responsabilità dello psichiatra

La responsabilità dello psichiatra Responsabilità dello psichiatra: definizione, posizione di garanzia, tipologie, prescrizione, TSO e giurisprudenza

Cos’è la responsabilità dello psichiatra

La responsabilità dello psichiatra è un tema delicato che coinvolge aspetti giuridici, etici e medici. Trattandosi di una figura professionale che opera su pazienti affetti da disturbi mentali, lo psichiatra è titolare di una posizione di garanzia, ovvero ha l’obbligo di prevenire eventi dannosi che potrebbero derivare dalle condizioni del paziente.

Lo psichiatra infatti è un medico specialista che si occupa della diagnosi, cura e prevenzione dei disturbi psichici. La sua responsabilità giuridica deriva dall’obbligo di prendersi cura del paziente e prevenire danni  che lo stesso può procurare a sé stesso e agli altri.

Questa figura può andare incontro a due principali forme di responsabilità:

  • responsabilità civile, che comporta un obbligo di risarcimento danni se si verifica un pregiudizio per il paziente o per terzi;
  • responsabilità penale, che si verifica quando lo psichiatra, con negligenza, imprudenza o imperizia, causa un danno penalmente rilevante.

La posizione di garanzia dello psichiatra

La giurisprudenza ha chiarito che lo psichiatra ha una posizione di garanzia nei confronti del paziente e della collettività. Questo significa che deve adottare tutte le misure necessarie per prevenire comportamenti autolesivi o etero-lesivi del paziente. Secondo l’art. 40 comma 2 del Codice Penale, “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”.

Facciamo qualche esempio pratico per comprendere meglio che cosa significa posizione di garanzia:

  • se un paziente con disturbi psichiatrici manifesta tendenze suicidarie e lo psichiatra omette di ricoverarlo, può essere considerato responsabile in caso di suicidio;
  • se un paziente con disturbi gravi compie atti violenti contro terzi e lo psichiatra non ha predisposto le dovute misure di sicurezza, può essere ritenuto responsabile civilmente e penalmente.

La responsabilità è quindi molto alta soprattutto nei casi in cui il medico non interviene in situazioni di pericolo evidente.

Responsabilità civile dello psichiatra

Dal punto di vista civile, la responsabilità dello psichiatra può derivare da:

  • errore diagnostico o terapeutico (es. prescrizione errata di farmaci psichiatrici);
  • omessa vigilanza (es. dimissione di un paziente pericoloso senza adeguata valutazione);
  • violazione del consenso informato (es. trattamenti sanitari imposti senza rispettare la normativa).

Regime della prescrizione

Entro quanto tempo si può far valere il diritto che consegue alla responsabilità civile del medico psichiatra? Tutto dipende dalla natura della responsabilità stessa:

  • se la responsabilità è contrattuale (rapporto medico-paziente), il termine di prescrizione è di 10 anni;
  • se la responsabilità è extracontrattuale, la prescrizione è di 5 anni.

Responsabilità penale dello psichiatra

Dal punto di vista penale, lo psichiatra può essere chiamato a rispondere di:

  • Omissione di atti d’ufficio (art. 328 c.p.);
  • Omicidio colposo o lesioni colpose (art. 589-590 c.p.);
  • Sequestro di persona (se impone un trattamento sanitario obbligatorio illegittimo)

La colpa medica nella responsabilità psichiatrica

La colpa dello psichiatra si valuta in base a tre parametri:

  • negligenza: mancata vigilanza su pazienti pericolosi;
  • imprudenza: scelte terapeutiche azzardate (es. sospensione improvvisa di farmaci);
  • imperizia: errore nella diagnosi o terapia.

TSO e responsabilità dello psichiatra

Lo psichiatra può disporre un TSO (trattamento sanitario obbligatorio) nei  seguenti casi:

  • il paziente ha un grave disturbo psichiatrico;
  • il paziente rifiuta il trattamento nonostante necessiti di cure;
  • il paziente rappresenta un pericolo per sé o per gli altri.

Lo psichiatra in relazione al TSO può andare incontro a responsabilità se:

  • non attiva il TSO e il paziente commette un reato, può essere accusato di omissione di atti dovuti;
  • impone un TSO senza rispettare la procedura, può incorrere in sequestro di persona.

Doveri dello psichiatra per evitare responsabilità

Per ridurre i rischi di responsabilità, lo psichiatra deve quindi:

  • effettuare diagnosi accurate e aggiornate;
  • valutare attentamente il rischio di autolesionismo o etero-aggressività;
  • predisporre il TSO quando necessario, seguendo la legge;
  • coinvolgere la famiglia e il team sanitario nelle decisioni;
  • rispettare il consenso informato del paziente.

Poiché la responsabilità dello psichiatra è molto elevata,  è fondamentale operare con prudenza e rispettare scrupolosamente le linee guida cliniche e giuridiche.

Giurisprudenza in materia

Ecco una serie di massime della Cassazione in materia di responsabilità dello psichiatra:

Cassazione n. 24138/2022

La paziente mostrava gravi problemi psicologici, accentuati da ricoveri frequenti, rifiuto di cibo, autolesionismo e un recente aborto traumatico. Il medico, con comportamenti errati e insoliti, non ha valutato adeguatamente la gravità della situazione, ignorando il rischio e non adottando misure preventive, inclusa la procedura di Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), dimostrando negligenza e imprudenza. Il medico per queste ragioni è stato ritenuto responsabile della morte della paziente suicida.

Cassazione n. 43476/2017

Un medico psichiatra ha la responsabilità legale di proteggere i propri pazienti. Questo significa che deve fare tutto il possibile per prevenire:

  • che il paziente possa fare del male ad altre persone;
  • che il paziente possa fare del male a se stesso.

In un caso specifico, un medico è stato ritenuto colpevole di omicidio colposo perché una paziente, affetta da grave schizofrenia, si è suicidata poche ore dopo essere stata dimessa dall’ospedale. Il medico, nonostante la paziente avesse ingerito una dose eccessiva di farmaci, non aveva attivato alcuna cura o sorveglianza. La Corte ha stabilito che il medico non aveva adempiuto al suo dovere di protezione.

Cassazione n. 28187/2017

La possibilità che uno psichiatra sia ritenuto responsabile per aver contribuito involontariamente a un reato intenzionale commesso da un suo paziente esiste nel sistema legale. Tuttavia, questa responsabilità deve essere valutata con attenzione, considerando le linee guida mediche per determinare i limiti del rischio accettabile e valutando in anticipo se l’adeguatezza delle terapie scelte.

Cassazione n. 33609/2016

Uno psichiatra ha la responsabilità di proteggere i suoi pazienti, anche quando questi non sono ricoverati forzatamente. Ciò significa che, se esiste un rischio concreto che il paziente possa farsi del male, anche fino al suicidio, il medico deve prendere precauzioni specifiche per prevenirlo.

previdenza complementare

La previdenza complementare Previdenza complementare: cos’è, a cosa serve, normativa, come e perché aderire, vantaggi, svantaggi e adesione tacita

Cos’è la previdenza complementare

La previdenza complementare è un sistema di risparmio a lungo termine finalizzato a integrare la pensione pubblica obbligatoria erogata dall’INPS. Si tratta di una forma di previdenza volontaria, disciplinata da un complesso quadro normativo che mira a garantire maggiore sicurezza economica al termine della vita lavorativa, soprattutto in considerazione del progressivo abbassamento dei livelli pensionistici.

Detta anche secondo pilastro previdenziale, la previdenza complementare è un sistema pensionistico integrativo rispetto alla pensione pubblica, basato sull’adesione volontaria a forme pensionistiche collettive o individuali. L’obiettivo è quello di costituire una rendita integrativa che si aggiunge a quella derivante dal sistema pensionistico obbligatorio, garantendo un tenore di vita più stabile e adeguato dopo il pensionamento.

Normativa di riferimento

Il principale riferimento normativo in materia è il decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, che disciplina:

  • le forme pensionistiche complementari;
  • le modalità di adesione;
  • il trattamento fiscale;
  • la vigilanza e tutela degli aderenti.

L’ente preposto alla vigilanza del settore è la COVIP (Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione), mentre l’INPS svolge funzioni informative e di raccordo con il primo pilastro.

Come aderire alla previdenza complementare

Vediamo ora come aderire alla previdenza complementare e per quali ragioni.

Modalità di adesione

L’adesione può avvenire in due modalità:

  • collettiva, tramite contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) o accordi aziendali, con destinazione del TFR (trattamento di fine rapporto) a un fondo pensione di categoria;
  • individuale, su iniziativa del singolo lavoratore, scegliendo un fondo aperto o un PIP (piano individuale pensionistico).

È possibile aderire:

  • al momento dell’assunzione, nel caso dei lavoratori dipendenti;
  • in qualsiasi momento della carriera lavorativa, per autonomi, parasubordinati o liberi professionisti.

Perché aderire

Le ragioni principali che spingono a scegliere la previdenza complementare sono:

  • il progressivo ridimensionamento delle pensioni pubbliche (sistema contributivo);
  • la necessità di pianificare un futuro finanziario più sicuro;
  • i vantaggi fiscali;
  • la possibilità di richiedere anticipazioni per spese sanitarie, acquisto prima casa, ecc00

I vantaggi della previdenza complementare

  1. Vantaggi fiscali:
    • Le somme versate sono deducibili dal reddito imponibile fino a un massimo di 5.164,57 euro annui.
    • Tassazione agevolata della rendita o del capitale al momento della prestazione (dal 15% al 9% in base agli anni di permanenza nel fondo).
  1. Gestione professionale del risparmio:
    • I fondi sono gestiti da società autorizzate e vigilate, con profili di rischio diversificati.
  1. Flessibilità e anticipazioni:
    • È possibile richiedere anticipazioni fino al 75% della posizione maturata per esigenze personali, acquisto prima casa, spese sanitarie o altre necessità.
  1. Portabilità e continuità:
    • In caso di cambio lavoro o interruzione, è possibile trasferire la posizione previdenziale.
  1. Complementarità con il TFR:
    • La previdenza complementare consente un impiego produttivo del TFR, che altrimenti resterebbe presso il datore di lavoro.

Svantaggi e criticità

Come ogni forma di investimento, la previdenza complementare presenta anche alcuni aspetti critici da valutare attentamente:

  • vincoli temporali: i fondi sono pensati per il lungo periodo, quindi i capitali sono generalmente non disponibili fino al pensionamento;
  • rendimento incerto: essendo strumenti finanziari, i rendimenti possono variare in base all’andamento dei mercati;
  • costi di gestione: alcuni fondi possono avere oneri amministrativi elevati, che riducono il rendimento netto;
  • limitata accessibilità in caso di emergenza: le somme non sono liquidabili liberamente, salvo nei casi previsti dalla legge.

La previdenza complementare è obbligatoria?

La previdenza complementare non è obbligatoria. Tuttavia, vi sono alcune situazioni in cui il silenzio del lavoratore può produrre effetti:

  • in caso di mancata scelta esplicita sulla destinazione del TFR entro sei mesi dall’assunzione, esso viene conferito automaticamente al fondo pensione previsto dal contratto collettivo applicato.

Pertanto, anche se formalmente volontaria, l’adesione può avvenire in forma tacita.

 

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contributi tv locali

Contributi tv locali: lo scalino preferenziale garantisce il pluralismo La Corte Costituzionale conferma la legittimità dello scalino preferenziale nei contributi pubblici alle tv locali

Meccanismo “scalino preferenziale”

Contributi tv locali: con la sentenza n. 44/2025, la Corte costituzionale ha respinto le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Consiglio di Stato riguardanti il sistema di assegnazione dei contributi pubblici alle emittenti televisive locali. In particolare, è stata confermata la legittimità del cosiddetto scalino preferenziale, meccanismo che prevede una ripartizione delle risorse in base alla posizione in graduatoria.

Nessuna violazione dell’art. 77 Cost.

La Corte ha anzitutto escluso che gli emendamenti, con cui sono state legificate le norme regolamentari in materia di contributi, abbiano violato l’articolo 77 della Costituzione. Non sussiste, infatti, il difetto di omogeneità tra il contenuto originario dei decreti-legge e le disposizioni successivamente introdotte.

Irrilevante interferenza con giudizi

Sono state inoltre dichiarate infondate le censure relative all’interferenza con l’esercizio del potere giurisdizionale. Il meccanismo in esame non compromette né i giudicati formatisi né i giudizi ancora in corso, risultando compatibile con il principio di separazione dei poteri.

Lo “scalino preferenziale” non lede il pluralismo

La Corte ha chiarito che il criterio che assegna il 95% dei contributi alle prime cento emittenti in graduatoria e solo il 5% alle restanti non viola i principi del pluralismo informativo e della concorrenza.

Panorama informativo e ruolo della qualità

Nel motivare la decisione, la Consulta ha evidenziato il profondo mutamento del sistema dell’informazione, oggi fortemente influenzato dalla digitalizzazione, che ha eliminato molte barriere tecniche ed economiche, permettendo una moltiplicazione delle fonti. In questo contesto, l’obiettivo diventa la salvaguardia della qualità dell’informazione, più che l’aumento delle voci presenti nello spazio pubblico.

Contributi tv locali e scalini preferenziale

Il meccanismo dello scalino preferenziale mira a premiare le emittenti più strutturate, promuovendo l’uso di tecnologie avanzate e la produzione di contenuti informativi di qualità. La Corte ha ritenuto tale scelta non irragionevole, poiché orientata a sostenere imprese editoriali capaci di affrontare il mercato e garantire occupazione stabile nel settore.

furto in abitazione

Furto in abitazione: sì all’attenuante sulla recidiva Ravvedimento post delictum e furto in abitazione: la Corte costituzionale dichiara illegittimo il divieto di prevalenza dell'attenuante sulla recidiva reiterata

Furto in abitazione e attenuante

La Corte costituzionale, con sentenza n. 56/2025, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui vieta di riconoscere prevalente l’attenuante della collaborazione del reo (art. 625-bis cod. pen.) rispetto alla circostanza aggravante della recidiva reiterata.

La qlc

La questione era stata sollevata dal Tribunale di Perugia nell’ambito di un procedimento per furto in abitazione, in cui l’imputato aveva contribuito in maniera determinante all’individuazione del correo. Il giudice rimettente contestava che il divieto previsto dalla norma censurata violasse i principi di ragionevolezza e di finalità rieducativa della pena, sanciti dall’art. 27, terzo comma, della Costituzione.

La Consulta, richiamando precedenti pronunce in materia, ha accolto la questione, osservando che il divieto di prevalenza neutralizza la funzione incentivante dell’attenuante di cui all’art. 625-bis cod. pen., attribuendo alla recidiva reiterata un rilievo assoluto, senza considerare il comportamento collaborativo successivo del reo e i rischi personali e familiari da esso derivanti.

Ravvedimento post delictum

Secondo la Corte, tale preclusione impedisce che il ravvedimento post delictum produca pienamente i suoi effetti, privando di efficacia lo strumento voluto dal legislatore per favorire la dissociazione dal contesto criminale. Inoltre, irrigidendo il giudizio sulla capacità a delinquere, la norma contestata si pone in contrasto con il principio di rieducazione della pena, facendo percepire la sanzione come ingiusta e, pertanto, inefficace ai fini previsti dalla Carta costituzionale.

La decisione

La decisione conferma l’orientamento volto a valorizzare la condotta successiva al reato, anche in presenza di precedenti penali, nel rispetto della funzione rieducativa che deve connotare l’esecuzione della pena.

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maltrattamenti in famiglia

Maltrattamenti in famiglia: no a sospensione automatica responsabilità genitoriale Maltrattamenti in famiglia, la Corte costituzionale limita l’automatismo: il giudice deve valutare l’interesse del minore nella sospensione della responsabilità genitoriale

Maltrattamenti in famiglia, no all’automatismo

Con la sentenza n. 55/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità parziale dell’articolo 34, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui impone automaticamente la sospensione della responsabilità genitoriale a seguito della condanna per maltrattamenti in famiglia (articolo 572, secondo comma, c.p.) commessi in presenza o a danno di minori.

L’intervento della Consulta

La questione di legittimità era stata sollevata dal Tribunale di Siena, che, pur avendo riconosciuto la responsabilità penale di due genitori per maltrattamenti nei confronti dei figli conviventi, aveva evidenziato l’incompatibilità tra l’applicazione automatica della pena accessoria e la necessità di tutelare, in concreto, l’interesse del minore.

Secondo l’articolo 34, secondo comma, c.p., la condanna per reati commessi abusando della responsabilità genitoriale comporta automaticamente la sospensione dall’esercizio della stessa, per una durata pari al doppio della pena principale. Tuttavia, questo meccanismo, secondo la Corte, si pone in contrasto con i principi espressi dagli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione, che pongono al centro la tutela effettiva dell’interesse del minore.

L’automatismo censurato

La Consulta ha rilevato che l’applicazione rigida della sospensione non consente una valutazione concreta della situazione familiare e del rapporto tra genitore e figlio, impedendo al giudice di considerare se, in casi specifici, mantenere la responsabilità genitoriale possa meglio garantire il benessere del minore.

La pronuncia richiama l’orientamento consolidato secondo cui l’interesse del minore è il parametro fondamentale nella regolazione dei rapporti familiari, e sottolinea che l’automatismo previsto dalla norma censurata crea una presunzione assoluta di incompatibilità tra la condanna e la prosecuzione del rapporto genitoriale, presunzione che risulta irragionevole e lesiva della dignità e dei diritti del minore stesso.

Il ruolo del giudice nella tutela concreta del minore

La Corte costituzionale ha quindi affermato che spetta al giudice, caso per caso, valutare se la sospensione della responsabilità genitoriale sia effettivamente conforme al preminente interesse del minore. Tale valutazione deve tener conto non solo della gravità del reato, ma anche dell’evoluzione del rapporto genitoriale successivamente ai fatti oggetto di condanna.

In particolare, la responsabilità genitoriale comporta obblighi e diritti che non devono essere compressi senza una attenta ponderazione degli effetti concreti sull’equilibrio e sulla crescita del minore.

intercettazioni telefoniche

Intercettazioni telefoniche: per legge fino a 45 giorni Intercettazioni telefoniche: in vigore dal 24 aprile la legge che ha fissato a 45 giorni il termine di durata massimo, salvo eccezioni

Intercettazioni telefoniche: durata

In vigore dal 24 aprile 2025, la legge n. 47/2025 che impone il limite massimo di 45 giorni per le intercettazioni telefoniche. Il testo era stato approvato in via definitiva dalla Camera dei deputati nella giornata di mercoledì 19 marzo 2025 con 147 voti favorevoli, 67 contrari e un astenuto.

Durata limitata con eccezioni

La nuova norma stabilisce che le intercettazioni non possano superare il tetto di 45 giorni. Tuttavia, se emergono elementi concreti e specifici che ne rendano indispensabile la prosecuzione, il limite può essere esteso con un’esplicita motivazione. Questa regola si applica a tutte le operazioni di ascolto, salvo specifiche eccezioni previste dalla legge.

Il provvedimento prevede deroghe infatti per i reati di criminalità organizzata  e minacce telefoniche.

Modifiche al codice di procedura penale

Il provvedimento modifica l’articolo 267 del codice di procedura penale, introducendo il limite temporale alle intercettazioni. Inoltre, l’articolo 13 del decreto-legge n. 152 del 1991 viene aggiornato per escludere dall’applicazione del nuovo limite a reati gravi.

Cosa cambia nelle intercettazioni telefoniche

La nuova legge rappresenta un cambiamento significativo nella disciplina delle intercettazioni. Se da un lato introduce un controllo più stringente sulle operazioni investigative, dall’altro solleva dubbi sulla sua efficacia nel contrastare i reati più gravi. Il dibattito resta aperto tra chi la considera una misura di garanzia e chi, invece, teme un indebolimento delle indagini giudiziarie.

 

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rap web

Rap web: guida al servizio delle Entrate Registrazione atti privati online: aggiornata la guida “Rap Web” dell’Agenzia delle Entrate

La guida “Rap Web” dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate ha aggiornato la brochure informativa relativa al servizio “Rap Web”, la piattaforma digitale per la registrazione telematica degli atti privati. La nuova versione della guida è consultabile nella sezione “L’Agenzia informa” del sito istituzionale e sulla rivista online FiscoOggi.

Cos’è il servizio Rap Web

Il servizio “Rap Web” consente ai contribuenti, intermediari e mediatori di registrare direttamente online specifici atti privati, senza necessità di recarsi fisicamente presso gli uffici. Ad oggi, è possibile utilizzare il modello RAP per la registrazione dei seguenti atti:

  • Contratto di comodato;

  • Contratto preliminare di compravendita immobiliare;

  • Verbale di distribuzione degli utili societari.

Procedura per utilizzare il servizio Rap Web

Per accedere alla piattaforma e utilizzare il servizio, è necessario:

  1. Autenticarsi nell’area riservata del sito dell’Agenzia delle Entrate utilizzando una delle credenziali ammesse (SPID, CIE o CNS);

  2. Digitare “Registrazione atti privati” nella barra di ricerca della sezione “Servizi” e cliccare su “Cerca”;

  3. Selezionare “Vai al servizio” e poi su “Nuova richiesta” per avviare la procedura.

Al termine dell’invio, il sistema fornisce un messaggio di conferma della sola trasmissione del file. Successivamente, viene inviata un’ulteriore comunicazione con l’esito dell’elaborazione dei dati inviati. Se non sono rilevati errori, l’utente riceve la conferma della registrazione dell’atto.

Documenti da allegare alla richiesta

Per completare correttamente la procedura è necessario allegare:

  • Copia leggibile dell’atto da registrare, sottoscritto da tutte le parti (preferibilmente in formato elettronico o dattiloscritto per garantire la leggibilità automatica);

  • Eventuali allegati menzionati nell’atto (es. mappe, planimetrie, scritture private, inventari).

Tutti i documenti devono essere inclusi in un unico file, nei seguenti formati accettati: TIF/TIFF e PDF/A (versione PDF/A-1a o PDF/A-1b).

Dove trovare le istruzioni ufficiali

Nella sezione dedicata “Modello e istruzioni” del portale dell’Agenzia delle Entrate sono disponibili:

  • Il modello RAP aggiornato;

  • Le istruzioni per la compilazione, con indicazione dettagliata delle informazioni da inserire e dei campi obbligatori.

Allegati

danno endofamiliare

Il danno endofamiliare Danno endofamiliare: cos’è, normativa, presupposti, tipologie, quantificazione, prescrizione del diritto risarcitorio

Cos’è il danno endofamiliare

Il danno endofamiliare rappresenta la conseguenza di una particolare ipotesi di responsabilità civile, che si verifica in ambito familiare. Si tratta di un danno non strettamente patrimoniale, causato da un comportamento illecito di un componente della famiglia che viola i doveri derivanti dal rapporto familiare. La sua risarcibilità è stata oggetto di un’evoluzione giurisprudenziale significativa, culminata in un riconoscimento sempre più ampio da parte della Corte di Cassazione.

Con il termine “danno endofamiliare” si indica il pregiudizio che una persona subisce all’interno della propria famiglia a causa della violazione dei doveri giuridici derivanti dai rapporti familiari, così come delineati dagli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, nonché dagli articoli 143 e ss. del Codice civile. Esempi classici di danno familiare sono quelli che conseguono alle seguenti condotte:

  • violenze domestiche;
  • tradimento coniugale lesivo della dignità del partner;
  • privazione affettiva nei confronti dei figli;
  • abbandono della prole o del coniuge in condizione di bisogno.

Normativa di riferimento

Non esiste una norma codificata che disciplini espressamente il danno endofamiliare. Tuttavia, il suo riconoscimento si fonda sull’interpretazione sistematica delle seguenti disposizioni:

  • Art. 2043 c.c.: prevede l’obbligo di risarcire ogni fatto illecito che cagiona un danno ingiusto;
  • Art. 2059 c.c.: legittima il risarcimento del danno non patrimoniale nei casi previsti dalla legge;
  • Art. 143 c.c. e ss.: sancisce i doveri coniugali e genitoriali;
  • Art. 2, 3, 29, 30 e 31 Cost.: proteggono i diritti inviolabili della persona e i diritti della famiglia.

Fondamentale è stata la Cassazione a Sezioni Unite n. 26972/2008, che ha chiarito che il danno non patrimoniale è risarcibile non solo nei casi previsti dalla legge, ma anche quando sussiste una lesione grave di diritti inviolabili della persona.

Presupposti risarcimento danno endofamiliare

Perché il danno endofamiliare sia risarcibile è necessario che sussistano i seguenti elementi:

  1. vi sia una condotta illecita da parte di un componente della famiglia;
  2. la condotta violi obblighi giuridici derivanti da norme costituzionali o codicistiche;
  3. la lesione riguardi diritti inviolabili della persona (es. salute, dignità, integrità morale);
  4. il danno sia serio, grave e ingiusto e non si configuri come un semplice disagio o sofferenza passeggera.

La giurisprudenza esclude il risarcimento in caso di meri conflitti o attriti fisiologici nella vita familiare.

Tipologie di danno risarcibile

Il danno endofamiliare può assumere forme differenti:

  • danno biologico: lesione alla salute psicofisica;
  • danno morale: sofferenza interiore provocata dalla violazione del rapporto affettivo.
  • danno esistenziale: alterazione delle abitudini di vita e del progetto esistenziale.

Quantificazione del danno endofamiliare

La quantificazione del danno endofamiliare avviene in via equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., e si basa su criteri oggettivi e soggettivi:

  • gravità della condotta;
  • durata della lesione;
  • intensità del vincolo affettivo leso;
  • prova documentale e testimoniale;
  • eventuale presenza di patologie collegate al trauma (es. disturbi post-traumatici).

Prescrizione del diritto al risarcimento

Il diritto al risarcimento del danno endofamiliare si prescrive in 5 anni, ai sensi dell’art. 2947, comma 1, c.c., decorrenti dal momento in cui il fatto si è verificato. In caso di reato, si applica il termine più lungo previsto per l’azione penale, ex art. 2947, comma 3, c.c.

 

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supercondominio

Il supercondominio Supercondominio: cos'è, requisiti, obbligatorietà, differenze con il condominio parziale, ripartizione spese e giurisprudenza

Cos’è il supercondominio?

Il supercondominio è un tipo particolare di condominio, che insorge  quando più edifici, aventi parti comuni, sono organizzati in un unico complesso. Questo istituto, disciplinato dall’art. 1117-bis c.c., si applica quando più condomini condividono spazi, strutture o servizi comuni, rendendo necessaria una gestione unitaria per la loro amministrazione e ripartizione delle spese.

Il supercondominio sorge in pratica quando più condomini condividono parti comuni come strade, parcheggi, impianti di illuminazione, fognature, ingressi, giardini o servizi comuni. Trattasi di una struttura sovraordinata che regola i rapporti tra singoli condomini appartenenti a edifici distinti, ma collegati da elementi comuni.

Il supercondominio è una realtà sempre più diffusa nei grandi complessi residenziali e richiede una gestione attenta e strutturata. La sua disciplina è simile a quella del condominio ordinario, ma con alcune peculiarità.

La Cassazione ha ribadito più volte l’obbligo di una gestione unitaria, specialmente in relazione alle spese e alla nomina dell’amministratore. È quindi fondamentale conoscere le norme applicabili per evitare conflitti tra condomini e garantire una corretta amministrazione.

Esempi pratici di supercondominio

  • un complesso residenziale formato da più palazzine con un unico ingresso, un vialetto d’accesso e un parcheggio comune;
  • un gruppo di edifici che condividono un’area verde o un impianto idrico centralizzato;
  • un residence con più unità abitative e un sistema di sicurezza comune.

Requisiti per la nascita del supercondominio

Secondo la giurisprudenza, il supercondominio nasce ipso iure et facto, ossia automaticamente, quando più condomini utilizzano e godono di beni e servizi comuni. Non è necessario un atto costitutivo formale, poiché la sua esistenza dipende dalla presenza di elementi comuni tra edifici autonomi.

Alla luce di quanto detto finora i requisiti fondamentali per il suo riconoscimento sono:

  • pluralità di condomini: devono esserci almeno due distinti condomini;
  • esistenza di parti comuni: devono essere presenti beni o servizi ad utilizzo collettivo;
  • una gestione unitaria, indispensabile a causa della condivisione di elementi comuni.

Il supercondominio è obbligatorio?

La legge non rende obbligatoria la formazione di un supercondominio. Ciò nonostante, nel caso in cui diversi edifici condividano servizi indispensabili, ad esempio reti idriche o impianti di riscaldamento, costituire un supercondominio si rivela frequentemente necessario per assicurare una gestione efficace e una divisione dei costi equa.

Differenza tra condominio parziale e supercondominio

È fondamentale distinguere tra condominio parziale e supercondominio, poiché spesso i due concetti vengono confusi.

Aspetto

Condominio Parziale

Supercondominio

Definizione

Un condominio in cui solo alcuni condomini utilizzano un bene comune.

Più condomini distinti che condividono strutture comuni.

Normativa

Art. 1123, comma 3, c.c.

Art. 1117-bis c.c.

Nascita

Non è automatico, ma deriva da una specifica suddivisione delle spese.

Nasce automaticamente se ci sono beni comuni tra più condomini.

Gestione

L’amministrazione riguarda solo alcuni condomini.

Necessita di un’amministrazione unica per le parti comuni.

Un esempio pratico di condominio parziale è una palazzina in cui solo alcuni condomini beneficiano dell’ascensore o del garage, mentre gli altri no. In questo caso, solo chi ne usufruisce dovrà partecipare alle spese di gestione e manutenzione.

Ripartizione delle spese  

La gestione economica del supercondominio segue le regole generali del condominio. Le spese vengono suddivise tra i condomini in base alle regole sancite dall’art. 1123 c.c, ossia in base al valore della groprietò di ciascuno, all’uso che ciascuno può farne e all’utilità che il gruppo di condomini ne trae.

Le principali categorie di spesa sono rappresentate dalle:

  • spese ordinarie: manutenzione di vialetti, illuminazione, aree verdi;
    spese straordinarie: ristrutturazioni, rifacimento fognature, sostituzione di impianti comuni.
    spese di amministrazione: compenso dell’amministratore del supercondominio, assicurazione, spese legali.

Se il regolamento di supercondominio prevede un fondo speciale per le spese straordinarie, i contributi dovranno essere versati in base ai criteri stabiliti dallo stesso.

Giurisprudenza 

La giurisprudenza ha consolidato diversi principi in materia di supercondominio, chiarendo aspetti fondamentali della sua gestione e regolamentazione.

Cassazione n. 8254/2025:  l’articolo 67 delle disposizioni di attuazione del codice civile stabilisce che nei supercondomini o complessi con più di 60 partecipanti, ogni condominio è obbligato a nominare un proprio rappresentante per le decisioni ordinarie sulle parti comuni e per la nomina dell’amministratore. Questa nomina deve avvenire con la maggioranza prevista dall’articolo 1136, quinto comma, del codice civile. Se un condominio non nomina il suo rappresentante, ogni condomino di quel condominio può rivolgersi al giudice affinché provveda alla nomina. Allo stesso modo, se alcuni condominii non designano il loro rappresentante, il tribunale può nominarli su richiesta anche di uno solo dei rappresentanti già designati. In sostanza, la legge impone una delega collettiva obbligatoria attraverso la figura del rappresentante per semplificare la gestione nei supercondomini più grandi.

Cassazione n. 22954/2022: Per riscuotere le quote dovute per la manutenzione dei beni comuni del supercondominio, l’amministratore deve rivolgersi direttamente ai proprietari delle singole unità immobiliari.

Cassazione n. 32237/2019: un supercondominio si costituisce automaticamente (“ipso iure et facto”) quando più edifici, anche se già organizzati in condomini separati, sono legati da beni o servizi comuni essenziali (manufatti, impianti, servizi) che impedirebbero ai singoli edifici di funzionare autonomamente. La definizione di “supercondominio” riprende quella di condominio, applicandola a una pluralità di edifici. Il legame di dipendenza tra le parti comuni che servono e gli edifici serviti fa sì che si applichino le norme specifiche del condominio anziché le regole generali sulla comunione dei beni.

Cassazione n. 15262/2018: Se un immobile privato subisce danni a causa di beni o parti comuni di uno specifico edificio all’interno di un complesso supercondominiale, l’unico soggetto responsabile legalmente è quel particolare condominio. Pertanto, l’azione legale va indirizzata verso quell’amministrazione condominiale, rappresentata dal suo amministratore, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo possa essere anche l’amministratore del supercondominio.

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danno emergente e lucro cessante

Danno emergente e lucro cessante Danno emergente e lucro cessante: cosa sono, differenze, normativa, come si provano e sentenze della Cassazione

Danno emergente e lucro cessante: voci di danno

Il danno emergente e il lucro cessante nel diritto civile italiano, rappresentano le voci primarie di danno patrimoniale conseguenti a un illecito o a un inadempimento contrattuale, in favore di chi ha subito un pregiudizio patrimoniale

Queste due voci risarcitorie hanno finalità riparative differenti: il primo risarcisce la perdita già subita, il secondo compensa il guadagno non realizzato a causa dell’evento dannoso.

Normativa danno emergente e lucro cessante

La base normativa per la liquidazione del danno patrimoniale si trova in due disposizioni fondamentali del codice civile:

  • Art. 1223 c.c.: “Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore (danno emergente) come il mancato guadagno (lucro cessante), in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”.
  • Art. 2056 c.c., applicabile in materia di responsabilità extracontrattuale, rinvia ai criteri degli articoli precedenti in tema di danno da inadempimento. In dettaglio la norma dispone infatti che: “Il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli articoli 1223 12261227.2. Il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso.”

Queste disposizioni richiedono che il danno sia causato direttamente e immediatamente dall’evento lesivo, escludendo i pregiudizi indiretti o meramente eventuali.

Cos’è il danno emergente

Il danno emergente rappresenta la perdita effettiva subita dal patrimonio del danneggiato. È una voce di danno concreto, attuale e dimostrabile, legata a costi sostenuti, spese affrontate o beni danneggiati.

Esempi tipici:

  • spese mediche e farmaceutiche sostenute a seguito di un sinistro;
  • riparazione o sostituzione di beni danneggiati;
  • costi per consulenze tecniche o legali;
  • perdita di beni materiali (es. distruzione di merci, macchinari o strumenti di lavoro);
  • costi per trasferimenti o per rimediare ai danni subiti.

Come si prova

È necessario fornire documentazione probatoria come:

  • fatture, ricevute e scontrini;
  • contratti e perizie tecniche;
  • testimonianze o relazioni di professionisti.

Cos’è il lucro cessante

Il lucro cessante indica invece il mancato guadagno che il danneggiato avrebbe potuto conseguire in assenza dell’illecito o dell’inadempimento. È un danno futuro e potenziale, ma risarcibile purché sia prevedibile e ragionevolmente certo.

Esempi tipici:

  • perdita di ricavi da un’attività commerciale temporaneamente interrotta;
  • mancato profitto derivante da un contratto non concluso;
  • minore fatturato a seguito della lesione di un bene produttivo (es. fermo impianti);
  • perdita di opportunità professionali o di mercato.

Come si prova

La prova del lucro cessante è più complessa, poiché riguarda eventi non verificatisi, ma astrattamente prevedibili. La giurisprudenza richiede una prova rigorosa, basata su:

  • documenti contabili e bilanci pregressi;
  • stime economiche di esperti;
  • contratti sfumati o ordini non evasi;
  • indicatori economici coerenti con il tipo di attività.

Differenze tra danno emergente e lucro cessante

Elemento

Danno emergente

Lucro cessante

Natura

Perdita già subita

Guadagno non realizzato

Temporalità

Attuale e concreta

Futuro e potenziale

Prova

Oggettiva (ricevute, fatture)

Prospettica (stime, dati economici)

Finalità risarcitoria

Ripristino del patrimonio

Compensazione del mancato arricchimento

Esigibilità

Generalmente più semplice

Richiede elevata attendibilità delle previsioni

Come si calcolano

Per il danno emergente, il calcolo è di norma analitico, basato sulle spese effettivamente sostenute.

La quantificazione del danno secondo criteri equitativi riguarda soprattutto il lucro cessante e può essere effettuata dal giudice ai sensi dell’art. 1226 c.c., quando non sia possibile la prova precisa del danno. Ai fini del calcolo del lucro cessante, si applicano in genere i seguenti criteri:

  • proiezioni storiche (es. media dei profitti passati);
  • studi di settore e perizie economico-finanziarie;
  • elementi oggettivi di confronto tra periodo precedente e successivo all’evento.

Sentenze su danno emergente e lucro cessante

Negli anni la Cassazione ha sancito importanti principi generali in materia di risarcimento del danno:

Cassazione n. 17670/2024

Il danno patrimoniale si articola in danno emergente (perdita effettiva) e lucro cessante (mancato guadagno). Queste categorie generali comprendono una molteplicità di specifiche voci di danno che possono o meno presentarsi in un determinato caso di illecito o inadempimento. Spetta al giudice di merito esaminare attentamente il caso concreto per accertare l’effettiva sussistenza di queste specifiche ripercussioni negative subite dal creditore o danneggiato, a prescindere dall’etichetta che viene loro attribuita. Il suo compito è garantire un integrale risarcimento di tutti i danni effettivamente provati. È fondamentale che il giudice consideri e risarcisca tutte le voci di danno patrimoniale esistenti e provate, senza tralasciarne alcuna, per rispettare il principio del risarcimento integrale. Tuttavia, questo principio è strettamente correlato al fatto che il responsabile è tenuto a risarcire solo i danni direttamente causati dal suo illecito o inadempimento, evitando così ingiustificate duplicazioni risarcitorie.

Cassazione n. 9277/2023

La facoltà del giudice di quantificare il danno in via equitativa (come previsto dagli articoli 1226 e 2056 del Codice Civile) è una manifestazione del suo più ampio potere discrezionale sancito dall’articolo 115 del Codice di Procedura Civile. Il giudice può esercitare questo potere autonomamente, senza bisogno di una specifica richiesta delle parti, basandosi su un principio di “equità giudiziale” che mira a correggere o integrare la valutazione del danno. Tuttavia, questo potere ha un limite fondamentale: non può supplire alla mancanza di prova né della responsabilità del debitore né dell’esistenza stessa del danno. In altre parole, il giudice non può inventare la responsabilità o l’esistenza del danno se queste non sono state provate. L’equità interviene solo nella quantificazione del danno la cui esistenza e la cui responsabilità siano già state accertate.

 

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