarito che il legislatore non era tenuto a intervenire retroattivamente in materia di aggio di riscossione, confermando la legittimità della scelta di prevederne l’abolizione solo a decorrere dal 1° gennaio 2022, come disposto con la legge di Bilancio 2022.

La pronuncia è intervenuta a seguito di una questione sollevata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, che lamentava una presunta lesione di vari principi costituzionali, connessa al mantenimento dell’aggio per i periodi antecedenti alla riforma.

Riforma dell’aggio: principio di discrezionalità

Secondo quanto affermato dalla Corte, l’intervento normativo che ha riformato il sistema di remunerazione dell’agente della riscossione dà seguito all’invito formulato con la sentenza n. 120 del 2021, ma senza necessità di retroattività. Quella decisione – ha spiegato la Corte – rientra tra le pronunce di “inammissibilità di sistema”, vale a dire quelle che, pur rilevando profili critici di compatibilità costituzionale, non comportano l’immediata declaratoria di incostituzionalità, ma rimettono al legislatore il compito di intervenire in maniera congrua e ponderata.

In questo ambito, si è quindi riconosciuto al Parlamento un ampio margine di discrezionalità, anche nella scelta del “quando” e del “come” intervenire. Il legislatore, pertanto, era legittimato a stabilire un termine di decorrenza futura per la nuova disciplina, senza dover incidere sui rapporti pregressi.

Il principio della non retroattività

La Corte ha sottolineato che anche la disciplina dell’efficacia temporale delle leggi rientra nella discrezionalità del legislatore, purché non violi principi di ragionevolezza o di tutela dell’affidamento legittimo. La scelta di applicare la riforma dell’aggio di riscossione solo per il futuro, come avvenuto dal 2022, risponde dunque a un criterio legittimo e conforme alla giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte Cost. n. 130 e n. 71 del 2023, n. 22 del 2022, che confermano la facoltà del legislatore di adottare soluzioni diverse, purché non manifestamente irragionevoli, per eliminare eventuali criticità costituzionali).