corte ue conferma multa

La Corte UE conferma la multa di 2,4 miliardi a Google Conclusa la questione aperta fin dal 2017 con Google Alphabet. Per i giudici di Lussemburgo si è trattato di abuso della propria posizione dominante

Confermata multa a Google

La Corte UE conferma la multa di 2,4 miliardi a Google, per aver abusato della propria posizione dominante favorendo il serrvizio di prodotti. La sentenza è resa dalla Corte nella causa C-48/22 P | Google e Alphabet/Commissione (Google Shopping).

La vicenda

La vicenda ha inizio nel 2017, quando la Commissione aveva inflitto un’ammenda di circa 2,4 miliardi di euro a Google per aver abusato della sua posizione dominante su vari mercati nazionali della ricerca su Internet favorendo il proprio servizio di comparazione di prodotti rispetto a quello dei suoi concorrenti.

Poiché il Tribunale ha, in sostanza, confermato tale decisione e mantenuto l’ammenda di cui sopra, Google e Alphabet hanno proposto un’impugnazione dinanzi alla Corte, che è stata respinta da quest’ultima confermando così la sentenza del Tribunale.

La Commissione

Con decisione del 27 giugno 2017, la Commissione aveva constatato che, in tredici paesi dello Spazio economico europeo (SEE), “Google aveva privilegiato, sulla sua pagina di risultati di ricerca generale, i risultati del proprio comparatore di prodotti rispetto a quelli dei comparatori di prodotti concorrenti. Google aveva infatti presentato i risultati di ricerca del suo comparatore di prodotti in prima posizione e li aveva valorizzati all’interno di «boxes», accompagnandoli con informazioni visive e testuali attraenti”.

Per contro, i risultati di ricerca dei comparatori di prodotti concorrenti “apparivano soltanto come semplici risultati generici (presentati sotto forma di link blu) ed erano, per tale motivo, contrariamente ai risultati del comparatore di prodotti di Google, suscettibili di essere retrocessi da algoritmi di aggiustamento nelle pagine di risultati generali di Google”.

La Commissione ha concluso che Google aveva abusato della propria posizione dominante sul mercato dei servizi di ricerca generale su Internet nonché su quello dei servizi di ricerca specializzata di prodotti e le ha inflitto un’ammenda di EUR 2 424 495 000, per il pagamento della quale Alphabet, in quanto socia unica di Google, è stata ritenuta responsabile in solido per un importo di EUR 523 518 000.

Il tribunale e la Corte

La questione era approdata innanzi al tribunale UE, il quale aveva respinto il ricorso e confermato l’ammenda.

Google e Alphabet hanno allora proposto un’impugnazione dinanzi alla Corte, la quale con la sentenza in parola ha rigettato l’impugnazione e confermato la sentenza del Tribunale.

La decisione

Nella sentenza, la Corte ricorda che “il diritto dell’Unione sanziona non l’esistenza stessa di una posizione dominante, bensì soltanto lo sfruttamento abusivo di quest’ultima. In particolare, sono vietati i comportamenti di imprese in posizione dominante che restringano la concorrenza basata sui meriti e siano dunque suscettibili di causare un pregiudizio alle singole imprese e ai consumatori”.

Tra tali comportamenti rientrano quelli che, con mezzi diversi dalla concorrenza basata sui meriti, “ostacolano il mantenimento o lo sviluppo della concorrenza su un mercato in cui il grado di concorrenza è già indebolito, proprio in ragione della presenza di una o più imprese in posizione dominante”.

Non si può certo ritenere, in generale, “che un’impresa dominante che applichi ai propri prodotti o ai propri servizi un trattamento più favorevole di quello che essa accorda a quelli dei suoi concorrenti tenga, indipendentemente dalle circostanze del caso di specie, un comportamento che si discosta dalla concorrenza basata sui meriti” precisa la Corte. La stessa constata tuttavia che nella fattispecie, “il Tribunale ha effettivamente stabilito che, alla luce delle caratteristiche del mercato e delle circostanze specifiche del caso in esame, il comportamento di Google era discriminatorio e non rientrava nell’ambito della concorrenza basata sui meriti”.

mediazione penale

Mediazione penale La mediazione penale è una procedura che consente a regola la vittima di riconciliarsi grazie all’aiuto del mediatore penale

Mediazione penale: cos’è

La mediazione penale è una procedura che consente alla vittima e all’autore del reato di gestire il conflitto.

Il Consiglio d’Europa ha definito la mediazione penale come il “procedimento che permette alla vittima e al reo di partecipare attivamente, se vi consentono liberamente, alla soluzione delle difficoltà derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo indipendente”.

Come accade per la mediazione civile quindi, nella mediazione penale le parti ricevono il supporto di un mediatore.

L’obiettivo della mediazione penale è la riappacificazione tra l’autore del reato e la vittima dello stesso. Le ripercussioni positive però non riguardano solo questi soggetti positive, ma la società nel suo complesso.

Come funziona la mediazione penale

Grazie all’istituto della mediazione penale la vittima e il reo, in quanto soggetti coinvolti direttamente dall’illecito penale possono incontrarsi per gestire con responsabilità le conseguenze del reato e riconciliarsi. Questo istituto offre quindi un luogo di incontro in cui sia la vittima che il reo possono dare voce al disagio emotivo e alle conseguenze negative che ne sono scaturite. Grazie al mediatore è possibile infatti trasformare i sentimenti distruttivi per riattivare una comunicazione che non è mai esistita o che si è interrotta e per riparare le conseguenze negative del reato.

Tipologie

Il nostro ordinamento prevede l’applicazione dell’istituto della mediazione penale nell’ambito della giustizia minorile e in quella ordinaria degli adulti.

Per quanto riguarda i minori la mediazione penale mira a valorizzare la finalità educativa per consentire ai giovani di responsabilizzarsi, crescere e costruirsi un’identità. La mediazione penale in ambito minorile persegue infatti l’obiettivo rieducativo e pedagogico tipico della giurisdizione penale minorile e mira a riconosce il dolore della vittima e il suo diritto alla riparazione per la violazione subita.

La procedura di mediazione che riguarda i reati commessi dagli adulti mira invece a  favorire il dialogo, il confronto, e il racconto del disagio per individuare le possibili modalità di riparazione.

Novità riforma Cartabia

L’istituto della mediazione penale è stato valorizzato dalla riforma Cartabia. Il decreto legislativo n. 150/2022 ha riformato il processo penale per renderlo più efficiente e celere anche attraverso il rafforzamento della giustizia riparativa (restorative iustice).

Mediazione penale: avvio facoltativo

La norma procedurale di maggiore interesse in materia è l’articolo 129 bis c.p.p. Essa prevede che il giudice possa disporre d’ufficio l’invio delle parti ad un centro di mediazione. Tale decisione presuppone la preventiva valutazione di vari elementi. Il primo è la natura del reato, c’è poi il rapporto tra responsabile e vittima e infine l’adeguatezza della riparazione rispetto alle conseguenze del reato.

Giustizia riparativa: avviso delle parti

All’art. 129 bis c.p.p è collegato l’articolo 419 c.p.p. Esso  prevede infatti che il giudice debba informare l’imputato e la vittima del reato circa la possibilità di accedere alla giustizia riparativa.

Mediatore penale: cosa fa

Il decreto legislativo n. 150/2022 che ha attuato la riforma del processo penale prevede regole particolari anche per il mediatore. Il mediatore penale deve infatti essere presente  già durante il primo incontro tra i soggetti che hanno deciso di partecipare al programma di giustizia riparativa.

L’incontro è preceduto da diversi contatti e incontri con altri mediatori o con i partecipanti alla procedura per raccogliere il consenso, verificarne la fattibilità e acquisire determinate informazioni.

Il programma può concludersi con un esito riparativo di natura simbolica, come la presentazione delle scuse formali da parte del reo o con una riparazione materiale attraverso il risarcimento del danno.

Quando la mediazione penale giunge al termine il mediatore è tenuto a redigere una relazione e ad inviarla all’autorità giudiziaria per informarla delle attività svolte e dell’esito  del programma.

Obblighi formativi

Per svolgere al meglio le funzioni richieste dai programmi di giustizia riparativa il mediatore esperto  deve assolvere a determinati obblighi formativi.  Costui inoltre deve essere in possesso dei requisiti necessari per l’esercizio dell’attività.

La formazione iniziale prevede la frequentazione di un corso della durata minima di 240 ore, quella continua invece  la frequentazione di corsi d’aggiornamento teorico pratico della durata non inferiore di 30 ore annuali.

La formazione è finalizzata all’acquisizione di competenze multidisciplinari, di natura teorico pratica anche in ambito di hard e soft skills.

 

Leggi anche Giustizia riparativa e Mediazione civile

giurista risponde

Competenza delitto di lesioni personali dopo la riforma Cartabia Delitto di lesioni personali comportanti una malattia di durata superiore a venti giorni e non eccedente i quaranta: chi è competente?

Quesito con risposta a cura di Andrea Primavilla, Valentina Russo e Stefania Segato

 

 

Se la competenza per materia per il delitto di lesioni personali comportanti una malattia di durata superiore a venti giorni e non eccedente i quaranta, dopo le modifiche introdotte dall’art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, permanga in capo al tribunale ovvero sia stata attribuita dalla stessa norma al giudice di pace.

Appartiene al giudice di pace, dopo l’entrata in vigore delle modifiche introdotte dall’art. 2, comma 1, D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, la competenza per materia in ordine al delitto di lesione personale nei casi procedibili a querela, anche quando comporti una malattia di durata superiore a venti giorni e fino a quaranta giorni, fatte salve le ipotesi espressamente escluse dall’ordinamento. – Cass., Sez. Un., 28 marzo 2024, n. 12759.

Nel caso di specie, la Corte d’appello territoriale confermava la sentenza con cui il Tribunale, sul presupposto della sua competenza, aveva dichiarato la responsabilità dell’imputato per il delitto di cui all’art. 582 c.p., per aver cagionato lesioni personali alla persona offesa, giudicate guaribili in trenta giorni.

Investita del ricorso, la Quinta Sezione della Corte di cassazione ha rimesso gli atti alle Sezioni Unite, rilevando l’esistenza di un contrasto in ordine alla individuazione del giudice competente, relativamente al delitto di lesioni personali comportanti una malattia di durata superiore ai venti giorni e non eccedente i quaranta giorni, quando il fatto è perseguibile a querela, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.

Secondo un primo orientamento, il giudice di pace è competente per il delitto di lesioni personali, anche nel caso di malattia di durata superiore a venti giorni e non eccedente i quaranta giorni, sempre che la perseguibilità sia a querela a norma dell’art. 582 c.p. attualmente in vigore.

A fondamento di questo indirizzo, una interpretazione estensiva, o “parzialmente analogica” dell’art. 4, comma 1, lett. a), D.Lgs. 274/2000, coerente con la finalità deflattiva della Riforma e con la persistente vigenza del D.Lgs. 274/2000, istitutivo della competenza penale del giudice di pace.

Secondo un diverso orientamento, fondato sulla interpretazione letterale del combinato disposto del “nuovo” art. 582, comma 2, c.p. e dell’art. 4 D.Lgs. 274/2000, il giudice di pace non ha più alcuna competenza in materia di lesioni personali, poiché le ipotesi perseguibili a querela sono ora previste tutte nel primo comma dell’art. 582 c.p. e dall’art. 4, limite di ogni altro metodo ermeneutico, ivi compreso quello dell’interpretazione estensiva.

La Suprema Corte, dichiarato inammissibile il ricorso, ha ritenuto che nella interpretazione delle citate disposizioni occorra farsi guidare da una interpretazione letterale, limite insuperabile anche qualora si proceda a una interpretazione estensiva, ai sensi degli artt. 12 preleggi e 101, comma 2, Cost. Tuttavia, il rispetto della lettera della legge impone di esaminare la singola disposizione in modo sistematico, per individuare il preciso significato e l’ambito applicativo della stessa, ovvero considerando tutte le norme riferite alla disciplina dell’identica vicenda che si pongano tra loro in rapporti di reciproca interferenza, dal momento che le disposizioni normative non possono mai essere prese in considerazione isolatamente, dovendo sempre essere valutate come componenti di un “insieme” tendenzialmente unitario, in coordinamento con le altre riferite alla disciplina dell’identica vicenda. Per tale ragione, la Suprema Corte afferma che l’art. 4, comma 1, lett. a), D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, va letto in combinato disposto con l’art. 15, comma 1, L. 24 novembre 1999, secondo una interpretazione sistematica, che valorizza il dato testuale risultante dal combinato disposto delle due previsioni normative.

In questa prospettiva, è possibile ritenere che, tra i possibili significati attribuibili al dato testuale del combinato disposto delle due previsioni normative, rientra senz’altro anche quello secondo cui sono devoluti alla competenza del giudice di pace i delitti consumati o tentati di lesione personale, quando la procedibilità per gli stessi sia a querela e fatte salve le ipotesi espressamente escluse dall’ordinamento.

*Contributo in tema di “Delitto di lesioni personali e competenza”, a cura di Andrea Primavilla, Valentina Russo e Stefania Segato, estratto da Obiettivo Magistrato n. 76 / Luglio 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

riscossione coattiva

Riscossione coattiva: in dubbio il meccanismo di Cassa Forense Alle Sezioni Unite della Cassazione il compito di risolvere importanti questioni giuridiche del meccanismo di riscossione dell'ente previdenziale degli avvocati

Riscossione coattiva Cassa Forense alle Sezioni Unite

Il meccanismo di riscossione coattiva delle somme dovute a Cassa Forense è in dubbio. Ora spetta alle Sezioni Unite della Cassazione risolvere diverse e importanti questioni giuridiche in materia.

Non riscosso per riscosso e dichiarazione di inesigibilità

Cassa Forense in passato ricorreva al meccanismo del “non riscosso  per riscosso”. Grazie a questo sistema Cassa Forense poteva ricevere dall’agente di riscossione le somme a questa dovute anche se non riscosse realmente. Questo sistema però è stato abrogato e da allora Cassa Forense non ha più potuto riceve le somme dall’agente di riscossione in anticipo, anche se non riscosse.

Il nuovo sistema prevede infatti che in caso di omessa riscossione delle somme dovute alla Cassa, l’agente possa ottenere il “discarico per inesigibilità”. Il tutto in danno di Cassa Forense. Diverse leggi hanno poi prorogato i termini per la dichiarazione di inesigibilità,  confondendo un sistema di  che per natura dovrebbe essere ordinato. Questo in sintesi il contenuto dell’ordinanza n. 24043/2024 della prima sezione civile della Cassazione.

Cassa Forense: decreto ingiuntivo per somme indicate nei ruoli

Cassa Forense ottiene un decreto ingiuntivo nei confronti di Equitalia Sud S.p.a a causa del pagamento parziale delle somme indicate nei ruoli relativi alla zona di Napoli emessi dal 1996 al 2008. Il Tribunale rigetta l’opposizione di Equitalia. La Corte d’Appello invece accoglie l’appello di Equitalia Sud (poi Agenzia delle Entrate riscossione) e revoca il decreto. Cassa Forense ricorre quindi alla Corte di Cassazione.

Riscossione coattiva: uso distorto della legge a causa delle proroghe

Il Collegio esamina nel dettaglio il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento e rimette la causa alla prima sezione per valutare se assegnare la trattazione alle Sezioni Unite.

Il meccanismo di riscossione dei crediti di Cassa Forense in passato si basava sul  sistema del “non riscosso per riscosso”. Grazie a questo meccanismo Cassa Forense poteva incassare il quantum a lei dovuto dopo la consegna dei ruoli al concessionario, che ne diventava debitore per l’intero.

Il concessionario infatti anticipava le somme alla Cassa alle varie scadenze, anche se non le aveva riscosse.  Il decreto legislativo  112/1999 però abroga questo meccanismo.

In base alle nuove regole il concessionario non ha più l’obbligo di anticipare le somme alla Cassa Forense, ma prima le incassa e solo dopo ha l’obbligo di versarle. Per le somme non riscosse il concessionario può avere il “discarico per inesigibilità”.

Nel tempo si susseguono poi varie leggi, che dispongono diverse proroghe dei termini per la dichiarazione di inesigibilità. L’ordinato meccanismo di riscossione previgente va in confusione e si crea incertezza sull’esito dei procedimenti in corso e sulla possibilità per Cassa Forense di recuperare in modo diretto gli importi alla stessa dovuti.

Riscossione coattiva tramite ruoli: è compatibile con la CEDU?

La questione che la Cassazione chiede alle Su di dipanare è la seguente: Se, in tema di riscossione coattiva tramite ruoli dei crediti della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, il quadro normativo complessivo, in particolare quello disciplinato dalle leggi n. 228/2012 e n.190/2014, sia compatibile o meno con lart. 6 par. 1 CEDU, quale norma interposta in relazione al parametro di cui allart. 117, primo comma, Cost., avuto riguardo ai seguenti profili: 

  1. la ricorrenza, nella specie, di elementi sintomatici di un uso distorto della funzione legislativa, come individuati nella pronuncia n. 210/2021 della Corte Costituzionale (ADER, ente pubblico, è parte del giudizio; il primo intervento legislativo che ha inciso significativamente sul meccanismo del discarico, pur prevedibile, è avvenuto nel 2012, mentre quello precedente, parimenti finalizzato a perseguire esigenze di razionalizzazione del sistema di riscossione mediante ruolo, risale al 1999);
  2. lincidenza, nella ponderazione dei motivi imperativi di carattere generale, sia della preponderanza di considerazioni di natura finanziaria (Cfr. Corte Cost. n.145/2022), sia della necessità di bilanciamento dellinteresse generale con quello legato alla finalità solidaristica della Cassa, in tesi pregiudicata nel suo equilibrio finanziario in considerazione dellelevato numero di debitori, dellaccumularsi negli anni delle poste in riscossione tramite ruoli e dellingentissimo importo complessivo dei crediti già dichiarati inesigibili o a rischio di inesigibilità;
  3. il continuo e prolungato susseguirsi negli anni delle proroghe dei termini per la dichiarazione di inesigibilità, in quanto i meccanismi comportanti una lunghissima dilazione temporale” sono difficilmente compatibili con la fisiologica dinamica di una riscossione ordinata e tempestivamente controllabile delle entrate (Corte Cost. n.51/2019 e Corte Cost. n.18/2019);
  4. la duratura incertezza, derivante dalle suddette proroghe, sullesito della riscossione e sulla definizione dei rapporti debitori, nonché, di riflesso, lallungamento considerevole della durata del processo;
  5. lincidenza delle suesposte considerazioni sullefficace esperibilità di rimedi alternativi (azione diretta della Cassa verso gli iscritti debitori), che deve concretarsi nella ragionevole possibilità di preservare le proprie ragioni, senza trovarsi in una situazione di netto svantaggio rispetto alla controparte” (Corte Cost. n. 210/2021)”.

 

 Leggi anche: “Cassa Forense

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perdono giudiziale

Perdono giudiziale Il perdono giudiziale è un istituto di diritto penale che riguarda i minori la cui disciplina è contenuta nell’art. 169 c.p.

Perdono giudiziale: cos’è

Il perdono giudiziale è un istituto di diritto penale riservato ai minorenni. Grazie al perdono giudiziale il minore evita il rinvio a giudizio o la pronuncia di condanna se il processo è già stato avviato nei suoi confronti.

Ratio del perdono giudiziale

L’istituto attua in questo modo il contenuto della disposizione dell’articolo 31 della Costituzione. Essa dispone nello specifico che la Repubblica Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.” 

Grazie infatti ai benefici previsti da questo istituto il minore non subisce lo stigma della colpevolezza e le conseguenze negative che possono derivare dall’applicazione di una pena detentiva o pecuniaria. Il processo penale minorile del resto si fonda su obiettivi diversi rispetto a quello ordinario. Il minore, in misura ancora maggiore rispetto all’adulto, deve essere rieducato e reinserito in un contesto sociale positivo.

Perdono giudiziale: come funziona

Per comprendere il funzionamento base del perdono giudiziale è necessario analizzare l’art. 169 c.p, che lo disciplina.

Articolo 169 c.p.: perdono giudiziale per i minori di anni 18

Il comma 1 della norma dispone che: 1.Se, per il reato commesso dal minore degli anni diciotto, la legge stabilisce una pena restrittiva della libertà personale non superiore nel massimo a due anni, ovvero una pena pecuniaria non superiore nel massimo a cinque euro, anche se congiunta a detta pena, il giudice può astenersi dal pronunciare il rinvio a giudizio, quando, avuto riguardo alle circostanze indicate nell’articolo 133, presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati. 2. Qualora si proceda al giudizio, il giudice può, nella sentenza, per gli stessi motivi, astenersi dal pronunciare condanna.” 

La norma dispone in pratica che il giudice, nel disporre il perdono giudiziale, è tenuto a emettere un provvedimento irrevocabile con cui decide l’estinzione del reato, disponendo di non rinviare a giudizio il minore o astenendosi dal pronunciare la condanna, se il giudizio è stato intrapreso ed è giunto a sentenza.

Elementi di valutazione

Per la concessione del perdono giudiziale però occorre la sussistenza dei seguenti presupposti richiesti dalla norma, ossia:

  • che il reato sia stato commesso da un minore di età;
  • che per quel reato la legge stabilisca una pena restrittiva della liberà personale non inferiore alla durata di due anni o una pena pecuniaria non inferiore a 5 euro, anche congiunta alla precedente.

Un altro presupposto fondamentale che il giudice deve valutare per decidere di concedere o meno il perdono giudiziale sono le circostanze previste dall’articolo 133 c.p da cui desumere la gravità del reato. Tra queste rilevano soprattutto la condotta contemporanea e successiva al reato, i motivi che hanno spinto il minore a delinquere, la presenza di precedenti penali e giudiziari in generali, ma anche l’intensità del dolo e della colpa e la gravità del danno cagionato.Il giudice infatti può concedere il perdono giudiziale, se dalla valutazione di questi elementi presume che il minore non commetterà in futuro ulteriori reati.

Occorre però che il Giudice motivi la sua decisione, sia in caso di rigetto che di concessione della misura. Lo ha specificato nei seguenti termini la Cassazione nella sentenza n. 26025/2022 “perdono giudiziale e sospensione condizionale costituiscono istituti che comportano l’estinzione del reato… la finalità di recupero del minore, coessenziale alla stessa natura del procedimento minorile impone che ogni volta che, anche in corso di causa … possa prospettarsi la presenza dei presupposti applicativi del perdono giudiziale, sussiste in capo al giudice l’onere di esplicitare le ragioni sottese alla concessione o mancata concessione del beneficio.” 

Limiti applicativi

Nel concedere il perdono giudiziale il giudice si scontra inoltre con due limiti, previsti rispettivamente dai commi 3 e 4 dell’art. 169 c.p.

  1. Il primo limite è indicato dal comma 3 dell’ 169 c.p. L’istituto non può essere applicato nei casi previsti dal n. 1, primo capoverso dell’art. 164 c.p ossia se il minore è già stato condannato a pena detentiva per un delitto, anche se è intervenuta la riabilitazione o se il minore è un delinquente o contravventore abituale o professionale.
  2. Il secondo limite invece prevede che il perdono giudiziale non possa essere concesso per più di una volta, salvo eccezioni particolari. 

Effetti e conseguenze eventuali

Il perdono giudiziale determina l’estinzione del reato, ma il minore, fino a 21 anni di età, resta iscritto nel casellario giudiziale. L’intervenuta sentenza di perdono giudiziale non impedisce in ogni caso alla vittima del reato di agire in sede civile per ottenere il risarcimento del danno subito a causa della condotta del minore.

 

Leggi anche quali sono le novità in materia carceraria per minori: Decreto carceri: in vigore la legge di conversione

reato per l'avvocato

Reato per l’avvocato che deposita ricorsi senza abilitazione Integrato l'esercizio abusivo della professione di avvocato per chi, non abilitato, deposita ricorsi in commissione tributaria

Esercizio abusivo della professione di avvocato

Reato per l’avvocato che deposita in commissione senza abilitazione. E’ integrato infatti l’esercizio abusivo della professione di avvocato per chi senza essere abilitato deposita ricorsi alla commissione tributaria. Così la sesta sezione penale della Cassazione nella sentenza n. 25006/2024.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d’appello di Genova, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Savona rideterminava
la pena, quantificata in mesi sei di reclusione ed euro 10.000 di multa, nei confronti di un soggetto in ordine al delitto di esercizio abusivo della professione di avvocato ex art. 348 cod. pen., e dichiarava non doversi procedere per prescrizione in ordine al delitto di truffa aggravata.

Il ricorrente adisce il Palazzaccio denunciando, tra l’altro, la carenza degli elementi necessari ai fini dell’integrazione del delitto contestato in quanto i ricorsi depositati presso la Commissione Tributaria Provinciale di Savona, erano stati presentati da altro professionista regolarmente abilitato che collaborava con lo stesso, né veniva dimostrato che fosse stato il ricorrente ad averli depositati.

La decisione

Sul fronte dell’entità della pena, la S.C. osserva innanzitutto che “la pena in concreto irrogata per il delitto di esercizio abusivo della professione ex art. 348 cod. pen. è illegale là dove è stata quantificata secondo la forbice edittale non ancora vigente al momento della commissione dei fatti, invero, risalenti al 1 febbraio 2013 ed al 15 aprile 2014”.
La fondatezza del motivo in punto di trattamento sanzionatorio determina la prescrizione del reato, con la necessità di annullare senza rinvio la decisione impugnata.
Tuttavia, in ragione della presenza della parte civile costituita, la Cassazione ritiene necessario dare conto dell’infondatezza del primo motivo di ricorso con cui si contesta il personale contributo fornito dal ricorrente alla condotta qualificata ex art. 348 cod. pen.
“Sotto tale aspetto – aggiungono gli Ermellini – il ricorso si presenta generico e riproduttivo di identica censura adeguatamente vagliata dalla Corte d’appello, che ha rilevato come il coinvolgimento del ricorrente emergesse dalle dichiarazioni rese dai testimoni e dalla coimputata oltre che dall’apprezzata documentazione acquisita, rilevando come proprio il contenuto del mandato alla lite apposto a margine dei ricorso smentisse l’assunto secondo cui lo stesso si fosse limitato a fornire consigli al professionista abilitato all’attività difensiva prestata in occasione della presentazione dei ricorsi presso la Commissione Tributaria Provinciale di Savona”.
Le citate ragioni, “che danno conto della realizzazione della condotta generatrice del danno nei confronti della costituita parte civile, assistita legalmente da chi era privo di un titolo ad esercitare la professione forense, impongono la conferma delle statuizioni civili”.

Per cui, la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione e conferma le statuizioni civili.

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bonus psicologo 2024

Bonus psicologo 2024: online le graduatorie L'INPS ha pubblicato le graduatorie degli aventi diritto al bonus psicologo 2024, chiarendo le modalità per la consultazione e l'ottenimento del contributo

Bonus psicologo 2024

Bonus psicologo 2024: sono online le graduatorie degli aventi diritto al contributo per sostenere le spese relative a sessioni di psicoterapia. Lo rende noto l’INPS che, con il messaggio n. 2976 del 6 settembre 2024, illustra le modalità per consultare le graduatorie attraverso il servizio online Bonus psicologo.

Si ricorda che il bonus psicologo è un contributo economico introdotto per aiutare le persone che soffrono di ansia, stress, depressione o fragilità psicologica a causa della pandemia e della crisi socio-economica. Il bonus copre fino a 50 euro a seduta di psicoterapia, per un importo massimo variabile in base al reddito ISEE. In particolare, il contributo è rivolto a tutti i cittadini italiani o residenti in Italia che:

  • hanno un ISEE inferiore a 50.000 euro;
  • hanno avuto gravi conseguenze di natura psicologica a causa della pandemia;
  • vogliono intraprendere un percorso psicoterapeutico.

Le graduatorie INPS

Le graduatorie, distinte per Regione e Provincia autonoma di residenza dei richiedenti, sono state elaborate tenendo conto del valore dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) più basso e, a parità di valore dell’ISEE, dell’ordine cronologico di presentazione delle relative domande, nei limiti dell’ammontare delle risorse indicate all’articolo 1 del decreto interministeriale 24 novembre 2023, come ripartite nella tabella 1 allegata al medesimo decreto.

Come consultare la graduatoria

Con il messaggio 2976, l’istituto comunica che le graduatorie sono consultabili attraverso il servizio “Contributo per sostenere le spese relative a sessioni di psicoterapia – Bonus psicologo”, accedendo con la propria identità digitale SPID di livello 2 o superiore, Carta di identità elettronica (CIE) 3.0 o Carta Nazionale dei servizi (CNS) dalla Homepage del portale istituzionale, digitando nella barra del motore di ricerca le parole “bonus psicologo”.

Una volta completato l’accesso alla procedura, i soggetti possono visualizzare l’esito della domanda in uno dei seguenti stati:

  • “Accolta”: al beneficiario, in possesso dei requisiti di accesso alla misura, è riconosciuto l’intero importo spettante da utilizzare entro 270 giorni dalla data di pubblicazione del messaggio n. 2584 dell’11 luglio 2024;
  • “Parzialmente accolta”: al beneficiario, in possesso dei requisiti di accesso alla misura, ultimo di ogni graduatoria regionale o delle Province autonome, è riconosciuto in misura parziale l’importo spettante fino a concorrenza delle risorse economiche assegnate alla Regione/Provincia autonoma;
  • “Non accolta provvisoria”: ai richiedenti, in possesso dei requisiti di accesso alla misura, non può essere assegnato l’importo spettante per incapienza delle risorse economiche messe a disposizione delle Regioni/Province autonome.

Sulla base dei fondi al momento stanziati per l’anno 2023, le domande per l’anno 2024 attualmente accolte, precisa l’INPS, sono pari a 3.325.

tfr nei fondi pensione

TFR nei fondi pensione Al vaglio la proposta di legge che prevede il versamento obbligatorio di 1/4 del trattamento di fine rapporto  

TFR nei fondi pensione: la proposta di legge

Il passaggio del TFR nei fondi pensione è in sintesi il contenuto di una proposta di legge al vaglio del Governo. La proposta è il frutto di alcune considerazioni sui fondi pensionistici integrativi e sui loro indiscutibili vantaggi. I fondi pensione infatti offrono al lavoratore la possibilità di beneficiare di un’entrata aggiuntiva rispetto alla pensione ordinaria nel momento in cui smetterà di lavorare.

Al fine di incoraggiare l’adesione ai fondi pensione sono previste delle detrazioni fiscali molto interessanti sui contributi versati.

Occorre poi ricordare che chi aderisce a un piano pensionistico integrativo ha la possibilità di cessare l’attività lavorativa con un anticipo di diversi anni rispetto all’età prevista in via ordinaria per andare in pensione.

I vantaggi fiscali previsti per chi aderisce ai fondi pensione non riescono tuttavia a essere sufficientemente attrattivi. Lo dicono i numeri. I lavoratori che attualmente aderiscono a fondi pensione integrativi sono poco più di 1/3 del totale.

TFR nei fondi pensione obbligatorio

Da qui la proposta del leghista e sottosegretario del Ministero del lavoro Claudio Durino. La sua idea si traduce nell’introduzione dell’obbligo di far confluire il 25% del TFR nei fondi previdenziali integrativi. Il Governo è già al lavoro per introdurre queste novità nella legge di bilancio relativa al prossimo anno.

TFR nei fondi: semestre di silenzio assenso

La Ministra Calderone sta lavorando a una proposta similare, che prevede però una nuova gestione del TFR maturato attraverso il meccanismo del “semestre di silenzio assenso”. L’idea prevede che, qualora il lavoratore non comunichi espressamente nel termine di sei mesi la volontà di conservare il proprio TFR presso l’azienda, l’importo maturato debba essere trasferito automaticamente a un fondo pensione.

Conseguenze della riforma

La riforma, che potrebbe essere inserita e regolamentata nella legge di Bilancio 2025, potrebbe essere ostacolata dai datori di lavoro. Le somme che vengono accantonate per i TFR dei dipendenti costituisce infatti una risorsa per l’azienda, soprattutto se di piccole dimensioni. Nessuna controindicazione invece per le imprese più grandi, perché queste hanno l’obbligo di versare le somme accantonate per il TFR nel fondo INPS.

 

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custodia cautelare

Custodia cautelare: vietato pubblicare l’ordinanza Il Consiglio dei ministri ha approvato in via preliminare il decreto che vieta la pubblicazione delle ordinanze nel corso delle indagini preliminari

Custodia cautelare: divieto pubblicazione ordinanza

Il Consiglio dei ministri interviene sulla pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare. Il 4 settembre 2024, per attuare gli impegni comunitari il CdM ha infatti approvato in via preliminare il testo di legge che adegua la legge italiana alla Direttiva UE 2016/343, attraverso l’attuazione dell’art. 4 della legge di delegazione europea n. 15/2024.

Ora il testo del decreto deve superare il parere non vincolante delle Commissioni parlamentari.

Ordinanza di custodia cautelare: finalità del divieto di pubblicazione

Il testo di legge approvato vuole perseguire diversi obiettivi:

  • integrare quanto già previsto dal decreto legislativo n. 188/2021;
  • garantire la piena attuazione della presunzione di innocenza contemplata dall’art. 27 della Costituzione “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”;
  • rafforzare il diritto di presenza nei procedimenti penali.

Articolo 114 c.p.p: divieto di pubblicazione di atti e immagini

Per garantire in modo più efficace la presunzione di innocenza del soggetto indagato o imputato in un procedimento penale il testo interviene sull’articolo 114 del codice di procedura penale, che contiene il divieto di pubblicazione di atti e di immagini dei procedimenti penali.

In estrema sintesi il testo di legge, già soprannominato “legge bavaglio” dagli organismi di rappresentanza dei giornalisti, prevede il divieto di pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare (versione integrale o per estratto) fino al termine delle indagini preliminari o dell’udienza preliminare.

Questo perchè le ordinanze cautelari sono quei sempre il risultato di una valutazione sommaria del PM nella fase delle indagini preliminari, che si caratterizzano per l’assenza di contraddittorio.

Emendamento “Costa”

Il provvedimento adottato non rappresenta una novità assoluta. L’emendamento al disegno di legge di delegazione europea è stato soprannominato “Costa” dal nome del proponente Enrico Costa. In base a questo emendamento, se un soggetto viene raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare si potrà procedere solo alla pubblicazione delle seguenti informazioni:

  • riassunto dell’atto giudiziario;
  • nome del destinatario dell’ordinanza;
  • ragioni dell’emissione del provvedimento.

Custodia cautelare: divieto di pubblicazione nella proposta di legge 2022

Il deputato Costa è lo stesso che il 29 novembre 2022 aveva presentato una proposta di legge (C. 653) alla Camera dei deputati contenente “Modifiche all’articolo 114 del codice di procedura penale, in materia di pubblicazione delle ordinanze che dispongono misure cautelari.”

La proposta, che interveniva sull’articolo 114 c.p.c, prevedeva, in un unico articolo  le seguenti modifiche: “a) al comma 2, le parole: «, fatta eccezione per lordinanza indicata dallarticolo 292 » sono soppresse; b) al comma 7 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, fatta eccezione per lordinanza indicata dallarticolo 292, della quale è consentita esclusivamente la pubblicazione del nome e cognome del destinatario del provvedimento e dei delitti per i quali si procede.”

Nel discorso di presentazione della proposta il deputato denunciava l’eccessiva leggerezza con cui troppo spesso vengono disposte le misure cautelari e l’impiego delle stesse come forma “mascherata” di anticipazione della pena. La pubblicazione di queste ordinanze sui giornali di conseguenza viene percepita dall’opinione pubblica come una “sentenza di condanna” anticipata, che genera confusione, soprattuto se l’indagato non viene poi ritenuto responsabile.

Per evitare queste storture è necessario quindi impedire la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelari fino a quando non siamo concluse le indagini preliminari o l’udienza preliminare. Per questo nella proposta di legge il deputato limitava la pubblicazione alle informazioni indispensabili rappresentate dal nome e cognome del destinatario e dal delitto per il quale si doveva procedere.

 

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patente a crediti

Patente a crediti: il parere del Consiglio di Stato Patente a crediti: il parere n. 010190 del CdS sullo schema di decreto che contiene il regolamento per cantieri mobili e temporanei

Patente a crediti: parere n. 01090 del CdS sullo schema di decreto

Il Consiglio di Stato, con il parere 01090 del 27 agosto 2024, si è espresso sullo schema di decreto del ministero del Lavoro e delle politiche sociali, che contiene il regolamento che consente alle imprese e ai lavoratori autonomi che operano nei cantieri temporanei o mobili di presentare la domanda per acquisire la patente a crediti.

Patente a crediti: obbligo dal 1° ottobre 2024

L’obbligo del possesso della patente a crediti in materia di sicurezza è previsto a partire dal 1° ottobre 2024. Solo chi è in possesso di almeno 15 crediti può svolgere l’attività nei cantieri.

A tal fine il decreto stabilisce i requisiti per il rilascio, le sanzioni che comportano la decurtazione dei crediti, le modalità di recupero, gli infortuni che determinano la sospensione della patente e i criteri di attribuzione di ulteriori crediti.

Il parere di palazzo Spada

Il regolamento contenuto allo schema di decreto completa la disciplina contenuta nell’art. 27  decreto legislativo n. 81/2008.

Niente ripetizioni e duplicazioni

Per evitare ripetizioni e duplicazioni inutili per il CdS sarebbe opportuno:

  • inserire nelle premesse del decreto un riferimento all’articolo 17 comma 3 della legge n. 400/1988;
  • evitare di disciplinare i requisiti necessari per il rilascio della patente, riproducendo il contenuto della seconda parte del comma 1 dell’articolo 27 del decreto legislativo n. 81 del 2008;
  • non riproporre nell’articolo 1 il primo periodo del comma 1 dello stesso articolo 27, al quale fa rinvio anche il comma 1 dell’articolo 1;
  • eliminare il comma 7 dell’articolo 1 perché riproduce il secondo periodo del comma 2 dell’ 27;
  • riformulare il comma 8 dell’ 1 in materia di revoca della patente, che riproduce il primo periodo della comma 4 dell’art. 27;
  • sopprimere il comma 9 dell’articolo 1 perché riproduce il comma 4 secondo periodo, sempre dell’articolo 27.

Sospensione della patente: norma del regolamento legittima

Lo schema di decreto prevede al comma 2 dell’articolo 3 che, se nei più cantieri si verifica la morte di uno o più lavoratori imputabile al datore o ai suoi stretti collaboratori, almeno a titolo di colpa grave, il provvedimento di sospensione della patente è obbligatorio. Il comma 8 dell’articolo 27 della legge n. 81/2008 prevede invece come facoltativa la sospensione della patente. Per il CdS la fonte regolamentare che prevede l’obbligo della sospensione solo in presenza di colpa grave è del tutto legittima.

Criteri di attribuzione crediti patente: meglio non rinviare

Il comma 5 dell’art. 27 chiede al regolamento di individuare i criteri di attribuzione di crediti ulteriori. Gli articoli 4, 5 e 6 dello schema di regolamento reca disposizioni specifiche in cui contempla i vari criteri e poi opera tutta una serie di rinvii. Per non fare confusione sarebbe opportuno evitare rinvii agli articoli e disciplinare in un articolo unico i crediti in questione per rendere più chiara la ricostruzione della disciplina.

Entrata in vigore: necessaria la pubblicazione sulla GU

La data di entrata in vigore dell’obbligo del possesso della patente fissata dallo schema di regolamento per il 1° ottobre 2024 rende incerto il termine della vacatio legis di 15 giorni decorrente dalla pubblicazione per consentirne la conoscibilità.

Per il CdS “La circostanza che il legislatore abbia indicato il 1°ottobre come data dalla quale decorre lobbligo per i soggetti interessati di dotarti della patente di cui allo schema di decreto in esame, sembra a tal fine poter costituire un valido fondamento della scelta dellAmministrazione di incidere sulla vacatio legis. La Sezione ritiene pertanto che la previsione dellentrata in vigore il 1° ottobre 2024 possa essere mantenuta solo a condizione che il regolamento in esame venga pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale quanto meno entro il giorno precedente.”

 

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